LA CHIAVE PERDUTA

 

Era la prima decade di Marzo. Stavo percorrendo, in cerca di asparagi, il tratto della Via Amerina che, dal Ponte Grande, volge verso Orvieto, ma prima ancora di arrivare allo Scoglio dell’Aquilone, incrociai un altro ricercatore che recava in mano un bel mazzetto dei saporiti polloni, togliendomi la speranza di un ricco raccolto. Proseguii comunque il mio itinerario, che aveva anche -e sopra tutto- lo scopo di verificare il punto di fioritura delle orchidee spontanee e, non ultimo, quello di compiere la  passeggiata quotidiana.

Raramente ho voglia di muovermi lungo una strada troppo frequentata dagli autoveicoli, preferendo di gran lunga le strade di campagna, che offrono, se non altro, un’aria assai più respirabile, ma, tanto per variare, quel giorno la mia scelta era caduta sull’Amerina, che mi riproponevo -come poi feci- di percorrere fino ai Quarti di Porchiano e, da qui, prendere la strada che collega la Cavallerizza con la comunale macchianese, passando per Santa Maddalena e la Rivolta e compiere, quindi, il periplo giungendo nuovamente al Ponte.

Come pensavo, gli asparagi trovati non superavano la diecina e, per rimpinguare il bottino, a poco servì l’aggiunta di un misero funghetto. Ma la passeggiata era comunque effettuata e questo soddisfaceva pienamente alle mie giornaliere necessità motorie.

Giunto sulla soglia di casa, vana fu la ricerca della chiave del portone, che avevo, con notevole imprudenza, infilata nel taschino della camicia: certamente, in una delle rare volte in cui mi ero chinato, era scivolata via: ma quando? e in che punto? Rifeci mentalmente il percorso e conclusi che i luoghi di maggiore probabilità dove ciò era potuto accadere non erano moltissimi, ma il giorno era prossimo alla fine e l’ingresso in casa mi fu assicurato dalla provvidenziale presenza di mia figlia.

Il mattino seguente mi rimisi in cammino, ripercorrendo lo stesso itinerario e soffermandomi nei medesimi punti che avevo toccato il giorno innanzi: non c’era altro da fare, che affidarsi al caso e contare sulla mia buona stella.

Ero giunto al punto in cui, dopo aver imboccato la strada della Cavallerizza, ricordavo di essermi seduto il giorno precedente sul suo ciglio sinistro, per togliermi un sassolino da una scarpa ed ecco, ad un tratto, apparire, finalmente concretizzata, la sagoma della chiave in cui mi ero prefigurato d’imbattermi lungo tutto il percorso fin lì effettuato. Non la raccolsi subito, ma, ormai risollevato nello spirito, m’intrattenni ad apostrofarla come se fosse in grado di comprendermi, dicendole:”Ti pare bello di avermi fatto stare in pena fino ad ora? che cosa ti dovrei fare? tottò sul sederino?” come se fosse facile trovare il “sederino” di una chiave!

Ma quest’avventura, conclusasi in modo tanto felice, mi ha offerto lo spunto per fare alcune riflessioni.

Erano molti mesi -forse più di un anno- da quando avevo percorso l’ultima volta l’Amerina: già fin da allora avevo dolorosamente constatato lo spaventoso degrado dovuto alle innumerevoli e più diversificate immondizie sparse lungo tutto il suo tracciato: nel frattempo, ho potuto rendermi conto che, allo stato attuale, esse sono cresciute in modo esponenziale.

Ma in che mondo e. sopra tutto, in che modo viviamo? come si può pensare, senza provare il minimo senso di colpa, che si possa impunemente gettare tutto quel che non ci serve nell’ambiente che ci circonda e nel quale -bene o male, ma, a questo punto, più male che bene- siamo costretti a vivere noi stessi e le generazioni future? A chi verrebbe in mente di buttare i rifiuti sul piancito dell’ appartamento dove abita? E l’ambiente non è forse la casa di tutti? Quale spiegazione può esservi se non quella di aver perduto la chiave d’accesso al più elementare buonsenso ed alla civile convivenza? Fin quando potremo seguitare ad agire in modo tanto insensato ed autolesionistico? Se si moltiplca per l’ennesima potenza il volume dei rifiuti sparsi e sconsideratamente abbandonati dove capita quanto a lungo potremo ancora durare, se si prende atto anche di tutti gli altri problemi colpevolmente ed improvvidamente da noi creati e che attendono la loro soluzione?

Si fa un gran parlare di protezione dell’ambiente, del pericolo del buco nell’ozono, dell’effetto serra e di ricerca di energia pulita per tentare di sottrarre questo povero mondo all’inquinamento atmosferico ed al suo progressivo degrado, ma pochissimi si fanno scrupolo di gettare per terra un qualsiasi rifiuto, sia pure la carta di una semplice caramella!

Io la mia chiave l’ho ritrovata: ma quando la collettività umana incosciente ed impazzita sarà in grado di ritrovare la sua?

 

(Aprile 2007)