GUERRA. PERCHE'?

 

Il 19 Marzo 2003, giorno dedicato a S. Giuseppe, considerato da tutta la Cristianità come l'esempio di un uomo saggio, giusto e pacifico, ha avuto inizio la prima impegnativa guerra del terzo millennio, suscitata dalle potenze anglo-americane contro il regime dittatoriale dell'Iraq.

Anche se l'attentato terroristico dell'11 Settembre 2001 potrebbe ritenersi -come fu a suo tempo detto dal presidente statunitense Bush- un vero e proprio atto di guerra e, quindi, sufficiente a giustificare una drastica  reazione, iniziata con l'invasione dell'Afghanistan, tuttavia la lotta al terrorismo, pur sacrosanta e considerata da tutti i popoli occidentali e dalla quasi totalità degli Stati come legittima e doverosa, potrebbe e dovrebbe venir condotta con mezzi adeguati, alternativi agli atti di guerra conclamata.

Non si possono usare i cannoni contro un nemico invisibile.

Ed inoltre è stato sufficientemente dimostrato il coinvolgimento del regime di Baghdad nell'attentato alle Twin Towers?

A prescindere dal dovere di indagare sulle cause che potrebbero aver fornito un pretesto all'attività terroristica, come la questione ebraico-palestinese, la cui soluzione non è più procrastinabile, l'opzione militare non sembra essere stata, neppure in data recente, la più idonea a debellare il terrorismo islamico ed i modesti risultati dell'azione in Afghanistan sono tuttora davanti agli occhi di tutti, a dimostrarne l'inadeguatezza.

Ma ciò che si sta verificando dal 19 Marzo in poi sembra ancora più grave e foriero di sviluppi di una portata che potrebbe rivelarsi molto al di là di ogni  più pessimistica previsione.

L'azione militare unilateralmente iniziata dagli anglo-americani, senza alcuna espressa legittimazione da parte degli organismi internazionali, ha inferto un grave colpo al prestigio di questi ultimi, a causa del quale difficilmente potrà  venir restituita loro una credibile autorità.

E ciò, già di per sé, costituirebbe uno dei motivi -forse il più grave- di destabilizzazione globale dei rapporti internazionali, in quanto in grado di turbare il delicato equilibrio esistente -bene o male- fra le nazioni della Terra.

L'accorata esortazione del Papa Giovanni Paolo II ad abbandonare l'opzione bellica in favore di soluzioni negoziali mi suscita nella memoria di quando ero adolescente le parole di un altro grande Pontefice, Pio XII, che, nella imminenza della deflagrazione del secondo conflitto mondiale, ebbe a dire: "Nulla è perduto con la pace; tutto può esserlo con la guerra".

Allo stato attuale degli eventi, quali vantaggi ci si potrebbero attendere dal proseguimento delle ostilità e quali, invece, i rischi del protrarsi di una tale situazione?

Fra i primi, quasi certamente la fine del regime sanguinario del dittatore Saddam Hussein, dopo la quale si renderà necessaria la ricerca -che non potrà essere breve e scevra di difficoltà: l'Afghanistan serva da monito!- di coloro che si dovranno far carico di gestire il dopo-guerra, di una molto problematica pacificazione del territorio e di rimarginare le ferite materiali e morali del conflitto.

Quando si imporrà l'esigenza di risolvere una tanto complessa serie di problemi, chiunque sia chiamato a porvi mano, dovrà prefiggersi quale scopo prioritario di assicurare al martoriato popolo iracheno la libera scelta di un regime democraticamente eletto, in grado di gestire  le immense ricchezze del sottosuolo  a vantaggio della collettività e non soltanto -come fin'ora accaduto- di feroci despoti.

Un'imprescindibile esigenza per mantenere il delicato quanto precario equilibrio economico e politico fra le diverse etnie all'interno dello stato iracheno sarà quella di salvaguardarne l'integrità territoriale, non indulgendo né alle mire secessioniste curde, né a quelle annessioniste dei confinanti turchi, prevedibilmente suscitate dai ricchissimi giacimenti petroliferi delle zone di nord-est.

Ma chi dovrebbe presiedere a questi processi di trasformazione ed alla tutela degli interessi delle popolazioni che hanno sopportato le tremende conseguenze del conflitto? Riuscirà l'O.N.U. a riacquistare la necessaria autorità dopo le vicende che ne hanno visto avvilito il ruolo e ridimensionato il prestigio? Tutte le nazioni dovranno dare il loro contributo affinché ciò sia reso possibile.

Sull'altro piatto della bilancia, è troppo facile profezia porre un indiscriminato e generalizzato aumento del terrorismo, che procederà di pari passo con il deterioramento delle relazioni internazionali fra occidente e mondo islamico -senza tacere dei rapporti con Russia e Cina- che sarà tanto più vasto e progressivo quanto maggiore sarà la durata del conflitto.

Ma, allora, c'è da chiedersi: perché la guerra? perché?

 

(Aprile 2003)