Il "FIGLIO DEL COLLEGA"

 

Il 21 Febbraio u.s., erano circa le ore 16 quando, dopo aver pagato presso l'ufficio postale la salatissima bolletta del metano, mi stavo dirigendo, a piedi, lungo la Via I° Maggio, con l'intenzione di passare un'oretta al circolo del bridge. Giuntovi quasi di fronte, da un'auto che mi passava davanti, mi sentii chiamare con un suono di clacson. Mi avvicinai al conducente, un uomo sulla quarantina, che aveva frattanto accostato l'auto sul lato destro della strada. Mi sentii apostrofare: "Non mi riconosce? Sono il figlio di un suo carissimo collega". Al che, senza pensarci troppo, sono lì a chiedergli: "Quale?"."Indovini" fu la sua replica. Provai a fare un paio di nomi, ma senza esserne troppo convinto; al terzo, mi sentii rispondere: "Bravo! proprio lui!". Si trattava di un collega di Terni, più grande di me, sicuramente già in pensione da molti anni, se pure ancora in vita. Senza darmi tempo di fare altre domande, il mio interlocutore mi dice di avermi conosciuto quando, dodicenne, venne a trovarmi insieme al padre -fatto che non  ricordavo assolutamente- e che era ora sulla via del rientro alla base, in Svizzera, dopo aver effettuato, a Terni, una mostra mercato di capi di abbigliamento (nella fattispecie, giacconi in pelle), il commercio dei quali faceva capo ad una ditta intestata alla madre paralitica e da lui amministrata, aggiungendo che la mostra stessa aveva avuto risultati altamente remunerativi. Si trovava in Amelia perché, essendo restati invenduti alcuni giacconi, dalla madre aveva avuto incarico di regalarli ad un parente carabiniere che, però, non aveva potuto contattare, perché da poco trasferito ad altra residenza. Dalla madre aveva avuto, quindi, il benestare di regalarli ad un qualche amico o conoscente, senza riportarseli indietro, per non pagare dogana. Aveva, poi, "casualmente" incontrato me -un caro amico di suo padre- e mi aveva fermato, per farmi omaggio di un capo.

La mia innata buona fede, unita ad una notevole dose d'ingenuità, restatami addosso malgrado gli anni, mi fece quasi credere alla verità del suo racconto e quando mi chiese dove potevamo andare a provare il giaccone, montai in macchina con lui per andare -magari- a casa. Durante il tragitto attraverso la città, qualche dubbio cominciava a farsi strada dentro di me. Cercai, perciò di fargli alcune domande, che potessero chiarirmi meglio la realtà della situazione. Chiesi, qundi, notizie del padre e quanti anni poteva avere oggi. Mi rispose: "74"; al che mi fu palese che il conto non tornava. Dissi subito che non poteva essere più giovane di me, ed egli, che non conosceva la mia vera età, immediatamente  si corresse  dicendo: "84". Ma ormai mi era chiaro che avevo a che fare con un "fante-lesto", com'era solito chiamare gl'imbroglioni il mio "giovane di studio" ultraottantenne di cinquant'anni fa.

Ebbi la presenza di spirito -una volta tanto!- di non portarlo a casa, ma di dirottarlo in un locale già adibito ad ufficio ed attualmente in disuso. Qui mi fece provare un giaccone di pelle, che, a onor del vero, mi stava a pennello. Io replicai che non potevo accettare un regalo tanto costoso senza contraccambiare in qualche modo. Egli, allora, mi disse che sarebbe stato sufficiente che gli avessi rimborsato l'IVA, tanto per pagarsi le spese del viaggio di ritorno. Quando risposi che, con me, in quel momento, non avevo contanti, come un fulmine ripose in borsa quanto precedentemente estrattovi e, infilata la porta d'ingresso, si dileguò senza neppure voltarsi e senza proferir verbo, anche se non è escluso che a me, debole di udito, sia sfuggita una qualche imprecazione masticata fra i denti.

Ora mi chiedo: come si sarebbe potuta altrimenti concludere la storia? Con la classica botta in testa? O forse anche peggio?

Feci del caso occorsomi una segnalazione ai Carabinieri, che mi risposero di conoscere bene questo modo di procedere e che il trucco del "figlio di collega" è un classico della truffa a persone per lo più anziane e sprovvedute. Seppi, in seguito, che un episodio del tutto simile era stato recentemente descritto da un giornalista su "Il sole 24 Ore".

Uscito fortunatamente indenne da questa singolare vicenda, vorrei che il suo racconto possa contribuire a salvare qualche probabile "collega" di sventura!

 

(Aprile 2006)