GLI STUDIOSI:

UNA FAMIGLIA PATRIZIA AMERINA

ESTINTASI IN UN ALLUCINANTE DRAMMA

 

 

Non si posseggono -che si sappia- notizie certe circa l’origine della Famiglia Studiosi, né l’epoca precisa dei suo stabilirsi in Amelia.

Dai registri parrocchiali si possono, comunque, desumere alcune informazioni:

-il giorno 28 Aprile 1613, una Judicta Studiosa si unisce in matrimonio con tal Gregorio Palanzo;

-al matrimonio celebrato il 20 Novembre 1622 nella Chiesa di S.Maria di Porta, fra Giovanni Battista del quondam Paolo Ragnoli e Marfisa del quondam Bartolomeo Giovanni Ruffo, figurava presente, fra gli altri testimoni, un Nicolao Studioso;

-il giorno 8 Maggio 1678, venne celebrato matrimonio fra Agabito Studiosi e Dorotea, figlia del fu Carlo Mandosi;

-il 6 Luglio 1680, fu celebrato matrimonio fra Filippo Boccarini, di Marzio ed Anna Maria Studiosi, del fu Francesco;

-il 7 Giugno 1685, si unirono in matrimonio Nicola del fu Francesco Studiosi ed Agnese, figlia di Olimpiade Racani;

-il 6 Gennaio 1706, fu la volta di Ottavio, figlio di Bernardino Cerichelli, che si unì in matrimonio con Cristina, figlia di Agabito Studiosi.

Inoltre, dalle Riformanze del Comune di Amelia, in data 22 Giugno 1616, un Agabito Studiosi risulta eletto nel Consiglio Generale.

Infine, nella “Cronistoria Amerina”, redatta dal Generale Conte Carlo Cansacchi, è riportata la notizia, fra gli anni 1614 e 1616, che il Nobile Francesco Studiosi, con il grado di capitano, partì con 650 cavalleggeri per recarsi in Ungheria, in aiuto all’imperatore contro i turchi, dietro sollecitazione di papa Paolo V.

Anche Cesare Orlandi, nell’opera “Delle Città d’Italia e sue isole adiacenti” (Perugia - 1772), conferma la notizia delle valorose gesta militari dello Studiosi in Ungheria.

Da quanto precede, può ragionevolmente dedursi che la Famiglia Studiosi sia venuta a stabilirsi nella nostra città in epoca non successiva alla seconda metà del XVI secolo e che abbia favorito il suo inserimento in seno alla nobiltà amerina, imparentandosi con alcune fra le famiglie patrizie più in vista, quali, appunto, i ricordati Mandosi, Boccarini, Racani e Cerichelli.

Nella incisione a stampa composta da Lorenzo Vincentini nell’anno 1738 ed intitolata “L’Antichissima Città di Amelia”, fra i membri della nobiltà cittadina, presenti l’anno 1724, figura un Agabito Studiosi, qualsi certamente il marito di Dorotea Mandosi; e fra le “Arme gentilitie della Città di Amelia l’anno  1738”, è riportato anche lo stemma Studiosi.

Questo fa fede che, all’epoca, la Famiglia Studiosi era ormai da lungo tempo inserita, a pieno titolo, nel patriziato amerino.

Anche la “Via Studiosi”, tuttora esistente fra Via dell’Ospedale e Via del Teatro, testimonia di questo pubblico riconoscimento.

Il palazzo residenziale della Famiglia, nel suo nucleo originario, descritto nei Capitoli matrimoniali di cui appresso, come sito “in Contrada della Valle superiore”, è certamente quello incluso nel corpo di fabbricato, attualmente circondato da Via del Teatro, che, in seguito alle vicende che narreremo più avanti, passò in proprietà alla Famiglia patrizia dei Morelli, originaria di Todi.

Esiste anche un albero genealogico schematizzato ed incompleto della Famiglia Studiosi, inserito in un parere legale senza data, ma certamente stilato nel primo decennio del XIX secolo, secondo il quale, da un capostipite Agabito, discesero tre figli: Nicola, Francesco e Domenico, quest’ultimo religioso; da Francesco, unico erede di Nicola, nacque un altro Nicola; da questi un Olimpiade ed, infine, da quest’ultimo, Giuseppe, Franceso (religioso), Nicola (senza figli) e Antonia, andata in moglie a Francesco Cardoli, di Narni.

A sua volta, dall’unione di Giuseppe Studiosi con Marianna Ulci, romana, nacque l’unica figlia Maria Geltrude, o Geltrude, con la quale il ramo amerino della Famiglia si estinse.

E’, appunto, quest’ultima discendente che vogliamo seguire nella sua breve esistenza.

Dopo la nascita, avvenuta il 14 Novembre 1780, restò orfana del padre Giuseppe, deceduto il 14 Maggio 1784.

Giunta la giovane in età da marito, la madre Marianna Ulci, curatrice dei suoi interessi ed amministratrice del cospicuo patrimonio relitto dal defunto padre ed accresciuto da disposizioni testamentarie di zii e prozii paterni, procurò di trovarle un consorte che, sia per nobiltà che per censo, potesse assicurare alla sposa una degna sistemazione e fornire, nel contempo, un futuro senza preoccupazioni di carattere economico alla previdente madre.

Dopo oculate indagini affidate e fatte esperire con discrezione dal cittadino todino Ludovico Accursi ed a seguito di ben ponderate riflessioni, la scelta del futuro sposo dell’ereditiera Geltrude cadde sul giovane patrizio Claudio Morelli, figlio di Federico Antonio dei Conti Morelli di Todi, nobile ed agiata famiglia che possedeva, fin dal XVII secolo, un vasto patrimonio nell’agro todino, di cui faceva allora parte anche il territorio di Montecchio.

I capitoli matrimoniali vennero stipulati dal notaio Raimondo Ciatti di Amelia il 28 Giugno 1798. Vale la pena di riportarne la parte protocollare, per il particolare periodo storico che si veniva allora attraversando:

“Libertà                         In nome di Dio - Amen                      Eguaglianza

A dì 10 Messidoro Anno Primo della Repubblica Romana (28 Giugno 1798).

Essendo stati trattati colla Cittadina Marianna Ulci Studiosi, e col divino ajuto mediante l’efficace collaborazione del Cittadino Ludovico Accursi da Todi conclusi, e stabiliti li Sponsali da contraersi tra la Cittadina Donzella Geltrude, figlia del fù Giuseppe Studiosi, e di essa Cittadina Marianna, e tra il Cittadino Claudio Morelli figlio del Cittadino Federico Antonio Morelli, parimenti da Todi non solo con reciproca compiacenza di essi futuri Sposi, ma eziandio con reciproca soddisfazione e contento non meno dei loro Genitori, che del loro Parentado, ecc.....”.

Anche la parte escatocollare è degna di nota:

“E per l’osservanza di tutte e singole cose suddette, i detti Cittadini obbligarono ed obbligano loro stessi, eredi, beni e ragioni etc. nelle forme della Repubblica Romana più valide, ed equipollenti a quelle della fù Camera Apostolica........”.

La nuova famiglia si trasferì a Todi, probabilmente nel Palazzo avito dei Morelli, in Via di S. Prassede (corrispondente all’attuale civico n.3 di detta via) e dalla unione di Geltrude e Claudio nacquero due maschi: Cesare, il 9 Agosto 1799 e Ulisse, il 2 Novembre 1800, che, in seguito ad un decreto di Napoleone emanato nell’anno 1812, -che imponeva ai giovani delle più ricche ed illustri famiglie degli Stati a lui soggetti un particolare indirizzo educativo- furono invitati a frequentare il Collegio Militare di Parigi.

Ma la giovane esistenza della Contessa Geltrude si era già prematuramente conclusa nel gennaio dell’anno 1803.

Dai registri parrocchiali della Cattedrale todina, vergati dalla mano del Parroco Innocenzo Mariani, apprendiamo che il giorno 13 Gennaio 1803, venne battezzato “ob mortis periculum” dallo stesso chirurgo Ignazio Ottavi che assisté al parto, un figlio maschio, col nome di Federico, nato l’11 dello stesso mese dai Coniugi Claudio Morelli e Geltrude Studiosi e vissuto soltanto otto giorni.

Il 14 Gennaio 1803, “improvviso morbo correpta”, la puerpera concludeva la sua breve vicenda terrena.

Ci resta un freddo resoconto delle spese funerarie, redatto dallo stesso Parroco Mariani.

E’ dall’esame di tale documento, che una tremenda ipotesi può iniziare a prender corpo.

Vi è riportato, innanzi tutto, un preciso elenco delle celebrazioni sacre relative al “die depositionis in Ecclesia Cathedrali, quae fuit” il 14 Gennaio 1803.

Alle pagine successive, è registrato un altro elenco delle sacre funzioni, sempre celebrate nella Chiesa Cattedrale, relative al giorno seguente, 15 Gennaio 1803.

Perché due giorni? Forse le messe di suffragio richiesero un tempo tanto lungo da impegnare anche il giorno successivo alla deposizione, avvenuta, come sopra accennato e com’era in uso all’epoca, nella stessa Chiesa?

Ma proseguiamo nell’esame della dettagliata nota spese.

Nella quarta pagina del foglio, figura una voce, che può lasciar intravedere l’allucinante realtà: “Denari ricevuti dalli Sig.ri Morelli in occasione del Funerale fatto f(are) in due volte, sc(udi) 30”.

Perché in due volte?

Infine, un’altra voce della nota si riferisce ad una “limosina passata al chierico che ha dato parte della morte”.

A questo punto, anche se l’atroce verità sembra emergere sufficientemente chiara dai documenti scritti, si inserisce la tradizione orale, tramandatasi in seno alla Famiglia Morelli di generazione in generazione.

Cosa era in realtà accaduto?

Un caso tutt’altro che infrequente quando, fino a circa centonovant’anni or sono, le tumulazioni avvenivano a distanza di meno di ventiquattr’ore dalla constatata morte, effettiva od apparente che questa potesse essere.

In sostanza, la povera Geltrude era stata sepolta ancora viva!

Sempre secondo quanto tramandato, durante la notte seguita alla tumulazione (che soltanto le leggi napoleoniche vieteranno di effettuare nelle chiese), si sentì a lungo gridare e battere sulla parete sepolcrale.

Al chierico che, dopo aver vinto il comprensibile spavento, diede l’allarme, ed alle persone accorse a rimuovere la pietra dell’avello, apparve uno spettacolo terrificante: la povera giovane, che aveva cercato, con sforzi disperati, di sollevare la pesante lastra, facendovi pressione con il capo, sul quale aveva disposto, a guisa di cèrcine, dei lembi stracciati dal vestito indossato, giaceva ormai definitivamente priva di vita.

Penso che, fra le morti cui un essere umano possa andare incontro, difficilmente può trovarsene una più atroce di quella toccata in sorte alla giovane Geltrude.

Non credo che l’evento testé narrato abbia potuto influire sulle decisioni che, soltanto qualche anno dopo, vennero adottate dalle Autorità, circa il periodo di tempo che deve intercorrere fra la morte accertata e la sepoltura di un corpo umano.

E’ probabile che la legislazione napoleonica, applicata ai territori annessi all’impero con decreto del 17 Maggio 1809, insieme al divieto della sepoltura nelle chiese, abbia sancito anche la disposizione di non seppellire i cadaveri prima di 24 ore dal decesso.

Comunque, tali prescrizoni  furono espressamente considerate e sancite, dopo l’avvenuta Restaurazione, con una circolare emessa dalla Sagra Consulta in data 22 Maggio 1816.

Le attuali disposizioni previste dal Regolamento di Polizia mortuaria (D.P.R. 10.9.1990, n.285, artt.8-9) fanno divieto di chiudere un feretro prima che siano trascorse 24 ore dal constatato decesso ed, in caso di morte improvvisa -o quando può esservi dubbio di morte apparente- detto termine viene addirittura raddoppiato.

Tuttavia, riallacciandomi a quanto accennato poco sopra, mi sarebbe di conforto pensare che il tremendo caso di cui fu vittima Geltrude Studiosi abbia in qualche modo potuto contribuire ad imporre per l’innanzi maggiori cautele, onde impedire che simili atrocità non avessero mai più a ripetersi.

 

(Novembre-Dicembre 1996)