G I U G N O


1 - Nella liturgia della Diocesi amerina il 1° giugno è celebrato S. Secondo, che l'agiografia ufficiale riporta abbia subito il martirio il 1° Giugno dell'anno 303, nel territorio di Amelia, durante le persecuzioni dell'imperatore Massimiano. Il suo corpo è attualmente conservato nella città marchigiana di Pergola, della quale è patrono. Una sua statua può vedersi nella nostra Chiesa Cattedrale. (1996)


1 - La "Visita dei Confini" delle proprietà comunali era annualmente imposta agli Anziani, secondo un itinerario ben stabilito dai relativi "Capitula", che vale la pena di riportare nella loro integrità, per aver modo di confrontare se e quali degli antichi toponimi in essi citati siano ancora rintracciabili.

La visita doveva aver luogo due volte all'anno ed aveva per oggetto due diversi itinerari.

"Li Sig.ri Antiani, di Maggio e Giugno, debbano cominciar detta visita e quindi andare al luogo detto anticamente il Pisciarello, et ora detto l'Acqua del Papa, et il termine murato che sta sopra il Colle divisorio tra la detta Città (di Amelia) et il Castello d'Atigliano e la Terra di Lugnano, e dopoi dove tocca l'altro termine, dove si dice la Casa di Bartolomeuccio, dove sono certe muraglie ruvinate, e dopo l'altro luogo detto la Grotte di S. Stefano, sopra la quale c'è una Palombara sopra muri saracineschi, e dipoi l'altro luogo dove era Strada vecchia, quale ora si lavora, e dopoi il Fossato dove è il Ponte guasto, quale passato si trova Fontana lunga, appresso la detta strada vecchia, quali termini dividono il Territorio d'Amelia dal Territorio del Castello d'Atigliano, e dipoi li confini tra Amelia e Lugnano. E prima un muro saracinesco, dove sta un termine, e dipoi il termine che sta à piedi al Campo detto il Ser Taddeo, oggi dell'Ospedale de Laici dell'Ill.ma Comunità d'Amelia, et un altro termine in mezzo di detto campo, appresso li beni del già Nevio Vulpij, un altro termine in cima del Monticello fra certi scogli di sassi, et in cima d'un altro Monticello dove è un piano ripieno di molte pietre, e passata la parata del Molino, un termine in una rupa, e dipoi un altro termine nel piano della selva appresso una cerqua grande, e poi un altro termine à piedi alli Valzoli nella strada, che si va a Porchiano e poi un altro termine detto Oveto, e poi l'altro termine in luogo detto il Campo della Chiesa di S. Valentino. E poi il luogo detto il Vado della Coarda, e poi dove si dice il termine posto sotto la strada, che da Amelia si và a Lugnano, e poi il termine al piano di Staffa, poi al Colle dell'Arcenella, poi all'Oriali, poi al Colle del termine, poi sopra la strada di Vallelunga, e poi in cima  del Monte Pignanello, o Mappa, poi all'Uomomorto appresso la strada, che và da Amelia à Guardeja e Montecchio, e poi all'altro termine divisorio tra Amelia, Lugnano et Alviano, e poi nel Monte Castellaro e Piano Berardo, nominato nella sentenza dal Sig. Giulio Cesare Abbati, e poi a Casa Croce, e poi alla strada di Vallecapita e poi à Valle Carafoglia, e lo scoglio detto dell'Alcinella, e poi scendendo, all'altra valle, dove alla selva del Sig. Antonio Novelli del Toso, che fu delli Sig.ri Cansacchi, e le terre lavorative del medesimo Sig. Antonio, che seguitano fino al Fossato, à Fossato acquajo, e poi al termine di S. Maria in Canale.

"Che li Sig.ri Anziani di Settembre e Ottobre visitino prima il termine appresso il Fossato di S. M.a in Canale, e poi il Fossato detto di S. Maria in Canale e poi seguita il confine per la forma fino alla via, che và a Masciano, e poi il termine detto la Raica, e poi il Fossato Raica, e poi al Ramoiolo, poi il termine di S. Fermina delle Valli Cancello di Torrepicchio, poi al Salvatello, poi il termine appresso un arboro d'olivo nel Campo del già Luca Geraldino, e poi di Bernardina di Parunto d'Amelia, e poi il termine di Pietra fatto dalla natura segnato colla Croce in cima, poi l'altro termine sopra la strada, che si va da Amelia a Capitone, poi a Ceresceti o Coste delle Cave, poi il termine detto Boccaporcella poi al posatoio, poi à Campo di Fiume, poi il ponticello tra Fornoli, e Camartana, poi a Fontana puzzola, poi al piano di Saluto, poi a Vallemartino, e la Cerqua alta, Castelluzzo, poi alla Sepe detta la Strepeta, Collepechio, Morra di pantano, Fosso di Carino, Fosso d'Origliano, Formicula, e poi li due termini lontani uno dall'altro tre piedi in circa, poi a Campo antico, Fossato del Bagnatojo, poi per il Fossatello sino a S. Valentino, termine in Voc. Piana detto le Sterpaglie, il Mergo, poi alla Fontana di Capeta, bologna, e Capeta, e sia.... che il Segretario noti a lungo la visione di detti termini e confini et in questo li Sig.ri Anziani siano vigilanti e in tal visita non lascino di vedere tutti li termini e confini, come sopra".

Un esempio di una tale ispezione -lungo il primo itinerario-eseguita il 1° Giugno 1614, potrà dare un’idea di come essa veniva condotta.

"Gl’Ill.mi Signori Anziani Claudius Vulpius e Adrianus Giraldinus, a nome del Comune e dei colleghi Ser Gabinio Dolfini e Cavalier Pietro Laurenzi Sandri, dando esecuzione al disposto del Consiglio Generale circa l’accesso “ad videndum confina et terminos territorij” ed anche secondo il prescritto dei “Capitula Bussuli”, accedettero, insieme a me (notaio) e Bernardo Pressedio trombetta (araldo) e ad Onofrio e Antonio, custodi dei detti confini, “ad visitandum terminos et confines”, ad iniziare verso il Castello di Attigliano. Ispezionarono da lontano il luogo un tempo chiamato “il Pisciarello” ed oggi nominato “l’acqua del Papa” ed il termine murato posto sopra il colle divisorio esistente tra il Castello di Attigliano, la terra di Lugnano e la Città di Amelia e visionarono il luogo, detto “La Casa di Bartolomuccio” dove esiste altro termine e sono presenti alcuni ruderi di mura ed altro luogo  detto “la grotta di S. Stefano”, dove dall’Ill.mo Sig. Petrignani venne edificata una colombaia “super muris saracinis”; quindi esaminarono altro luogo dove una volta era una strada, oggi lavorata, quindi il fossato dov’è un ponte diroccato ed una fonte, chiamata “fontana lunga”, sita lungo la vecchia strada, per l’abbeveraggio del bestiame; e per tali luoghi, che costituiscono termine di divisione fra il territorio amerino e quello attiglianese, Bernardo ed i custodi fecero esatta ricognizione, avendo degli stessi piena conoscenza.

“Successivamente, gli Anziani, insieme a me ed ai detti Bernardo e custodi, proseguendo l’ispezione dei confini e dei termini con la terra di Lugnano, rinvenimmo un “murum saracinescum” , dove un tempo era un termine, dal qual luogo si scorge altro termine che ne prende il nome (dal muro) e posto fra Attigliano, Lugnano ed Amelia. Quindi arrivammo ai piedi di un campo un tempo detto di “ser Tadei” ed oggi dell’Ospedale della Città di Amelia, dove trovasi un termine lapideo, dell’altezza da terra di circa un piede; indi, in mezzo al detto terreno fu rinvenuto altro termine della stessa altezza ed alla sommità del campo, a confine con il terreno di Nevio Vulpij, fu trovato altro termine nei pressi di una quercia; quindi giungemmo ad altro termine sito in cima ad un monticello, fra alcuni scogli di pietra, alti circa un piede, quindi sulla cima di un altro monticello trovasi un piano ricoperto da grandi rocce; attraversato, quindi un confine del molino da grano di Lugnano, si rinvenne un altro termine sopra una roccia, alto circa un piede e, da qui, in linea retta, si rinvenne altro termine alto un piede e mezzo, posto in un piano di bosco, ai piedi di una grande quercia; indi fu trovato altro termine nel luogo chiamato “a piedi li Valzoli”, segnato con una croce sulla parte superiore, dell’altezza di circa due piedi e mezzo. Proseguendo, giungemmo al altro termine, nel luogo volgarmente detto “fra le vignaccie et li Valzoli”, presso una quercia sulla strada che porta al Castello di Porchiano ed alto circa due piedi; quindi giungemmo al luogo detto “Oveto”, in cui fu trovato altro termine alto circa due piedi e mezzo, segnato con una croce. Poi si venne ad altro termine in luogo detto “il Campo della Chiesa di San Valentino”, vicino ad una pietra e ad una quercia, alto circa un piede; quindi ad altro luogo, detto “il Guado de la Coarda”, dov’è altro termine alto circa un piede; poi si venne ad altro termine, detto “il termine sotto la strada che va da Amelia a Lugnano”, dell’altezza di circa tre piedi, sul quale è scolpita una luna.

“Tutti i detti termini furono da tutti i soprascritti riconosciuti e vennero marcati con segni ed altro, come si usa fare dagli effettivi proprietari ed il trombetta Bernardo, con l’autorizzazione dei Sig.ri Anziani, ad ogni termine trovato, suonò la tromba in segno di (riaffermato) dominio". 

La relazione di ricognizione seguita ancora per diverse pagine.

Qui ci si limitrerà a ricordare i nomi dei luoghi citati, nell’ordine in cui sono in essa riportati.

“Piano di Staffuolo”, “Il Colle dell’Acerella”, “l’Oriali”, “Il Colle del termine”, strada “Vallis Longe”, cima “Montis Pignatelli, seu Mappe”, “l’Huomimorto”.

Nella stessa relazione si fa ricognizione dei confini fra Todi ed Amelia, con accesso “ad Montem Castellarem”, dove, in luogo chiamato “il Campo di Berardo”, fu trovato un termine, etc.

Quindi, anche in quest’ultima ispezione di confini, si fa menzione, in chiusura, dell’avvenuto riconoscimento dei luoghi, con apposizione dei consueti contrassegni e della singolare “strombazzata” dell’araldo, al ritrovamento di ogni termine. (2000)

(Il testo pubblicato nell'anno 2000 è stato integrato con altro già predisposto. Per completezza, si è con esso confrontato e collazionato, anche a rischio di qualche ripetizione)


1  -  Il 1° Giugno 1326 i consigli generale e speciale, unitamente agli Anziani ed ai rettori delle arti, sono chiamati a deliberare circa la richiesta inviata al Comune, tramite lettera recata da ambasciatori, da parte “Magnifici viri Stephani de Columpna” del magnifico Signore Stefano Colonna “super adiutorio eidem Stephano exibendo per dictum commune Amelie ad conducendam certam copiam aque ad Civitatem Pelestrine” circa l’aiuto da recare allo stesso da parte del detto Comune per far giungere una certa quantità di acqua alla Città di Palestrina “et si placeat quod eidem Stephano provideatur de quantitate xxv florenorum de auro occasione predicta de bonis et avere dicti communis” e se si approvi che, per il suindicato scopo, si provveda ad inviare a Stefano la somma di 25 fiorini d’oro da trarre dai (magri) beni della comunità. Si mette ai voti la proposta di contributo per la realizzazione dell’acquedotto di Palestrina, che viene approvata con 53 consensi e 9 dissensi.

Ad ogni buon conto, il dì seguente si delibera che “omnes et singule persone Civitatis et comitatus Amelie et habitantes in ipsa Civitate et comitatu et etiam habentes possessiones terras et bona in Civitate et comitatu predicto” tutti i residenti in Città a nel contado, possessori in loco di terre e beni “teneantur et debeant solvere omnes dativas et collectas quocumque modo impositas et imponendas infra terminum ordinatum seu ordinandum” siano tenuti a pagare tutte le dative e collette imposte e da imporre entro il termine prefisso o da prefiggersi, che verrà reso pubblico con uno o più bandimenti. Se, dopo otto giorni da questi ultimi non sarà stato provveduto ad effettuare il pagamento relativo, i contribuenti in mora saranno assoggettati “ad solutionem dupli” alla pena del raddoppio di quanto dovuto. (2009)


1  -   Il 1° Giugno 1328 si procede alla consegna delle chiavi delle porte cittadine ai rispettivi custodi delle medesime, eletti dagli Anziani, nelle persone di: Rainuccio di Cenzo e Angeluccio Fattuzzi, per le chiavi e gli sportelli della porta di Posterola; a Petrignano Grazia ed a Buzio Benincasa,  per le chiavi e gli sportelli della porta Busolina; a Colozio Guidi e Boccarino Nordi, per le chiavi  e gli sportelli di porta della Valle ed a Vanuccio Tagliavalzi per quelle della porta di Leone. I quali tutti promisero al Cancelliere, in rappresentanza degli Anziani e del Comune cittadino,  “tenere et salvare usque ad beneplacitum dominorum antianorum Civitatis predicte et claudere et aperire dictas portas et sportella horis consuetis, oportunis et congruis, pro statu communis predicti” di tenere e conservare dette chiavi, a beneplacito degli Anziani e chiudere ed aprire le relative porte e gli sportelli alle ore stabilite, opportune e congrue, per il bene cittadino “et non aperire postquam clause fuerunt de nocte, nisi servatis sollempnitatibus debitis secundum ordinamenta communis et populi facta et pro tempore fatienda ad penam in ipsis ordinibus comprehensam” e non procedere alla loro apertura dopo la chiusura durante la notte, se non osservando scrupolosamente quanto prescritto e previsto dagli ordinamenti emanati e da emanarsi, sotto la pena dagli stessi contemplata “et nullam fraudem nullumque dolum conmictere in aperiendo vel claudendo seu in non claudendo vel non aperiendo dicta sportella contra statum pacificum communis et populi Civitatis predicte, ad penam mille librarum pro quolibet, ultra omnem penam in ordinamentis communis et populi comprehensam et obligatione suorum bonorum” e di non commetterte alcuna frode nell’aprire o non aprire dette porte, contro lo stato pacifico della Città e dei cittadini, a pena di mille libre per ognuno di essi custodi, oltre quelle previste dai relativi regolamenti e rispondendone con i propri beni. Seguono i nomi di due garanti per ogni custode, con tanto di giuramento “ad sancta dei evangelia”, cioè sulle sacre scritture. (2010)


1  -  Il 1° Giugno 1329 si prende in considerazione “petitio facta et data per Nisum Angeli et adovardum Jannis, nomine et vice Angelelli Comparati et Ceccharelli Jacobelli, condempnatorum et exbanditorum dicti communis in personis et pubblicatione, confiscatione et devastatione bonorum suorum per Bartholellum d.ni Conradi dudum potestatem dicte Civitatis” la supplica presentata ed esibita da Niso di Angelo ed Edoardo di Giovanni, in nome e nell’interesse di Angelello Comparati e Ceccarello Jacobelli, condannati e sbanditi dal Comune nelle persone e alla pubblicazione, confisca e distruzione dei loro averi, da Bartolello di Corrado, già podestà di questa Città, “occasione excessuum qui dicebantur commissi per eos ad Monasterium sancti Manni et in personis Cecche et Symonecte Monialium dicti monasterii, ut in dicta sententia continetur” a causa di violenze che si dicevano fossero state da loro commesse nel Monastero di S. Manno, nei confronti di Cecca e Simonetta, monache di detto Monastero, secondo quanto risulta dalla relativa sentenza; “petentes nomine quo supra dictos Angelellum (et Ceccarellum) rebandiri et dictam sententiam tolli, cassari et cancellari per cancellerium dicti communis et ipsos et utrumque ipsorum res et bona, iura et actiones eorum reponi in pristina libertate” chiedendo, a nome come detto sopra, che i sunnominati Angelello (e Ceccarello) vengano riabilitati e la sentenza sia cancellata ed abrogata dal Cancelliere comunale ed essi ed i loro beni, diritti ed azioni vengano posti in libertà e ripristinati, “Cum re vera nihil fecerint de contentis in dicta sententia” poiché in verità nulla fecero di quanto è contenuto in detta sentenza “Et velint dare et solvere dicto communi pro cassationibus supradictis ducentas libras, scilicet C. libras (pro quolibet) e si dichiarano disposti a pagare al detto Comune, per la cancellazione della citata sentenza, duecento libre, in ragione di cento libre per ognuno. 

Ma, se Angelello e Ceccarello fossero stati realmente innocenti, perché si mostrarono disposti a pagare cento libre ciascuno? (2014)


2 - Il 2 Giugno 1577 vengono deliberati gli ordinamenti per regolare doti e corredi: si tratta di vere e proprie leggi suntuarie. Vale la pena di riportarne almeno i capitoli più significativi, premettendo gli intenti che hanno animato i saggi amministratori di Amelia nel sancire tali norme.

“Volendo li Magnifici Signori Antiani del popolo della Città d’Amelia et homini deputati dal Consiglio Generalissimo”  prendere provvedimenti contro “le grande dote, eccessivi mobili, superfluità de vestimenti sontuosissimi posti nelli sponsalitij et altri abusi et spese intollerabili che se fanno nelli ornamenti delle donne, con detrimento prima de dio et poi ruina evidente de molte famiglie, che mosse da vane ambitioni et superbia, curano de superar l’un l’altro con spender la loro roba consumando non solo la dote delle donne, ma li proprij patrimonij dissipando, poiché l’officio d’ogni buona Repubblica è d’advertire che nisciuno usi malamente le sue sobstantie, per questo hanno ordinato, statuito, reformato et comandato che l’infrascripti ordini, capituli, statuti et reformanze perpetuamente da tutti se debiano abracciare et osservare, sotto la pena et censura da destinarse nelli sotto scritti capitoli.

“-La dote per la sposa non dovrà superare cinquecento ducati di carlini.

“-Il corredo non potrà superare “otto vesti, senza guarnigioni d’oro, argento, racamo, perle, giogie, pontaletti ne veri ne fenti, ecc.; camiscie otto, senali otto, scuffie dodici, un paro de lenzuoli, sciugatori in peza diece, veletti in peza quindici, fazoletti in peza quindici, guanciali dui, il manto de senzina, una corona d’ambra o di coralli che non passi la valuta de quattro scudi, uno specchio che non passi la valuta d’uno scudo, una scopetta, dui para de forzieri”.

-Vietati gli strascichi e le code, gli orecchini o pendenti d’oro, d’argento o di perle. Vietati i braccialetti od altri ornamenti d’oro o d’argento, i veli di perle, le catene d’oro, “colletti, gorgiere scuffie racamate, lavorate d’oro o d’argento o seta, chiavacori d’argento o di coragli, corone de pater nostri et Ave Marie d’oro o argento”.

-Le fidanzate non potranno entrare in casa del futuro marito o suoi parenti, prima della celebrazione del matrimonio.

-Nessun parente dello sposo potrà fare alla sposa dei regali del valore superiore a tre scudi e, agli stessi, la sposa potrà regalare un paio di fazzoletti non lavorati ed altrettanto allo sposo “colla giunta di una camiscia”.

-Le donne potranno portare cappelli, ma senza ornamenti preziosi.

-Il corredo sia proporzionato alla dote.

-Vietati i regali alla sposa in occasione di ricorrenze annuali o di puerperio.

A tutti coloro che contravverranno ai suddetti capitoli, verrà comminata una multa di 200 ducati d’oro, di cui la metà sarà devoluta alla Camera Apostolica e, del rimanente, un terzo andrà alla Comunità di Amelia, un terzo all’accusatore e l’altro al Podestà.

-In caso di restituzione della dote, il marito perderà il diritto alla quarta dotale.

-Alle donne che si mascherano verrà inflitta una pena di 30 ducati e, in caso di insolvenza, dovranno fare una “scopatura” per tutta la città. 

“-Item se prohibisce et comanda che nelli pasti et conviti noptiali non sia licito dare più de dui antipasti et dui sorte di pelati et non più, conci (cucinati) in allesso o arrosto ad arbitrio del convitante, che non siano comprese quaglie et tordi et beccafichi, escludendo ogni sorte de salvaticine, pasticci, sfogliati, geli, concedendo solo che possano fare dui sorte de torte et dui sorte de confetti et chi contra farrà caschi in pena de cinquanta ducati da applicarsi come detto sopra et sia al tutto prohibito tanto dalla parte dello sposo, quanto dalla parte della sposa”, etc. 

“-Item se prohibisce et comanda a tutti orefici, sartori, sartrice, racamatori et altri maestri et lavoranti che non possano in modo alcuno tagliare, coscire, lavorare vestimenti” in contravvenzione ai suddetti regolamenti; altrimenti “caschino in pena de trenta ducati.

“-Item si alcuno citadino de qualsivoglia grado o condizione che sia contravvenisse ai prescritti ordini et capitoli, sia ipso iure privato della civilità (cittadinanza) della Città d’Amelia.

“-Item che tutti i notari  quali facessero istrumento d’altro che quello che in detti capitoli et ordinamenti se contiene ... siano privati ipso facto dal offitio del notariato”.

Come si può vedere, ce n’è per tutti! Sorge, comunque, il dubbio che tali drastici provvedimenti non abbiano avuto maggiore efficacia delle famose “gride” manzoniane! (1998)


2 - Agli ordini degli Anziani, vengono assoldati per due mesi, al servizio del Comune di Amelia, cento fanti, capitanati dai Connestabili Bartolomeo Tomassi di Bologna e Gherardo Celli di Corneto (oggi Tarquinia), con decorrenza dal 2 Giugno 1435.

Detti uomini vengano addestrati nell'uso delle armi; dovranno essere assoggettati a rassegna due volte al mese e nessuno di essi dovrà appartenere alle città di Narni, Todi ed Orte, né alle terre di Ugolino d'Alviano. (2001)


2  -  Sotto la data del 2 Giugno 1465 nelle riformanze viene annotata la seguente notizia:

“Populus et Universitas Amerina vigore brevis S.mi in Christo Patris et domini nostri domini Pauli divina providentia pape secundj” il popolo e l’università degli Amerini, in virtù del breve del S.mo Padre in Cristo Paolo, per divina provvidenza papa secondo, “continentj mandatum et commissionem absolutionis factam et factum in Reverendum patrem dominum episcopum Ameliensem” contenente mandato e commissione di assoluzione fatti in capo al reverendo padre il Vescovo di Amelia, “fuit per ipsum dominum episcopum auctoritate apostolica absolutus et absoluta cum iniunctione penitentie prout in dicto brevj continebatur et continetur” vennero assolti dallo stesso Vescovo, per autorità apostolica, con l’aggiunta di una penitenza, giusta quanto risultante dal suddetto breve, “ab omni censura ecclesiastica et ab omni vinculo excomunicationis maioris quam dictus populus et universitas communis Amerie occasione invasionis et combustionis ac dirutionis Castellj canalis quolibet fuisse incurrisse” da ogni censura ecclesiastica e da ogni più grave punizione di scomunica, nel quale detti popolo ed università degli Amerini e ciascuno di essi fossero incorsi per l’invasione, l’incendio e la distruzione del Castello di Canale. (2009)


3 - L’Amministratore Camerale in data 3 Giugno 1815 scrive da Foligno ai Priori della Città di Amelia, per comunicar loro che “una delle disposizioni prese dalla Suprema Giunta di Stato per far fronte ai straordinarj bisogni dell’Erario Pontificio è l’aumento del (l’imposta sul) Macinato”, che dovrà essere corrisposto dalla comunità amerina, a decorrere retroattivamente dal 16 maggio ed “a scanso di equivoci”, in calce alla lettera, si indica in Scudi 52,20 l’importo mensile di detto aumento, da versare “con tutta puntualità” nella Cassa di Spoleto. 

L’imposta sul macinato fu, senza dubbio, una fra le più odiose ed impopolari fra quante ne furono mai applicate, fra il XVI ed il XIX secolo, perché andava a colpire percentualmente la quantità di grano che veniva portata alla macinazione e, quindi, era maggiormente avvertita dalla povera gente, che si vedeva taglieggiata sul bene più indispensabile alla vita, cioè il pane quotidiano.

Venne definitivamente abolita nel 1884. (1999)


3 -  Il Governatore di Amelia Carolus de Maschis, riminese, rende noto al Podestà ed agli Anziani il breve di Alessandro VI, in data 3 Giugno 1503, trasmessogli dal Luogotenente, dal quale stralciamo alcuni significativi passi:

"Putamus vos jam intellexisse capturam Carolis de Ursinis, Vitellotij et aliorum Ursinorum et quorundam eorum obnoxiorum proditorum" pensiamo che avrete già saputo della cattura di Carlo Orsini, di Vitellozzo (Vitelli) e degli altri Orsini e loro sottoposti rei di tradimento. "Quare volumus et vobis mandamus ut, visis presentibus, per omnes passus et quaecumque loca oportuna ipsius civitatis" perciò vogliamo e vi esortiamo che, presa visione della presente, vogliate provvedere a che, in ogni luogo della città, "quicumque armiger tam equites quam pedites ipsorum Ursinorum et Vitellotij ac Ballionum" qualunque armato, sia cavaliere che fante di essi Orsini, di Vitellozzo o dei Baglioni "capiantur et armis ac bonis omnibus expolientur, in quo omni diligentia utemini" sia catturato e spogliato delle armi e di ogni altra cosa, et in ciò vi esorto ad usare la massima diligenza.

In calce al breve, è riportato quanto segue:

"Li presi in Senegaglia: Signor Paulo Ursino duca de Clavina, Vitellozzo et Liverotto da Fermo - funi vita functi in Senegallia (cioè impiccati).

“Presi in Roma: El Cardinale Ursino Arcivesvoco di Fiorenza - fluxu periit in arce S. Angeli” (morto di un flusso -di sangue?- in Castel S. Angelo) “Lo Abate dalviano - in S. Marrocho detinetur adhuc” tuttora detenuto in S. Marrocolo) “Jac.o de Santa Croce - capite truncatus” Giacomo di S. Croce, decapitato.

E ciò, tanto perché tutti sappiano a cosa può andare incontro chi si dimostrasse nemico o contrario a papa Borgia ed al suo "caro figliolo" Cesare, il duca Valentino!  (2004)


3 - Gli Anziani, unitamente a dodici saggi, congregati "super statu pacifico" il 3 Giugno 1327 nella cancelleria comunale, deliberarono "ad conservationem pacis et concordie Civitatis" per la conservazione della pace e della concordia cittadina, "quod in quolibet sportello ianuarum Civitatis Amelie fiant tria seramina cum .iij. clavibus" che su ogni usciolo delle porte della Città venissero apposte tre serrature, con tre chiavi, delle quali una fosse tenuta "per Guardianum" e le altre due da altrettanti incaricati, da nominarsi dagli Anziani. Si convenne, altresì, di costruire ben dieci mulini ("centimbula") per la macinazione dei cereali ed, inoltre, che si rinforzasse e si completasse il muro sito in contrada Valle, presso la strada che, dall'omonima porta,  conduceva al pubblico macello, dell'altezza esterna di 15 piedi, "omnibus expensis adiacentium" a spese dei rispettivi confinanti, "excepta calce et rena" ad eccezione della calce e della sabbia, da fornirsi, quanto alla calce, a mezzo fornaci da attivarsi dai castelli di Macchie, Canale, Poggio, Frattuccia e Foce; e, quanto alla sabbia, dagli uomini di Montecampano, Fornole, Gruttuli, Monte Nero ed Aquilano; lavori da completarsi "ad festum omnium sanctorum" per la festività di Ognissanti. (2007)


3 - Il 3 Giugno 1507, "Congregatis in unum in capite scalarum ante januam antianalis palatij" riuniti in cima alle scale, davanti alla porta del palazzo degli Anziani, gli appartenenti all'ordine degl'insegnanti (“ceto licteratorum”) della Città di Amelia, per disposizione degli Anziani, "infrascripti convenerunt et interfuerunt videlicet quorum hec sunt nomina" convennero e furono riscontrati presenti: Maestro Clementino de Clementinis, Ser Alessandro Nacci, Ser Stefano Bartolomei, Ser Giovanni Antonio Cerasi, Ser Piergentile di Pace, Ser Giovanni Lorenzo di Pierpaolo, Ser Tommaso di Nicola, Ser Vincenzo di Taddeo, Ser Ludovico Giovanni Crispolti, Ser Ludovico Paperi, Ser Ulisse di Giacomo, Ser Bartolomeo Archilegio, Ser Nallo Giovanni Nalluzi e Ser Emilio Tiberi.

La riunione di tante elette menti aveva il compito "pro ordinando salario preceptori ludi licterarij" di stabilire l'ammontare del salario del maestro elementare. Si deliberò, con soli due voti contrari, che la cifra massima del corrispettivo non potesse "excedere quatraginta ducatos de carlenis" superare 40 ducati di carlini "quoad Comunitatem" per quanto riguardava il salario da corrispondersi dalla comunità; "liceat tamen preceptori a discipulis secundum consuetudinem retinereque debeat repetitorem" potesse, comunque, (ricevere un contributo) dai discepoli secondo la consuetudine, con l'obbligo però di tenere con sé "repetitorem", cioè un coadiutore, ossia un supplente.

Il giorno seguente si procedette all'elezione del maestro Petreio Appulo (uno nome che sa di romanità), che viene chiamato "viro eruditissimo virtutibusque plurimum ornato", uomo di grande scienza e massimamente adorno di virtù, alle condizioni seguenti: "si retinuerit coadiutorem forensem ducatorum triginta; si vero retinuerit repetitorem aliquem amerinum, cum salario ducatorum trigintaquinque de carlenis cumque honoribus et honeribus consuetis" se avrà con sé un coadiutore forestiero, percepirà 30 ducati; se sarà amerino, avrà 35 ducati di carlini e con tutti gli onori e gli oneri consueti. E’ giusto e logico favorire la “manodopera” locale! (2008)


3  -   Nel maggior consiglio del 3 Giugno 1465 vengono presi provvedimenti nei confronti di Francesco Rubei, alias Gropputo, il quale “sub pretextu furti” accusato di furto che “asseritur commisisse” si dice egli avesse commesso, “sit captus per curiam potestatis” era stato arrestato dalla curia del podestà. Molti suoi affini ed un buon numero di cittadini si erano presentati agli Anziani, implorando che a detto Francesco non venissero inflitte pene, che avrebbero recato offesa tanto alla Città che ai detti suoi affini i quali, “propter eorum conditiones et gradus merentur omne bonum” per le loro condizioni e grado, meriterebbero ogni considerazione.

Il consiglio decide di liberare detto Francesco, dietro pagamento, entro otto giorni, di 15 ducati  d’oro, da usare per provvedere a quanto dovuto agli ambasciatori inviati a Todi per conto del Comune e, inoltre, di bandirlo da Amelia e suo distretto per dieci anni, comminandogli, in caso di ritorno anticipato, dieci tratti di corda e due ducati per ciascuna trasgressione. (2009)


3  - Nel consiglio decemvirale del 3 Giugno 1537 molteplici sono gli argomenti da trattare ed a cui provvedere, fra i quali la necessità di nominare un nuovo depositario dei pegni ed uno stimatore dei mobili che le donne recano in dote, “juxta formam capitulorum”, secondo quando previsto dai relativi capitoli; per entrambe le occorrenze, si decide che gli Anziani abbiano facoltà di eleggere le persone idonee a svolgere le rispettive mansioni. V’è anche da decidere su numerose suppliche, fra le quali quelle di Domenico, fratello di Giacomo, condannato a pagare otto scudi e di Moretto, a pagarne quattro, entrambi “pro portatione armorum” per abusivo porto d’armi. Il maggior consiglio, che si riunisce lo stesso giorno, delibera che Domenico paghi un terzo della pena e, del residuo, gli si faccia grazia, mentre Moretto se la cavi col pagamento di soli otto carlini. Altra supplica è presentata da un certo Lude, condannato ad una pena pecuniaria ammontante a 225 libre, per un non meglio identificato reato ed il consiglio generale decide che paghi due ducati e quanto manca per raggiungere il terzo della pena, lo sconti “in fabrica turrionis Porte Pisciolini fabricandi” prestando l’opera nella fabbrica dell’erigendo torrione della Porta Busolina e gli si abbuoni il residuo della pena. Altre due suppliche sono presentate, rispettivamente, da Cesario di Pietro e da Agostino di Pierpaolo, entrambi condannati a pene pecuniarie, per aver pronunciato parole ingiuriose; ambedue vengono obbligati a pagare la terza parte della pena, ma Pier Paolo dovrà soddisfare la metà (del terzo) in denaro e l’altra metà “jn operibus”, in prestazioni d’opera. La remissione della pena ad un terzo viene concessa anche a Cristoforo di Joculello, a Tommaso di Giovanni Gobbi, e a Manno di Timoteo Crocola, tutti condannati a pene pecuniarie per reati non meglio indicati. Due altre suppliche sono presentate, rispettivamente, da Santa di Pelato e da Paolina  Cardarelli, che chiedono, a causa della loro povertà, l’esenzione dall’imposta del Podestà ed il maggior consiglio la concede loro “per quatuor annos” per i prossimi quattro anni. E’ poco, ma … meglio di niente! (2012)


4 - Coloro che, convocati nel Consiglio di cui facevano parte, non si fossero presentati, venivano "puntati", cioè iscritti nel registro delle assenze e sottoposti ad una pena pecuniaria. E' quel che si discusse nell'adunanza consiliare del 4 Giugno 1602, circa quanto accaduto a Stefano Mandosi, il quale "fu scritto al libro de specchi (cioè dei debitori) in un ducato, per la pena che (nella quale) si pretende fusse incorso per essersi partito da questo numero (dei consiglieri) quando fu chiamato ultimamente". Ma "poiché egli se partì perché se diceva che nel Consiglio Generale non ci era numero sufficiente (cioè mancava il numero legale) e che non si celebrava altrimente detto Conseglio", la puntatura, con la relativa multa, venne annullata, "faba una in contrarium reperta non obstante", cioè con un solo voto contrario. (2007)


4  - Il 4 Giugno 1537 il Cardinale Legato Grimaldi torna alla carica: sollecita ancora le Comunità che occorre “nostris ... apostolicis firmiter obedire mandatis” obbedire ai comandi papali con la massima fermezza, in quanto “urgent Apostolice sedis necessitates pro Catholice fidei defensione” incombe la necessità, per la Sede Apostolica, di difendere la fede cattolica e, quindi,  nuovamente incalza che si provveda al pagamento del “sussidio” cioè del contributo “unius ducati pro quolibet foculare” di un ducato per ciascun focolare, dando la cura della sua riscossione allo “spectabilem virum Lucam Thomassinum de Ripatransone, prefati S. D. N. in dicta Provincia generalem Commissarium” spettabile Signore Luca Tomassini di Ripatransone, Commissario Generale del papa per la Provincia dell’Umbria, fissando il termine per effettuare detto pagamento “jnfra decem proximos futuros dies, quem terminum pro ultimo et peremptorio assignamus” entro i dieci giorni, da ritenere quale termine ultimo e perentorio, “sine spe ulterioris dilactionis” senza poter sperare in ulteriori possibili dilazioni. “Hortamus igitur Vos omnes ut in tam jmminenti reipublice Christiane periculo adversus jmpiissimos Turcos quos classem maiori navigiorum numero quam antea unquam ... auditum sit comparasse pro certo habetur ad solvendum dictum subsidium” esorta, quindi, dette Comunità, a pagare il richiesto sussidio, nell’imminenza del pericolo -che si dà per certo- di un’aggressione degli infedelissimi Turchi, la cui flotta si compone di un numero di navi tanto grande, quanto mai prima si era veduto; e, ciò, in quanto detto pagamento è necessario “pro solvendo triremibus sue S.tis jn ... hostium occursu ... per Jll.mum Comitem Anguillarie Capitaneum earundem” per finanziare l’acquisto di triremi per il papa e per lo stipendio del loro Capitano, l’Ill.mo Conte dell’Anguillara; il tutto al fine di essere in grado di contrastare l’attacco nemico.


5 - Dal diario della Signora Vincenzina Barcherini Ved. Spagnoli:

"5 Giugno (1944) - lunedì. Nella mattinata si è inteso, verso le 11 gran bombardamento e si è saputo che il Ponte Grande è stato colpito e per metà distrutto (dal centro a verso Amelia). Poi tutta la giornata si è inteso passaggio di aeroplani ed anche ora che sono le 23. Alle 6 e 1/2 di questa mattina mi sono svegliata con mitragliamento. Si è saputo che ieri sera alle 22 gli anglo-americani sono entrati a Roma, quasi senza combattere. Non si sa se sia vero, ma questo pensiero mi fa piangere". (2004)


5 - Da Roma, il 5 Giugno 1790 Francesco Marini, incaricato dal Cav. Bartolomeo Farrattini di sbrigare alcune commissioni di acquisto, scrive, fra l'altro:

"Vi sarebbe un orologgio usato, che suona come desidera, alla moda, con cassa dipinta, e senza metalli, ma ne vole l'orloggiaro scudi 27 riprendendosi indietro il suo, che lo valutarebbe a gran stenti scudi 15; glielo partecipo per sua regola. Mi asserisce costantemente essere di bravo autore, e lo credo galantuomo benché sia Turcho venuto alla Fede. Che è quanto, e colla solita stima, mi ripeto di V.S. Ill.ma Dev.mo ed obl.mo servitore".

Il Marini, come probabilmente molti altri a quei tempi, non doveva avere un gran concetto dei turchi. Ma contro ogni pregiudizio razziale e discriminazione di casta, da meno di un anno prima della data surriferita, in Francia stava succedendo qualcosa che avrebbe cambiato il mondo. (2006)


5  -  Dal periodico AMERIA del 5 Giugno 1898 si ricava la seguente notizia, sotto il titolo “Accattonaggio”:

“In nessun paese del mondo si verifica quanto succede in Amelia. Qui capitano tutti gli storpi che vivono sotto il bel cielo d’Italia e nessuna autorità si occupa se sotto il manto dell’infelice si nasconda un mariuolo matricolato.

“Nei tre giorni delle feste della Pentecoste, abbiamo assistito a scene veramente disgustose per un paese civile. Un individuo giovane privo dell’avambraccio, si metteva ora lungo disteso sulla stretta via del duomo, quasi impedendo il transito alle numerose persone che accedevano al tempio, ora ritto in piedi e allargato il braccio libero ed il moncherino faceva noioso impedimento ai passanti, che importunava non solo con voce quasi minacciosa, ma addirittura prendendoli pel petto.

“All’ultim’ora sopraggiunse la guardia forestale Rischia, facendo cessare il biasimevole spettacolo”. (2009)


5  -  Il 5 Giugno 1329 viene esaminata la supplica presentata da Lucarello Contuzi, “petente rebandiri Colotium Contutij dictum Catafissum, condemnatum per dominum Jordanellum de Urbe in mille libris” che chiede venga ribandito suo fratello Colozio Contuzi, detto Catafisso, condannato da Giordanello di Roma a pagare mille libre, “eo quod non represetavit coram eo Boccham Pauli de Vallibus cuius fideiussor extiterat super processu formato contra ipsum eo quod percusserit Ceccharellum caratenute de Vallibus, ex qua percussione mors dicti Cecharelli fuerat consequuta” perché, dinanzi a detto Giordanello, non si presentò Bocca di Paolo delle Valli, di cui si era fatto fideiussore nel processo formato contro di lui, per aver percosso Ceccarello Caratenuto delle Valli, dalla quale percussione ne seguì la morte di detto Ceccarello “et etiam liberari et absolvi a fideiussione predicta, facta per eum dicto Bocche et dictam sententiam et fideiussionem cassari et cancellari, ita quod occasionibus supradictis vel aliqua eorum non molestetur ulterius, cum ipse velit solvere pro dicta cassatione et remissione L. libras” e chiede di venir liberato e sciolto dalla fideiussione fatta da lui per detto Bocca e che la sentenza e la fideiussione vengano cancellate ed egli non sia ulteriormente molestato, in quanto si dichiara disposto a pagare cinquanta libre. Ma chi glielo aveva fatto fare a Colozio di garantire che un omicida si sarebbe costituito? (2014)


6 - Girolamo detto Turcarello trovasi in carcere per aver percosso Troiano di Andrea ed è stato condannato dalla curia del podestà a pagare una certa somma, ridottagli poi a 20 ducati, per aver fatto pace con l'offeso. Ma Turcarello è povero in canna e non ha un soldo. Il 6 Giugno 1478 presenta una supplica affinché "intuitu pietatis et misericordie", chiede "dictam penam ad aliquam minorem summam reducere" che la pena gli venga ridotta "vel saltem ad solutionem illius pene aliquam prorogationem facere" o, perlomeno gli venga accordata una proroga al pagamento. Nel consiglio generale del giorno successivo gli viene ridotta la pena a 15 ducati, di cui 5 da versare subito, dopo di che venga liberato; gli altri 10 ducati da pagare entro il prossimo biennio.

Lo stesso giorno, Simone e Matteo fratelli schiavoni, abitanti a Sambucetole "dicono et expongono come lo dicto Simone se trova condennato in ducati trenta ad (al) tempo della potestaria (di) messer Mattheo Lelio de Trevi pigliata cascione (cioè a causa) che del mese de febraro 1477 percosse con una pietra Joanni de Mattheo schiavone habitatore al dicto castello (con) una percussione con sangue nel dito della mano dextra de ipso Joanni et lo dicto Mattheo se trova condennato nel tempo della potestaria de Baldaxarre da Urveto in fiorini cento doro pigliata cascione che del mese de Marzo MCCCCLXXV ... percosse Thomasso de Pietro schiavone habitatore del dicto castello (con) una percussione con effusione de sangue nel capo con una zappa de ferro ..." Chiedono che vengano loro rimesse le rispettive condanne, dichiarandosi pronti ad eseguire, loro e le loro famiglie, "che altra robba non hanno", tutti i servizi che verranno loro comandati dalla comunità "et non vogliono che li bisogni (succeda loro) per cagione de dicta condemnatione, loro morano in prigione o veramente siano necessitati fugirse et andare altrove et abbandonare lu dicto vostro castello dove ad vostra obedientia et stato desiderano vivere et morire".

Per i due fratelli maneschi, la decisione del maggior consiglio dispone che, data idonea fideiussione, prestino la loro opera "uno mense continuo in fabrica S.ci Focetoli" per un mese intero nella riattazione del Castello di Sambucetole; per il resto, sia fatta loro grazia. (2007)


6 - Il 6 Giugno 1472 vengono lette alcune suppliche, presentate agli Anziani.

La prima è quella di “Marco de Paulo de Ser Domenico (alias Testa Grossa) vostro ciptadino che conciosiacosa che lui sia stato condennato per lo presente Mexer lo potestà et sua corte per cascione che se dice haversi (preso) al capelli et iectatose in terra con Mariocto de Biasio de Menecuccio de picioto della decta cipta alla quale condenatione per tucto se referisce como in epsa più largamente se contene. Et perché ipso supplicante col decto Mariocto sonno mammolj (forse compari) como a ciaschuno è noto essere condennato per questa rixa in libre cento et lui essere poverissima persona suplica ve piaccia haverlo per ricommandato et farlj gratia, offerendose servire al comune per uno mese o più o meno secondo piacesse a V. M. S. le quali dio mantenga in felice stato”.

Altra supplica viene presentata da “Stefano di Christofano  da Tode ... lo quale dice et expone como per lo presente mexer lo potestà et suo collegio é stato condennato in libre xiiij vel circa per cascione de uno asserito mallefitio el quale se dice commise in la persona de ceccho de Mario con lo quale ha hauta et ha bona pace. Et perché non ha pagato nel termino della sententia è incorso nel quarto più et questo è intervenuto perché nolli venne a notitia nel tempo (in tempo), per la qual cosa suplica alle V. M. S. si degnino per intuito di pietà et di misericordia remetterli tucti li beneficij ... attento lui essere (considerato che lui è) forestiero et intende de vivare et morire in questa vostra m. (magnifica) ciptà, etc ...”.

Ad entrambi i supplicanti si rimette la pena.

Nel seguente consiglio generale si delibera, altresì, la scarcerazione di un tal bolognese, detenuto per un reato da lui commesso, in considerazione della sua disgraziata situazione (“attenta eius calamitate”), che però non viene meglio precisata. (2008)


6  -   Il 6 Giugno 1327 gli Anziani e i Dodici Sapienti,  insieme congregati “super statu pacifico” per la conservazione del pacifico stato della Città, “deliberaverunt et ordinaverunt quod in Civitate Amelie ex nunc, usque ad kalendas octubris” deliberarono ed ordinarono che, nella Città di Amelia, dalla data suddetta, fino alle calende di ottobre “fit devetum” vi sia il divieto “quod nulla persona possit de dicta Civitate Amelie hinc ad dictum tempus vinum extrahere” che nessuno possa, in detto periodo, far uscire vino dalla Città “et qui contrafecerit in x. soldis pro salma vice qualibet puniatur” e chi contravverrà, sia punito ogni volta con la multa di 10 soldi per ogni salma “Et quilibet possit contrafaciente accusare et denunctiare et habeat quartam partem bannj et teneatur in credentia” e chiunque abbia facoltà di accusare e denunziare il contravventore, sia creduto ed abbia la quarta parte della pena.

Si suppone che tale drastico provvedimento sia stato dettato dal timore che la futura stagione vinicola non si presentasse sotto i migliori auspici, facendo temere che i buoni Amerini potessero restare privi del conforto di un buon bicchiere di vino.

Tanto si deduce, in considerazione che il successivo 27 Luglio viene revocato il divieto, consentendo a ciascuno di “portare et extrahere vinum”  portare e far uscire il vino dalla Città e suo distretto “absque pena et banno” senza sanzione alcuna. Si vede che, con il progredire della stagione, il pericolo di restare a secco non era più tanto attuale!

N. B. La salma era una misura di peso bilanciato trasportato, pari a due raseri (il raserio corrispondeva a circa 50 kg.). Essa verrà in seguito sostituita dalla soma, come anche oggi viene localmente chiamato l’ettolitro. (2009)


6  -  Il 6 Giugno 1472, dinanzi al Podestà di Amelia Conte Carlo De Filijs di Cesi, convennero Pietro e Angelo di Giacomo Ciole del Castello di Foce, tanto a nome proprio, quanto “omnium et singulorum  eorum consanguineorum et affinium usque in tertium gradum secundum jus canonicum computandum” di tutti i loro parenti ed affini fino al terzo grado, da computarsi secondo il diritto canonico, da una parte e, dall’altra, Antonio di Francesco di Marte, dello stesso Castello, per il quale, essendo minore di venticinque anni e, tuttavia, maggiore di quattordici, si costituì e prestò il suo consenso il curatore Nicolò di Carlo di Amelia, i quali tutti “promiserunt et se principaliter obligaverunt” promisero e si obbligarono vicendevolmente “non offendere facto tantum nec offendi facere quoquo modo vel colore quesito” di non recarsi alcuna offesa, né  personalmente, né a mezzo di altre persone, di qualsiasi estrazione fossero, “ad penam centum ducatorum auri camerario communis Amelie ipso facto ac inremissibiliter applicandorum et a quolibet contrafaciente de facto auferendorum”, sotto pena di cento ducati d’oro da versarsi immediatamente e irremissibilmente al Camerario comunale da chiunque contravvenisse a tale impegno e senza alcuna eccezione, “promictentes etiam  in predicta omnia et singula semper et omni tempore attendere et observare, et contra non facere, dicere vel venire”, con promessa, altresì, di rispettare ed osservare per sempre ogni impegno assunto e non fare, dire o compiere nulla in contrario, “sub obligatione et ypotheca  omnium eorum et cuiuscumque ipsorum bonorum mobilium et stabilium presentium et futurorum et sub iam dicta pena” sottoponendo a garanzia di tale obbligazione ogni loro proprietà e bene mobile ed immobile presente e futuro “et ad maiorem cautelam omnium promissorum juraverunt ad Sancta dei evangelia, scripturis corporaliter manu tactis” ed a maggior garanzia circa l’ osservanza delle promesse effettuate, giurarono, toccando materialmente con la mano le sacre scritture. (2010)


6  -  Il 6 Giugno 1391 il Notaio Paolo Jacobuzzi di Amelia riceve il testamento di prete Pellegrino Pellegrini, che, “sanus mente, sensu intellectu et conscientia pura” sano di mente, in sentimenti e  con l’intelletto e la coscienza pura,  “timens casum subite mortis” temendo un caso di morte improvvisa, e volendo morire avendo fatto testamento, “ne post eius mortem de bonis suis valeat schandali materia exoriri” affinché dopo la sua morte non debba nascere motivo di disordine, dopo aver “legato pro deo et anima sua et judicio” disposto come legato in suffragio della sua anima ed un’elemosina per la Chiesa dieci soldi di denari perugini, da spendersi in Amelia, dieci soldi al Vescovo e dieci alla Chiesa d S. Fermina, “apud quam iussit suum corpus seppeliri”, presso la quale dispone di venir seppellito “si mori contigerit in civitate Amelie” se gli capitasse di morire in Amelia; lega  cinque soldi “pro fovea” per la fossa, cinque soldi alle chiese di S. Agostino e S. Francesco e ad ogni monastero di Amelia ed, infine, dieci soldi a sua sorella Caterina. Di tutti gli altri suoi beni, mobili ed immobili, istituisce erede universale Nicolò Jacobuzzi di Amelia. (Parente del Notaio?) (2014)


6  -  Il 6 Giugno 1542, prete Giovanni di Giacomo e Pier Bernardino di Stefano Picci, che si erano ingiuriati, percossi e feriti “cum sanguine effusione ex utraque parte” con effusione di sangue, da entrambe le parti, dinanzi al vescovo, “pentiti et cupientes ne animi eorum deteriorentur in malum in futurum”, dopo essersi pentiti e desiderando che, per l’avvenire, i loro animi non vengano più sopraffatti dal male, vicendevolmente si giurano “bonam, perpetuam, duraturam et sanctam pacem” una pace sincera, perpetua e santa. (2015)


7 - La Fraternità di S. Maria de' Laici era astretta dalla massima indigenza e priva di ogni necessario mezzo di sussistenza sia per il proprio sostentamento, che per poter largire elemosine "maxima inopia urgebatur et spoliata et vacua erat omnibus necessariis  ad victum et ad elemosinas faciendas", tanto che gli oblati e le persone esistenti nella Fraternità "maximam recipiebant famem et detrimentum in eorum personis" erano oltremodo affamati e denutriti. Si vede, quindi, costretta ad alienare alcuni beni, per far fronte alle esigenze più impellenti, tanto più che, fra gli scopi benefici da essa perseguiti, vi è di "dotare mulieres innuptas pauperes in civitate Amelia ut maritentur et earum vita honeste ducatur" cioè di dotare le zitelle povere della Città, per maritarle e metterle in grado di condurre vita onesta. Con atto rogato dal Notaio Giovanni Brancatelli di Amelia, il 7 Giugno 1387, viene effettuata la necessaria alienazione (2001)


7 - Nel Consiglio speciale del 7 Giugno 1427 fra le spese straordinarie a carico del Comune figurano:

"Magistro fratrj Petro de Monteflascone qui venit Ameliam mandato dominorum Antianorum causa inveniendi aquas causa molendi (a cercare acqua per la molitura del grano) pro sua provisione, florenos tres auri".

Sempre per il detto rabdomante, si diedero a Ser Jacobo de Mactheis per spese fatte sia per lui che per i suoi collaboratori e relativi cavalli, un altro fiorino d'oro.

Ma non basta ancora. A Nicola, alias Bastellierj, per due pettitti e mezzo di vino per detto Mastro Pietro e soci "dum iter fuit" (quando si recò) "cum certis civibus" con alcuni cittadini alla fonte di Capita ed in altri luoghi, sempre per la detta ricerca di acqua (ma intanto beveva vino!) si diedero 15 soldi, in ragione di 18 denari la foglietta.

E qui l'elenco si allunga. "Pro honore facto" a Mastro Pietro e suoi associati, per l' acqua rinvenuta e da trovarsi "prope pisciarellum capitinj", in località Pisciarello e per un pranzo offerto loro dal Comune, si spesero altre tre libre e sedici soldi.

Per 9 operai che, sempre al detto scopo, lavorarono "ad faciendum unam formam iuxta pisciarellum capitinj", per fare una forma sempre in detta località, agli ordini di Mastro Pietro, il quale aveva detto che, se ivi si fossero scavate altre forme, si sarebbe potuta agevolmente avere "aqua causa molendi", acqua per la molitura, si spesero 19 libre, 13 soldi e 9 denari, a ragione di 7 bolognini e mezzo al giorno, per ogni operaio.

In definitiva, lo "scherzetto" del rabdomante, a conti fatti, venne a costare al Comune la bella somma di 106 libre, 12 soldi e 9 denari.

Ma, almeno, l'acqua si trovò? (2004)


7 - Il 7 Giugno 1330 vengono adottate misure di ordine pubblico tendenti ad evitare faziosità politiche.

Si inizia con l'ordinare che, per l'avvenire, "non fiat aliqua congregatio vel adunantia gentium partis Gebelline vel Ghelfe seu occasione partis vel pro aliqua parte ad petitionem alicuius persone seu quocumque modo" che non si organizzino assembramenti né della parte ghibellina né di quella guelfa né a favore di altre parti, a richiesta di chiunque od in qualunque altro modo "et nullus debeat ire vel stare ad aliquam adunantiam, consilium vel arengam alicuius partis" e nessuno vada o presenzi ad alcun assembramento di una qualunque fazione, alla pena di 10 libre e con la stessa venga punito chi chieda che altri partecipi a dette congregazioni di popolo ed "etiam ille in cuius domo fieret congregatio" anche colui nella cui casa avvenga la riunione.

Si ordina, inoltre, che "capitanei partium ghelfe et gibelline omnes et singuli ex nunc sint cassi et nemo teneatur eis vel alicui eorum obbedire in aliquo" i capitani di parte guelfa e ghibellina siano immediatamente destituiti e nessuno sia tenuto a prestar loro obbedienza "et ab inde in antea nullus possit eligi vel vocari ad dictum officium capitanie alicuius partis nec aliquis debeat huiusmodi officium acceptare operare vel exercere per se vel alium" e da ora in avanti nessuno possa essere eletto né chiamato all'ufficio del capitanato, né accettarlo od operare in esso, né per sé né per altri, sotto pena di 50 libre.

Seguono, quindi, altri provvedimenti che denotano, in modo marcato, la tendenza politica dominante, tesa a favorire i popolari, contro gli appartenenti alla "Granditia" ed alla nobiltà.

Si ordina, infatti, che, "si contigerit de aliqua expenxa tractari quo spectaret ad Commune Amelie et ipsis expensis remissio fieret" se si presenterà occasione di trattare circa delle spese relative al Comune di Amelia e si deliberasse sulla remissione di tali spese, "non possint remicti in aliquos de Granditia, seu nobiles" non potranno venir rimesse a soggetti appartenenti al ceto dei ricchi o nobiliare, né tali soggetti potranno venir eletti "super provisione talis expense" per sindacare in merito a tali spese ed un'elezione fatta in tal senso sia nulla.

Tale tendenza sarà anche più esplicitamente formulata nelle deliberazioni che seguiranno il 16 dello stesso mese. (2007)


7  -  Il 7 Giugno 1425 il consiglio decemvirale deve decidere circa quanto richiesto “ex parte Magnificj capitaney Micchilecti de Actendolis ex comitibus Cutignole” da parte del Capitano Micheletto  di Attendolo dei Conti di Cotignola, nonché del Commissario papale Tommaso de Papazzurris di Roma “ut communitas Amelie micteret ad campum contra Mugnanum Cl famulos” che, da parte della Comunità di Amelia, si inviassero 150 fanti da porre in campo contro Mugnano. Gli Anziani avevano eletto Ser Tommaso Laureli quale oratore a Micheletto ed al Commissario, affinché facesse loro presente che, essendo necessario provvedere alla custodia “in castris Collicelli et fractucie et custodie passuum” nei Castelli di Collicello e Frattuccia nonché dei relativi passi, non era possibile fornire le milizie richieste. Il Laureli, a cavallo, era partito e tornato lo stesso giorno, accompagnato da un donativo propiziatorio di trenta petitti di vino “et retulit in effectu quod mictentur .l. famulj” e riferì che si potessero inviarne soltanto 50, dei 150 richiesti. Ma “non sit pecunia in communi tam pro dictis famulis quam pro insenio ... de triginta petictis vinj et pro emendis xx flascorum in quibus fuit presentatum dictum vinum”; nelle casse comunali non vi sono denari né per finanziare l’invio dei fanti, né per pagare il vino ed i relativi fiaschi.

Nel maggior consiglio convocato lo stesso giorno, si decide “quod pro ista vice mictantur .xl. famulj, computatis duobus magistris lignaminum ... allegando excusas necessarias et justas dicti communis” che, per questa volta, facendo presenti le giuste ragioni della Comunità amerina, si inviino soltanto 40 fanti, fra i quali due mastri falegnami “et denarij pro dictis famulis mutuentur ab hebreo” e i denari necessari per i detti fanti si prendano a prestito dal solito ebreo “et ad hoc ut dictus hebreus mutuet denarios citius” ed affinché detto ebreo proceda con maggior celerità alla concessione del mutuo, “imponatur dativa in huc modum videlicet quod quilibet allibratus in catasto communis Amelie solvat quatuor bononenos et quj non habet libram solvat pro quolibet foculare .iiij. bononenos” si imponga una dativa in tal modo: ogni allibrato in catasto paghi quattro bolognini e chi non è allibrato, paghi quattro bolognini per focolare.

E, così, saranno -si fa per dire- tutti contenti! (2010)


7  -  I frati di S. Francesco, col loro Sindaco Anselmo di Angelo Graziani, affittano un terreno sito in località Cecanibbio. L’affittuario si impegna a piantare una quartata di vigna “de bono et optimo vitamine” di un vitigno di ottima qualità e, sul rimanente, alberi domestici; il tutto a sue spese. Inoltre, corrisponderà ai frati un quarto dei frutti. (2014)


8 - L'8 Giugno 1504 nelle riformanze trovasi trascritta la seguente supplica rivolta agli Anziani:

"Recurre denanti alle V.M.S. Antiani et consiglieri de la ciptà de Ameria el vostro subdito et servitore Georgio de Archangelo che parla da monte campano persona poverissima narra et expone come lui deletandose de cacciare ad lepuri haveva comperato uno brachetto picholino sperando havesse ad farse bono; Et tornando un dì ad casa trovo uno titulo (bambino) che era de sei o septe anni figlolo de uno suo vicino chiamato manni de Jacomo el quale strascinava quello suo canurello con una corda, lui venendo et trovò cussì male menato el suo cane li dette certe scapuzarelle in modo che li uscì certo sangue et per questo non ce fo alcuna malivolentia, anzi el patre disse havere facto bene: fo per questo condempnato per (da) la Corte del podestà in contumacia in libre centocinquanta et ideo (perciò) supplica ad V.M.S. et tucto lo consiglio actenta (considerata) la sua povertà et la causa de la natura che el se dignino farli gratia liberale del che resta (in) perpetuo obligato (verso le Vostre Signorie) quas deus ad vota conservet (con l'augurio che Dio le conservi). In sede di consiglio generale, si decide "quod, solutis per eum centum solidis" che, dopo il pagamento di cento soldi, il procedimento a suo carico venga cancellato.

Nello stesso giorno si esamina anche un'altra supplica, particolarmente degna di essere ascoltata:

"Se supplica humilmente per parte de le povare heredi de Peregrino de Anselmo de Chiarelle come che essendo morto loro padre sondo (sono) remaste due figlole fenmene pichole et uno maschio stroppiato in modo che non se possono adjutare et non hanno alcuna cosa del padre et domina (!) Menechella la moglie del prefato Peregrino et matre de le dicte heredi non po retrar (riavere) la sua dota per non essarce de beni de dicto Peregrino pertanto supplicano le dicte heredi alle V.M.S. et spectabilissime se voglano farli assenti (esenti) da tucte dative tanto ordinarie quanto extraordenarie passate et future et che quantunque sia justo la receperando de gratia (lo riceveranno come grazia) da V.M.S.". Nel consiglio generale, "attenta paupertate dictorum heredum, cassentur et abolentur omnes dative de preterito incurse et in futurum sint exentes ab omni onere dativarum tam ordinarie quam extraordinarie" considerata la povertà di detti eredi, siano cancellate ed annullate tutte le dative loro imposte ed in avvenire siano esentati da ogni genere di imposizione, tanto ordinaria che straordinaria.  

Nel consiglio generale tenutosi lo stesso giorno, si procede alla nomina del nuovo medico, nella persona di "Magistro Lodovico de Aubio (Gubbio) cum salario centumquinquaginta florenorum ad rationem quinquaginta ba(ioccorum) pro quolibet floreno" con il salario di 150 fiorini, in ragione di 50 baiocchi a fiorino "et quod non teneatur solvere crateras argenteas" e che sia dispensato dall'offerta delle tazze d'argento "et quod pro communitate detur domum sumptibus communis" e gli venga assegnato un alloggio a spese del Comune "et hoc intelligatur pro uno anno" e ciò s'intenda per la durata di un anno. (2007-2009)


8 - L’8 Giugno 1607 nel consiglio decemvirale si dibatte una questione di confini, nel modo seguente:

“Essendo che li mesi passati fosse messo un termine fra li frati di S. Maria in Monticelli à li quali la Comunità concesse quella parte che haveva in Montepicchio da una banda, et Messer Niccolò Mandosi da l’altra et essendo detto termine stato cavato da Messer Niccolò, sotto pretesto che fusse in suo pregiudicio ed essendosi di ciò lamentati detti frati con li Sig.ri Antiani”, questi, dopo un abboccamento con il Mandosi, gli fecero riconoscere il suo torto “et esso, pentito del errore commesso, habbi offerto si rimetta il detto termine nel istesso luogo, e ne habbi domandato perdono”. Viene così sanata, la vertenza, con l’imposizione al Mandosi di rimettere il termine cavato “et non si facci altro contro di lui, massime che li frati sono quietati et si contentano”.

Nello stesso consiglio, “è stato dato notitia à li Sig.ri Antiani che Angelo di Ciuchetto da Porchiano che hora habita à Lugnano, da un tempo in qua ha goduto una grotte che è de la Comunità, qual sta in loco dove era il Castello de Mimoia, dove anco detta Comunità ha un poco di terreno”. Poiché è corsa voce che detto Angelo voglia vendere la proprietà da lui posseduta nella stessa zona e temendosi che, in essa, venga compresa la grotta della Comunità, si delibera “che detta grotte si allochi (dia in locazione)” al Capitano Gismondo Nacci, che ne ha fatto richiesta “per rimetterci li suoi bestiami”. (2008)


8  -   L’8 Giugno 1504 “Vir prudens Ser Ugolinus Crisolinus de Ameria, unus ex numero dictorum consiliariorum, assurgens, divina primitus ope petita” Ser Ugolino Crisolini, uomo prudente, uno dei consiglieri presenti, levatosi in piedi, dopo aver invocato l’intervento divino, circa l’argomento posto all’ordine del giorno “de medico conducendo” sull’assunzione di un medico (condotto), propose “fiat electio Magistro Lodovico de aubio cum salario centumquinquaginta florenorum ad rationem quinquaginta bononenorum pro quolibet floreno” che si eleggesse Maestro Ludovico di Gubbio, con il salario di 150 fiorini, in ragione di 50 bolognini per ogni fiorino “et quod non teneatur solvere crateras argenteas”, che non fosse tenuto ad offrire le (consuete) tazze d’argento “et quod per communitatem detur domus sumptibus communis et hoc intelligatur pro uno anno” e che gli si assegnasse un’abitazione a spese della comunità e questo (incarico, così remunerato) dovesse intendersi della durata di un anno.

Si vede che gli Amerini, in quel frangente, avevano estrema necessità del medico condotto! (2009)


8  -  L’8 Giugno 1610, nel Consiglio Decemvirale,  figurano, fra le altre, le seguenti proposte:

“Si è pensato che saria bene di far fare doi cordoni de tevertino in piazza per ritener più acqua che andasse ne li pozzi, et far fare anco una ferrata di sopra nel luogo dove entra l’acqua in luogo di quella pietra grande che hora ci sta, et far anco nettar la conserva et quel pozzo appresso à Casa di Mr. Matthia Cerichello, nel quale dicono che hora ci è poca acqua”.

“Perché se intende (si dice) che il quarto di rame de la Città col quale si misura et si aggiustano tutti li quarti non sia giusto, se pare si mandi à Roma à farlo raggiustare”. (2010)


8  -  L’8 Giugno 1476 viene letta una lettera inviata da Roma al podestà ed agli Anziani di Amelia, da parte del Patriarca Antiocheno “Alme Urbis”, del seguente tenore:

“Jntelleximus multos iuvenes scelestos vitiosos malis deditos facinoribus ac presertim ludo taxillorum omnino esse  et corrumpere juventutem aliam in civitate existentem” abbiamo appreso che vi siano molti giovani scellerati viziosi e completamente dediti a malvagi delitti, nonché al gioco dei dadi e che corrompono l’altra parte della gioventù esistente in Città. “Nos igitur etiam cupientes bonos mores in civitate vestra vigere” e, quindi, desiderosi che nella vostra Città prevalgano i buoni costumi, “committimus et mandamus quod ad oprimendos sedandosque scelestos huiusmodi illos punire et castigare prout necesse” disponiamo e vi ordiniamo che, a reprimere e a refrenare i malvagi, provvediate a punirli e castigarli secondo che necessità lo imponga.

Lo stesso giorno, “cum una cohadunati essent Mag.ci d.ni Antiani et Matteus Jacobi, Paulus petrignani, Ser Aron gabrielis, Perottus Petri, Petrus nardi et Johannes gratiani, electi ad componendum malleficium cicchi Cipolle” essendo insieme riuniti i Magnifici Signori Anziani, nonché Matteo di Giacomo, Paolo di Petrignano, Ser Aronne di Gabriele, Perotto di Pietro, Pietro di Nardo e Giovanni di Graziano, eletti per accordarsi circa il reato commesso da Cecco Cipolla, “una cum dominis antianis, habito inter se colloquio dicto ciccho presente, per multas et varias opiniones infrascripto modo dictum malleficium composuerunt”, dopo aver avuto con gli Anziani un colloquio, con scambio di varie e diverse opinioni, presente lo stesso Cecco, addivennero alla composizione del detto reato, nel modo seguente “videlicet quod jn pecunia numerata solveret libras decem ... et solidos quatuordecim, reliquum vero usque in libras quatraginta solveret hoc pacto et hac conditione, quod serviret et servat ad custodiam Campanilis S.te Firmine tanto tempore quoad dictum reliquum excomputetur” e, cioè, che paghi in denaro dieci libre e quattordici soldi; il rimanente, per arrivare a quaranta libre, venga assolto e soddisfatto facendo la custodia al campanile di S. Fermina, per la durata di tempo necessaria a scomputare detto residuo; “dicto ciccho presente et predicta audiente et acceptante et gratias referente” e detto Cecco, essendo presente ed avendo inteso quanto sopra, accetta e ringrazia. I presenti rimettono, quindi, agli Anziani in carica, di stabilire “tempus servendum ad dictam custodiam” il periodo in cui detta custodia debba essere fatta.

Ma che tipo di reato avrà commesso Cecco Cipolla? (2011)


8  - Nel consdiglio decemvirale dell’8 Giugno 1539, fra l’altro, si esamina la supplica presentata da un tal Martellino, con la quale lo stesso “in tenera età constituto et sensa patre et matre et ad tempi penoriusi et difficili rimaso, necessitato (spinto) da necessità et fame, commesse et fece alcuni furti benché di poco momento (entità) per li quali se ritrova vincolato in prigione et a morte condennato dal presente magnifico S.or Potestà et perché non da jnstinto naturale ma per necessità astrecto (costretto), fece li prelibati furti et in età puerile, pertanto de jure la pena vene da (ad) essere atteniata (sic), nondimeno, genuflexo ricorre a V. M. S. come a matre de pietà et misericordia, supplicando quelle se degnino decta pena corporale et afflettiva del ultimo supplicio esser gravato secondo parerà a quelle citra mortem (non fino alla morte), alla cui pietosa et misericorde discretione se remette ... et le S. V. seranno causa non solo salvare il corpo, ma ancora  lanima, per la quale il Nostro Redemptore non dubitarà una altra volta descendere de Cielo in terra per la salute de quella...”

Nel maggior consiglio dello stesso giorno, Teodoro Mandosi, “vir prudens et multa laude disertus” uomo prudente e lodevolmente eloquente, propone “quod cogatur ad solvendum in quantum  solvere potest et quod per quinquennium ad triremes condemnetur et destinetur, ad quod suis sumptibus micti debeat” che Martellino sia costretto a pagare fin quanto potrà e sia condannato e destinato a prestare per un quinquennio servizio sulle triremi e che vi si mandi a sue spese, cioè senza percepire salario. Messa ai voti, la proposta viene approvata con trenta sì e tre soli no. C’è da pensare che il povero Martellino abbia commesso qualcosa di peggio che qualche innocente furtarello in tenera età, se venne condannato con pene tanto pesanti e, in un primo momento, addirittura alla esecuzione capitale! (2012)


8  -  L’8 Giugno 1327, alla presenza degli Anziani e di sette membri del consiglio dei X, nella Cancelleria del Comune, si propone di sottoporre a votazione “super mictendo Communi Tuderti de bonis Communis Amelie Mille xxv libras expendendas per dictum Commune Tuderti in utilitatem Communis Amelie” di inviare a Todi 1.025 libre di denari di proprietà del Comune di Amelia, da impiegare in spese che tornino utili allo stesso Comune. Successivamente, “facto et obtento inter eos partito ad bussulas et palloctas” messa ai voti la suddetta proposta, con il consueto sistema delle pallottole da deporre nell’urna, “comuniter et concorditer” insieme e concordemente fu deliberato di sottoporre la questione “ad consilia oportuna” nei consigli competenti (certamente nel Consiglio Generale) “et quidquid in eis deliberatum fuerit habeat roboris firmitatem” e quanto verrà ivi deliberato, avrà forza di legge.

Da quanto sopra, si deduce che, all’epoca, Amelia era totalmente sotto la tutela di Todi, dalla quale dipendeva anche per le spese da effettuare per la propria utilità ed  i buoni amministratori del tempo volevano avere tutte le carte in regola, per salvarsi ... “le braghe”! (2014)


9 - Il Podestà di Amelia, L. Raybaudi Massiglia, con avviso affisso in data 9 Giugno 1927, comunica alla Città di Amelia quanto segue:

"La R. Prefettura ha rivolto vivo appello perché si raccolgano, fra i migliori Cittadini del Comune, domande d'iscrizione come Soci dell'Opera Nazionale Balilla, la quale, è noto, ha per fine l'assistenza e l'educazione fisica e morale della gioventù.

“Sono Soci dell'Opera Nazionale Balilla coloro che con elargizioni o con periodici contributi concorrano al conseguimento del fine dell'Ente:

“a)Soci Benemeriti sono coloro che abbiano elargito a favore dell'Opera una somma non inferiore alle £.10.000.

“b)Soci Perpetui sono coloro che versano in una sola volta la somma di £.500.

“c)Soci Temporanei sono coloro che mediante sottoscrizione si obblighino a pagare annualmente la somma di £.60 per un periodo minimo di anni cinque.

“L'Opera Nazionale assegna diplomi e medaglie di benemerenza ai Soci che se ne rendano particolarmente meritevoli e a coloro che abbiano procurato l'iscrizione di un numero rilevante di Soci, o che in altro modo abbiano svolto una notevole e proficua attività per i fini dell'Opera.

“All'ammissione dei Soci perpetui e temporanei provvede la Giunta esecutiva del Comitato Centrale dell'O.N. in seguito a domanda scritta degli aspiranti diretta al Presidente dell'Opera Nazionale e contenente, per i Soci temporanei, la dichiarazione dell'impegno di versare, con decorrenza dal 1° Gennaio dell'anno in corso alla data dell'ammissione e per il periodo di anni cinque, la quota annuale di £.60.

“Il versamento della somma di £.500 deve essere effettuato dai Soci perpetui entro un mese dall'ammissione.
”Le quote dei Soci temporanei debbono essere versate per il primo anno nel predetto termine di un mese e successivamente entro il primo trimestre di ogni anno.

“Le alte finalità che l'Opera Nazionale Balilla si prefigge siano di sprone, a coloro che possono, per concorrervi con fede, con aiuti e con incoraggiamenti, chiedendo l'onore di appartenere ad Essa come Soci in una delle categorie sopra indicate.

“Le domande degli aspiranti all'ammissione come Soci dell'Opera Nazionale Balilla devono essere presentate, entro il corrente mese, a questo Ufficio Comunale per l'ulteriore corso". (2001)


9 - Il 9 Giugno 1944 un aereo alleato gettò sulle campagne amerine un volantino scritto in tedesco e rivolto alle forze armate germaniche, per annunziare che il giorno 6 aveva avuto luogo un grande sbarco in Normandia. Con questa operazione di vastissima portata, interessante ben 180 chilometri di costa, fra Cherbourg e Le Havre, i tedeschi si videro costretti a combattere su tre diversi fronti: italiano, russo e francese. Venivano esortati, quindi, ad abbandonare i combattimenti e ad arrendersi. Il volantino, infatti, concludeva: "Der Weg nach Hause führt über die Gefangenschaft": la strada di casa passa attraverso la prigionia. Si trattava del "D-Day" (Operazione Overlord), che ebbe una parte determinante per la fine della seconda guerra mondiale in Europa e che ispirò il film kolossal  "Il giorno più lungo", prodotto da Daryl F. Zanuck nel 1962 e tratto dall'omonimo romanzo-cronaca del colonnello Cornelius Ryan. (2004)


9 - Con lettera scritta da Bologna il 9 Giugno 1410, l'antipapa Giovanni XXIII comunica a podestà, Consiglio e comune di Amelia di aver nominato Riformatore "deo favente", con l'approvazione divina,  il suo Referendario "venerabilem fratrem Bartholomeum episcopum cremonensem" fra Bartolomeo, vescovo di Cremona, "ad recuperandum illis in partibus" per recuperare in quelle parti i territori "occupata contra nos et romanam Eclesiam pertinentia" indebitamente occupati contro di noi e la Chiesa romana  e di pertinenza della stessa, esortando gli Amerini a concedergli "plenam fidem etiam reverentiam et hobedientiam" piena fiducia, rispetto ed obbedienza, "circha et in omnibus" in tutto e per tutto quello che  deciderà di compiere "pro statu et honore nostris et eiusdem ecclesie" per il buono stato e l'onore nostro e della Chiesa.

Gli Amerini, solleciti come sempre, accolgono il Riformatore con tutti gli onori. Nelle riformanze del 19 Luglio successivo vengono enumerate dettagliatamente tutte le spese fatte per la sua venuta in Amelia, con tanto di seguito. Fra cera, capponi, pollastri, agnelli, orzo, vino, pane, fichi, foraggi, alloggiamenti, manodopera ed altro, vennero spesi una quarantina di fiorini d'oro. (2007)


9 - Il 9 Giugno 1478 vengono presi alcuni provvedimenti "super pestilentia quam deus avertat" circa la peste -che Dio ce ne scampi!- che possono compendiarsi come segue:

-da ora in poi, i guardiani delle porte cittadine non facciano entrare alcuno, senza "bullectinum" (contrassegno o autorizzazione scritta) degli Anziani, sotto pena di 25 soldi per ogni trasgressione;

-nessun oste o albergatore dia ricetto a qualche forestiero privo della detta autorizzazione, sotto pena di 15 soldi;

-nessun cittadino o distrettuale ardisca uscire dal territorio senza l'autorizzazione, "sub pena et ad penam iiij ictuum cordarum" sotto pena di quattro tratti di corda, oltre a cento soldi di multa;

-che nessun vicario dei castelli permetta l'entrata in essi a forestieri privi della detta autorizzazione, a pena di dieci soldi.

Lo stesso giorno, Bartolomeo Appolloni di Todi, "cum inventus esset per gabellarios gabelle generalis fraudasse dictam gabellam" essendo stato sorpreso dagli esattori della gabella generale ad aver frodato la stessa, "non assignando quinque bestias asininas" non denunziando il possesso di cinque asini, che fece uscire dal distretto di Amelia, incorrendo in una grave pena, "confessus fuit sponte huiusmodi fraudem commisisse", con un vero e proprio atto notarile, rende spontaneamente pubblica confessione della frode commessa, in seguito alla quale gli Anziani, "visa eius simplicitate" constatata la buona fede (semplicioneria?) del trasgressore "et inspecto quod cupiunt sibi gratiam facere" e considerato che desiderano fargli grazia "pro mutua benivolentia qua comunitas amerina afficitur cum d.nis Tudertinis" per la vicendevole benevolenza con cui la comunità amerina e quella tudertina usano trattarsi, ridussero la pena incorsa da Bartolomeo. (2008)


9  - Sotto la data del 9 Giugno 1547 nelle riformanze risulta trascritto un atto di vendita intercorso fra la Comunità di Amelia, rappresentata da Gian Francesco di Marco di Amelia, in qualità di “Scindicus Generalis Communitatis eiusdem” Sindaco Generale della stessa Comunità, “cum presentia, consensu et voluntate Magnificorum Dominorum Antianorum dicte Civitatis” con la presenza e l’intervento degli Anziani della Città, il quale, “non vi, dolo sed sponte et vice et nomine dicti Communis”, senza alcuna costrizione, né violenza, ma liberamente ed in nome e per conto di detto Comune, “vendidit, tradidit atque concessit Riccio Cinelli de Ameria, presenti et ementi pro se et suis heredibus et successoribus unum petium terre dicti Communis, partim cesam et laborativum et partim montuosum et silvatum” ha venduto, consegnato e concesso a Riccio di Cinello di Amelia, presente ed accettante per sé, eredi e successori, un appezzamento di terreno di proprietà dello stesso Comune, in parte disboscato ed in parte montuoso ed arborato, “situm jn territorio dicte Civitatis in Contrada et Vocabulo la spreta” sito in territorio di Amelia, in Contrada e Vocabolo la Spreta, “juxta bona vincentij Ser Gabrj a capite, bona presbiterj Marci de Turre de Ameria a tribus lateribus … et viam a pede” confinante con proprietà di Vincenzo di Ser Gabrio da capo, proprietà di Prete Marco di Torre, da Amelia, da tre lati e con la strada da piedi, “cum omnibus suis juribus, servitutibus et pertinentijs” con tutti i diritti ed annesse servitù e pertinenze, “extimatum per Joannem Andream Geraldini et Horatium de Magistris de Amelia prout medio eorum juramento retulerunt” e secondo la stima effettuata e riportata da Giovanni Andrea Geraldini e Orazio de Magistris di Amelia, asseverata con giuramento, “ad scutum unum pro qualibet quartata ad baioccos centum pro quolibet scuto et per eundem Joannem Andream Agrimensorem mensuratum” per uno scudo per ogni quartata, a cento baiocchi per ogni scudo e secondo la misurazione effettuata dallo stesso agrimensore Giovanni Andrea (Geraldini), “quod petium terre rettulit esse mensure vigintitrium quartatarum cum dimidia” il quale ha riferito che il detto appezzamento di terreno è esteso ventitre quartate e mezza. La vendita venne effettuata per il prezzo complessivo “scutorum vigintiquatuor” di ventiquattro scudi, che venne pagato e soddisfatto dall’acquirente Riccio “partim in pecunia numerata … et partim jn scomputum jn tot bullectis jn quibus dicta Communitas erat debitrix dicto Riccio, videlicet pro ducatis decem de carlenis” in parte in contanti ed in parte con la cessione di un credito di dieci ducati di carlini, della qual somma la Comunità era debitrice nei confronti dell’acquirente, come risultante dai relativi mandati.

In questo atto di compravendita può ritrovarsi uno dei molti esempi che mostrano come, da epoche remote, venissero già usati alcuni nomi di località, giunti fino ai nostri giorni. E’ il caso della attuale “Aspreta”, dove risulta costruita l’omonima villa vignolesca, che deriva il suo nome dalla località “la Spreta”, citata nel rogito sopra riportato e che identifica il luogo dove trovavasi il terreno acquistato da Riccio di Cinello quasi cinque secoli addietro. (2012)


9  -   Il 9 Giugno 1499 Bernardino de’ Geraldinis, in un suo testamento, lascia, fra l’altro, la seguente disposizione: “Item, ex nunc post eius mortem liberavit et affrancavit ac liberos et francos fecit ac vult et mandat liberos et francos esse et in libertatem posuit et ponit Basilium, Benedictam et Caterinam Eve et Libanum eius servos sclavos” ed, inoltre, dopo la sua morte, intende e vuole che siano liberi e franchi e posti in libertà, Basilio, Benedetta e Caterina di Eva e Libano, suoi servi schiavi. E’                                                                                                                                            quanto meno singolare che in Amelia, alla fine del XV secolo, si parlasse ancora di schiavitù! (2014)


9  -  Il 9 Giugno 1526 Pier Francesco di Alberto de’ Racanis dona alla Chiesa di S. Francesco cento ducati, per sostituire l’organo scordato e guasto con altro nuovo. I frati, riconoscenti, promettono di celebrargli una messa al giorno in perpetuo (!) e, senza porre tempo in mezzo, il giorno stesso stipulano un contratto con l’organaro Mastro Girolamo Giuliani di Borgo San Sepolcro, alle seguenti condizioni: i frati gli verseranno cinquanta ducati d’oro ed il vitto a lui ed ai suoi lavoranti e le canne e quant’altro del vecchio organo. Mastro Girolamo s’impegna ad iniziare il lavoro entro un mese e di proseguire fino a compimento. L’organo sarà di nove piedi e con sei registri, naturalmente “bonum, recipiens et opportune sonans” di buona qualità, idoneo e suonante a regola d’arte, e l’opera di falegnameria sarà eseguita da Mastro Domenico Mattei Tofani di Porchiano per trentotto ducati, “cum floribus iuxta modellum et designationem” con opportuni ornamenti floreali e secondo il modello e il disegno fornitigli. (2015)


10 - Dal Questore di Terni, in data 10 Giugno 1941, si invia a tutti i Podestà della Provincia, la seguente comunicazione:

“Al Ministero della Cultura Popolare risulta che, in alcuni locali pubblici, specialmente caffè, ristoranti e alberghi, con scarso senso di opportunità viene eseguita musica varia (ballabili e canzoni) inglesi ed americane.

“Qualche volta si giunge sino a cantare in lingua inglese (!).

“Vi prego di vigilare perché ciò non avvenga in questa provincia, provvedendo che sia vietata la esecuzione in pubblico di musica leggera inglese e americana”. (1998)


10 - Il 10 Giugno 1941, dalla Questura di Terni si dà comunicazione alle autorità amerine e della Provincia della disposizione del Ministero dell’Interno, secondo la quale “ai cittadini ariani coniugati con appartenenti alla razza ebraica può essere concessa o rinnovata licenza per l’esercizio di albergo, nel solo caso in cui il matrimonio di costoro sia stato sciolto oppure annullato o se non siavi convivenza tra i coniugi”. 

Poco prima, il 17 febbraio dello stesso anno, un’altra comunicazione era stata analogamente trasmessa: “Avvertasi che, stante disposizioni razziali, Ebrei possono esercitare mestiere (di) custode aut portiere soltanto se discriminati od aventi famiglia ariana, limitatamente però (a) stabili occupati solo da ebrei”. (2000)


10 - Il 10 Giugno 1410, il Cosiglio speciale deve deliberare circa l'approvazione di alcune spese straordinarie "necessarijs et evidentibus" di evidente necessità per la pubblica utilità, fra le quali si enumerano 6 libre "Pro festo facto dum fuit creatus dominus noster dominus Johannes divina providentia papa xxiij, videlicet pro vino et honore facto pifaris qui steterunt in dicto festo", cioè per le onoranze fatte in occasione dell'elezione a papa (leggi antipapa) di Giovanni XXIII, con vino e musica; per onoranze fatte il dì precedente al Tesoriere del Patrimonio che si degnò venire ad Amelia, "pro pollastris, vino, pane et carnibus pro eius victu pro tempore quo stetit hic et pro tribus eius equis qui steterunt in hospitio Cinquinj" per pollastri, vino, pane e carni per il suo sostentamento durante il tempo che si trattenne in Amelia e per tre suoi cavalli, ricoverati nella stalla delle Cinque, si spesero 14 libre e 10 soldi; e via di seguito.

Ma come mai a quella data figurava onorato in Amelia l'antipapa Giovanni XXIII? Occorre fare qualche precisazione.

In quel periodo, la confusione in Europa era al suo culmine. Lo scisma d'occidente era alle sue ultime e più feroci battute. Alla morte di Innocenzo VII (6 Novembre 1406), i 14 cardinali presenti a Roma, prima di entrare in conclave, firmarono un accordo che impegnava il nuovo eletto a rinunciare alla carica pontificia, appena l'antipapa avignonese, Benedetto XIII, avesse fatto altrettanto. Il 30 Novembre successivo il conclave elesse papa Gregorio XII, il quale ci ripensò e l'accordo saltò. Il re di Francia propose di scavalcare le due personalità pontificie e fece promuovere un concilio a Pisa per il marzo 1409. Gregorio reagì e, da Rimini, dove si trovava sotto la protezione dei Malatesta, dichiarò illegale il concilio di Pisa. Frattanto, l'antipapa Benedetto XIII aveva indetto altro concilio a Perpignano nel Novembre 1408. Ladislao di Napoli, quale difensore della Chiesa di Roma, ne approfittava per occupare la città abbandonata da papa Gregorio. Il 25 Marzo 1409 si era intanto aperto il concilio di Pisa, al quale intervennero rappresentanti dei due pontefici i quali, però, pur essendo stati invitati, si resero contumaci e vennero dichiarati decaduti dalla loro carica e scismatici. Riunitisi in conclave, i cardinali elessero all'unanimità papa Pietro Filargo, col nome di Alessandro V. L'assemblea si chiuse e la situazione ne risultò ancora peggiorata. In buona sostanza, ora v'erano tre papi, con i loro sostenitori: Gregorio XII era spalleggiato da Italia, Germania e nord Europa; Benedetto XIII da Spagna, Scozia, Sardegna, Corsica e parte della Francia; Alessandro V dalla maggior parte della Francia e da numerosi ordini religiosi. Gregorio XII, nello stesso tempo del concilio di Pisa, aveva indetto un suo concilio a Cividale del Friuli, con cui dichiarava e ribadiva illegittimi Benedetto ed Alessandro, pur dicendosi pronto ad abdicare, ove lo avessero fatto anche gli altri due. In seguito all'insurrezione dei Patriarchi di Aquileia e Venezia, ligi ad Alessandro V, Gregorio fuggì a Gaeta, protettovi da Ladislao di Napoli. Roma era frattanto passata sotto il controllo di Luigi II d'Angiò, riconosciuto dal concilio di Pisa re di Napoli, in opposizione a Ladislao ed Alessandro poteva entrare a Roma nella primavera del 1410. Ma il Cardinale Baldassarre Cossa, legato di Alessandro a Bologna, lo fece venire in detta Città, dove lo stesso Alessandro moriva il 3 Maggio, forse di veleno fattogli propinare dal Cossa che, in un conclave riunitosi in tutta fretta, si fece eleggere il 25 Maggio 1410, col nome di Giovanni XXIII, insediandosi a Roma. 

Bisognerà attendere il concilio di Costanza, che elesse nuovo papa Oddone Colonna, col nome di Martino V, per vedere la Chiesa d'Occidente nuovamente tornata all'unità, dopo ben 39 anni. (2005)


10 - "Uffreduccius Ser Petri, civis honorabilis Amerinus", presente al consiglio generale del 10 Giugno 1418, "pro meliori et pro honore dicti Communis" per l'utilità e l'onore del Comune, propone "quod mictatur unus ambaxiator pro parte dicti Communis Amelie ad visitandum magnificum dominum Braccium de Fortebraccijs Comitem Montonis Perusij et pro parte dicti Communis ensenietur eius magnificentie aliquod donum de pane vino et alijs rebus" si invii un ambasciatore da parte dello stesso Comune a far atto di ossequio al magnifico signore Braccio Fortebracci, conte di Montone di Perugia e si gratifichi la sua magnificenza con qualche donativo di pane, vino ed altre cose, secondo quanto verrà deliberato dagli Anziani, i quali, per tale donativo, "possint expendere usque ad quantitatem viginti quatuor florenorum et etiam ultra" possano spendere fino a 24 fiorini o anche di più, a loro giudizio. "Et quod expense huiusmodi de causa faciende" e che, per affrontare le spese da fare per tale occasione, gli stessi Anziani le carichino "super dativa de presenti mense imposita et ordinata ad rationem sex bononenorum pro quolibet foculare" sulla dativa già imposta per il mese di giugno, in ragione di 6 bolognini per focolare, "addendo dicte dative duos bolognenos ac etiam ultra prout fuerit opportunum" aggiungendo alla stessa altri due bolognini o anche più, secondo quanto sarà giudicato opportuno e necessario.

Gli Anziani non se lo fanno dire due volte e, nella seduta del consiglio generale del successivo 16 Giugno, in considerazione che al Magnifico Braccio, insieme al pane ed al vino, gli sono stati conferiti "pollastribus, carnibus salatis et alijs rebus emptis dicta de causa", pollastri, carni salate ed altre cose acquistate per la bisogna ed anche per far fronte ad altre spese occorse, ivi compreso il risarcimento "pro emendatione barilium deperditorum" per la perdita di alcuni barili (!), si delibera di aggiungere alla dativa di giugno altri tre bolognini, portandola così a nove "pro quolibet foculare".

Gli Amerini, quindi, su ogni focolare, al posto dei pollastri, vedranno "girare" tre bolognini in meno, ma l'onore del Comune sarà salvo! (2006)


10 - Nelle riformanze risulta trascritta la copia del breve con il quale papa Alessandro VI, in data 10 Giugno 1496, fa presente di aver personalmente dato incarico "dilecto filio Berardino Abbati de Alviano" di rintuzzare la temerità e l'audacia ("ad comprimendam et gastigandam temeritatem et audaciam") del figlio di Giovanni Gatti da Viterbo, "nostri et S. Romane Ecclesie rebellis" ribelle al papa ed alla Chiesa, "qui terram et arcem nostram Celleni ad nos et sedem Apostolicam pertinentem et spectantem per vim et tirannice ac contra voluntatem nostram occupaverat" il quale aveva occupata con la violenza la rocca di Celleno, di pertinenza della sede Apostolica, detenendola con tirannia e dà atto che l'incaricato abate Berardino "tamquam devotus et fidelis servus" come fedele e devoto servitore "terram et arcem perditam recuperaret" aveva recuperato il territorio e la rocca sottratta dal Gatti, il quale "ob multa scelera et facinora per eum perpetrata" a causa dei molti delitti commessi "furore populi dicte terre Celleni contra eum indignati interfectus fuerat" a furore di popolo della detta terra di Celleno era stato ucciso. Avendo saputo "quod Rehatini Interamnenses et Amerini parant se manu armata mandare contra bona ac personam dicti Berardini" che Reatini, Ternani ed Amerini si preparano a prendere le armi contro i beni e la persona dell'abate "de quo satis miramur pariterque dolemus", della quale cosa il papa tanto si meraviglia, quanto si duole, intima loro di cessare da ogni molestia nei confronti dell'abate Berardino, "sub indignationis nostre excumunicationis late sententie rebellionis confiscationis omnium bonorum suorum ac decem milium ducatorum alijsque sententijs consuetis et penis" sotto pena della indignazione papale, della sentenza di scomunica quali ribelli, nonché di 10.000 ducati, oltre alla confisca di tutti i loro beni e alle altre pene e condanne del caso.

Sembra che ce ne sia a sufficienza, per lasciar perdere l'abate Berardino! (2007)


10  -  Il 10 Giugno 1410 si fanno alcuni conti di “certe expense extraordinarie necessarie et evidenti utilitate dicti communis”, fra le quali figurano le seguenti:

“Pro honore facto prima die Tesaurario Patrimonij dum venerit huc, videlicet pro pollastris vino pane et carnibus” per l’onorifica accoglienza fatta il giono 1° al Tesoriere del Patrimonio, per la sua venuta qui, cioè per pollastri, vino, pane e carni “pro eius victu pro tempore quo stetit hic et pro tribus eius equis qui steterunt  in hospitio Cinquinj libras quatuordecim solidos decem” per il di lui vitto (salute!) e per il tempo che si trattenne qui e per 3 suoi cavalli che furono rimessi nel ricovero delle Cinque (Fonti), si spesero 14 libre e 10 soldi.

“Armanno Petri ambassiatori destinato ad castrum alviani ad Nobilem virum Ugolinum de Alviano pro recuperatione bestiarum ablatarum per ipsum Ugolinum et gentes suas in nostro territorio hominibus de collicello et hominibus Amelie pro suo salario duorum dierum quibus stetit equester videlicet uno pernoctando altero vero non, libras tres, solidos decem” Ad Armando di Pietro, ambasciatore inviato in Alviano al nobile Signore Ugolino d’Alviano, per recuperare le bestie razziate da lui e dalle sue genti sul nostro territorio, sottratte agli uomini di Collicello e di Amelia, per il suo salario di due giorni occorsigli con il cavallo, dei quali uno compreso il pernottamento, si spesero libre 3 e soldi 10.

Ed ora c’è qualcosa, che dovrebbe essere in grado di servirci da insegnamento ed esempio ancora ai giorni nostri:

“Cum certa pars muri dicti communis positum prope domum Magistri Francisci sive Brance petrilongi staret in magno periculo ruginari” poiché una certa parte delle mura cittadine poste in prossimità della casa di Maestro Francesco, ossia Branca Pietrolungo, stanno in grande pericolo di crollare “et quia dicitur melius est ante tempus occurrere quam post vulnerationis causam remedium querere” e poiché si dice (a ragione!) che sia meglio correre ai ripari prima, che dover cercare poi la causa del danno ed il suo rimedio (almeno una volta la pensavano così!) “ideo prefati d.ni Antiani dederunt incoptimum dictam partem muri causa evitandi magiorem expensam Bartholomeo Angeloccj” pertanto, gli Anziani, per evitare una maggiore spesa, diedero a cottimo il restauro di quella parte delle mura a Bartolomeo Angelocci, “pro pretio quinque florenorum auri cum dimidio de quibus venerunt solvendi quatuor dicto communi” per il corrispettivo di 5 fiorini e mezzo d’oro, dei quali, da parte del Comune, ne vennero versati 4. (2009)


10  -  Il 10 Giugno 1465 vengono presentate nel consiglio decemvirale alcune suppliche. 

Fra di esse, vi è quella esibita da Matteo Antonioli “alias Veraldonj” di Porchiano, il quale espone che la curia del podestà pronunciò condanna “contra petrum adoloscentem eyus filium” contro suo figlio adolescente Pietro, il quale, nel decorso mese di Gennaio, era stato citato quale testimone in un processo penale intentato contro Manno di Porchiano, accusato di reato commesso nei confronti di una certa Giovanna, moglie di Giovannolo dello stesso castello, per aver giurato il falso, dicendo di non sapere nulla. Insieme a suo figlio Pietro furono convocati altri testimoni, per le testimonianze dei quali detto Manno venne assolto, mentre suo figlio, che allora stava e tuttora trovasi a Montefiascone, venne condannato in contumacia “de perjurio” (di spergiuro) alla pena pecuniaria di 100 libre di denari, raddoppiate per non aver pagato entro il termine di 10 giorni, mentre, se lui fosse comparso, rendendo la stessa testimonianza degli altri testi escussi, sarebbe stato ritenuto teste veritiero e credibile. Il supplicante padre, persona  di  grande povertà, chiede, quindi, che “dicto petro eius filio fiat gratia totaliter, cum si unum denarium solveret, solveret contra Jus et Justitia”  suo figlio Pietro sia totalmente scagionato ed assolto, perché se venisse condannato a pagare anche un solo denaro, il pagamento sarebbe contrario ad ogni ragione di diritto e giustizia.

Altra supplica è presentata “per parte de Vostri servitori Jacovo de ceccho de angelello Menecuccio de pietro de Anthonio  et Antonio dellopo”, i quali espongono che “concio siacosa ipsi supplicanti nel tempo della guerra de Canale fossero mandati alla guardia del vostro castello della fractuccia et lì stessero alla dicta guardia per dì xiiij continue delli quali non recevettero mai ne bollecta ne pagamento per laqualcosa se supplica per gratia speciale et benignità solita provedere et reformare farli fare bollecta accioche possino scontare nelle date (dative) vecchie occorse in comune e questo receperanno ad dono et gratia singulare che laltissimo ve conservj et feliciti come el cor vostro desidera”.

Nel maggior consiglio del giorno successivo si decide di concedere all’ “adoloscente” Pietro un termine di 15 giorni per comparire e rendere la richiesta testimonianza, considerando, come non avvenuta, la condanna per la mancata comparsa. Per quanto, poi, esposto da Giacomo di Cecco e compagni, gli Anziani “informent se diligenter de re” prendano accurate informazioni in merito e se si constaterà che gli stessi fecero la guardia al castello di Frattuccia e non ricevettero mercede, sia provveduto di conseguenza, “pro justitia et veritate”, secondo giustizia e verità. (2010)


10  -  Con atto rogato dal notaio Ricco di Francesco il 10 Giugno 1477, i frati di S. Francesco, che avevano ricevuto dal “teutonico” Mastro Lorenzo di Giovanni la totale oblazione di sé e dei suoi beni, riconoscendo che “dictam oblationem esse potius chalunptiosam (?) quam honorabilem” la detta oblazione fosse più artificiosa che onorevole, su richiesta dello stesso oblato, gli restituiscono la sua libertà e -si spera- anche i suoi beni! (2014)


10  -  Il 10 Giugno 1478, il notaio Taddeo del fu Giovanni Artinisi riceve l’edificante testamento di Artinisio di Ser Benedetto. Oltre a lasciti alle varie chiese e monasteri, Artinisio dispone legati per la Fraternita dei Disciplinati, eretta in S. Francesco, S. Antonio e S. Fermina. Infine, “reliquit benedictionem suam” lascia la sua benedizione ai figli ed ai nipoti. Chissà quanto ne saranno restati contenti! (2014)


11 - L'Arcivescovo Anconetano, Rettore del Patrimonio, da Viterbo scrive l'11 Giugno 1433 agli Anziani la seguente lettera:

"Magnifici amici nostri carissimi salute. Jacobo de Amelia presente portatore è venuto ad nui con una lettera de Gactamelata, la quale mandamo al Podestà, et in essa legendo porrite vedere ne recomanda el dicto Jacobo per una certa sua questione havuta lì in Amelia con uno Nicholò forestiero, etc. Unde perché ad quillo Capitaneo per più respecti simo tenuti in ciaschuna cosa iuxta la possebilità nostra sempre compiacere, ve pregamo che per le casciuni expresse in quella lettera et più per nostra contemplatione et per rispecto del predicto Gactamelata vogliate el predicto Jacobo quanto ve sia possebele con honore havere recomandato, et tractarlo per modo che in tucto o vero la magior parte sia da questa rissa liberato, et receverimolo ad singular piacere ex intuitu del prefato Capitaneo".

Si tratta di favorire un raccomadato del grande Condottiero Erasmo da Narni, detto il Gattamelata, allora al soldo del Papa. Gli Anziani non se lo fanno dire due volte e, nel Consiglio generale del 21 dello stesso mese, si adoperano per far assolvere da ogni addebito Jacobo, condannato per una rissa avuta con tal Nicolò di Norcia ed un altro di Amelia, con relativa cassazione della sentenza di condanna.

Si spera, almeno, che il riguardo verso il Gattamelata non abbia comportato un'eccessiva mortificazione del senso di giustizia dei nostri Amministratori. (2004)


11 - Morto un papa, se ne fa un altro ed i nostri saggi amministratori provvedevano a far confermare gli statuti della Città da ogni nuovo pontefice che sedeva sul soglio di Pietro.

Fu così che, venuto a mancare il 22 Febbraio 1513 Giulio II (Giuliano della Rovere), al suo successore Leone X (Giovanni de' Medici) viene richiesta la rituale conferma degli statuti, che segue puntualmente con un breve pontificio in data 11 Giugno 1513, che troviamo debitamente trascritto nelle riformanze.

In questa occasione, molte personalità concorrono a propiziare il consenso del papa: Mons. Giacomo Nini, Vescovo di Potenza, Mons. Bartolomeo Farrattini, "basilice Principis Apostolorum de urbe Canonici Notarij et Familiaris nostris" Canonico di San Pietro, Notaio e Prelato domestico, i Notai della Camera Apostolica Niccolò Mandosi e Laurelio de Laurelijs e tutti gli altri che, in tale occasione, si mostrano "supplicationibus inclynati" piegati a supplicare il nuovo pontefice. Questi si mostra, pertanto, disposto a che "omnia et singula capitula et statuta vestra, reformationes et privilegia, indulta et immunitates ac gratias vobis per romanos Pontifices predecessores nostros ... concessas" tutti i capitoli e statuti, riformanze, privilegi, indulti, immunità e grazie concessi dai romani pontefici suoi predecessori, "confirmamus et approbamus" siano coonfermati ed approvati "dummodo justa et rationabilia sint et contra libertatem Ecclesiasticam non tendant", purché siano giusti e ragionevoli e non vadano contro la libertà della Chiesa. (2006)


11 - Dal periodico AMERIA dell'11 Giugno 1897 desumiamo queste due notizie:

Sotto il titolo "Ritorno di un garibaldino": "Reduce dalla Grecia giungeva fra noi la sera del 9 corrente, il concittadino Mari Alcibiade. Egli faceva parte della colonna Mereu e, come risulta da regolare certificato rilasciatogli dal Comando dei Volontari, prese attivissima parte alla battaglia di Domoko e fu indivisibile compagno del compianto Silvestri (Alarico), cui prodigò le più affettuose cure nella penosa agonia. Il Concerto cittadino ed un gran numero di amici e conoscenti si recarono ad incontrare il bravo e generoso giovane".

Sotto il titolo "La festa della Morte": "Il 7 corrente fu celebrata la consueta festa nella piccola chiesa detta precisamente "della Morte". Numerosissime persone di ambo i sessi, comprando le tradizionali nocchie e facendosene reciproca offerta, assistettero allegre all'innalzamento di un globo aereostatico, che andò in fiamme a pochi metri di altezza, all'incendio di fuochi artificiali e alle melodie della nostra banda musicale". (2007)


11  -   Nel maggior consiglio dell’11 Giugno 1410 vengono prese alcune decisioni circa alcune suppliche presentate nel consiglio decemvirale del giorno innanzi.

Una è quella di Roberto Vannucci di Canale, condannato in contumacia dal Vicario Giacomo Filippi di Perugia per presunta ribellione contro lo Stato della Chiesa. Poiché egli si protesta innocente “prout omnibus aperte patet” come tutti possono attestare, viene completamente scagionato, “considerato quod dictus dominus Vicarius condempnationem de eius factam iniuste fecerit et dictus Rubertus est innocens” in considerazione che la condanna del Vicario risulta ingiustamente pronunciata ed il povero Roberto è innocente.

Un’altra è presentata da Lello, calderaio di Montecampano, il quale dichiara che, “propter eius paupertate”, a causa della sua povertà, restò per molti anni assente dal distretto di Amelia e, di conseguenza, non fu in grado di pagare le numerose imposte, sia reali che personali, applicategli nel frattempo dal Comune. Poiché ha intenzione di tornare a vivere a Montecampano, ma teme che, rientrando a casa, gli vengano fatte pagare le imposte pregresse, pur dichiarandosi pronto, per l’avvenire, ad assolvere quelle che gli verranno applicate secondo i pochi guadagni che farà, chiede che gli vengano abbonate le già scadute. Gli viene concesso. (2009)


11  -  L’11 Giugno 1466 il maggior consiglio è chiamato a decidere circa alcune suppliche presentate il giorno innanzi nel consiglio dei X.

La prima è quella prodotta dal prolifico Matteo di Santa Restituta, abitante in Amelia, il quale, dichiarando di avere quattro figli maschi e tre femmine “et non valeat se sostentare et gubernare familiam suam propter eius paupertatem et nihil possideat in bonis” e di non essere in grado di provvedere a sé ed alla propria famiglia -e ci credo!- a causa della sua povertà e non possedendo alcun bene, chiede di essere esentato da ogni imposizione fiscale “pro viginti annis venturis” per i prossimi 20 anni, avendo intenzione di “ire ad habitandum in Castro Machie et ibi moram trahere cum familia sua” andare ad abitare nel Castello di Macchie ed ivi stabilirsi, insieme alla sua numerosa famiglia. Tanto domanda, appellandosi alla speciale misericordia degli Anziani, “que numquam clausit clementie gremium supplicantibus”, che mai chiuse il grembo della sua clemenza a chi la supplica. Gli si concede.

Altra supplica viene presentata da Barto di Menecuccio Zucco, alias Zuccolino, cittadino di Amelia, il quale espone “che conciosiacosa lui debia havere da Tartaglia da Capitone et da Barcello suo figliolo circha dodicj ducatj et che per li antecessori de V. M. S. ce sia stato scripto tre lettere, come ne (ne è) pienamente informato el cancelliero de V. M. S. et oltra questo el prefato Bartho è andato ad nargne (Narni) et domandato circha le predecte cose essere administrato rascione (per ottenere giustizia) et è stato messo in tempo (ha dovuto impiegare molto tempo) con grandissime spese dove ha fatto spese de ducati sei o più et errestato delegiato (è stato preso in giro) et tenuto in parole et mai poté vedere che li fosse fatto un minimo acto de rascione et hane patuto (ne ha sofferto) el dicto Bartho et pate grandissimj detrimenti et mancamentj, per laqualcosa recorre alle V. M. S. che sete recurso (siete d’aiuto) de tuctj li homini de dicta Cipta et con humiltà supplica sedegnino commettere (concedere) contra la comunità de nargne et suo contado et destrecto et homini dessa commettere lerepresaglie (le rappresaglie) per lidictj denarj et spese facte, facta prima quella scusa per le V. M. S. che adesse (a loro) parerà et dapoi provedere per quel remedio opportuno che alle V. M. S. parerà necessario per la indemnità (il risarcimento) del dicto Bartho et questo benche sia justo nientedemeno et dicto Bartho eldomanda ad V. M. S. de gratia speciale, quali lalto dio exalti et conservi secondo la loro voluntà”. Il consiglio si pronuncia per la concessione -“servata forma statutorum” secondo le forme previste dallo statuto- del diritto di rappresaglia “contra homines de capitono pro legitima quantitate et expensis legitimis” contro gli uomini di Capitone, per quanto legittimamete a lui dovuto, comprese le spese. (2010)


11  -  E’ l’11 Giugno 1474. Sta per scadere il tempo del Cancellierato di Barnaba di Sarnano ed il buon Barnaba pensa che non vi sia nulla di meglio, per essere riconfermato nella carica per un altro anno, che presentare agli Anziani alcune lettere di raccomandazione, che vengono diligentemente trascritte nelle riformanze di pugno dello stesso Cancelliere. Una è scritta -si fa per dire- dal Cardinale Firmano, Vescovo di Palestrina, il quale dice: “Jntendemo Ser Barnaba de Sarnano vostro presente Cancelleri esserse portato fine hora nel suo offitio con multa diligentia et fede et perché ce pare che simili homini meriteno commendatione et premio accioché li altri piglieno exemplo da loro et ingegnevole (si ingegnino) de fare simili portamenti per essere comendati et premiati a similitudine de quilli, pregamo et exhortamo le V. M. vogliano sì per nostro respecto, sì anche per li soi meriti, reconfermarlo in dicto offitio et haverlo reccomandato, el che haveremo gratissimo”. Altra lettera è inviata dal Protonotario de Savelli, che si esprime anche lui in termini altrettanto lusinghieri nei confronti di Barnaba: “lo recommando da core ale V. S. li piaccia ad nostra contemplatione concedere la dicta referma, portandose maxime fideliter et diligenter nel decto offitio secondo me ... Del che ristarò obligato grandemente ale prefate S. V.”. Ma non basta: anche il Protonotario Giorgio de Cesarinis vuole spezzare una lancia in favore del nominato Barnaba: “Advegna che per fine ad questa lectera non habia facto nulla per quella comunitade che me diano ardire de potere adimandare gratia alcuna, nientedemanco sentendome jo ben disposto et anche sempre apparechiato verso de quella ad fare ogne servitio, me vedo securo et audace a demandarli questa gratia per uno amico mio chiamato Barnabeo da Sarnano ... pregandove vogliate dignarve de refirmarlo nelo offitio suo solito. Sono certo non potereste havere migliore de luj per che è affectionato ala ciptade et ormaj pratico in quella et intende anche li bisogni et pratica che se tiene in quella. Non me negate questo se è possibile et sarò sempre apparechiato per quella ciptade ala quale porto singulare amore et affecto”.

E bravo il nostro Barnaba, che non avrà sicuramente peccato di perizia, ma davvero neppure di modestia e di mancanza di faccia tosta! (2011)


11  - A Cecco di Pasquale è stato dato incarico di eseguire lavori che interessano il Lago Vecchio ed egli, l’11 Giugno 1474, presenta una sua relazione, articolata in capitoli, agli Anziani ed ai cittadini all’uopo eletti, “ut ipsi bene ac prudenter limarentur” affinché vengano esaminati con tutta l’attenzione e la prudenza che il caso richiede. Eccone uno stralcio:

Innanzi tutto, il Comune di Amelia concede al detto Cecco e suoi soci e collaboratori “totum murum lacus veteris, eiusque situm et fundamentum liberum et expeditum, sine aliquo onere datij seu gabelle imposite vel imponende et sine aliquo onere alicuius servitutis, cum pleno iure, auctoritate et arbitrio quam habet  dictum Commune Amelie in et super dicto muro et fundamento ipsius” l’intero muro del Lago Vecchio, suo sito e fondamenta, liberi e sgombri, senza alcun onere di dazi o gabelle imposte o da imporre e senza alcun altro onere di qualche servitù, con il medesimo pieno diritto ed autorità vantati dallo stesso Comune su detti manufatti.

“Jtem quod dicto Cecho liceat et permissum sit facere et de novo construere molendina, valcherias seu alia quecunque edificia vel instrumenta apta ad quodcunque exercitium aque” Inoltre, che a detto Cecco sia lecito fabbricare e costruire ex novo mulini, gualchiere e qualsiasi altro edificio o manufatto predisposto all’utilizzo delle acque “ab utraque parte, videlicet versus montem qui vulgariter dicitur  ‘el monte de Sancta Romana’ ac etiam versus ecclesiam S.te Marie de publica” da entrambe le parti (sponde) del fosso, cioè verso il monte volgarmente chiamato di Santa Romana (da un lato) e verso la Chiesa di S. Maria di Piubica (dall’altro), “in quibus partibus hinc inde possit valeat et sibi liceat licite et impune ducere aquam per formas usque ad terras laborativas, sine aliquo dispendio et preiudicio dicti Cechi et suorum sotiorum”  e su entrambe dette sponde gli sia lecito condurre acqua lungo fossatelli (forme) fino al confine con le terre coltivate, senza alcun danno né per sé né per i suoi soci “et sine preiudicio patronorum terre laboratarum et cultivatarum” e -peraltro- senza alcun pregiudizio per i proprietari delle adiacenti terre lavorative e coltivate.

“Jtem prefato Cecho et eius sotijs liceat super dicto muro veteri murare construere et edificare ac etiam dictum murum extollere et altiare quantum  sibi videbitur et placebit et hinc inde appodiare ad dictos montes circumstantes, omni impedimento iuris et facti cessante et remoto” inoltre, allo stesso Cecco e suoi soci sia lecito costruire sul vecchio muro ed alzarlo quanto vorrà, appoggiandolo su entrambe le sponde alle circostanti alture, senza impedimento di alcun genere, né di diritto né di fatto.

I capitoli proseguono dicendo che Cecco e suoi soci debbano essere sollevati da ogni danno e responsabilità derivanti “propter inundationes aque que fient super terris et possessionibus alicuius propter dictum novum edificium” in seguito alle possibili inondazioni dei terreni a monte del muro, dipendenti dal suo innalzamento, che restano a carico del Comune (“dictum Commune teneatur solvere et satisfacere”). E ciò avvenga nel solo caso che i nuovi lavori siano sufficienti a creare nuovi mulini che possano sopperire a tutte le esigenze della Comunità; in caso contrario, Cecco si obbliga a rimborsare al Comune quanto pagato in tale occasione, entro dodici anni dai lavori effettuati. 

A detto Cecco viene anche data facoltà di “facere viam circumcirca dictum lacum, necessariam et opportunam ad usum dicti lacus” creare una strada lungo tutto il lago, per renderlo accessibile su tutte le sue sponde.

Il Comune curerà, altresì, che a detto Cecco e soci vengano date otto salme di pozzolana per agevolare detti lavori (“pro adiutorio dicti edificij”), con un contributo di sei baiocchi per ogni focolare -eccettuate le vedove e gl’incapaci- sempre, comunque, ed in quanto sia possibile che la Comunità possa soddisfare tutte le sue esigenze di molitura; altrimenti Cecco e compagni s’impegnano a rimborsare al Comune il costo della puzzolana.

Nel caso in cui alcuno ardisse costruire lungo il lago altri fabbricati tendenti ad utilizzare le acque dello stesso, Cecco e compagni potranno “impune diruere et demolire” impunemente demolirli; inoltre, i costruttori di tali fabbricati “incidant in penam quingentorum ducatorum de facto applicandorum Camere communis Amelie” siano sottoposti alla pena pecuniaria di 500 ducati, da versare a favore delle casse comunali.

Il Comune sarà, inoltre, tenuto a concedere a Cecco e soci, “ultra terras inundandas et allacandas” oltre al terreno che verrà coperto dall’acqua “circum circa dictum lacum tantum spatium terre inculte et non laborative quod ascendat ad mensuram quinque passuum hominis et plus et minus prout vobis placebit” una fascia di terra non coltivata, lungo l’intero perimetro del lago, della larghezza di circa cinque passi d’uomo, o più o meno, secondo il giudizio ed il parere dello stesso Comune.

Non appena Cecco e soci avranno ultimato le opere murarie -compreso il mulino necessario a rispondere alle esigenze della Comunità- il Comune si impegna a corrispondere loro trecento ducati, “solvendi de gabella macelli” da ricavare dalla gabella del macello.

Inoltre, il Comune concede loro, “pleno iure” di pieno diritto, “omnem fructum redditum et proventum omneque lucrum comodum et utilitatem que vel quod quolibet nasci exire vel provenire possit ex dicto lacu” di poter percepire quanto, da detto lago, possa derivare, provenire e comunque venir utilizzato dallo sfruttamento delle acque dello stesso, “tam de rebus animatis quam de rebus inanimatis, sive ex industria hominis, sive casu divino vel humano” sia che si tratti di cose animate (come pesci ed altro genere di animali), sia inanimate (come materiali vari), sia prodotti da mano dell’uomo, sia dalla natura (“casu divino”), senza imporre o riscuotere alcun tributo, né già esistente, né da creare, “excepta gabella macinatus” tranne la gabella sul macinato, che saranno tenuti a pagare “sicut et ceteri cives et alij macinantes” come tutti gli altri molinari.

Infine, si conviene “quod in dicto lacu et aqua dicti lacus a ponte novo supra versus sanctum Jacobum per totum territorium  Amelie neminj liceat piscarj seu aliquid facere sine expressa licentia dicti Cechi et sotiorum, ad penam decem ducatorum applicandorum pro medietate Camere Communis Amelie et pro alia medietate dicto Cecho et sotiis” che, nell’acqua del detto lago, dal ponte nuovo e sopra, verso San Giacomo (“de Redere”), a nessuno sia lecito pescare o utilizzare altrimenti l’acqua, senza espressa licenza di Cecco e soci, alla pena di dieci ducati, di cui la metà andrà a beneficio delle casse comunali e l’altra metà a detti Cecco e soci. Sul margine sinistro del foglio che contiene quest’ultima pattuizione, il sagace Cancelliere ha abilmente disegnato il profilo di un volto maschile rivolto verso sinistra, con una canna, dalla quale pendono, a mazzetto, alcuni pesci di varia misura.

I capitoli sopra riportati e proposti da Cecco di Pasquale vengono approvati  nel consiglio generale del 12 Giugno successivo. In seguito, su richiesta dello stesso, vengono riformulati e modificati il successivo 26 Giugno 1474. Fra l’altro, Cecco ottiene la facoltà di “cavare prete (pietre) et puzolana in tucti li lochi (che) adepso (a lui) paresse et fosse più habile (opportuno), senza alcuna condictione et che la comunità sia tenuta ad farli bono (ad agevolarlo) et defendere da qualuncha (chiunque) elmolestasse.

“Jtem se demanda possere tagliare legname per li ponti in omne loco, cioè ligni salvatichi et non da fructo.

“Jtem demanda el decto Cecho posser trarre et cavare fora del tenimento de Amelia omne fructo (che) pervenisse dal decto laco da farse, tanto vivo, quanto morto, senza alcuna conditione, excepto et reservato grano et altro biado, quale (che) vole non posser cavare”.

Il testo dei capitoli aggiunti viene sottoposto, prima dell’approvazione, all’esame di quattro esperti, che vengono unanimemente eletti dagli Anziani nelle persone di Ser Ricco di Ser Francesco, Ser Matteo di Ser Arcangelo, Giovanni detto Barba e Andrea di Giannuccio. (2012)


11  -  L’11 Giugno 1553, occorre provvedere ad un’emergenza di carattere bellico: “facere provisionem tormentorum bellicorum” bisogna far ricerca di materiale metallico per la costruzione di macchine da guerra; si propone di richiedere al vescovo che conceda il permesso di prelevare le campane. Gerolamo Laureli propone “quod prefecti belli habeant auctoritatem eque ac totum presens consilium extrahendi pecunias undecumque” che i prefetti della Guerra abbiano la stessa autorità del consiglio per reperire i denari necessari dovunque sia possible “et cum d.nis Antianis petendi campanas a R.mo episcopo et alijs ecclesijs pro conficiendis tormentis bellicis” ed, unitamente agli Anziani, chiedano al Vescovo la concessione delle campane della Cattedrale e di altre chiese, per confezionare strumenti bellici. La proposta del Laureli viene approvata con 31 voti favorevoli e soli tre voti contrari, quasi certamente espressi da convinti pacifisti. (2012)


11  -  Bartolomeo Scientoni e Anchise Cansacchi l’11 Giugno 1543, per mano del notaio Francesco Fariselli, fanno pace per le botte ricevute dallo Scientoni “cum sanguine” con fuoruscita di sangue, procurategli da parte del Cansacchi. (2014)


12 - Dal diario della Sig.ra Vincenzina Barcherini Spagnoli del 12 Giugno 1944: "Verso l'una sono venuti (alla Torre Boccarini) due tedeschi armati ed infuriati a fare una perquisizione in cerca di armi e di ribelli. Dovevano essere dei teppisti dal modo di urlare e di trattare. Sono andati a guardare per tutti i cassetti. Due contadini, venuti da lontano a portare via roba (dalla Cavallerizza) sono stati uccisi da loro. Grande sgomento ha provocato questa incursione". Il giorno successivo, si legge: "Verso le 17 sono venuti quattro tedeschi con il pessimo maresciallo di ieri: ci hanno fatti uscire tutti di casa ed hanno ancora perquisito tutto. Poi andandosene hanno detto che io sia d'accordo con i ribelli e che se uno di loro sarà ucciso io sarò fucilata e faranno saltare la Torre! Però erano meno infuriati di ieri e sono sicura che non avendo trovato nulla di sospetto si divertono solo a mettere paura. Alcun rumore bellico si ode questa sera e nulla si sa". (2005)


12  -   Sotto la data del 12 Giugno 1470 nelle riformanze risulta scritta la seguente edificante “Nota”:

“Cum Jacobus lelli, Bartolomeus Jacobi mozagi, Jacobellus fanelli et Antonius Fozzoli de Bracciano transirent prope portam Civitatis Amelie cum quatuor bestijs asininis emtis in nundinis Civitatis Tuderti et non solverent eorum gabellam Scalabrino gabellario communis Amelie” Essendo avvenuto che Giacomo Lelli ed altri tre di Bracciano fossero passati presso la porta della Città di Amelia con quattro asini acquistati alla fiera di Todi e non avessero pagato la gabella al gabelliere comunale Scalabrino “veniebant condempnandi de fraude et dictorum eorum bestie erant deperdite” stavano per venir condannati di frode, con perdita delle loro bestie. “Set M.ci D. Antianj et alij Cives ad contemplationem dominorum de Ursinis se ipsi interposuerunt cum dicto Scalabrino gabellario et solverunt de gratia dicto Scalabrino ducatos duos et residuum donaverunt”. Ma gli Anziani ed altri cittadini, per un riguardo verso gli Orsini (allora Signori di Bracciano), intercedettero presso il gabelliere Scalabrino, pagando allo stesso due ducati e facendo grazia ai braccianesi del residuo.

Bell’esempio di solidarietà, anche se forse mosso da un certo timore reverenziale verso i potenti Orsini! (2009)


12  -  Il 12 Giugno 1499 nelle riformanze risulta trascritto l’atto di elezione per un anno -ad iniziare dal successivo primo luglio- del medico Percivallo De Agolantibus, di Terni, nel quale, dopo una buona pagina e mezza di sproloqui e lodi all’indirizzo del neo eletto, si passa a specificare le relative clausole, fra le quali primeggia lo stipendio di 205 fiorini, in ragione di 50 bolognini a fiorino, da corrispondergli dal camerario comunale ogni bimestre; l’abitazione gli verrà assegnata a spese del Comune; i rischi e le spese dei viaggi tanto di andata, che di ritorno finito l’ufficio, saranno a suo carico; non potrà lasciare la Città e il distretto durante l’ufficio, senza autorizzazione e licenza degli Anziani in carica; non dovrà fare alcuna convenzione con gli speziali, non dovrà chiedere alcun compenso per curare i cittadini e i distrettuali, ma, andando fuori città, avrà diritto ad un rimborso “pro victura equi et impensis in poculentis et esculentis si te in comitatu ire contigerit” per la vettura del cavallo e per spese di vitto, recandosi nel distretto; dai forestieri potrà pretendere il compenso che converrà con essi; durante l’ufficio, lo stipendio verrà corrisposto a lui o, in caso di sua morte -che Dio ci scampi! (“quod deus auferat”)- ai suoi eredi; dovrà prestare le sue cure gratuitamente a tutti coloro che si ammaleranno, di qualsiasi luogo e condizione siano e che siano ricoverati “in hospitali sancte marie Laicorum” nell’ospedale di S. Maria dei Laici; in caso di peste che si manifestasse in città e nel contado, non dovrà permettere che alcuno si rechi  a contatto con qualsiasi contagiato, “ne alij infitiantur”, per impedire l’estendersi del morbo; nel giorno del suo ingresso in servizio, dovrà consegnare in dono, nelle mani degli Anziani, una tazza d’argento del peso di sei once ed un ottavo di lega; al cancelliere rogante (Giovanni Mazarono) dovrà corrispondere un ducato papale. L’eletto viene, infine esortato ad accettare l’incarico con il sorriso sulle labbra (“jlari vultu”) per la benevolenza mostratagli e la considerazione dei suoi meriti da parte della Comunità, non quanto per l’importo del compenso, “quod tenue pro meritis est” che viene riconosciuto non adeguato al suo valore. (2010)


12  -  Si deve procedere alla fabbrica del campanile di S. Francesco.

Si estrae qualche convenzione dal relativo capitolato.

“Che li dicti frati et convento facciano sì et sieno tenuti a far sì che ipsi Magistri (Francesco e Guglielmo di Giorgio “de villa Gugli, de Como”, abitanti in Amelia) possano cavare et far cavare prete (pietre) per el dicto lavoro, per tucto el monte de Sancto Salvatore liberamente, senza pena alcuna o vero pagamento.

“Item che possano tollare dalla pretaia (pietraia) delli decti frati che anno alle rivolte prete quante volte le parerà et piacerà alloro et omne qualvolta volessero per lo dicto lavoro, senza pagamento et pena alcuna. Item vogliono termene (un termine) et che lo termene sia ad fare lo dicto campanile et lavoro tre anni da doverse commensare li dicti tre anni al primo dì del mese de Octobre proximo che verrà.

“Item che si per caso fosse de moria (vi fosse un’epidemia) o vero la guerra, lo dicto tempo et termene de tre anni non curra.

“Item che el fondamento che bisogna cavare per lo dicto campanile, ipsi magistri sieno tenuti ad cavare fino ad xv piedi socto terra dal solare (suolo) de sopra ad tucte loro spese.

“Item che tucto legname lo bisognasse al dicto lavoro liberamente lo possano taglare (sic) et far taglare et portare delle silvi (dai boschi) del comune, senza pena et pagamento alcuno.

“Item che de tucti li puoczi (pozzi) de Sancto Francesco possano tollere acqua tanta quanta sirà necessario per lo dicto lavoro, con questo che non del poczo del chiostro fine che laltri non fossaro scossi (vuotati)”.

L’atto fu rogato il 12 Giugno 1447 dal notaio Evangelista Arcangeli, nel porticato del convento di S. Francesco, “apud scalas dormitorij, presso le scale del dormitorio. (2014)


12  -  Essendosi costituita in Amelia una Confraternita di cittadini “disciplinatorum seu frustatorum” di disciplinati ossia flagellanti, e non avendo un luogo dove riunirsi e compiervi le loro funzioni, il Capitolo, d’accordo con il Vescovo, il 12 Giugno 1449, cede al Priore della Confraternita, Antonio, alias Ercole di Gian Petro Cecchi, due camere site nel recinto della Chiesa di S. Fermina e di fronte all’orto della stessa, con facoltà  di riattare le due camere e di eseguirvi anche delle costruzioni in sopraelevazione. In caso, però, che la Confraternita, per qualsiasi ragione, cessasse la sua attività, sia le camere restaurate, che le eventuali nuove costruzioni, resteranno acquisite dalla Chiesa di S. Fermina: una buona ragione per continuare più a lungo possibile la flagellazione! (2014)


12  -  Il 12 Giugno 1546, con atto del notaio Tommaso Taddei, si addiviene alla composizione di una vertenza fra le Comunità di Amelia e di Narni, circa i limitrofi confini territoriali fra i Castelli di Foce e Capitone. Per Amelia, si eleggono i Sindaci Dardano Sandri, Angelo Ceracchini ed il Capitano Battista Geraldini; per Narni, Camillo Massario, Giovan Maria Ralitino (?) e Giacomo Bernardini. (2015)


13 - Il Tenente Cavaliere Ferdinando Boldrini, Comandante la Tenenza di Terni del 1° Reggimento Carabinieri Pontifici, in data 13 Giugno 1818 scrive al Governatore di Amelia, per esortarlo a pagare un adeguato indennizzo, per non aver fornito nella misura convenuta e cioè “alla ragione di un boccale e mezzo per ciascun mese”, l’olio per l’illuminazione della Caserma, nei mesi di Gennaio, Febbraio e Marzo. (1998)


13 - Con sua bolla in data 13 Giugno 1256, indirizzata a Leone Fortebraccio, Rettore del Patrimonio "beati Petri in Tuscia et Sabinia", papa Alessandro IV faceva noto che "dilecti filij Potestas, Consilium et Comune Ameliensis", con petizione a lui rivolta, esponevano che, mentre "per sevitiam quondam Frederici Imperatoris devastata incendio et ruina" la città veniva data alle fiamme e devastata (si ritiene nel 1242) dalla perfidia dell'imperatore Federico, "et civibus ipsius Civitatis ob devotionem quam ad Romanam gerebant Ecclesiam fugientibus a facie persequentis ac per diversa loca dispersis" ed i suoi cittadini, a causa della loro devozione alla Chiesa, fuggivano dal persecutore e venivano dispersi in più direzioni, "Commune Narniensis addens afflictionem afflictis", il Comune di Narni e sue genti, aggiungendo afflizione ai già afflitti, "indebite animadverterunt" indebitamente rivolsero la loro attenzione, cioè, in parole povere, distolsero gli uomini del Castello di Foce dalla potestà spettante "ad eosdem Potestatem Consilium et Comune Ameliensem". Il papa si rivolge al Rettore Fortebraccio affinché "si tibi constiterit ita esse", accertata la veridicità dei fatti esposti dagli Amerini, provveda a ricondurre il Castello di Foce sotto la legittima autorità del Comune di Amelia.

Secondo quanto esposto dal Conte Carlo Cansacchi nel suo scritto "Amelia nelle lotte contro i due Federichi", la distruzione di Amelia cui fa riferimento la bolla sopra citata dovrebbe essere attribuita al primo Federico, cioè al Barbarossa, ma molti altri Autori sono invece propensi a credere che il sovrano cui papa Alessandro IV si riferiva fosse Federico II, anche se non vi sono validi motivi per pensare che il Barbarossa non sia passato per la nostra Città che, secondo il Pardi, subì assedio e distruzioni da parte di Cristiano di Magonza, seguace dello stesso Barbarossa, fra gli anni 1173-1174. (2005)


13 - Giovannello Tomacelli "Miles Regni Sicilie" e, quel che più conta, fratllo del papa Bonifacio IX, scrive da Roma agli Anziani il 13 Giugno 1400 "pro subsidio gentis armorum necessario" a proposito del sussidio -leggi taglia- necessario alla gente d'arme, che "consanguineus noster carissimus dominus Herighus Tomacellus" il nostro carissimo consanguineo Enrico Tomacelli -altro parente del papa- "pro salute vestra inter alios provinciales" per la vostra sicurezza fra gli altri soggetti alla provincia (del Patrimonio), "ex commissione sibi facta per nos" per mandato a lui conferito da noi "mandato nobis facto oraculo vive vocis" per incarico fattoci a viva voce (dal papa) vi richiese di pagare e che voi "solvere recusastis" vi rifiutaste di soddisfare. Esorta, quindi, gli Anziani ad obbedire a tali richieste di pagamento "ne dictus dominus Herighus contra vos materiam iuxtam habeat procedendi ad ipsius taxe executionem" per non fornire ad Enrico Tomacelli un giusto motivo di procedere contro di essi per il recupero del sussidio imposto.

Aggiunge, infine, Giovannello, che la tassa del sussidio che andranno a pagare gli Amerini al carissimo "consanguineo" Enrico, potrà venir defalcata e scomputata da quella "vobis imposita hactenus in parlamento per dominum Marchionem Orti celebrato sive in quibuscumque alijs debitis quam plus placeant votis vestris" che è stata fin qui loro imposta nel convegno tenutosi ad Orte dal Marchese (Andrea Tomacelli) o da altri debiti, secondo il loro beneplacito.

Dopo pochi giorni, il 12 Luglio, il Marchese Andrea scrive agli Anziani che quanto dovuto dagli Amerini per le paghe del sussidio imposte loro in detto convegno vengano assegnate allo "strenuo Militi domino Comiti de Carrara" al valente Capitano il Conte di Carrara "et non alicui" e non ad altri. "Agite itaque cum domino herico" Li esorta, quindi a rivolgersi ad Enrico Tomacelli "super facto debiti census camere apostolice" circa il sussidio dovuto alla camera Apostolica, (oggetto della precedente richiesta) "nam de illo nos non intromictimus quoquo modo" poiché, in tale questione, lo scrivente non intende intromettersi in alcun modo.

In buona sostanza, gli Amerini, oltre ad essere tartassati a destra e a manca, da conti, marchesi, papa e parenti del papa, hanno pure l'imbarazzo della scelta a chi dover pagare! (2006)


13 - Il 13 Giugno 1858, dal Capitolo Vaticano venne "coronata" l'immagine della Madonna venerata nella chiesa dei Cistercensi di Foce, sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. (2007)


13 - Sotto la data del 13 Giugno 1507 Angelo Antonio Geraldini presenta agli Anziani, congregati "in sala magna Antianalis Palatij cum magno civium amerinorum cetu" nella sala maggiore del palazzo anzianale, con il concorso di cittadini di alto rango, la lettera patente in carta membranacea inviata da Magione "prope lacum Trasimenum" il 13 Dicembre 1506 dal Cardinale Mons. Antonio de Ruvere, Legato della Sede Apostolica per tutte le provincie dell'Umbria, con la quale, per attivo interessamento del nostro Agapito Geraldini, già segretario di Cesare Borgia ed allora "familiaris continue commensalis et cubicolarij" del papa Giulio II, e d'ordine dello stesso pontefice, il Comune di Amelia viene reintegrato in tutti i suoi diritti e privilegi, con remissione e condono dei reati attribuitigli, commessi negli ultimi cento anni "et tantum temporis cuius memoria non extat" ed in tanto tempo per quanto non ne sia restata memoria. "Volumus autem quod pecunias ex exactionibus ex maleficijs provenientes ad nullos alios usus convertatis" ordina, inoltre, che i denari dovuti per i reati commessi vengano destinati, per una metà "donec et quousque porta principalis vestre Civitatis que pensolina nuncupatur revellio quadrato cum duabus turribus et porta media cum armis et insignis prefati d.ni n.ri pp." per dotare la porta della Città chiamata pensolina (Busolina) di un rivellino quadrato con due torri ai lati della porta stessa, con le insegne papali, "juxta providam R.di patris d.ni Agapyti de Geraldinis" conforme a quanto previsto (nel progetto) del rev.do padre Agapito Geraldini. L'altra metà dei denari venga destinata esclusivamente per lastricare "ex coctu vel vivo lapide via maiore que a dicta porta ad initium platee veteris protenditur" in cotto o in pietra viva la via principale della Città, che, dalla detta porta, arriva alla piazza vecchia. (2008)


13  -  Nel consiglio generale del 13 Giugno 1434 si decide, fra l’altro, quali provvedimenti adottare affinché “fociani caveant huic communitati iniuriam inferre” i fociani ribelli ad Amelia abbiano timore di recare qualche offesa alla nostra Comunità. Si propone che “quicumque miserit vel conduxerit in fortiam communis Amelie  aliquem ex focianis emulum et inimicum dicti communis repertum tamen in facto qui cum effectu lederet vel offenderet communi predicto vel eius hominibus et personis” chiunque avrà catturato o comunque assicurato in mano della giustizia cittadina qualcuno dei fociani ribelli e nemici, sorpreso sul fatto mentre reca danno od offesa sia alla Comunità che alle singole persone, “seu quod miserit in fortiam predictam vivum seu mortuum, auctoritate presentis consilij sine alia deliberatione habeat et habere debeat a camerario communis presentis vel qui pro tempore erit de pecunia dicti communis centum libras denariorum”, sia che lo avrà catturato vivo o morto, in forza della presente deliberazione abbia diritto di ricevere, dal camerario comunale attualmente in carica o che lo sarà al tempo della consegna, 100 libre di denari da prelevare dalle casse comunali. La proposta viene approvata con 36 voti favorevoli e soltanto 7 contrari.

Una nota di colore: in questo periodo, sul margine sinistro di ogni paragrafo delle riformanze, dalle quali vengono tratte le presenti notizie,  trovasi disegnato, con tratti di penna, il profilo di un viso maschile rivolto verso destra che, essendo tracciato a mano libera, risulta di volta in volta diverso. Trattasi di una manifestazione artistica spontanea del Cancelliere comunale Pirramo di Ser Arcangelo, che nulla ha a che vedere con il contenuto dello stesso paragrafo. (2010)


13  -  Nel consiglio dei X del 13 Giugno 1528 si esaminano alcune suppliche.

Una è presentata da un certo Mastro Bartolomeo da Lucca, attualmente residente a Viterbo, che abitava in Amelia “dum milites hispanj amerie moram trahebant” nel periodo in cui vi erano alloggiati i soldati spagnoli dell’esercito imperiale, il quale espone che, al tempo dell’Anzianato di Gerolamo di Giulio e colleghi, nei mesi di Luglio ed Agosto del 1527, prestò alla Comunità un letto con i relativi annessi, “quas res sepe sepius repetivit et numquam potuit rehabere” e, pur avendone più volte fatto richiesta di restituzione, mai poté riaverli. Nel consiglio generale dello stesso giorno, si decide che “jlli Antiani qui erant in illo tempore reinveniant dictium lectum ... et si non reperientur ipsi ... satisfaciant” gli Anziani allora in carica ricerchino il letto e quant’altro di detto Bartolomeo e se non dovessero ritrovarli, ne paghino il valore.

Altra supplica è presentata “per parte de li devoti oratori Bartalomeo de paulo et Lodovico de nacci, asserendo che del mese de febraro proximo preterito li foro tolte certe quantità di pecora (sic) per Ascanio Zephiro de Lugnano et servatis servandis è stato condennato dicto Ascanio per lo Potestà de Lugnano ala restitutione de dicte pecore et mai si è possuta consequire justitia ; scripte più lectere per la communità ala communità de lugnano adciò non se havesse da venire al acto dele represaglie. Pertanto se supplica ve piaccia concedere dicte represaglie, prout moris est (com’è consuetudine fare). Il consiglio generale delibera che “si servaverunt formam statutorum represalie petite concedantur” si concedano le richieste rappresaglie, rispettando le forme statutarie previste.

Altra supplica è presentata “da parte de li vostri figliolj Francesco et Marsia de Saino balio di questa communità li quali sonno de età puerile et non è possibile di poterse adiutare de vivere se non li adiuta questa communità magnifica del servito (servizio) del loro patre, che hanno jn mano bene octo bollecte (scritture di credito), che se fosse possibile in acto de misericordia et pietà li se volissero pagare, ad ciò non havissero a perire. Et anchora se questa casa de misericordia li volesse fare exempti de tucte dative jncorse et che potessero jncorrere et questo lo receveranno da questo generoso conseglio de gratia speciale, lo quale dio lo conservi in sanità et bono stato”. Il maggior consiglio concede ai figli del povero Saino l’esenzione per cinque anni. Ma almeno si finisca di pagare lo stipendio che era dovuto al padre, quale baiulo!

Un’ultima supplica è presentata da Angelo de Ritella, che “expone et narra ritrovarsi condennato al libro deli specchi in ducati dece de oro, perché proferisse, secundo se dice, alcune parole in roma che in la ciptà de Amelia era grandissima peste ... et perché ... mai de verità fo che venesse ad tali parole et ad quello tempo lui non se trovava in roma, ma in altro loco, sì come se ne pò fare bona testimonianza per più hominj digne de fede et expone la sua natura non essere garrula et ciarlatrice contra alcuno et tanto più contra la patria sua ...”. Ma il maggior consiglio gli fa grazia soltanto “soluta quarta parte pene” dopo aver pagato la quarta parte della condanna, mostrando, con ciò, di credere alla natura “garrula et ciarlatrice” di Angelo, malgrado le smentite di quest’ultimo. (2011)


13  - Il consiglio dei X del 13 Giugno 1540 deve deliberare, fra l’altro, sul debito da cui la Comunità è gravata “pro taxis equorum decursis” per la tassa dei cavalli già scaduta per un ammontare di ben cinquanta scudi “et commissarius moratur in hospitio et discedere non vult absque pecunijs” ed il commissario preposto alla sua riscossione si trattiene ospite in Amelia e non vuol allontanarsene, senza aver prima riscosso i relativi denari. Il maggior consiglio, riunitosi lo stesso giorno, decide che “revideatur computum salis preteriti et si erunt pecunie solvi debeant pro dictis taxis, alias quod a m.cis Antianis eligantur quatuor Cives qui una cum eis facultatem habeant idonee providendi” si riveda il conteggio del sale e, se vi saranno denari disponibili, si impieghino per detta tassa, altrimenti, che gli Anziani nominino quattro cittadini che, insieme ad essi, abbiano facoltà di prendere idonei provvedimenti; ed, inoltre, “ut in futurum huiusmodi detrimenta contra Comunitatem non oriantur” affinché in futuro la Comunità non subisca danni, che le entrate ordinarie non possano venir utilizzate “absque concilij decreto” senza deliberazione espressa del consiglio.

Inoltre, poiché “maxima fieri damna manualiter dicitur diu noctuque” si dice che vengano arrecati notevolissimi danneggiamenti manualmente, sia di giorno che di notte, alle piante da frutto, il consiglio generale decide che “quilibet damnum dans ad fructus cuiuscumque generis si de die damnum dari contigerit, incidat in penam quatuor Carlenorum, si de nocte, duplicetur; et hoc ultra penam in statuto contentam et quod cuique liceat accipere pignus et lucretur dimidiam partem pene” chiunque arrecasse danni a piante da frutta di qualsiasi genere, se lo farà di giorno, paghi la multa di quattro carlini, se di notte, la multa venga raddoppiata ed a chiunque sia lecito farsi consegnare un pegno dal danneggiante e lucri la metà della pena. 

Occorre anche prendere una decisione circa “arcus heredum Plynij” un arco di proprietà degli eredi di tal Plinio, il quale “minans maximam ruinam” minaccia di crollare: il provvido maggior consiglio decide “quod m.ci d.ni Antiani procurent et faciant sumptibus communis exonerare ne cadens ex aliquod grave damnum alicuj inferat” che gli Anziani facciano in modo che, a spese del Comune, venga evitato ogni danno ad alcuno da parte dell’arco pericolante “et si aliquod ius Evangelista in eo habet, quod requiratur agens et procurator suus” e se un certo Evangelista vanta qualche diritto su detto arco, che venga consultato il suo agente e procuratore. Doveva essere un notevole pezzo grosso quel tal Evangelista, se era necessario contattarlo prima che l’arco decidesse di crollare! 

V’è, infine, da deliberare su di un caso di rifiuto ad esercitare un ufficio pubblico: “moderni officiales montis Pietatis fungi amplius nolunt officio et ceteri recusant” gli ufficiali in carica del Monte di Pietà non intendono seguitare ad esercitare il loro ufficio ed altri non vogliono andarlo a ricoprire. Il maggior consiglio adotta una decisione drastica: “quod omnes qui ad tale officium extrahentur sive deputabuntur seu deputati sunt et exercere recusaverint, incidant in penam duorum scutorum pro quolibet” che tutti coloro che vengono eletti ed incaricati a ricoprire tale ufficio o siano già in carica e ricusino di esercitarlo, siano soggetti alla pena di due scudi per ciascuno. Si vede che avere a che fare con pegni e pignoramenti non era un incarico troppo gratificante!

(2012)


13  -  Con atto rogato dal notaio Tommaso Taddei il 13 Giugno 1567, Frate Ambrogio Eremitano ottiene dai Padri del Convento di S. Agostino la licenza, ratificata dal Generale dell’Ordine, di poter vendere alcuni suoi beni ereditari, alla condizione che un quarto del provento sia passato  al Monastero, che ne ha necessità. Del residuo, fra Ambrogio potrà disporne ed usufruirne liberamente per le sue occorrenze. (2014)


14 - Con lettera inviata agli Anziani il 14 Giugno 1504, annotata il 28 successivo, il Vescovo Cesare Nacci scrive da Bologna, dov'è quale luogotenente del papa:

"Credo che sappiano V.S. como ciaschuno altro de la nostra Ciptà che quando ... prestai alla prefata nostra comunità li milli ducati el mio principale obgecto non fo de comperare terreni ma solamente de servire ed sovenire alla mia comunità et patria come ò facto per altre volte et faria omne volta me occurresse per la quale exponeria non solamente la roba ma la propia persona che cussì vole omne lege naturale canonica et civile è exiquito (ne è seguito) per la impotentia de la restitutione de dicti denari (che) li terreni me sono remasti".

Il vescovo Nacci aveva prestato al Comune di Amelia 1000 ducati, contro garanzia di terreni di proprietà comunale. Non essendo stato il prestito onorato, i terreni stessi passano in proprietà al vescovo, che dà mandato al fratello Ser Eliseo di riceverli in consegna, "dopo mesuratione". Tuttavia si protesta disposto a giovare alla sua Città, anche con la propria persona "offerendome in omne cosa che possa per la mia comunità". (2007)


14  -  Dagli appunti di Mons. Angelo Di Tommaso si ricava che il 14 Giugno 1525 il notaio amerino Camillo Carleni è chiamato a redigere un singolare atto di separazione consensuale. Giovanni di Martino, vercellese, “olitor sive hortolanus in Urbe, in platea S.ti Laurentii in damaso” ortolano residente a Roma in Piazza S. Lorenzo in Damaso e l’onesta donna Sebastiana Galla, sua moglie, essendovi fra di essi discordia, né potendo più vivere in pace “sicut virum et uxorem decet” come si conviene fra marito e moglie, stabiliscono di starsene “ognun de per sé” e che ciascuno di essi “faciat facta sua, prout melius deus inspiravit” si faccia i fatti suoi, come meglio verrà ispirato da Dio. Giovanni restituisce a Bastiana tutto il mobilio che lei aveva portato, promettendo di non darle più molestia, convenendo che entrambe le parti siano libere “solum quoad libertatem vivendi separatim et alteri sine subjectione alterius” di vivere indipendentemente in separazione, senza alcuna reciproca sottomissione. Bella dimostrazione di civiltà e reciproca tolleranza! (2014)


15 - Gli Anziani decidono, in data 15 Giugno 1447, di inviare al papa Niccolò V, di recente eletto nella persona del Cardinale Tommaso Parentucelli , arcivescovo di Bologna, i cittadini Pace di Mario e Ser Mattaluccio di Giacomo, con espresso incarico di perorare perché il Comune di Amelia sia reintegrato in tutti i suoi diritti sul Castello di Foce, che si è dato a Todi e chiedere un breve papale che autorizzi il Comune ad eleggere due sindaci che amministrino gl'immobili della Chiesa di S. Francesco, perché i lavori della fabbrica "propter disordinem dicte Ecclesie, res male procedunt". Infine i detti ambasciatori debbono informare il papa "super constructione unius loci in quo possint habitare fratres observantie", cioè circa la costruzione di un monastero per i frati Osservanti.

Per propiziarsi la benevolenza papale, gli ambasciatori portano a Roma, in regalo da parte del Comune, 61 capponi, 23 "coscie carnium porcinarum salatarum" e tre prosciutti. E buon appetito! (2001)


15 - Il 15 Giugno 1514 vengono impartite disposizioni circa il comportamento da osservare dagli Anziani, durante il loro ufficio. Fra queste, si annotano le seguenti:

-Almeno due di essi risiedano di continuo, dall'ora di mattina fissata fino a notte o, almeno, fino al suono della campana delle 24, nel palazzo della loro solita residenza: "residebunt continue a mane hora competenti usque ad noctem vel saltem usque ad pulsationem xxiv horarum duo adminus moram faciant in palatio eorum solite residentie" e da lì non escano se non per assoluta necessità, come, ad esempio, per malattia propria o di qualche familiare o per morte o per matrimonio di qualche congiunto, o per qualche altro caso fortuito: "et exinde non discedant nisi pro expressa necessitate videlicet infirmitate sua vel alterius de domo sua vel morte vel nuptijs alicuius coniuncti vel aliquo casu fortuitu".

-Nessuno di loro possa, durante la carica, esercitare pubblicamente qualche arte meccanica, né recare con sé qualche attrezzo rustico, né entrare in taverne, né farsi radere presso pubbliche barbierie: "Nullus autem ex ipsis durante officio possit ... aliquam artem mechanicam publicam exercere nec portare aliquod instrumentum rusticalem nec introire tabernas nec facere se radi in apotecis publicis".

Particolari disposizioni riguardano la loro tenuta:

-Non possano indossare vesti o panni di lana, se non colorati, né mantello con cappuccio, né scarpe bianche, né copricapo di panno, ma solo fatto a punta o a cappuccio; pena dieci libre di denari per ogni infrazione: "nullam vestem aut pannum de lana induere possint nisi colleratum nec possint portare clamidem ad scaparutium nec calligas albas nec biretum de aliquo panno sed factum ad acum sive caputeum et qui contrafecerit solvat pro qualibet vice nomine pene libras denariorum decem".

-Gli Anziani estratti dal bussolo, prima di iniziare il loro ufficio, debbono portare il mantello senza cappuccio, lungo almeno fino a metà gamba, di color rosato, paonazzo, nero o bruschino (?) e chi volesse entrare in carica senza tale mantello, di detta misura e colorazione, non venga ammesso, sotto pena di 50 libre di denari: "omnes Antiani de dicto bussulo pro temporibus publicandis teneantur et debeant ante introytum sui offitij facere et portare clamidem sive mantellum sine scaparutio lungum ad minus usque ad mediam gambam coloris rosati sive paonatij sive nigri sive bruschini et quicumque voluerit intrare ad offitium antianale sine dictis mantellis longitudinis et coloris predicti non admictatur modo aliquo ad offitium sub pena quinquaginta librarum denariorum". (2006)


15 - Nel Consiglio del 15 Giugno 1418 si dà lettura della seguente "letterina" inviata a podestà ed Anziani di Amelia dal Capitano Tartaglia di Lavello:

"Come sapete (!) noi simo in grande necessità de denari et non potemo fare che non gravamo vuy et laltri per potere sostentare questa nostra compagnia (ci mancherebbe altro!) Pertanto ve pregamo che date ordene et modo expeditius ad quelli ducento ducati (che) devete pagare per lo subsidio (leggi "taglia") secondo (come) site remasi (sic) daccordo con Donato nostro Castellano dorte (di Orte) de la quale cosa ad me ne compiacerite assai perché navemo gran necessità".

Questo, per quanto riguarda i quattrini. Ma vi sono altre richieste:

"Ceterum (inoltre chiedo che) voy podestà cassiate lo processo (che) havete facto contro de Jacovo de Tristano da Terani (Terni), del malefitio commesso cum Jacovo de Garofino damelia che non manche. Et ad quello Judeo se fusse  della prescione (in prigione), anche volemo non sia molestato né gravato de niente. Valete (State sani, se potete!)". (2007)


15  -  Il 15 Giugno 1501 nelle riformanze risulta trascritto un breve papale inviato da Roma il giorno 11, mediante il quale viene reso noto agli Amerini, chiamati “dilectissimi filij”, che “jntra paucos dies jstinc pertransibunt gentes Christianissimi francorum regis, cum machinis et tormentis bellicis” entro pochi giorni passeranno da quelle parti le genti del cristianissimo re dei Francesi, con artiglierie e macchine belliche. Esorta, quindi, i “figli dilettisimi”, a rifornirle “de victualibus et alijs necessarijs pro justo et convenienti pretio” dei vettovagliamenti e di quanto altro necessario, ad un giusto e conveniente prezzo “easque gentes benigne in suo transitu in nostris terris et locis recipi et bene ac perhumane tractari volumus” e comanda che dette genti armate, durante il loro passaggio attraverso le terre soggette al papa, siano ricevute benevolmente e trattate più umanamente possibile, “ita ut dictis gentibus ita ordinate et sufficienter provideatis, ut nulla victualibus defectu confusio aut scandalum” in modo che da voi sia provveduto in modo ordinato e sufficiente, senza carenza dei rifornimenti, o possibilità di confusione o disordini, “quod sine vestro damno aut discrimine fieri non posset” il che non potrebbe accadere senza vostro danno e rischio.

A buon intenditor ... (2010)


15  - Il 15 Giugno 1536 nel consiglio generale, riunitosi assieme ad un collegio di trenta probiviri, Laurelio Laureli “prestantissimus vir”, propone che il baiulo Alvaro Rapeale, secondo quanto da lui richiesto, venga eletto “portitor”, cioè gabelliere della Porta Posterola. In aggiunta, Ser Ludovico Nacci propone che lo stesso Alvaro “teneatur pro fabrica domuncule dicte porte expendere de suo salario ducatos tres et tres alios Communitas Amerie” provveda ad eseguire la costruzione di una piccola casetta, a fianco della stessa porta (da adibire, con ogni probabilità, al ricovero dello stesso gabelliere), impiegandovi tre ducati del suo salario, mentre altri tre ducati saranno a carico della Comunità di Amelia.

Nello stesso consiglio, essendo prossima la venuta in Amelia del Cardinale Legato Marino Grimaldi, Pompilio Geraldini “ornatissimus vir” propone “quod primo habeatur informatio a Civitatibus que ipsum receperunt” che, per prima cosa, si prendano informazioni dalle città che già lo hanno accolto (forse per evitare brutte figure!) ed “eligantur per Dominos Antianos sex cives qui habeant prefatum R.mum D. honorifice recipere” gli Anziani eleggano sei cittadini, con l’incarico di far onorifica accoglienza al Legato “recipiantque mutuo a monte pietatis pecunie necessarie et pro quinquaginta ducatis dentur ducatj sex aut septem” e dal Monte di Pietà assumano a mutuo cinquanta ducati, corrispondendo un interesse di sei o sette ducati. I cittadini eletti per svolgere tale compito sono: Laurelio Laureli, Pompilio Geraldini, Giovanni Battista Moriconi, Angelo Ceracchini, Vincenzo Crisolini e Stefano Boccarini.

Inoltre, “super bono publico”, si delibera che gli Anziani, di concerto e con l’unanime consenso del consiglio dei X, “provideant ne alicuj fiat igniuria (sic)” prendano i necessari provvedimenti affinché a nessuno venga recata offesa: forse a qualcuno stava sul naso il Legato o persona del suo seguito? (2012)


15  - Il 15 Giugno 1328 gli Anziani Messer Francesco Nicola, Marco Stracce, Glorio Rainalducci, Niso Angeli e Bussolino Rubei, volendo che Amelia renda degno omaggio all’Imperatore Ludovico il Bavaro, insediatosi a Roma fin dal 7 Gennaio, “elegerunt et nominaverunt infrascripti ambassiatores qui vadant ad dominum Imperatorem et ad dominos Senatores” eleggono e nominano ambasciatori a riverire tanto il Bavaro che il Senato di Roma “super obedientia et reverentia” per fare atto di omaggio e di sottomissione, Cecchino e Giannotto di Alviano, Polello di Corrado e Pellegrino di Cioccio, il quale ultimo, pago dell’onore ricevuto, “dixit et affirmavit se nihil debere recipere pro ambassiata predicta, sed velle quod solvantur dictis Cecchino, Jannocto et Polello iijC. florenos salarium deputatum pro ambassiata predicta” rinuncia alla sua parte di trecento fiorini stanziati quale onorario per l’ambasciata, a favore degli altri tre. Raro e prezioso esempio di dignità e disinteresse, da additare anche agli ambasciatori dei nostri giorni! (2014) 

 

16 - In Consiglio, in data 16 Giugno 1330, gli Anziani "ordinaverunt, pro honore et statu dicti comunis et populi quod fiat unum vexillum magnum et unum penonem expensis comunis, in quibus ponantur arma comunis et populi consueta" si ordina che vengano confezionati uno stendardo grande ed un pennone con le armi del Comune ed a spese dello stesso "et camerarius comunis qui nunc est vel pro tempore fuerit teneatur infra XV dies, a die publicationis presentis ordinationis, predicta fieri ad penam C solidorum de suo salario" e viene comandato al camerario, che, entro 15 giorni dalla pubblicazione del detto ordine, faccia eseguire quanto deliberato, sotto pena di 100 soldi, da detrarsi dal suo stipendio. (2001)


16  -    Nel consiglio decemvirale del 16 Giugno 1470 si tratta, fra l’altro, di una questione che interessa diversi cittadini di Amelia. Molte lettere sono state inviate dalla nostra Comunità a quella di Lugnano perché, a norma di statuto, provveda che “aliqui debitores illius loci satisfacerent certos cives amerinos creditores certorum de Lugnano” certi debitori di quel luogo soddisfino alcuni cittadini di Amelia loro creditori e costoro “minime fecerunt et, quod pegius est, non se dicta communitas Lugnani dignatam est respondere licteris dominorum Antianorum et communitatis Amelie” non se ne diedero per intesa e, quel che è peggio, la detta Comunità di Lugnano non si è neppure degnata di rispondere alle lettere inviate dagli Anziani e dalla Comunità di Amelia; di conseguenza, “videretur forte justum et consonum represalias concedere contra lugnanenses ad petitionem civium ameliensium creditorum illorum de Lugnano” sembrerebbe giusto e conveniente concedere ai creditori amerini, su loro istanza, il diritto di rappresaglia contro i lugnanesi. Il consigliere Gavino Ludovici appoggia tale tesi, aggiungendovi un carico da undici: secondo lui, “quando aliquis lugnanensis fuerit captus pro dictis represalijs, mictatur et carceretur in turri campanilis magioris communis Amelie” quando qualche lugnanese verrà catturato in seguito alla concessione delle rappresaglie, venga carcerato nella torre del campanile maggiore del Comune di Amelia.

Nello stesso consiglio viene presentata anche la seguente supplica da parte di tal Francesco di Olimpiade, “dicente et exponente como che nel tempo deloffitio dela potestaria de Bartolomeo da Trevi potestà proximo passato (1468) et etiam del presente Misser lupotestà dela dicta Cità damelia è stato proceduto contra luj per casione de certa percussione con sangue et rissa per luj facta contra Toso de Bartoluccio dela dicta Cità damelia, per laquale ipso exponente é stato condampnato in ducati doro cinquanta, senza alcuno benefitio, da essere dati et pagati al generale camorlengo del dicto communo fra dece dì già passati, et non pagando fra dicti dece dì, che debbia pagare loduppio, como che più largamente appare nel dicto processo contra luj formato et in nella sententia lata ala quale sereferisce. Et perché luj è poverissima persona et prima poteria morire in presione, che pagare la dicta quantità et perché ha hauta et observa bona pace et concordia cola parte offesa et lui è tornato a obedientia de misser lupotestà et deli M.ci S. Antiani et essè (si è) obligato pagare la quarta parte dela dicta condampnasione in quanto per misericordia del consiglio seli remectano tucti libenefitij concessi dalustatuto, come se ipsi benefitij havesse hauto fra litermini delustatuto, vedignate ordinare et reformare et allui gratia et remissione fare che li siano remesse le tre parti dela dicta condempnasione, come se usano remectere aqulli che hanno tucti libenefitij et che pagando lui la quarta parte restante, lisia cassa et annullata la dicta condampnasione et sententia liberalmente, offerendose pronto presto et aparechiato atucti commandamenti de V. M. S. et a stato honore et gloria (addirittura!) dela M.ca communità damelia et delsuo presente pacifico stato. Et dio conserve le V. M. S. et la dicta communità in felicissimo stato”.

Ottiene la remissione della pena al quarto. (2009)


16  -  Il 16 Giugno 1329 gli Anziani Pietro di Messer Pietro, Messer Amanato, Buzio di Martino, Buzio di Pietro, Erricuccio di Massarozio e Messer Merullo di Cecco, per la conservazione dello stato della Città, deliberano ed ordinano al Camerario che vengano pagate undici libre e tre soldi “pro spiis et nuntiis secretis missis ... pro statu Civitatis” per le spie ed i messaggeri segreti inviati per tale scopo. (2014)


16  -  Il 16 Giugno 1561 il notaio Fazio Piccioli è richiesto dal Rev. Flavio Crisolini di ricevere il suo testamento. Premette di essere stato Segretario dei Brevi sotto Leone X e Clemente VII, di aver avuto lucrosi uffici in Roma alla presidenza dell’annona, come collettore del piombo e del Monte della Fede, di aver avuto in dono cinquecento ducati d’oro  da Paolo III; fa, quindi trascrivere tre brevi, di cui uno di Paolo III e due di Giulio III, con i quali gli viene concessa la facoltà anche di testare delle rendite dei benefici ecclesiastici di cui era investito, in considerazione dei servigi prestati alla Curia e della sua buona fama come ecclesiastico. Fa, quindi, una rassegna dei beni immobili, cioè due case e diciotto appezzamenti di terreno, nonché dell’argenteria tenuta in casa. Raccomanda l’anima a Dio, lascia un ducato a ciascuna chiesa e ad ogni monastero, tranne a quello di S. Caterina, cui ne assegna dieci. Vuol essere sepolto in Cattedrale, nella Cappella di S. Giorgio, di patronato della sua famiglia. Benefica i servi e le serve e nomina erede universale Vincenzo suo fratello e, dopo di lui, il figlio Giovanni; se quest’ultimo morisse senza figli, neppure illegittimi (“bastardi”), dispone che “de domo sua posita in Civitate Amerina in contrada platee fiat Monasterium Monialium sub regula S.ti Benedicti et ecclesia dicti Monasterii erigatur sub nomine et in honorem Sancti Joannis Evangeliste” nella sua casa sita in Amelia, in contrada di Piazza, venga creato un Monastero di monache, sotto la regola di S. Benedetto; la chiesa di detto Monastero venga eretta sotto il titolo ed in onore di S. Giovanni Battista ed il Monastero sia sottoposto alla cura del Vescovo e del capitolo, a cui spetti sia l’elezione dell’Abbadessa, che l’accettazione delle monache -sino a quindici- che potrebbero venir accettate anche senza dote, bastando le rendite dei suoi beni, che passerebbero al detto Monastero. (2015)


17 - S. Imerio. Si ritiene che S. Imerio abbia amministrato la Diocesi di Amelia nell'anno 524. Alla sua morte, venne sepolto nella Cattedrale. Nell'anno 965, Ottone I ottenne dal vescovo pro-tempore la traslazione del corpo del Santo a Cremona, dove è tuttora venerato nel maggior tempio di quella città. (1996)


17 - Il Concittadino archeologo Melchiade Fossati, incaricato di eseguire uno scavo sulla strada interna detta di S. Elisabetta, previa autorizzazione del Cardinal Giustiniani, Vescovo di Albano e Camerlengo della S. Romana Chiesa, il 17 Giugno 1840 indirizza al Gonfaloniere di Amelia la seguente lettera di ringraziamento per le espressioni di apprezzamento dell’opera sua, da lui formulate in una sua precedente comunicazione:

“Con soddisfazione estrema ho trovato che la lettera  di V.S. Ill.ma siccome fà chiara testimonianza della poca mia abilità assai al di sopra di quel che io valga, così servirà di perenne prova della nobilità di carattere, e della cortesia Sua singolare. E tutto ciò pur mi sprona a corrispondere così, che farò del mio meglio perché lo scavo affidatomi sia convenientemente condotto, e venga a buon risultato. Aggiungo che lorché v’è di mezzo l’onor patrio, i sacrifizi di tempo e d’interesse non pesano a cuori ben fatti.

“In oggi che le scoperte monumentali sono avidamente ricerche e altamente comendate da tutti i culti Popoli, noi che vantiamo nostra una Città delle più vetuste e famigerate (sic) d’Italia dobbiamo in simili ricerche  gareggiare tra’ primi, anzi che ristare neghittosi.

“Sia dunque con fausti auspici che il tutto avanzi.

“Perdoni queste poche soverchie frasi, accolga i miei sentimenti di alta stima e mi permetta di segnarmi costante di V.S.Ill.ma D.mo Servo Melchiade Fossati”. (1997)


17 - Asdrubale Mattei, "perpetuo padrone della terra di Giove", per aver acquistato nel 1597 il feudo già tenuto dai Farnese, ha fatto intendere di essere disposto a far costruire un convento di frati riformati a San Rocco, sul terreno tenuto da Messer Menico Parcha, alle condizioni che la Comunità si obblighi a mettere a disposizione, oltre al detto terreno, anche le forniture di calce, pozzolana, pietrame ed acqua necessarie all'opera.

La proposta viene presentata al Consiglio generale pubblicamente convocato dai Priori Giovanni d'Anselmo, Antonio de Ludovico, Ruggero di Giovanni e Bernardino Piccialuto.

Il Consiglio è chiamato a deliberare in merito.

Quanto sopra è stato ricavato dagli Atti consiliari del Comune di Giove, sotto la data del 17 Giugno 1601.

Si deduce che la delibera abbia avuto esito positivo, perché il convento venne poi costruito e successivamente ampliato: può ancor oggi riconoscersi nel fabbricato sito in Giove, al Voc. Giardino, c.n. 204, di attuale proprietà del Sig. Gastone Pevarello, che ne ha curato il restauro, rispettando al massimo le antiche strutture. (1996)


17 - Nelle riformanze risulta trascritta la lettera inviata da Gaeta il 17 Giugno 1446 agli Anziani di Amelia da Alfonso d'Aragona, ("Rex Aragonum et utriusque Cicilie, etc.") alleato del Papa, nella lotta contro Francesco Sforza, che minaccia irruzione nel territorio. Ne riportiamo alcuni brani:

"Havemo inteso el conte Francescho Sforza havere posta fama volere venire in questi vostri pagesi et oprimere per guerra tucto quello pagese et anche vessarve et molestarve grandemente, la quale cosa havemo noi intesa ne despiace della turbatione che per quella occasione ve sia data. Inperciò considerata la fede et constantia che havete havuta sempremai a lo stato de nostro S(ignore) lo papa et de Sancta Chiesia simo molto consolati credendo che besognando faressimo et farite como verj et boni Vassalli de la sua S(antità) et de Sancta Chiesia. Noi anche a ciò ve confortamo per multi respecti, et primo per vostro honore et daltro canto considerato che lo stato pacifico de nostro Signore et de Sancta Chiesia reputamo per proprio. Et perciò ve preghamo vogliate essere solliciti et vigilanti bisognando alo Stato predicto ca ve confortamo che havendo noi de bisognio ve farimo tucto favore et adiuto che porrimo de mandare la nostra gente in aiuto et favore vostro, ultra quello che ja havemo dato, et anche essendo necessario ce anderimo in persona con tucto exercito et ne opporrimo ad vostra defensione per tale modo che lo dicto Conte haverà de caro voialtri lo voliate lassare andare in pace et de questo ve advisamo ad vostra consolatione".

Se Alfonso d'Aragona si mostra dispiaciuto delle molestie che Francesco Sforza potrà dare agli Amerini, figuriamoci quanto doveva dispiacere a questi ultimi, che, oltre a tutto, avrebbero dovuto anche dimostrare al papa di essere suoi buoni vassalli! (2005)


17 - Sotto la data del 17 Giugno 1750 viene presentata dai “Capo Mastri Muratori” Sebastiano Toti e Mastro Carlo una relazione tecnica sulle condizioni del Palazzo del Governatore, del seguente tenore:

“avendo visitato questo Publico Palazzo Abitazione delli S.ri Governatori e quello diligentemente osservato, l’avemo trovato e riconosciuto in cattivo stato, particolarmente due stanze superiori a quelle del Monte della farina minacciano roina per esser li muri fessi, ed aperti in più parti, ed i tetti mezzi rovinati, e quasi per tutto piove, come ancora li mattonati quasi tutti guasti, et ha di bisogno di alcuni travi, travicelli, recorrenti, coppi, et altri materiali, e di un sollecito risarcimento, perché potrebbe in qualche parte rovinare, particolarmente le sopradette due stanze, per li quali necessarj risarcimenti con la compra delle stanze di sotto spettando a detto Monte, contigue alle carceri, della valuta di scudi 60 in circa secondo uno scandaglio da noi fatto, giudichiamo che possa ascendere la spesa in tutto a scudi duecento in circa, compresoci materiali, opere di muratore, et ogn’altra spesa, che è quanto secondo la nostra peritia e conscienza potiamo attestare”.

La “ruina” paventata dai “Capo Mastri” Sebastiano e Carlo avvenne, poi, il 29 Aprile 1817, come ricorda una lapide murata in situ. (2008)


17  -   Il 17 Giugno 1531 il notaio Francesco Fariselli è richiesto di stipulare, nella chiesa di S. Lucia, “posita in contrata burgi” sita nella contrada di Borgo, il contratto di promessa che “Petrus Johannes Evangeliste dictus pape de ameria” Pietro di Giovanni Evangelista, detto Papa, di Amelia, fece a Giovanni Francesco, anch’esso amerino, “quod domina Casandra eius filia recipiet in suum legitimum sponsum et maritum dictum Johannem Franciscum” che sua figlia Cassandra prenda in suo sposo e marito il detto Giovanni Francesco, “salvo et servato quod non reperiatur aliquid quod esset contra ritum s. matris ecclesie” salvo che non vi sia qualcosa di contrario al rito di Santa Madre Chiesa “et versa vice dictus Jo. franciscus promisit dicto petro Johanni ibidem presenti se recipere et velle in suam legitimam sponsam et uxorem dictam dominam Casandram, salvo et reservato ut supra” ed a sua volta, detto Giovanni Francesco promette a Pietro Giovanni di voler prendere come sua legittima sposa la detta Cassandra, salvo quanto detto sopra. Quindi, il futuro suocero ed il futuro genero si obbligano vicendevolmente a rispettare quanto promesso, sotto pena di duecento ducati, senza nulla chiedere a donna Cassandra, il cui consenso -come sempre- si dà per scontato o, meglio, per non necessario. Ma chi era lo sposo? Nientemeno che il nostro pittore Gian Francesco Perini! (2014)


18 - Latino Archileggi espone, nella seduta consiliare del 18 Giugno 1559, che, poiché il gabinetto di decenza del palazzo del Podestà minaccia rovina, gli Anziani vogliono che venga chiamato un maestro lombardo che faccia un sopralluogo e provveda per l’esecuzione del lavoro da compiere.

 La proposta viene approvata a maggioranza di voti. 

Talvolta occorre occuparsi anche delle piccole cose, quando risultino utili, anzi necessarie. (2000)


18 - Niccolò di Giovanni Celli, cittadino amerino, inviato quale ambasciatore al Capitano Braccio Fortebracci da Montone, riferisce nel consiglio del 18 Giugno 1418 che lo stesso Capitano chiede al Comune di Amelia che "mictantur in campum quatraginta famuli cum rotellis et balistis" gli siano inviati 40 militi da mettere in campo con scudi e balestre. Nel successivo consiglio del 25 Giugno si riferisce che "ad requisitionem magnifici domini Braccij de Fortebraccijs Perusij et de mandato magnifici domini Tartalie de Lavello capitanei" a richiesta del magnifico Braccio Fortebracci di Perugia e su comando del magnifico capitano Tartaglia di Lavello, "per presentes dominos Antianos missi fuerunt ad campum contra Mugnanum quadragintaseptem pedites, quorum trigintaquatuor steterunt quatuor diebus et tredecim steterunt quinque diebus" dagli Anziani vennero mandati in campo contro Mugnano 47 militi, dei quali 34 si trattennero 4 giorni e 13 cinque giorni "ad rationem et pro stipendio octo bonon. pro quolibet eorum et quolibet die, pro quorum stipendio et salario imposita et exacta fuit quedam prestantia" con il soldo di 8 bolognini al giorno per ciascuno di essi, per la cui soddisfazione gli Anziani ricorsero a qualche prestito. Poiché lo "scherzetto" venne a costare la somma di "librarum ducentarum unius" 201 libre, si chiede "unde veniat pecunia" da dove prendere i soldi per rimborsare i prestiti. Se ne discute nel consiglio generale del giorno seguente, nel quale si riconosce che le spese affrontate su ordine degli Anziani "apparent et sunt licite admictende necessarie et inevitabiles" sembrano e sono lecite, ammissibili, necessarie ed inevitabili e, quindi, possono venir poste dal Camerario fra quelle da assumersi dal Comune (leggi "Pantalone"). (2007)


18 - Nel maggior consiglio del 18 Giugno 1673 occorre cercar di risolvere un problema relativo al mercato alimentare.

“Essendo che li Signori Grascieri han fatto compra de molti castrati et essendosi fatto scannaglio si trova che a vendere quattro baiocchi la libra con fatiga non si rimette, ma perché si sente lamentar la gente per esser cara et anche per dubitare che non rimetta il quattrino della carne (imposta sulla vendita), si fa sapere alle Signorie Loro acciò dichino “quid agendum” (cosa fare).

La cosa migliore che si sarebbe dovuta fare, sarebbe stata, forse, di “fare scannaglio” (cioè fare un sondaggio) circa la convenienza dell’affare prima e non dopo l’acquisto dei castrati! (2008)


18  -  Arriva in Amelia il Commissario di papa Alessandro VI, Antonio Magistrelli di Mantova, recando due brevi scritti in data 18 Giugno 1495 e trascritti nelle riformanze il 21 successivo, accolto “gratiosissime” dagli Anziani e dai cittadini “ex primatibus Civitatis” più eminenti della città. Dei detti brevi, uno riguarda l’investitura del latore a Commissario papale e l’altro, diretto agli Anziani, ai quali significa: “accepimus non sine animi displacentia quod vos molestatis et inferitis  damna in terris et rebus dilecti filij Bartolomei De Alviano, stipendiarij nostri” di aver saputo, non senza dispiacere, che gli Amerini hanno molestato ed inferto danni nelle terre e nei beni del suo “diletto figlio” Bartolomeo d’Alviano, al soldo del pontefice “Ea propter mandamus vobis sub indignationis nostre et rebellionis et confiscationis bonorum vestrorum pena quatenus ab omni molestatione et damnis contra homines, oppida et bona quecumque predicti Bartholomei omnino abstineatis” per tale ragione, ingiunge, sotto pena della indignazione del papa e dell’accusa di ribellione e della confisca di tutti i beni degli Amerini, che sospendano immediatamente qualsiasi azione di molestia e di danneggiamenti contro gli uomini, i castelli ed i beni del detto Bartolomeo e sue genti “et si quas gentes ad damnificandum illuc miseritis, statim receptis presentibus, eas revocetis si cupitis indignationem nostram et alias predictas penas evitare” e se vi manderanno genti a recare danno,  dopo la ricezione del breve dovranno immediatamente richiamarle, se vorranno evitare l’indignazione papale e le altre minacciate pene.

Da parte degli Anziani e degli altri presenti, si accoglie quanto esposto nel breve, dichiarandosi “paratissimos parere et obbedire mandatis prefati S.mi D. N. pape et Commissarij sue beatitudinis” dispostissimi a sottomettersi ed obbedire agli ordini sia del papa, che del suo Commissario. La pace verrà solennemente firmata il 28 successivo. (2010)


19 - Entro due grandi teche appese alle pareti dell'anticappella Farrattini, in Cattedrale, si conservano due stendardi turchi, che una tradizione orale vorrebbe tolti a vascelIi saraceni nelIa battaglia combattuta nelle acque di Lepanto il 7 0ttobre 1571, alla quale avrebbero partecipato anche alcuni amerini, agli ordini di Marco Cansacchi e Pirro Geraldini e sotto l'alto comando di Marcantonio Colonna, capitano generale della flotta pontificia.

Altri avrebbero formulato l'ipotesi che gli stendardi sarebbero stati catturati durante l'assedio di Candia (caduta in mano ai turchi nel 1669).

Di almeno uno di essi, però, possediamo una documentazione che, pur non confermando una storia tanto prestigiosa, avrebbe almeno il pregio di una maggiore credibilità.

Tale documentazione è contenuta nel manoscritto del fascicolo I° della "Raccolta di Notizie ed appunti sull'antica Città di Amelia", di Antonio Cerasoli (anno 1611) ed è rappresentata dalla seguente:

"Lettera di D. Serafino de' Amelia comandante la Galera Pontificia S. Pietro che tolse combattendo uno stendardo ad un Vascello Turco catturato nelle acque di Civitavecchia (!?).

“Ill.mi Sig.ri e Padroni Coll.mi.

“Nel prendere il Vascello Turco le nostre Galere Pontificie, la mia Galera S. Pietro fu la più vittoriosa e la meno offesa per li meriti di Santa Fermina gloriosa, mentre io animando la soldatesca con le Reliquie in mano fu coraggiosamente preso uno Stendardo, quale voto si trasmette alle Signorie loro, acciò pomposamente si ponga sopra l’altare di S. Fermina o che altro loco palese; supplicando le Signorie loro in quel giorno sponeranno lo Stendardo voler cantare una messa nell'altare di S. Fermina, acciò essa Santa assisti con particolare patrocinio alle nostre Galere.

“Per le indisposizioni acquistate da me nella presa del Vascello, m'hanno ritenuto ed adesso appunto mi porto in calesse alla volta di Roma per curarmi dove starò attendendo la benigna risposta dalle Sig.rie loro, mentre in fretta facendoli profondissima riverenza mi sottoscrivo.

“D. S.S. Loro Ill... Civitavecchia lì 19 Giugno ... (manca l’indicazione dell’anno)

“Um. Dev.mo Ser.o D. Serafino d'Amelia.

“Alla quale (lettera) sog(giungo), caso che la Bandiera se fosse venuta domandata da Roma da qualsivoglia persona, avertino di non lasciarla, senza il consenso della sacra Congregazione, mentre è data per voto". (1996)


19 - Il 19 Giugno 1779 in Consiglio comunale si discusse del seguente argomento:

“Si propone alle SS. LL. esserci stato rappresentato da questo nostro Sig. Gonfaloniere che il giorno 12 del corrente giugno, mentre il di lui servitore spozzava l’acqua da questo Pubblico Pozzo, li vennero nel secchio alcune ossa e particelle di carne umana indicanti, secondo la perizia di Giudizio del Sig. Sisto Girotti, n.ro chirurgo condotto, essere quelli di una creatura, onde per non far incorrere il Popolo che fa uso di detta acqua, in qualche infezzione, si propone se paia farsi spurgare il suddetto pozzo.

“L’Ill.mo Sig. Felice Sandri, consulendo dixit: Sono di sentimento che si faccia spurgare il suddetto pozzo, e per tale oggetto si diano le facoltà al Can. Stefano Cansacchi al presente Massaro, e il denaro occorrente per la spesa dell’opera si debba prendere dalla Cassa delle Strade e far uso dell’opere di Commune alle quali dovrà darsi un pavolo al giorno e qusto mio consulto vada a partito.

“Fu posto a partito il sud. consulto e forno raccolti tutti voti favorevoli.

“E rese le grazie a Dio, fu dimessa la suddetta Congregazione”.

Di chi fossero quei miseri resti e di chi avesse commesso quell’infanticidio,  non venne fatta neppure una parola: si trattò la faccenda come se, nel pozzo, “grazie a Dio”, fossero stati rinvenuti soltanto i resti di un gatto! (1999)


19  -   Il 19 Giugno 1745 la Sacra Congregazione scrive da Roma al Governatore di Amelia, facendo presente che “è certamente necessario che da cotesta Communità si pensi sollicitamente al modo di pagare almeno i frutti decorsi e che vanno decorrendo de censi che l’è convenuto d’imporre per causa degli ultimi passaggi ed accantonamenti delle Truppe Straniere (spagnole)”.

Si propone che, “per tutto Agosto, si continui l’esigenza (cioè la riscossione) di un grosso per sacco nel macinare e dal primo settembre in là mezzo grosso per sacco, ad effetto con il ritratto (ricavato) pagarne i frutti dei censi imposti per il passaggio suddetto, da durare fino a che si prenda altro temperamento (risoluzione)”.

Con il continuo viavai di truppe straniere dalle nostre parti, i poveri Amerini ne avevano di sacchi da macinare! (2009)


19  -  Il 19 Giugno 1327 viene presa una singolare decisione consiliare nei riguardi di una petizione presentata “per Johannes quondam Salamonis (sic) olim iudeum petentem sibi, fratri et filiis  pietatis intuitu proviideri” da Giovanni del fu Salomone, un tempo giudeo, chiedente per sé, suo fratello e suoi figli che venga aiutato, per spirito di pietà, con qualche sovvenzione. Vezio di Mastro Galgano propone che al povero Giovanni, che, evidentemente, si era convertito al cristianesimo, da parte del Comune si dia una pubblica sovvenzione di dieci libre. Sperando che lo stato di ristrettezza economica in cui versa attualmente Giovanni non gli faccia sorgere dubbi circa l’avvenuta conversione!  (2014)


19  -  Il 19 Giugno 1492 gli Eremitani di S. Agostino danno a cottimo a Mastro Martino Tartaglia, lombardo, la costruzione delle volte e delle logge del chiostro, con materiali a spese di Mastro Martino, eccetto il legname ed il ferro. Il lavoro dovrà venir completato entro il mese di Ottobre e con il patto che Mastro Martino possa cavar le pietre dall’orto dei frati. Per il corrispettivo di ducati sessantacinque. Al contratto di cottimo erano presenti i deputati del Comune Angelo di Giovanni Petrignani e Passero di Pier Luca. (2015)


20 - Il 20 Giugno 1409, dinanzi agli Anziani si presenta il "Vir Nobilis Mastinus de Captanis", cioè Mastino de Capitanis, quale Commissario per la nostra Città, esibendo agli stessi Anziani la sua lettera credenziale di nomina da parte di Marco Corario (Correr), scritta il giorno innanzi da Bagnoregio, nella quale il Corario si definisce "domini nostri pape nepos, patrimoni et Urbisveteris et nonnullarum terrarum castrorum et locorum pro eodem domino nostro papa et sancta romana Ecclesia rector generalis spetialiter deputatus", cioè nepote di nostro signore il papa (Gregorio XII) e Rettore generale del Patrimonio, di Orvieto e delle altre terre, castelli e luoghi, specificamente a ciò deputato per conto dello stesso papa e della Chiesa di Roma. Al nominato Commissario, che il Corario definisce "sotio nostro", cioè associato a sé e "de nobilitate, sinceritate, fidelitate comprobata" di provata nobiltà, sincerità e fedeltà, viene conferita, nei confronti della nostra Città, ogni facoltà "faciendi, gerendi et exercendi, quoscumque vero capiendi, arrestandi, carcerandi, ligandi, torquendi, puniendi suspendendi delinquentes", cioè di agire, gestire ed amministrare, nonché di catturare, arrestare, carcerare, incatenare, torturare ed impiccare ogni delinquente; e chi più ne ha, più ne metta.

E' da rilevare quanto ci tenga il Corario a definirsi "nepote del papa", anteponendo tale qualità ad ogni altra (forse proprio perché doveva essere l'unica da cui gli derivasse ogni autorità).

Il giorno successivo, il neo Commissario Mastino fa bandire per tutta la Città dal trombetta Paolo Cipiccia che tutti coloro che possedessero "de bonis et rebus" cioè dei beni di proprietà del Vescovo Stefano Bordoni, napoletano (già Presule di Amelia, alla cui sede era stato eletto fin dal 7 Maggio 1392, e successivamente trasferito alla sede di Pozzuoli) debbano comparire "coram dicto Mastino" dinanzi allo stesso Mastino e depositare quanto avuto in consegna o affidamento, in qualsiasi modo, dal Vescovo Stefano. Coloro che non ottemperassero, "puniantur et incidisse intelligantur in penam centum florenorum" siano puniti e ritenuti passibili della pena pecuniaria di 100 fiorini. 

In luogo del Vescovo Bordoni, papa Gregorio chiama a coprire la sede amerina fra Andrea Moriconi, patrizio amerino, che occupava la sede vescovile di Nocera. (2007)


20  -   Il 20 Giugno 1472 Giacomo Tornana, Sindaco del Comune di Amelia, con il consenso, la presenza e l’autorizzazione degli Anziani, agendo in nome e per conto dello stesso Comune, “dedit, cessit, concessit et transactavit (sic) penitus ac stabilivit Magistro Johannj dominici logmbardo (sic) muratori” diede, cedette, concesse, definì interamente e stabilì -in breve: diede in appalto- a Mastro Giovanni Dominici muratore lombardo “fabricam seu reparationem menium Civitatis Amelie prope portam pusterule dicte Civitatis” la fabbrica, ossia la riparazione delle mura cittadine presso la Porta di Posterola “pro pretio et ad rationem octo ducatorum pro qualibet pertica dicte fabrice seu reparationis ad bononenos lxxij pro singulo ducato eidem magistro persolvendos pro rata de pecunijs et ere dicti Communis” per il corrispettivo di otto ducati per ogni pertica di muro fabbricata o riparata, in ragione di 72 bolognini per ducato, da pagarsi a detto Mastro ratealmente, con denari dell’erario comunale “cum hoc quod dictus Magister Johannis possit ac ei liceat fodere lapides pro dicta fabrica seu reparatione ubicumque sibi videbitur et placebit” convenendo che detto Mastro Giovanni potesse estrarre le pietre necessarie a detta opera ovunque gli sembrasse opportuno “et e contra dictus Magister Johannis promisit et convenit eidem Sindico dicto nomine supradicta menia fabricare seu reparare ad usum bonj et lealis muratoris” e, a sua volta, Mastro Giovanni si impegnò nei confronti del detto Sindaco, di eseguire il lavoro secondo l’usanza di abile e leale muratore “et ad maiorem omnium promissorum cautelam dictus Sindicus dicto nomine et prefatus magister Johannis juraverunt ad Sancta dey Evangelia scripturis corporaliter manu tactis et jurando promiserunt et convenerunt invicem et inter se predicta omnia et singula attendere et observare et contra non facere vel venire quoquo modo sub ypoteca et obligatione omnium eorum et cuiuscumque ipsorum bonorum dicto nomine” ed a maggior cautela circa l’osservanza di quanto rispettivamente convenuto, il Sindaco, a nome del suo rappresentato e Mastro Giovanni giurarono sui Santi Vangeli, toccando materialmente con mano le sacre scritture, di onorare le proprie  obbligazioni e di non trasgredirle in alcun modo, offrendo in garanzia le rispettive proprietà “cum refectione dannorum salariorum expensarum ac interesse litis et extra” sotto pena del risarcimento dei danni, dei (mancati) corrispettivi e delle spese giudiziarie e stragiudiziarie.

Lo stesso giorno si dà notizia, da parte di Andrea di Francesco, trombetta, di aver eseguito pubblico bandimento che forestieri e contadini possano liberamente accedere al mercato cittadino per i loro commerci il giorno di sabato, “a solis ortu usque ad occasum”, dal levar del sole al tramonto, “exceptis a predictis rebellibus sancte matris ecclesie ac exbanditis et condemnatis pro mallefitio” ad eccezione dei ribelli alla Santa Madre Chiesa, degli sbanditi e dei condannati per delitti commessi. (2009)


21 - La curia vescovile aveva privato di ogni officio e beneficio il prete amerino E. F., per certi eccessi. Il vescovo Cesare Nacci, mosso a pietà dalla miseria del prete, il 21 Giugno 1460 gli commuta la condanna nel digiuno ogni venerdì, nella recita settimanale del salterio e dei salmi penitenziali "pro tuorum pecchaminum remissione" per la remissione dei suoi peccati. (2000)


21  -  La Curia vescovile aveva proceduto, per certi eccessi, contro il prete amerino Evangelista Frollani e lo aveva privato di ogni ufficio e beneficio. Il Vescovo, il 21 Giugno 1460, mosso a pietà della miseria di prete Evangelista, gli commuta la condanna nel digiuno ogni venerdì, nella recita settimanale del salterio e dei sette salmi penitenziali “pro tuorum pecchatorum remissione” per la remissione dei suoi peccati. (2014)


22 - Il 22 Giugno dell'anno 168 a. C. ebbe luogo la battaglia di Pidna, combattuta dal Console Lucio Emilio Paolo contro Perseo e che decise vittoriosamente in favore di Roma le sorti della guerra macedonica.

La notizia di tale evento interessa indirettamente gIi Amerini, in quanto Plinio il Vecchio, nella sua "Naturalis Historia", riferendo una dichiarazione di Marco Porcio Catone detto il Censore, espressa nella sua opera storica "Origines", faceva risalire la fondazione. della città di Amelia a 963 anni prima della suddetta guerra. (1996)


22 - Il 22 Giugno 1481 vengono deliberati, fra gli Anziani della Città di Amelia ed i Cittadini eletti e deputati per decreto del Consiglio Generale da una parte, e “Abraham de Jsaac de Mastro Moyses de Peroscia habitatore de Bevagna e da Moyses de Manuele habitatore de Assisio genero de lo dicto Abraham, hebrei in solido obligati” dall’altra, i “Capitula Hebreorum”, divisi in ventiquattro articoli, da valere per anni venti, con decorrenza dal 1° Ottobre 1481.

Fra gli altri patti stipulati, si ricordano:

-i detti ebrei debbono essere considerati come veri cittadini di Amelia;

-gli stessi non potranno essere costretti a prestare denari né altro nei giorni di sabato e nelle altre festività previste dalla legge ebraica;

-i detti Abramo e Mosè e loro famigli sono autorizzati a ricevere due baiocchi al mese per ciascun fiorino d’oro prestato;

-le scritture tenute dagli ebrei faranno piena fede, anche ai fini di ottenere l’esecuzione forzata di quanto ad essi dovuto;

-detti ebrei avranno l’esclusiva dei prestiti ad usura, né ad altri sarà permesso tenere banco in Amelia;

-i beni dati in pegno dei prestiti potranno essere venduti dopo la scadenza del tempo previsto per la restituzione del denaro prestato;

-se i pegni risulteranno di provenienza furtiva, gli ebrei non saranno costretti alla loro restituzione, finché non verrà loro rimborsata la somma data in prestito;

-gli ebrei saranno protetti nei loro beni da ogni violenza o ruberia commesse ai loro danni;

-gli ebrei non saranno tenuti a portare alcun segno di riconoscimento (mentre un decreto del Governatore di Spoleto ed Amelia, del 26 Marzo 1468, imponeva a tutti gli ebrei residenti, senza distinzione di sesso e di età,  di applicare alle vesti un disco giallo; decreto mitigato nella sua rigidità con successiva modifica del 9 Aprile, che escludeva da tale obbligo le donne ed i fanciulli di età non superiore ai dodici anni);

-gli ebrei saranno tenuti a prestare alla Comunità di Amelia, una volta l’anno, 25 ducati d’oro per due mesi, senza interesse e senza pegno;

-non sarà proibito ad alcun macellaio o becchino della Città di macellare e vendere carne agli ebrei e loro famiglie, secondo le consuetudini ed i riti previsti dalle leggi ebraiche (“casher”);

-gli ebrei non saranno costretti né da ecclesiastici, né da secolari, ad assistere ad alcuna predica o funzione spirituale,  o ad altre cerimonie, se non convenienti per la legge ebraica;

-sarà lecito agli ebrei esercitare il commercio alla pari con gli altri mercanti di Amelia;

-il venerdì santo non verranno molestati gli ebrei, né le loro cose e se ne restino chiusi in casa con usci e finestre serrati;

-trascorso il periodo della “condotta” (cioè alla scadenza della convenzione), gli ebrei avranno sei mesi per risolvere tutte le pendenze, malgrado qualsiasi disposizione in contrario e, quindi, potranno partire da Amelia, con tutti i loro beni, senza penalità, né bando, né gabelle ;

-la Comunità sarà obbligata a mantenere tutti i patti stipulati con gli ebrei, facendoli confermare dai futuri Amministratori cittadini;

-agli ebrei non potrà venir imposto alcun gravame reale o personale, ad eccezione di una tazza d’argento l’anno, del peso di otto once, che essi ebrei dovranno presentare e consegnare alla Comunità di Amelia nel giorno della festività di S. Maria di settembre, senza eccezioni e per tutta la durata dell’accordo;

-gli ebrei non potranno essere obbligati ad effettuare prestiti oltre le loro possibilità, per le quali si dovrà credere alla loro parola;

- nel caso che, per errore od altro, gli ebrei percepissero più di quanto dovuto per il prestito fatto, saranno obbligati a restituire dieci volte quanto preso in più, senz’altra penalità o bando.

In effetti, il commercio del denaro da parte degli ebrei  perse una gran parte della sua importanza, dopo l’istituzione dei Monti di Pietà. (In Amelia avvenne il 12 Dicembre 1470)

(Chi volesse approfondire l'argomento, potrebbe leggere l'interessante volume di Ariel Toaff "Il vino e la carne - Una comunità ebraica nel Medioevo" Ed. Il Molino - Bologna 1989) 

(1997)


22 - Abramo di Isacco di Maestro Moyses stipula con il Comune di Amelia, in data 22 Giugno 1481, gli ultimi “Capitula Hebreorum” (i precedenti risalivano agli anni 1394, 1460 e 1468) per regolamentare l’esercizio del credito, resosi particolarmente pressante a causa delle molte esigenze e della endemica carenza finanziaria nelle casse comunali. Purtroppo, il tasso d’interesse che viene convenuto risulterà di poco inferiore a quanto stabilito nei precedenti accordi: “ricevere doi baiocchi per ciascuno fiorino de oro per ciascuno mese”: a conti fatti, anche approssimativamente, considerando il baiocco (sostituito al bolognino al tempo di Pio II (1458-1464) del valore di 30 denari ed il fiorino a circa 1500 denari, ne conseguirebbe un guadagno di circa il 50 per cento all’anno: sempre un rispettabile interesse usurario! (1999)


22 - Il Cardinale Mattei, da Giove, fa scrivere agli Anziani di Amelia, in data 22 Giugno 1826, affinché, secondo gli obblighi precedentemente assunti, provvedano al "restauro della strada, che da Amelia conduce in Giove fino agli Stradoni, resa ormai impratticabile (sic) ed in molti siti quasi distrutta".

Sua Eminenza vuole anche conoscere "quale resultato possa avere una sì giusta domanda".

A quanto pare, la manutenzione delle strade extraurbane doveva, all'epoca, non subire diversa sorte di quelle cittadine dei nostri giorni. (2001)


22  -  I Priori del popolo di Terni il 22 Giugno 1496 scrivono agli Anziani di Amelia la seguente richiesta di aiuto:

“Magnifici domini tamquam fratres Amantissimi salute. Simo certificati (sappiamo per certo) che Spoletini con tucta la parte adversa ad Noy vengono ali danni nostri et questo è chiaro et necessario che anche Noy recerchamo et invocamo li nostri (alleati) et la parte et questo è (cioè) che fra domane ho posdomane deggono venire; pregamo le S. V. che ala defesa  nostra ce vogla (vogliate) intervenire, che ale cose che ve fosse infamia (non legittime) non ve chiamavamo; piacciave tenere in punto (pronti) li vostri homini, o che li mandiate quando intenderete che vengono, o alu adviso nostro, come rechiede la nostra Amicitia. Bene valete. Ex Jnteramna die xxij Junij M°CCCCLXXXXVI°”.

Nel consiglio generale del 26 seguente il consigliere Ludovico di Carlo (Boccarini) -chiamato dall’aulico Cancelliere Giovanni Mazarono di Montemonaco “Vir Nobilissimus et moribus et sapientia ornatissimus”- propone che gli Anziani, insieme a quattro probi cittadini da essi eletti, la sera stessa facciano convocare i banderari delle contrade e stabiliscano il numero “peditum mictendorum in favorem Jnteramnensium” dei fanti da inviare in aiuto dei Ternani e tanto circa la loro quantità, che su qualsiasi altro intervento in merito, agiscano “ut libuerit R.do d.no Locumtenenti ibidem in dicto concilio astanti” secondo il beneplacito del Luogotenente, presente in detto consiglio. La proposta è accettata all’unanimità. (2010)


23 - Il 23 Giugno 1941 al Podestà di Amelia viene notificata dalla Regia Questura di Terni la seguente circolare del Ministro dell’Interno:

“In relazione a quesiti pervenuti, si comunica che le orchestrine annesse a bar, caffè e ristoranti possono funzionare soltanto fino all’ora in cui ha inizio l’oscuramento se sono situate sui marciapiedi, piazze ed aree di uso pubblico.

“Possono continuare a funzionare oltre tale ora e fino alla chiusura dell’esercizio se sono situate entro recinti, e purché possano suonare senza carte da musica, onde non sia necessaria illuminazione oltre quella data dalle normali lampade schermate della illuminazione pubblica”.

Solo pezzi a memoria, dunque, e anche senza direttore: una bella prova di abilità! (1999)


23 -  Il 23 Giugno 1399 nel palazzo Vescovile, dinanzi a Mons. Stefano Bordoni, napoletano, vescovo di Amelia, venne stipulato un singolare atto di permuta. Il presbitero Santoro di ser Arcangelo Colaoli, priore della Chiesa Collegiata di S. Pietro in Parlascio cedette in permuta al chierico Egidio di ser Arcangelo Nuti, rettore della Chiesa rurale, non curata, di S. Leonardo de Reddere, della quale era stato investito soltanto sei giorni innanzi, la rettoria di detta chiesa. Lo stesso giorno, il nuovo rettore della Chiesa di S. Leonardo rimise l'incarico nelle mani del vescovo.

Della originaria Chiesa di S. Leonardo che, per il titolo "de Reddere", uguale a quello della chiesa di S. Giacomo (oggi Convento dei Cappuccini), doveva trovarsi lungo la strada che, da Montepiglio, si reca a Sambucetole, oggi è possibile rinvenire qualche traccia. Non se ne parla nella visita apostolica di Mons. Pietro Camaiani del 1573-74 e, quindi, già a quell'epoca, non doveva più esistere. Tuttavia, quasi certamente, è da identificare con il fabbricato originario attualmente contrassegnato con il c.n. 40 della Strada dei Cappuccini. Ne è la riprova la circostanza che detto fabbricato, nella vigente planimetria del catasto rustico, è indicato con la particella 9 del foglio 33, in località "Podere S. Leonardo". (2004)


23 - Il 23 Giugno 1947 la Giunta Municipale di Amelia prende in esame la miserevole condizione del giovane C. M., "affetto da infermità gravissima" e degente presso l'Ospedale, poiché "di condizione economica poverissima, considerato che per la cura della detta infermità è stato ritenuto necessario ricorrere, quale estremo rimedio, alla nuova specialità americana denominata "Streptomoscina" (sic) che non trovasi in commercio e che è stato possibile ottenere privatamente, da un gruppo di amici dell'infermo, al prezzo di £. 140.000; che per raccogliere tale somma i generosi giovani hanno aperto una sottoscrizione e fare appello al contributo degli Enti Locali; ritenuta opportuna la partecipazione del Comune alla iniziativa sopradetta", la Giunta delibera di erogare un sussidio di £. 5.000.

E' un bell'esempio di solidarietà ed umana sensibilità verso chi soffre, che torna a lode dei nostri Amministratori del tempo, tanto più apprezzabile in quanto si era da pochi anni usciti da una guerra disastrosa e fratricida. (2006)


23 - Nel consiglio dei X del 23 Giugno 1487 vengono, fra l'altro, prodotte alcune suppliche da parte di persone condannate dalla Curia del podestà.

La prima viene presentata, congiuntamente, da "Polixena uxor Nicolai Pacifice de Castro Macchie et Centia uxor Juvenalis de Monte Campano et nunc habitator in dicto Castro Macchie" Polissena, moglie di Nicola Pacifico di Macchie e Cenzia, moglie di Giovenale di Monte Campano, ora abitante a Macchie "humiliter dicentes qualiter per presentem dominum potestatem ... fuerint et sunt condemnate dicta Polixena in libris denariorum vigintiquinque et Centia in duodecim cum dimidia" le quali umilmente espongono di essere state condannate dal presente podestà Polissena in 25 libre e Cenzia in 12 e mezza " quia se invicem per capillos ceperint et culpa dicte Polixene exivit sanguis de facie ipsius Centie" perché si presero reciprocamente per i capelli e Polissena fece uscire sangue dal viso di Cenzia "et predicte confesse sunt et inter se pacem habent et ad predicta more mulierum deveniunt" ed entrambe si confessano colpevoli e si perdonano vicendevolmente secondo il costume femminile (presumibilmente con baci ed abbracci, dopo la tirata per i capelli!). Chiedono, quindi, che, "attentis predictis et inopia ipsarum" in considerazione di quanto esposto e della loro povertà, "condonare illis omnes penas et gratiam liberalem facere" vengano loro condonate dette pene e venga fatta loro generosa grazia. Il Consiglio generale del successivo giorno 24, "ob inopiam ipsarum jam notam et quia cognate sunt" avuto riguardo alla loro nota povertà ed al fatto che sono cognate, riduce le pene, rispettivamente a Polissena in "bajocchos quinquaginta" 50 baiocchi ed a Cenzia "vigintiquinque" 25.

Altra supplica viene presentata da Pace Canosi e Onorato Benti, entrambi di Montecampano, per essere stati condannati in contumacia dalla Curia del podestà "in libris quingentis denariorum pro quolibet ipsorum et in duplum si infra decem dies non solverint" in 500 libre di denari per ciascuno di essi, da raddoppiare se il pagamento non fosse avvetuto entro dieci giorni "causa quod per vim sodomitaverint quemdam Anselmum Petri Malcinti de dicto loco" con l'accusa di aver sodomizzato un tal Anselmo di Pietro Malcinti di detto luogo, "quod minime fuit aut est verum" il che non fu né minimamente è vero, come sarebbe risultato "si testes in eorum favorem inducti fuissent" se fossero stati introdotti testi in loro favore "et legitime recepti et examinati" e legalmente assunti ed esaminati. Nel consiglio generale, "cum multis rationibus innocentes eos fuisse constat" poiché da molte considerazioni risulta la loro innocenza, "per spatium unius mensis" nel termine di un mese "pro quolibet ipsorum solvantur Communi Amerie ducatorum tres et reliquum condonetur" nel termine di un mese ciascuno degl'imputati paghi tre ducati ed il residuo venga loro condonato.

Si passa, infine, al esaminare la supplica presentata in lingua volgare dai fratelli Placente ed Angelo  di Mario Simoncelli:

"Magnifici Domini si supplica per parte de Placente et Angelo de Mario de Simoncello de Amelia inquisiti per la corte de Messer el potestà presente supra occasione che habiano contra Johannem de Cecho de Petruccio de Ameria parlato certe parole improperatorie et (lo) admenarono overo percossero, como più largamente appare in dicto processo et condennatione contra de ipsi facta de che sono condennati in libre cinquantaquattro de denari o circa tra tucti doi: unde parendoli essere gravati se sono appellati non ja perché vogliano con la Communità litigare, ma si remectono in mani de le V. M. S. ale quali piaccia farli gratia et comandare dicto processo et condennatione se casseno in contrario non obstante alcuna cosa". Nel consiglio generale del dì seguente si decide di rimetter loro i tre quarti della pena: "solvant quartam partem originalis pene" alla quale furono condannati "propter rixam cum Johanne Cichj" a causa della rissa avuta con Giovanni di Cecco, "modo habeant pacem ab offenso et Communi dictam quartam (partem) per totum sequentem Julium satisfecerint" purché vengano perdonati dall'offeso e paghino la pena come sopra ridotta al Comune entro il prossimo mese di Luglio. (2007)


23  -  Il 23 Giugno 1483 nel consiglio decemvirale viene presentata la seguente supplica:

“Denanti da voi, Magnifici S.ri Antiani del popolo dela Cipta de amelia per parte dela povera donna Johanna moglie de Orlandino de Jacomo de Luca se expone et narra che omne dì ipsa è molestata dali officiali ad pagare le dative imposte per lo foco et capo de Orlandino suo marito, lo quale è fora del paiese como è noto a ciascuno. Et ipsa povera donna non po subvenire alle spese de se et dela sua grave famigliola. Pertanto supplica et de gratia adimanda seli voglia donare per lo amore de dio tucte le date che devesse pagare in commune tanto sobto el nome del marito quanto che per altro nome apparessero jmposte et scripte nanti che fosse facta la vendita de Eusebio (che doveva essere l’esattore delle imposte), al quale ipsa intende fare lo dovere da quello jn poi (cioè d’ora innanzi). Et questo (chiede) de gratia spetiale da V. M. S. allequale piaccia de farle cassare”. Nel consiglio generale del 24 successivo le si concede quanto richiesto. (2010)


23  -  Nella seduta consiliare del 23 Giugno 1519 risulta presente, fra gli Anziani (chiamati, all’epoca, “Priores”), “vir gravissimus Borgia Mannosius”, nome che rivela chiaramente un’influenza da poco cessata dell’epoca borgiana, iniziata con il pontificato di Callisto III e finita con quello di Alessandro VI. Fra le proposte in discussione, il Priore Borgia Mandosi espone la richiesta effettuata “fere ab omnibus” da quasi tutti i mastri muratori, i quali “petunt pro eorum mercede carlenos duos singulis diebus et non sit de more tradere nisi duodecim bononenos cum famulo” richiedono in loro mercede due carlini al giorno, mentre è d’uso non dar loro che dodici bolognini, manovale compreso. Il consigliere Laurelio Boccarini ribadisce che “ipsi magistri non possint petere pro eorum salario ultra duodecim bononenos quolibet die et hoc intelligatur cum famulo; sine famulo bononenos octo et non ultra” i mastri muratori non possano chiedere più di dodici bolognini al giorno, con un manovale e otto senza. Propone, inoltre, che “qui contrafecerit jncidat in penam unius ducatj aurj” chi contravverrà, cada nella pena di un ducato d’oro, “jn quam penam jncidat tam Magister Conductus quam ille qui conduxerit et plus dederit quam supra dictum est” e detta pena si applichi tanto a carico del mastro muratore, che di colui che lo assunse e gli pagò una somma maggiore di quella come sopra stabilita. La proposta del Boccarini riporta 18 voti favorevoli ed un solo contrario. Inoltre, la decisione viene fatta notificare alla cittadinanza con un pubblico bandimento.

Nella stessa seduta, “Magister Franciscus de parma faber lignarum petijt a Comunitate salvum conductum standj jn Civitate Amerie” il mastro falegname Francesco di Parma chiede alla Comunità un salvacondotto per trattenersi in Amelia. La richiesta era motivata, in quanto mastro Francesco “extabat condendatus jn libris XIX mallefitiorum jniuste” aveva subito -a suo dire ingiustamente- una condanna penale a 19 libre. Il consiglio “consuluit concedendum esse salvum conductum prefato magistro francisco standj pernoctandj habitandj Amerie jn eiusque comitatu et districtu” decide di concedergli il permesso di trattenersi, pernottare ed abitare in Amelia, suo contado e distretto, “donec placuerit Consilio generalj predictum salvum conductum tollere” fino a quando il maggior consiglio non intenderà revocarglielo. (2011)


23  - Il 23 Giugno 1540, su comando degli Anziani, si riuniscono in assemblea, nel Palazzo Anzianale, otto illustri cittadini, “quibus autoritas et potestas impensa fuit a Generali Concilio alterandi ac diminuendi penam illorum qui noluerint magistratus onus suscipere” ai quali era stata conferita dal Consiglio Generale l’autorità di modificare e diminuire la pena di coloro che non volessero assumersi l’onere della magistratura anzianale. Uno degli Anziani, a nome Filippo, con l’assenso dei colleghi, aveva dato incarico al Cancelliere di sottoporre agli otto convocati la discussione sul seguente tema, “que eis videbitur necessaria pro Reipublice commodo et utilitate” da loro ritenuto necessario ed utile per il bene della cosa pubblica. In particolare si tratta di deliberare sulla seguente circostanza:

“Heri fuerunt sorte publicati quidam pauperes viri ex Antianis, qui solvere poenam in ordinem bussuli contentam minime possunt et ingredi minus vellent, quia vestes et sumptus facere nequeunt” ieri vennero estratte a sorte, per assumere la carica dell’Anzianato, alcune persone di modeste condizioni economiche, che non sono in grado di sostenere le spese necessarie per le vesti e non possono neppure permettersi di pagare la pena prevista per coloro che volessero rinunziare alla nomina.

Ser Gerolamo Nacci, a questo punto, “maturius consulendo” dopo più matura riflessione, propone che “in futurum, tum pro pauperum commodis et nostre Reipublice utilitate non vulgari ac decore maximo” per l’avvenire, sia per venire incontro alle esigenze delle persone indigenti, sia per maggiore utilità e massimo onore per la nostra Comunità, “omnes et singuli ad Antianatum extracti et ingredi noluerint, solvat unusquisque, nomine poenae ducatum unum de Carolenis” tutti coloro che venissero estratti per ricoprire la carica dell’Anzianato e non volessero accettarla, paghino, per ciascuno, a titolo di pena, un ducato di carlini. La proposta del Nacci, definita “reipublice perutilis” dal Cancelliere verbalizzante, riporta l’approvazione di tre quarti dei votanti.

Ma non sarebbe stato “decore maximo” per la Comunità se ai chiamati a ricoprire la maggiore magistratura cittadina, che non avessero raggiunto un  livello minimo di reddito, tutte le spese -comprese le vesti- fossero state poste a carico della stessa Comunità? (2012)


24 - Sotto la data del 24 Giugno 1459 vengono redatti e riportati nelle riformanze i Capitoli "super hospitijs", cioè degli albergatori, stipulati fra il Comune di Amelia, rappresentato dagli Anziani e da "quatuor cives dicte Civitatis" quattro cittadini debitamente autorizzati dal Consiglio generale, da una parte e Ser Ricco di Ser Francesco e Giovanni di Angelello di Cecco (Geraldini), per sé e lori soci, dall'altra parte. 

I patti, "duratura et valitura per decem annos continuos Xpi nomine inceptos", validi per 10 anni continuativi, iniziati nel nome di Cristo, sono articolati nei seguenti 14 capitoli:

  "Primo, che li decti Ser Richo et Johannj et ciaschuno de loro per sé et loro compagni coli quali vorrando (sic) acompagnarse offeriscono et promectono ali decti Magnifici Signori Antiani et ciptadini presenti stipulanti et receventi in vice et nomine del dicto Comune de Amelia tenere, o far tenere lalbergo publicamente in la decta ciptà uno, o più con la insegnia, et recevere, et allogiare tucti, et singoli foristieri, et persone che capitarando (sic) in la dicta ciptà de dì et de nocte, et a quilli per sé, et loro animali dare o fare dare allogiamento, magnare, bere, lecto, stalla, biada, et strame come in simile mistiero è usanza. Et tenere continuo taverna et vendere vino, pane, et altre cose da magnare, secondo occurrarà parerli expediente (cioè sarà opportuno allestire) con observatione de questi altri pacti et capituli infrascripti.

  “Secundario, che a nissuna persona de quale stato et condetione  se sia ciptadino, contadino o forestiero sia leceto albergare né vendare veruna cosa da magnare ad alcuno forestiero per sé né per loro animali in la detta ciptà de Amelia o suo territorio, excepto dentro de le castella, altri che ad essi Ser Richo et Johanni et loro compagni predicti o a chi da essi havesse expressa licentia, socto la pena de dece (dieci) ducati doro per ciasche persona et ciasche volta che contrafacesse, de la quale pena la metà sia de dicti Ser Richo, Johanni et compagni, la quarta parte sia del dicto Comune et laltra quarta parte sia dello officiale che de questo farà executione, ala quale, et ogne altra cosa, et loro occurrentia tucti officiali de ladecta ciptà presenti et futuri sieno tenuti darli favore, sotto la pena ad esso officiale che contrafacesse de xxv. libre de denari per ciasche volta.

 “Tertio, che sia liceto (sic) ad essi Ser Richo, Johanni et soy Compagni in li dicti albergi vendere vino aminuto (al minuto) ad ogne persona  per quello prezo che li parrà essere conveniente.

  “Quarto, che li decti Ser Richo, Johanni et Compagni sieno tenuti pagare al decto Comune bolognini quattro per ciasche soma de vino che se consumerà in li decti albergi ad foristieri et altre persone che verrando (sic) per stare, per magnare et per bere et a ciò che non ce possa essere fraude, loro o chi manterrà lalbergo sieno tenuti assegnare (a segnare) lo decto vino de bocte in bocte, o de barile in barile, come lo metterà nellalbergo et non assegnandolo caschi in pena de cinque libre de denari per ciasche volta, del qual vino se faccia ala bocte la bollecta et paghise ala decta ragione quando se mectarà nellalbergo. Et quando del decto vino se ne guastasse alcuna parte o quantità se sbacta (riduca) lo decto pagamento pro rata.

 “Quinto, che se per alcuna persona se donasse qualche avere stanza (assegnazione di alloggio) o bochale o fiascho de vino o cosa da magnare ad alcuno de quilli che allogiarando (sic) in li decti albergi non se ne debia pagare pena et ne gabella alcuna.

 “Sexto, che li decti Ser Richo, Johanni et Compagni o chi manterrà li decti albergi sieno tenuti comperare dal decto Comune tucto quello sale che in essi albergi se consumerà, per quello prezo che gosta (costa) al decto Comune, et non possano averlo daltronde sotto pena de dece (dieci) ducati per ciasche volta. (“Salato” mi costerebbe il sale!)

 “Septimo, che da foristieri quali albergarando (sic) in li dicti albergi possano pagarse per scotti (si dice anche oggi: "pagare lo scotto") et prebende secondo se usa de pagarse dentro in Nargne (Narni).

 “Octavo, che se alcuno forestiero capitasse in Amelia a casa de qualche suo amico, o parente, quello amicho, o parente possa riceverlo et darli quanto li parerà senza alcuna pena, dum tamen (purché) sia gratis senza pagamento, o premio (corrispettivo) de denari, o daltra cosa. Et quando fosse (sussistesse) dubio questo farse in fraude, li Signori Antiani et ogne officiale, ad instantia de decti Ser Richo et Johanni et compagni, debiano investigare con juramenti et ogne altra cosa oportuna et verisimile, et punire chi trovassaro fraudante in la pena predecta, da applicarse a (nel) modo predecto.

 “Nono, che a ciasche persona sia leceto vendere vino che recogliesse (raccogliesse) de sue possessioni, o vero mosto che comparasse (comperasse) al tempo de le vendegne, quale (vino o mosto) sia gabellato (tassato) allui nel suo cellagio (cantina), dum tamen (tuttavia) non possa vendere cosa comperata, né etiam (anche) donare.

 “Decimo, che ali pizzicharoli sia leceto vendere tucte quelle cose che per lo passato sonno (sic) usati de vendere.

 “Undecimo, che de le prebende che haverando (cioè quanto dovuto da) quelli forestieri, cioè commissarij et exactori (i) quali verrando (sic) per facti de la Comunità, le quale le pagarà lo decto Comune, debbano pagarse dal decto Comune la terza parte meno che (di) quanto se pagarando (pagherebbero) dalla altra gente (cioè con lo sconto di un terzo).

 “Duodecimo, che al tempo de la fiera che se usa de fare in Amelia, per quelli dì che dura la fiera, sia leceto ad ogne persona allogiare forestieri et vendare (sic) quanto li piace, senza alcuna pena.

 “Tertiodecimo, che quando nascesse alcuno dubio in li decti capitoli, o alcuno dessi (di essi) se staga (stia) alla dechiaratione de Signori Antiani et ali predecti quattro ciptadini electi et haventi lauctorità et facultà ad fare (di trattare) questa materia, de quali nome et electione appare per mano del cancelliero etc.

 “Quartodecimo et ultimo, acio che (acciocché) le predecte cose et tucti et singoli capitoli soprascripti sieno validi et per lo decto tempo se observino tanto da la parte del decto Comune et officiali, quanto da la parte de decti Ser Richo, Johanni et compagni, lo decto Comune et Signori Antiani li facciano confermare, auctorizare et approvare per (da) lo Magnifico Governatore de la decta ciptà, in forma bene valida". (2005)


24 -  Facendo sfoggio della più assoluta mancanza di coscienza ecologica -che, a quel tempo, era di là da venire- il cronista del periodico AMERIA in data 24 Giugno 1900 pubblica la seguente notizia, titolata "Due uccelli di rapina":

"Sulla fine del decorso mese di maggio, sul Monte Arnata dal bracciante Usella di Fornole venne uccisa col fucile una coppia di falconi di sorprendente grandezza. Fatti osservare, si riconobbero appartenere alla specie detta dai naturalisti "aquila-sparviero di Francia" (Circaetus gallicus Vieil.) ed in Toscana "biancone". L'uccelllo rarissimo tra noi e che molto partecipa dell'aquila, misura di apertura di ali poco meno di due metri ed è stato ben conosciuto appena da un secolo.

"La coppia fu spedita e fatta preparare al naturale dall'espertissima imbalsamatrice sig.ra Anna Poderi in Terni".

Dato l'assunto, indovinare qual' è l'animale  che può a maggior ragione venir considerato "di rapina". (2006)


24  -   Il 24 Giugno 1472 si dà notizia che, da parte di Giacomo da Forlì, esattore delle somme dovute per il sale cosiddetto “apostolico”, (in quanto la Camera Apostolica ne gestiva il monopolio) vennero portati via (“ablati”) alcuni panni appartenenti a cittadini di Amelia “ex follis Stiphonj” dalle gualchiere di Stifone “et Narniam delati, ibidemque depositi penes officialem damnorum datorum Civitatis Narnie pro residuo solutionis dicti salis anni astanti 1472”,   trasferiti a Narni ed ivi depositati presso il locale ufficiale dei danni dati, a garanzia del pagamento del residuo dovuto da Amelia per il detto sale, relativo al corrente anno 1472, “ascendentis ad summam centum duorum ducatorum” ascendente a 102 ducati. Poiché -neanche a dirlo!- “pecunie non sint in Communi propter eiusdem inopiam” in Comune, a causa della carestia, non vi sono fondi sufficienti, ci si domanda cosa fare “pro bono et honore communis et ne dicti panni perditum eant” per la tutela del benessere e dell’onore della Città e per evitare la perdita dei detti panni e “unde habeantur pecunie pro dicto debito satisfaciendo et pro dictis pannis liberandis et reluendis” da dove prendere i denari per il pagamento del citato debito e per riscattare le pezze di panno dei poveri Amerini.

La questione viene discussa lo stesso giorno, nei consigli dei X e dei 30 “bonorum virorum”, riuniti insieme ai 15 capitani delle contrade cittadine ed il consigliere “legum doctor” dottore in legge Evangelista de Racanischis propone che gli Anziani nominino uno o più procuratori per rivolgersi a Giacomo Spina fiorentino, uno dei banchieri operanti nella Curia Romana, per la concessione di un mutuo, pari a 102 ducati, da effettuare al Comune di Amelia. Seduta stante, viene nominato Benedetto di Ser Artemisi, cui viene data facoltà di richiedere il prestito allo Spina in nome e per conto del Comune medesimo.

Due giorni dopo viene conferito, allo stesso procuratore, anche l’incarico di pagare, intanto, 32 ducati in acconto dell’ultima terzeria dovuta per il debito del sale, presentando una supplica al Cardinale Orsini, Camerario Apostolico, di far restituire le pezze di panno sequestrate agli Amerini; per il residuo ancora dovuto,  si provvederà con l’assunzione del detto mutuo e, nel frattempo, venga stabilito un termine sufficientemente lungo, “cum respublica amerina sita sit in maxima calamitate” trovandosi la Comunità di Amelia nella maggiore calamità, a causa delle spese e delle traversie occorsele “in bello Tudertinorum contra Claravallenses” nel conflitto fra Todini e Chiaravallesi.

In calce a quanto sopra esposto, risulta annotato che Benedetto di Ser Artemisis, dopo aver accettato l’incarico conferitogli, il 27 Giugno partì per Roma e ne fece ritorno il 6 Luglio. Speriamo almeno che tutto sia andato a buon fine! (2009)


24  -  Nel maggior consiglio del 24 Giugno 1483, in riferimento ad una richiesta presentata due giorni innanzi dal Commissario papale, che voleva che la bombarda -e  relative artiglierie- di proprietà del pontefice e depositata in custodia al Comune di Amelia, fosse regolarmente inventariata, si decide che “obbedientia prestetur prefato domino Commissario et exequatur omnis sua petitio cum hoc quod fiat jnventarium in forma pro cautela communitatis” si obbedisca a quanto richiesto dallo stesso Commissario, eseguendo un regolare inventario della detta bombarda, e ciò anche per la tranquillità della stessa Comunità.

Il successivo 29 Luglio si riparla ancora della bombarda in una lettera inviata agli Anziani da parte del Governatore e Patriarca Antiocheno di Perugia, con potestà di legato “a latere”, scritta da Todi, del seguente tenore:

“Magnifici viri amici honorabili. La Bombarda grossa conducta et fermata lì, al recevere de questa nostra pensamo serra venuto ordine da roma sia adviata qui et non essendo venuto, verra jn breve. Interim (nel frattempo) provedete et con effecto curate sia guardata et de dì et de nocte et per tale modo guardata che non receva alcuno sinistro, jl che quando intravenisse (accadesse) seria jnputato a voi. Et questo non ce semo messi (a) scrivere senza bona caxione. Valete. Tuderti die xxviiij Julij Mcccclxxxiij”.

Ci mancava anche la custodia della bombarda del papa a turbare i sonni dei poveri Amerini!

Diciannove anni dopo, il 24 Giugno 1502, nelle riformanze si legge:

“Per Magnificos Dominos Potestatem et Antianos magna cum comitatus caterva itum est ad ecclesiam divi Johannis baptiste extra et prope civitate amerina, ubi fratres observantie S.ti Francisci morentur, eique cereum quinque librarum pondo elargiti sunt” da parte del Podestà e degli Anziani, con un grande seguito di popolo, si andò alla Chiesa di S. Giovanni Battista sita fuori città e nei pressi della stessa, dove risiedono i frati dell’Osservanza di S. Francesco e ad essi si fece omaggio di un cero del peso di cinque libbre, “veteri de more, quem quidem gabellarij gabelle piscium ut tenebantur solvere”, di cui un antico uso imponeva il pagamento  a carico dei gabellieri (appaltatori) della gabella del pesce. (2010)


24  -  Il 24 Giugno 1468 nelle riformanze viene data notizia di un atto di giustizia reso pubblicamente dinanzi agli Anziani “existentibus in scalis ante palatium eorum solite residentie” presenti sulle scale dinanzi al palazzo della loro solita residenza, nei confronti di Donna Giovanna, vedova di Arcangelo Paolelli, la quale era comparsa dinanzi a loro “et exponens quod cum esset quotidie ab offitialibus Civitatis amelie gravata pro datis incursis in communi”  dichiarando di essere quotidianamete molestata dagli ufficiali del Comune per pretese imposte da lei dovute “et volens se defendere vigore statuti” e di volersi difendere da tali pretese, citando ed appellandosi a quanto previsto dagli statuti cittadini, là dove dispongono “de Mulieribus viduis non habentibus libram neque apodium neque per aliquam viam et non habentibus reditum  vel usumfructum aliquo quesito colore publice vel oculte” delle donne vedove non aventi beni allibrati in catasto, né altrimenti goduti e prive di ogni e qualsiasi reddito di alcun genere, né palese né occulto; aveva chiesto, pertanto, Donna Giovanna, che la sua istanza venisse vagliata dal giudice del podestà. “Antiani ut supra auditis predictis commiserunt Eximio legum doctori domino Salvato de Bevania, Judici et collaterali presentis domini potestatis Civitatis amelie”; e gli Anziani, di conseguenza, avevano dato incarico all’esimio dottore in legge Salvato di Bevagna, giudice e collaterale del podestà cittadino, che si pronunciasse in merito e, proprio in quella circostanza, il giudice Salvato, “auditis supra narratis per supradictam dominam Johannam et viso statuto predicto et viso etiam ac cognito quod dicta domina Johanna  mulier vidua libram aliquam non habet in catasto sive estimo dicte Civitatis amelie, viso etiam juramento dato dicte domine Johanne” dopo aver ascoltato quanto dichiarato da donna Giovanna, consultato lo statuto e constatato che la suddetta è vedova e non possiede beni allibrati in catasto e, da ultimo, ascoltato il suo giuramento che conferma quanto asserito, “declaravit et sententiavit ipsam dominam Johannam non teneri ad solutionem aliquam pro datis tam jmpositis quam jmponendis jn communi predicto, omni modo etc.” dichiara e dispone che donna Giovanna non è tenuta a pagare nulla per imposte comunali, né pregresse né future.

Bella soddisfazione si era cavata donna Giovanna!  (2011)


25 - Il 25 Giugno 1410 Antonio Guidotti bolognese, Commissario e luogotenente dello Sforza, scrive da Todi agli Anziani che, avendo deliberato "che lui vada a campo a Terini (Terni), ve prego che ve piaccia de fare che venardì prossimo che vene a meza terza cento de vostri homeni se trovino a Santo Jemino con ferri acti affar guasto et con victuaria per tre dì i quali debiano fare zo (ciò) che per lo dicto capitanio gli sira commandato dela qual cosa me ne farite singularissima grazia".

La lettera viene presentata nel Consiglio dei X del giorno successivo, nel quale si stabilisce di convocare il Consiglio Generale per il dì seguente. In esso, il Consigliere Ser Ugolino Jacobuzi, in considerazione che "Civitas hec fuerit et sit fidelissima et subiectissima ecclesie sancte dei omnium aliarum" la nostra Città è sempre stata e sarà la più fedele e sottomessa di tutte le altre (ci si tiene a puntualizzarlo, anche se -ironia della sorte- quando detta frase venne formulata, in Amelia si considerava pontefice l' antipapa Giovanni XXIII!), propone che "mictantur prefato Capitanio" si inviino al detto Capitano "triginta famuli pro tribus aut quatuor diebus" trenta uomini (dei cento richiesti!) per tre o quattro giorni. Per far fronte alla spesa, Ser Ugolino propone di chiedere a prestito al Camerario Ser Paolo Vici trenta fiorini d'oro. La proposta passa con 59 voti favorevoli e 3 contrari. Si decide, quindi, di inviare allo Sforza, per quattro giorni, le trenta persone che vengono elencate, col salario di 12 bolognini e 3 denari al giorno per ciascuno. (2007)


25 - Giovanni Colay, Priore degli Anziani, nel consiglio dei X convocato il 25 Giugno 1407 espone "cum dicatur Magnificum Virum dominum Polum de Corarijs de Venetijs domini nostri pape nepotem dominum et gubernatorem Civitatis Amelie iam Tudertum aplicuisse" poiché si dice che il magnifico signore Polo de Correr (Corario) da Venezia, nipote di nostro signore il papa (Gregorio XII, Angelo Correr, eletto il 30 Novembre 1406), signore e governatore della Città di Amelia, si sia già avvicinato a Todi, "videatur quid honorabile et utile pro comuni ipsum visitare cum aliquali ensenio pro, parte comunis" si stabilisca se sembri onorevole ed utile per la Città fargli visita, presentandogli qualche donativo da parte della stessa. 

Nel consiglio generale del giorno successivo si decide "quod mictantur ambasiatores pro parte comunis ad visitandum dictum dominum et ad recommandandum dictam comunitatem et singulares personas dicto domino" che si inviino ambasciatori da parte del Comune a incontrare detto Signore ed a raccomandargli la comunità e tutti gli abitanti di Amelia e che, "ensenio faciendo et largiendo pro honore et utilitate comunis Amelie" per il dono da fargli, per l'onore (poco) e l'utilità (forse maggiore) della Città, "de introitibus dampnorum datorum dicti comunis existentibus apud camerarium comunis" si attinga dalla cassa dei "danni dati" (pene pecuniarie comminate nei processi per danneggiamenti) esistente presso il camerario comunale "usque ad quantitatem xij florenorum auri et non ultra" per una somma che non superi i 12 fiorini. (2008)


25  -  Il 25 Giugno 1407 si legge in consiglio la supplica di Menecuccio di Pietro Lancia di Montecampano, il quale lamenta che “cum diu steterit absens” essendo stato assente a lungo da casa, non è in grado di pagare le imposte reali e personali accumulatesi, “propter paupertatem” a causa della sua indigenza e sia stato incluso nel libro dei debitori del Comune. Chiede di potersi avvalere di una cauzione fideiussoria che gli consenta di soddisfare il suo debito gradualmente nel tempo e che il suo nome venga cassato dal libro nero dei debitori (“infernatis”). Gli si concede, purché s’impegni ad abitare nel detto Castello di Montecampano per il futuro, soddisfacendo a tutte le imposte reali e personali, “ut alij comitatinl dicti castri”, come gli altri abitanti dello stesso. (2009)


25  -  I frati ed il convento di S. Francesco rivendicavano dei diritti sul castello di Mimoia e sul suo territorio, che il Comune di Amelia considerava come di sua proprietà e sotto la sua giurisdizione. In effetti, la pretesa dei frati risaliva all’incirca ai primi decenni del XV secolo, quando Francesco di Giannotto d’Alviano aveva fatto ai frati un vitalizio di tutti i suoi beni e diritti sul Castello, con atto rogato dal notaio Francesco Celluzi, con il quale i frati si erano impegnati a trattare l’Alviano con ogni riguardo, provvedendo al suo mantenimento, comprese vestimenta e vettovaglie, secondo il suo rango e fornendolo di quanto gli abbisognasse, senza fargli mancare nulla. Poiché il d’Alviano ritenne che i frati non avessero fatto onore al loro impegno, non tenendo fede ai patti, revocò il vitalizio e, con una successiva donazione irrevocabile, cedette tutti i suoi beni al Comune di Amelia che, per i successivi ottant’anni, ne restò nel pacifico possesso. Poiché, fra l’altro, è presente in Amelia Fra Egidio Delfini, Generale dell’Ordine di S. Francesco, il 25 Giugno 1502 si addiviene alla stipula di un atto di transazione fra i frati ed il Comune, che ponesse fine ad ogni ulteriore questione. Con lo stesso, i frati rinunciano ad ogni loro pretesa giuridica su Mimoia ed il Comune, con atto di liberalità e di riconoscenza verso l’Ordine -considerato che lo stesso Padre Generale è amerino- cede loro otto somate di terreno del tenimento di Mimoia. La somata (o soma) era una misura di superficie corrispondente a poco più di un ettaro, che equivale a mq. 10.000. (2010)


25  -  Nella seduta consiliare dei X del 25 Giugno 1468, fra l’altro, viene prodotta una supplica particolarmente toccante e degna di considerazione. Essa è presentata da Vico Arrapati di Amelia, il quale espone “cum ipse sit infirmus de presenti et habuerit longo tempore eius uxorem infirmam et habeat duos filios, quos propter eius paupertatem et infirmitatem non valeat ipsos alimentare” che essendo egli attualmente infermo ed avendo anche la moglie malata da lungo tempo, non è in grado, a causa della sua povertà e malattia, di sostentare i suoi due figli “et non habeat quicquam ad vendendum de suo, adeo quod opporteat ire mendicator pro substentatione ipsorum” e, non avendo nulla da vendere di suo, gli necessiterebbe andare mendicando, per poter provvedere al loro nutrimento; malgrado ciò, gli ufficiali del Comune addetti alla riscossione delle dative “continue molestantur” lo sollecitano continuamente a pagare. Il povero Vico si appella quindi alle autorità cittadine affinché gli vengano rimesse tutte le pendenze fiscali pregresse e future e sia dato ordine agli esattori di non molestarlo più per l’avvenire. Nel maggior consiglio del giorno seguente 26 si delibera che “actenta summa miseria et paupertate dicti vici ac etiam infirmitatem ipsius et mulieris” in considerazione dell’estrema miseria del povero Vico e della malattia sua e di sua moglie, “amore dei” per l’amor di Dio, “fiat gratia dicto Vico Arrapati de omnibus et singulis datis occursis et impositis in communi usque impresentem (sic) diem” gli si rimettano tutte le dative imposte dal Comune fino al dì presente “et pro tempore futuro sit et esse debeat esens cum tota eius familia ... usquequo unus de filijs ipsius pervenerit ad etatem quatuordecim annorum” e, per il tempo futuro, sia concessa a lui ed alla sua famiglia l’esenzione da ogni imposizione, finché uno dei figli abbia raggiunto l’età di quattordici anni.

Nello stesso maggior consiglio viene data notizia di un evento eccezionale: esisteva da tempo una questione fra il Comune e la Mensa vescovile circa lo sfruttamento di alcuni terreni posti nelle Valli (site a nord-est di Amelia) “Cumque in consueto loco maiori adhuc numero civium cogeretur Consilium”  e mentre, come fino ad ora di consueto, si stava tenendo il Consiglio maggiore dei cittadini, “jmprovisus omnibus supervenit Reverendus pater dominus Rogerius Episcopus Amerinus qui ut inter dominos Antianos cum omnium admiratione assedit” iprovvisamente comparve il Rev.mo Vescovo di Amelia Ruggero (Mandosi), il quale, non appena si fu seduto fra gli Anziani, con grande meraviglia di tutti i presenti, “in hec verba humanissime prolapsus est ut merito et amari et laudari dignus sit” si espresse con parole di grande umanità,  rendendosi degno, a buon diritto, di venire amato e lodato. “Audisse primo se dixit in eo proponi debere consilio  nonnulla ad eum spectantia que ipsum ut illuc accederet impulerunt” iniziò a dire che aveva saputo che, in detto consiglio, si sarebbe trattato di argomenti di suo interesse, che lo avrebbero spinto ad intervenirvi. “Commemoratis igitur summis benefitijs quibus cum semper hec Civitas prosecuta est ut quod Eugenij beatissimi pontificis etate Episcopatum habuit communitatis Amerine studio et diligentia” Dopo aver ricordato i grandi benefici ricevuti dalla Città di Amelia, per le cui premure ed il cui zelo ebbe la nomina a Vescovo durante il pontificato di Eugenio IV (nel 1444) “sue patrie beneficiorum memor  et gratissimus semper fuit” si dichiarò riconoscente in sommo grado dei benefici ricevuti dalla sua patria (Amelia). Propose, quindi, che, per dirimere la questione esistente, venissero eletti sei cittadini, “tradere se professus est palamque aperuit omnem frumentum quod in vallibus erat” e si dichiarò disposto a ceder tutto il grano esistente nelle Valli agli Amerini “quibus non solum granum sed Episcopatum sed se ipsum debere obligarique volebat” ai quali intendeva ritenere obbligato non solo il frumento delle Valli, ma se stesso e la Mensa vescovile; “hoc ingenti totius consilij auditum applausu periocundum profecto fuit omnibus” ciò udito con grande gaudio venne accolto dal consiglio e da tutti con scroscianti applausi. Dopo di che, “domini Antiani et sex cives electi nomine et causa totius Ciivitatis Amelie et immortales illi gratias una voce pro tanta in eos liberalitate egerunt” gli Anziani e sei cittadini eletti a rappresentare l’intera Città, con voce unanime resero imperiture grazie al Presule, per la liberalità mostrata verso tutti.

“Que omnia et singula ut supra narrata, prefatus Reverendus pater Dominus Episcopus Amerinus recessit et consilium totum cohadunatum in loco suo remansit” dopo avvenuto quanto narrato, il Rev. Vescovo Amerino se ne uscì e l’intero Consiglio proseguì la sua seduta. (2011)


25  -  Il Castello di Lugnano, di pertinenza di S. Romana Chiesa, era stato occupato, “indebite et injuste” indebitamente e senza ragione, da Bernardino, Abate di S. Valentino e da Aloisio d’Alviano e molti amerini e lugnanesi erano restati spogliati di case e beni in quel territorio e molti vennero addirittura uccisi. In data 25 Giugno 1502 il lugnanese Nallo di Nalluzio, cittadino di Amelia e gli amerini Ipomeneo Nacci ed Onofrio  Pepe donano ad Agapito Geraldini una casa in Lugnano, del valore di venticinque ducati di carlini, con attiguo terreno lavorativo di dieci salmate, a condizione che, con la sua autorità, ottenga l’allontanamento degl’invasori da Lugnano. Poiché il 31 Dicembre dello stesso anno il Comune di Lugnano dona ad Agapito un podere di dieci salmate, è da credere che la donazione potesse rappresentare una gratificazione per l’avvenuta liberazione dagl’invasori del Castello e del suo territorio. (2014)


25  -  Il 25 Giugno 1510 il notaio Domenico Micheletti è chiamato a redigere un verbale nel refettorio del Convento dell’Annunziata, nel quale il Commissario del Vicario Generale dei Frati dell’Osservanza, Fra Pellegrino Corso, interpella i frati della Chiesa dell’Annunziata di Micchignano, se vogliono vivere “cum fratribus conventualibus aut cum fratribus observantinis Beati Francisci et stare et obedire superioribus dictorum ordinum” con i frati conventuali o con quelli dell’Osservanza, obbedendo ai rispettivi superiori. Il Guardano Fra Costantino Corso, con i suoi quattro frati radunati nel refettorio “ad sonum campanelle unanimiter unionem fecerunt et adhexerunt cum fratribus observantinis Beati Francisci pro se et suis successoribus” al suono della campanella, unanimemente aderirono e si unirono ai Frati dell’Osservanza di S. Francesco, anche per conto dei loro successori. In segno di ciò, consegnarono le chiavi della chiesa e del convento dell’Annunziata nelle mani  del detto Vicario Fra Pellegrino. (2015)


26 - Cesare de Archipresbiteris, perugino, divenuto feudatario della rocca della Penna per più o meno valide ragioni dotali e precedentemente usurpata ai Colonna dagli Anguillara, Signori di Mugnano, durante una cavalcata fatta in territorio amerino, catturò un tal Antonio Mannis, lo fece impiccare e, per cinque giorni, ne tenne il cadavere appeso agli spalti della rocca (con quali effluvi è facile immaginare).

Il 26 Giugno 1473 il Consiglio delibera di inviare a Roma Giacomo Mandosi, per presentare una formale protesta contro le crudeltà del suddetto feudatario. 

Sappiamo che, in prosieguo di tempo, per ribellione alla Chiesa Romana, il Castello di Penna venne confiscato e il de Archipresbiteris finì in prigione a Castel S. Angelo. Del Castello, offerto in vendita agli Amerini nell'aprile del 1479 e da questi rifiutato "summa cum maturitate", con la massima prudenza, ma probabilmente per mancanza di soldi, Sisto IV investì Stefano Colonna, che, qualche mese appresso, ne cedé la cura, il governo e la manutenzione (ahi!) all'alma repubblica amerina. (2001)


26  -  Il 26 Giugno 1434 occorrre deliberare nel consiglio decemvirale circa alcune spese straordinarie occorse, fra le quali figurano:

“Domine Egidie et Domine ... alias Chiavaia de Montecampano missis ad Ortum cum licteris domini nostri libram unam sol. quinque” ad Egidia e ... detta Chiavaia, di Montecampano, mandate ad Orte con lettere del nostro Signore (Francesco Sforza), una libra e 5 soldi (Si vede che anche le donne potevano venire impiegate per qualche mansione di carattere ufficiale).

“Thome Archangelj pro sex uncijs confectionum pro honore facto Magnifico domino Francisco Vicecomite Commissario Jllustrissimo Ducis Mediolanj libram unam sol. quinque” a Tommaso di Arcangelo per 6 once di confetture, occorse per onorare il Magnifico Signore Francesco (Sforza) Visconte Commissario dell’Illustrissimo Duca di Milano, una libra e 5 soldi.

“Menecutio Angelellj pro vino pro dicta re sol. octo den. novem” a Menecuccio di Angelello, per vino impiegato nella stessa occasione, 8 soldi e 9 denari.

“Cole Colcellj qui ivit cum eis usque ad Atiglianum lib. j. sol. v.” a Cola di Collicello, che andò con gli stessi fino ad Attigliano. una libra e 5 soldi.

Vi sono alche molte spese fatte per sistemazione del “torracchio”, del barbacane e di una bertesca della porta Busolina, nonché per altra bertesca presso l’orto dei frati, fra travi, correnti, tegole, canali, ferramenti e rifacimento del mattonato, nonché per la relativa manodopera.

Lo stesso giorno si dibatte circa un problema di carattere umanitario:

“cum Fociani qui post dirutionem Focis venerunt Ameliam exposuerint dominis Antianis se velle in hac civitate Amelie tamquam in solo natali perpetuum habitare vivere et mori ... tamquam boni filij et sevitores” vi sono alcuni Fociani, che, dopo la distruzione del loro castello, vennero in Amelia e fecero presente agli Anziani di voler abitare quivi per sempre e, come sul suolo natale, vivere e morire, da buoni figli e servitori.

Ma non basta. Si tratta anche di una questione di sopravvivenza:

“propter guerre timorem in tenimento Amelie maxima pars bladj predatur, quando non potest iri ad recolligendum ipsum ... et ab illustri domino nostro (lo Sforza) non possimus habere gentium auxilium quorum favore defendamur ab inimicis” a causa del timore degli eventi bellici, nel territorio amerino una gran parte del raccolto dei cereali non può venire recuperata e, quindi, viene depredata e non si può ottenere aiuto da parte delle milizie dello Sforza, che possano proteggere dai nemici.

Che fare?

Nel consiglio generale del giorno seguente, si delibera:

“Cum ipse expense legitime et necessarie facte videantur, sint legitime et approbate” poiché le spese fatte si ritengono necessarie e legittimamente eseguite, vengono approvate.

“Quod quicumque focianus ... venire voluerit in Civitate Amelie preter exbamnitos et rebelles recipiatur” sia accolto in Città ogni fociano che volesse venire a stabilirvisi, purché non sia nel novero degli sbanditi e ribelli.

Per quanto riguarda l’urgenza dei raccolti, “quod domini Antiani una cum domino potestate, habitis una cum ... decem civibus Ameliensibus quos ipsi vocare voluerint, habeant plenam auctoritatem providendi”, gli Anziani ed il podestà, unitamente a dieci cittadini, che dovranno venir nominati dagli stessi, abbiano piena autorità di provvedere in merito. (2010)


26  -  Il 26 Giugno 1507 fra i molti argomenti trattati nel consiglio decemvirale, uno di essi riguarda i danneggiamenti ai prodotti delle viti:

“Cum plurima et jntollerabilia damna jnferentur agrestis estque verendum de maioribus jnferendis damnis ad uvas provideatur” poiché vengono inferti molti ed intollerabili danni all’uva ancora acerba e si teme che ne verranno dati anche maggiori alle uve mature, si provveda in merito. Ser Raniero di Gerolamo, che il Cancelliere definisce “eloquentie floribus jnsignitus”, cioè dotato dei fiori dell’eloquenza, giustificando tale qualifica, si produce in un lungo sproloquio, nel quale, dopo aver auspicato la riconferma dei capitoli e degli ordinamenti vigenti “super damnis jnferendis” sui danneggiamenti che venissero prodotti, “ut jnferentes damnum sint timidiores et se magis abstineant ab illatione damnorum” affinché i possibili danneggiatori vengano scoraggiati nella loro azione delittuosa, propone che i vicini delle singole contrade rurali “possint eligere custodes possessionum ad referendum et accusandum illos qui damnum dederint” abbiano facoltà di eleggere dei custodi delle proprietà, per riferire ed accusare coloro che recassero danni e ad essi sia data “plena fides et stetur eorum et cuiusque ipsorum relationibus” piena fiducia e si creda alla veridicità delle loro relazioni, “habeatque quisque eorum quartam partem de eo quod ex suis relationibus pervenerit in Comune” ed abbiano la quarta parte delle pene pecuniarie che, in base alle loro denuncie, perverranno nelle casse comunali. La proposta viene approvata, anche se, a ben considerare, la solerzia dei custodi non si sarebbe potuta considerare del tutto scevra  da un certo interesse personale.

Altro argomento trattato riguarda rapporti di buon vicinato fra Amelia ed Orte: “pro bono pacis et quietis jnter Comunitates Amerinam et Orthanam pro utilitate Civium hominumque amerinorum si placet quod contra orthanos non possint exequi represalie jn Ameria eiusque comitatu et districtu” per la conservazione della pace e della tranquillità fra le Comunità di Amelia e di Orte e -quel che più conta- a vantaggio di tutti gli Amerini, si propone che, contro gli Ortani, non possano venir concesse rappresaglie in Amelia e suo distretto, “exceptis dumtaxat represalijs pro jnteresse tantum Camere apostolice”, con l’eccezione, tuttavia, di quelle che venissero concesse a favore e nell’nteresse della Camera Apostolica. E questo si propone, in considerazione che “jdem est ordinatum jn concilio orthanorum” un’analoga decisione è stata già adottata dal consiglio di Orte, secondo quanto riferito agli Anziani da tal Valerio di Menico di Ciacara.

Anche tale proposta viene approvata. (2011)


26  -  Il notaio Camillo Carleni (i cui atti, rogati dal 1526 al 1536 erano conservati presso l’Archivio Mandamentale di Amelia e, dal 1989, trasferiti, con gli altri, all’Archivio di Stato di Terni, dove attualmente trovansi), figura presente in Roma, durante l’invasione dell’esercito di Carlo V e dallo stesso  vennero redatti molti atti “in regione Parionis” nel rione di Parione, dove, secondo Mons. Angelo Di Tommaso, sembra abitasse una colonia amerina.

Fra gli altri, merita una menzione particolare il testamento ricevuto il 26 Giugno 1527, quando il Carleni trovavasi nella città già ammorbata dalla peste portata dai soldati imperiali ed un appestato detta le sue ultime volontà dalla finestra al notaio che sta in strada. Un prete Angelo di Matera lo assiste e gli fa da infermiere, alla modica (!) somma di un ducato al giorno (la pelle è pelle!). Il testatore dispone che vengano celebrate messe di S. Gregorio per l’anima sua e che a dirle vi provveda lo stesso prete Angelo; il denaro occorrente viene consegnato al notaio, “quarum quidem pecuniarum numerum ipse testator ignorat et ego (scrive il Carleni) similiter ignoro, quia illas non numeravi, propter suspicionem pestis” l’importo del quale è ignorato dallo stesso testatore e che anche il notaio non conosce, essendosi ben guardato dall’averlo contato, per paura del contagio! Certamente, un testamento dettato da una finestra avrà avuto qualche problema a mantenere la dovuta riservatezza! (2014)


27 - Il 27 Giugno 1471 dinanzi agli Anziani, “una cum populi multitudine copiosa” e presente una notevole moltitudine di cittadini, “certiorati ex relatu complurimorum civium fidedignorum”, si viene a  conoscenza, a seguito di testimonianze di numerose persone degne di fede, “quod quidam de famulis ipsius domini potestatis” che alcuni famigli del podestà (Paolo de Scuttis, romano) “furati fuerunt furtoque subtraxerunt domine Felici uxori olim Jacomi Nicolai et Andree Moriconi” rubarono e sottrassero furtivamente a Donna Felice, moglie del defunto Giacomo di Nicolò di Andrea Moriconi di Amelia “clamides, diploides, caligas, zonas argenteas, anulos auri et auratos, pecuniam et nonnullas alias res ascendentes omnibus computatis ad summam et valorem quatraginta ducatorum auri vel circa” vestiti, diploidi (forse pendenti a coppia), scarpe, fasce d’argento, anelli d’oro e dorati, denaro ed alcune altre cose, del complessivo valore di circa 40 ducati d’oro. Si chiede, pertanto, che venga ordinato “quod debent capere omnes et singulos offitiales ac familiares seu famulos ipsius domini potestatis eosque detinere in loco tuto sub fida et bona custodia” che si debbano catturare tutti gli ufficiali ed i famigli del podestà e tenerli, in un luogo sicuro, sotto buona custodia “et contra eos procedere et inquirere oportunis juris remedijs” e procedere nei loro confronti con opportune azioni legali “et repertos culpabiles in premissis mulctare, punire et condemnare ut juris fuerit et secundum formam statutorum et ordinamentorum civitatis Amelie” e, trovati i colpevoli, punirli e condannarli come per legge, secondo gli statuti e gli ordinamenti cittadini. (2008)


27  -  I Canonici della Cattedrale -assente il Priore- il 27 Giugno 1473 conferirono a Maestro Leonardo di Enrico “de Patavia” (“Provincie Boverie”), dell’Ordine degli Eremitani di S, Agostino ed Organaro, l’incarico di “Faciere, construere et ordinare unum par organorum longitudinis sex pedum a buccha supra, cum omnibus necessarijs et fornimentis de ligno bene et utiliter ac subtiliter et sufficienter laboratos infra terminum quatuor mensium proxime futurorum, connumerando etiam diem quam incipiet laborare” fabbricare costruire e mettere a punto un paio di organi, della lunghezza di sei piedi dalla bocca in su, con tutti i relativi e necessari accessori di legno, il tutto lavorato ad opera d’arte, nel termine di quattro mesi, da contarsi dal giorno dell’inizio dei lavori. I Canonici promisero di fornire al Maestro Organaro i materiali di stagno, ferro legname, tavole, pelle e quanto altro necessario, nonché un corrispettivo “pro manifactura ipsorum organorum cum omnibus necessariis quatraginta ducatos auri papales” per la costruzione dei detti organi, con tutti gli accessori, di quaranta ducati d’oro papali. Inoltre, altri sedici ducati per le spese sue e dei propri lavoranti, nonché una casa di abitazione con un locale per il laboratorio e, per uso proprio, olio, sale e legna sufficiente. (2014)


27  -  Il 27 Giugno 1519 il notaio Bernardino de’ Acetellis è chiamato ad inventariare quanto lasciato da un certo prete Bernardino, andatosene da Amelia “insalutato hospite”. Eccone l’elenco: “uno tovagliolo inuccellato (decorato con uccelli) in negro; uno sciuccatoro cum coste negre; un altro sciuccatoro cum costarelle negre (allegro, prete Bernardino!); doi coperte de guanciali; uno tovagliolo da mano”. Sono presenti anche il Canonico Don Evangelista e Don Giuliano, di S. Maria dell’Olmo. (2015)


28 - Dalla Divisione di Polizia della Delegazione Apostolica di Spoleto, il 28 Giugno 1817 il Gonfaloniere di Amelia ricevette il seguente “forte” richiamo all’osservanza delle norme che vietavano la sepoltura nelle chiese:

“Sono informato con somma meraviglia  che, malgrado le recenti e circolari disposizioni date dalla Segreteria di Stato sulla tumulazione de’ cadaveri, si continua costì a seppellire nelle Chiese, e specialmente in quella dello Spedale, e nell’altra di S.Maria fuori di Città. Io non posso (fare) a meno di non chiamare V.S. a stretta responsabilità sopra una contravenzione così manifesta agli ordini superiori. E’ già corso abbastanza di tempo, perché costì debba essere, come in tutti gli altri luoghi dello Stato, posto in attività il Cemeterio ne’ modi prescritti dall’Autorità Suprema, per ivi eseguire la tumulazione de’ Cadaveri nelle forme stabilite.

“Attenderò a pronto corso di posta una precisa assicurazione in proposito, ed affinché Ella possa più facilmente riuscire nella esecuzione delle misure, che Le conviene di prendere, mi son fatto carico di scriverne a codesto Monsignor Vescovo, con cui passerà l’intelligenza.

“Ed in attenzione del risultato, mi raffermo sinceramente di V.S. Aff.mo per servirla”. (1997)


28 - Nel consiglio decemvrale del 28 Giugno 1477 viene presentata la seguente supplica:

"... humilemente espongono li devotissimi servitori vostri Angelo de Andrea da Capostoppa et Angelica sua moglie come epsa Angelica ad furibonda instigatione desso Angelo suo marito fo et è condemnata capitaliter per la cagione et ragione che è nota ad V.M.S. o alla magior parte (di esse Signorie) la quale condemnagione ve piaccia havere per sufficientemente expressa. Et perché al presente dicto Angelo marito et Angelica moglie hanno fatta bona pace per la quale ipso marito li perdona et remette liberalmente omne iniuria et offesa et dicti dicano vivere et morire in stare pacificamente come boni marito et moglie et come povere persone adiutarse luno laltro. Supplicano adduncha (dunque) ve piaccia ordinare et reformare et alloro gratia fare de rimetterli liberalmente la dicta condemnagione et guardare che sia cassa et nulla o per qualuncha bona via provedere che ipsa Angelica possa remanere ad Amelia et stare et habitare et fare quanto li serà expediente securamente senza deverselli dare alcuna molestia reale o personale per li officiali o per altra persona. Et questo domandano per lo amore de dio et per pietà et misericordia et accio che dio conservi et exalti questa magnifica ciptà de Amelia et le V.M.S. in bono et felicissimo stato et con abondantia de omne bene et cusì pregaranno dio con continua oratione".

Nel maggior consiglio del dì seguente il consigliere Artemisio degli Artemisi "postquam pepercit sibi eius maritus parceat sibi etiam communitas" poiché il marito di Angelica le ha perdonato, le venga perdonato anche dalla comunità.

Non si conosce cosa in realtà avesse combinato Angelica ad Angelo, ma certamente l'offesa recatagli doveva essere stata gravissima, se la condanna era stata formulata "capitaliter": cioè della pena capitale; forse addirittura di tentato omicidio e comunque assai poco degno di tanto "angelica" persona! (2007)


28 - Nel consiglio decemvirale del 28 Giugno 1471 “Andreola, moglie jà de Antuccio de Gentilomo de Amelia, poverissima persona” presenta una supplica, dicendo “che lei non po restare (sottostare) alli pagamenti del comune et al pagamento delle datie del focho. Impertanto domanda de gratia alle V.S. ve parerà farli gratia (che) non sia tenuta ad pagare la detta dativa del focho, offerendosi alli altri pagamenti del sale”. Questo domanda la povera Andreola, aggiungendo che, per quanto la comunità amerina abbia per consuetudine di sgravare le persone indigenti dalla tassa per focolare, lei “lo receverà de gratia singulare”.

Nel maggior consiglio del giorno successivo, si decide che ad Andreola “fiat gratia de medio lare seu focho”, cioè le venga applicata soltanto la metà della tassa, identificata con riferimento al “lare”, cioè al nume familiare che vigilava sulle fortune della casa e si hanno tutte le ragioni per pensare che la povera Andreola ne avesse un gran bisogno! (2008)


28  -  Sorge un dubbio circa l’interpretazione di una norma statutaria e le persone incaricate di revisionare lo statuto (“statutarij”), cioè: Luzio di Pietro, Conte di Elfo, Maestro Francesco di Nicola, Maestro Matteo di Manno, Maestro Donadeo di Buzio, Lello di Crescio, Ruggero e Jacovino di Tebaldoccio, il 28 Giugno 1327 concordemente convennero di rivolgersi “sapienti viro domino Simeone de Velletro, Judice communis Amelie” al sapiente uomo Simeone da Velletri, giudice del Comune di Amelia. La “obscuritas et dubietas” concerne quell’articolo dello statuto che sancisce il divieto di lavorare le terre di coloro che non hanno corrisposto “datium”, cioè l’imposta dovuta alla Comunità. Dopo la consultazione del sapiente Simeone, ogni dubbio viene chiarito: che tale divieto si debba considerare in vigore “contra illos tantum qui laborarent terras et possessiones in territorio districto et jurisdictione Civitatis Amelie” soltanto contro chi lavora terre poste nel detto territorio e sottoposte alla giurisdizione di Amelia e non nei confronti di coloro che lavorano quelle poste fuori dello stesso.

E c’era necessità di consultare un sapiente? (2009)


28  -  Il 28 Giugno 1495 viene redatto l’istrumento pubblico di pace fra la Comunità di Amelia ed i Signori di Alviano, rappresentati da Padre Bernardino “Abbas de Nobilibus De Alviano tam suo proprio nomine, quam procuratorem  et eo nomine Magnificorum Dominorum Francisci sui patris, Bartholomei et Aloysij suorum fratruum germanorum”, che interviene sia in proprio, che quale procuratore e rappresentante di Francesco suo padre e di Bartolomeo e Luigi suoi fratelli germani. Vengono, quindi, accettati e sottoscritti i capitoli di pace, dei quali fanno parte i seguenti:

“Jn primis, che de tuctle offese sì de homicidij de persone, ruinare et abruciare de Rocche et de terre prese et capture de homini et de bestiame, guasti de biade et de vigne, sì etiam de omne altra iniuria generale o particulare facta da una parte et dal altra et dal laltra al altra fanno bona pace, tranquilità, remissione et concordia insemi.

“Jtem che de tucti damni hinc inde (vicendevolmente) facti et receputi per luna parte et per laltra, como è derobbamenti, prede, rapine, furti et altra sorte et generatione de danni, tanto generali, quanto particulari, per qualuncha modo  et qualuncha via facti dal una parte et dal altra, se fanno fine, quietatione, refutatione, remixione et donatione et promecteno non demandare per alcuno tempo né generale né particulare restitutione, tanto de robbe de dicti S.ri, quanto de vassalli et tanto de ciptadini, quanto de contadini et destrictuali de dicta Ciptà.

“Jtem che la Rocha de Alviano se acconcie solummodo (soltanto) per possere habitare, non ampliando né alzando altramente né facendo turri, né piombatori, né alcuna generatione de defese, ma solum coprirla per abitatione.

“Jtem che la roccha de vardegie (Guardea) se lasse in li termini che sta mò et che mai per alcuno tempo se possa fabricare né resarcire et che in la terra de vardegie se possa fare case et habitare per li vassalli, ma non se ce possa  fare mura né porte per alcuno tempo.

“Jtem che tucte le robbe et beni de vassalli deli prefati S.ri de Alviano, quale havessero consignate ad particulari persone in Amelia et fora iurisditione, se facciano rendere ali proprij patruni, excepti quilli fosse venuto in Commune.

“Jtem che li prefati S.ri de Alviano non possano né debbiano tenere alcuno ciptadino, comptadino o destrictuale de Amelia in lidicti loro Castelli de Alviano, Atigliano et vardegia senza voluntà dela Comunità de Amelia in futuro.

“Jtem che la sententia data per Messer Gabriel Ursino tra dicta Comunità de Amelia et dicti S.ri de Alviano, dela quale è rogato Ser Ugolino de Nicolò de Amelia se debbia robborare (osservare) et secundo quella se debbiano mectere li termini.

“Jtem che in la presente pace se intendano essere inclusi tucti ciptadini, contadini et destrictuali dela Ciptà de Amelia et in quella habitanti, et etiam tucti cohederenti (associati) de dicta Ciptà, cio è Lugnanisj, Vassianisi, Jovisi et Pennisi et versa vice se intendano  essere inclusi tucti vassalli de dicti S.ri et loro cohaderenti, cio è quilli de Meleczola, de Tusculano, de Sancta restituta et de Civitella de Aglano et Lugnanisi, jntendendo che li cohaderenti del una parte et del altra se intendano essere inclusi in dicta pace quo ad preterita (per quanto si riferisce al passato). Ma se infuturo alcuni delli Cohaderenti contrafacessero, non se intendano incorrere in pena li principali, ma li predicti non possano essere offisi.

“Jtem che li homini de Amelia et de suo conta(do) et destrictu possano cavare per omne tempo grano che havessero ipsi Amerini in li Castelli de Alviano, Atigliano et vardechie, senza alcuna prohibitione.

“Jtem che le sopradicte parte promectono hinc inde (a vicenda) perpetuo observare tucte le sopra dicte cose et per observantia de epse cose obligano tucti loro beni mobili et inmobili, presenti et futuri, cio è dicti Scindici et Magnifici S. Antiani li beni de dicta Comunità et dicti S.ri tucti loro beni, Castelle, terre et tenute, promectendo tucte le predecte cose (in), perpetuo osservare, socto pena de dece milia ducati, da applicarse ipso facto alla parte observante et subito che serrà contrafacto et contravenuto alla parte observante li sia licito propria auctoritate (di proprio arbitrio) procedere ala executione de dicta pena contra li contrafaciturj”. (2010)


28  -  Nel consiglio decemvirale del 28 Giugno 1466, fra le altre questioni da dibattere, ve n’è una che riguarda la pretesa ineleggibilià di un cittadino all’ufficio dell’Anzianato, per essere stato trovato puntato nel libro degli specchi (dov’erano annotati i debitori puntati), a causa di un’assenza ingiustificata. Trattasi di Bartolomeo Menicucci Zucchi, il quale “in extractione dominorum Antianorum novellorum pro duobus mensibus Julio et augusto futuris” nell’avvenuta estrazione degli Anziani per i futuri mesi  di luglio ed agosto, si era vista annullare l’elezione (con la conseguente lacerazione della scheda estratta) a causa di detta puntatura. Ritenendosi ingiustamente escluso, Bartolomeo ricorre contro detta lacerazione, asserendo che “quando fuit punctatus erat absens a Civitate” quando subì la puntatura, era assente dalla Città, in quanto “iverat mugnanum, propter quod indebite fuisset positum in dicto speculo” era andato a Mugnano e fu puntato indebitamente; “et petit sibi Justtitiam fieri et remittj ad dictum offitium una cum alijs eius socijs” e chiede, pertanto, che gli venga resa giustizia e sia reintegrato nell’elezione dell’anzianato, insieme agli altri suoi colleghi. Poiché Bartolomeo “fecit fidem quod iniuste fuit positum in speculo” dimostrò di essere stato ingiustamente posto nel libro degli specchi, “sit et assumatur ad officium Antianatus” si delibera la sua nomina nell’ufficio anzianale.

Altra questione trattata riguarda i beni dei fuorusciti di Foce. Nei precedenti consigli era stato deliberato che “bona exititiorum focis nolentium redire ad habitandum in ipso castro focis confiscarentur Camere comunis Amerie et dictum comune perciperet fructus eorum possessionum” i beni degli stessi fociani fuorusciti che non intendessero o volessero tornare ad abitare nel detto castello sarebbero stati confiscati dal Comune, che ne avrebbe incamerato anche i relativi frutti. Poiché i Cittadini incaricati del recupero e del restauro del castello di Sambucetole non dispongono dei mezzi necessari a provvedere all’esecuzione di quanto occorre per l’espletamento del loro mandato, chiedono che il Comune decida in merito. Si delibera che gli stessi abbiano facoltà di procedere alla raccolta dei detti frutti e di tenerli a disposizione del Comune, il quale avrà facoltà di conservarli “usque ad festum Sancte Marie de mense Augusti” fino alla prossima festività della Madonna di Agosto “et reddantur redeuntibus ad habitandum in dictum terminum in dicto castro focis” e di restituirli ai fociani che intendessero tornare, entro tale data, nel castello di Foce; “quo termino elapso, fructus  eorum qui non redierunt ad habitandum” trascorso il detto termine, i Cittadini incaricati come sopra avranno facoltà di procedere alla vendita dei detti frutti e di destinare il ricavato “pro expensis edificij et refectionis dicti Castri Sambucetolj” per le spese occorrenti al recupero ed al restauro del Castello di Sambucetole.

Inoltre, poiché si avverte la necessità di procedere periodicamente alla revisione e all’esame di tutti gl’introiti del Comune (“ut introitus communis recte procedat”) e si elargiscano lodi agli ufficiali diligenti e si redarguiscano quelli che non lo sono (“laudentur officiales laudandj et redarguendj redarguantur”), si delibera “esse bonum et utile quod introitus predicti mallefitiorum extraordinariorum et damnorum datorum” come rispondente a pubblica utilità che di tutte le entrate comunali, sia dovute  ad esazione di pene pecuniarie, in occasione di reati e danneggiamenti commessi, sia ad introiti di qualsiasi altra natura, “legantur jn consilijs generalibus” venga data pubblica lettura nei consigli generali “prout fit in pluribus locis, singulis duobus mensibus saltim semel” come avviene in molte altre città, almeno una volta ogni due mesi. 

Infine, si dà lettura di una supplica presentata da un fabbricante di funi,  originario di Foligno, che intende vivere stabilmente in Amelia; nei seguenti termini: “Supplicase humelmente denanti da voi misser lopodestà Signorj Antianj et consigli opportuni damelia per parte del vostro fidelissimo servitore Nicolò funaro da fulignj, al presente habitante in Amelia el quale dice et expone che esso con tre suoi figliolj intende trahere domicilio in questa vostra Ciptà dove intende vivere et morire et fare la sua arte delle funj, per laqualcosa supplica et domanda esserli facta immunità et exemptione delle graveze da imponerse per qualche tempo et da questo impoi essere reputato et tractato come Ciptadino damelia in cose Civili et criminalj occorentelj nella dicta Ciptà Offerendose aldicto comune servirlo de sue fatighe et arte senza alcun premio o salario occorrendo et bisognando delle cose pertinenti allarte sua le quali come pratico maiestro se offerisce saperle fare. Recommandandose sempre ad V. M. S. lequali Dio conservj et accresca in felice stato”. Si delibera che “pro acquirendis hominibus et novis famulis” per dar accoglienza a nuove forze lavorative, a Nicolò ed alla sua famiglia si conceda esenzione da tutte le imposte  “pro annis quindecim proxime futuris” per i prossimi 15 anni “et quod in posterum gaudeat beneficio Civilitatis in civilibus et criminalibus prout in sua petitione et supplicatione continetur” e, come da lui richiesto, per l’avvenire goda di tutti i benefici inerenti alla cittadinanza amerina. (2011)


28  -  Il 28 Giugno 1387 in consiglio si dibatte un problema di sicurezza cittadina; cioè “quod cum utile et necessarium sit pro custodia  Civitatis habere et retinere ad nostrum stipendium vigintiquinque famulos bonos et legales et fidatos Statui S,cte Romane Ecclesie et domini nostri pape” che si ritiene utile e necessario per la custodia della città assumere ed avere a stipendio 25 buone e fidate guardie, fedeli alla Chiesa ed al papa; ma, come al solito, “pecunia non sit in Communi” le casse comunali sono vuote. Il consigliere Beraldo Andreucoli propone che i denari occorrenti si ricavino dall’imposizione di una tassa “ad gradum” a scaglioni, nel modo seguente: gli allibrati in catasto “a Centum libris supra” oltre le cento libre, paghino sei bolognini e quelli allibrati “a centum libris infra” al di sotto, ne paghino solo quattro. Pietro Manni, a sua volta, propone che si invii un ambasciatore  al principe Nicolò Orsini, pregandolo di inviare in Amelia, almeno per un mese, cinquanta o quaranta  cavalieri, in caso negativo, lo stipendio delle venticinque guardie da assumere si ricavi da una tassa da imporsi agli allibrati oltre le cento libre, pari a dieci bolognini e da quelli al di sotto delle cento libre, in otto bolognini. Ma la proposta dell’Andreucoli riporta l’unanimità dei consensi, meno uno: molto probabilmente del Manni!

Riferisce Mons. Angelo di Tommaso, nei sui appunti tratti dall’Archivio Notarile Mandamentale di Amelia, che, sotto la data del 28 Giugno 1474, al Vicario Generale del Vescovo Ruggero Mandosi, Nicolò de Vivis, di Arezzo, era constato, a mezzo inchiesta giuridica, che il Can.co Paolo di Andrea, in casa sua “pluries et pluries commisit adulterium cum domina Prefatia, uxore Joannis Vacche de Amelia, in dedecus et obbrobrium ordinis clericalis et in verecundiam dicti Joannis et contra jus et bonos mores et sacras constitutiones” aveva commesso più volte adulterio con Prefazia, moglie di Giovanni Vacca, a disdoro ed offesa dell’ordine clericale ed a vergogna del marito, nonché contro il diritto, il buon costume e le sacre costituzioni. Detto Can.co Paolo compare e, pur riconoscendo i suoi torti, volendo evitare il carcere, promette di obbedire alle ingiunzioni  del Vicario e di pagare l’ammenda che gli verrà inflitta e che viene quantificata in venticinque fiorini. Tanto, tra vacche e tori ci si intende! (2014)


29 - Il 29 Giugno cade la ricorrenza della prima traslazione del corpo di S. Fortunato vescovo e patrono di Todi, avvenuta nell'anno 708. Negli statuti di quella città sono contenute disposizioni notevoli per questa occasione. Fra le altre, era stabilito che i podestà di Amelia e di Terni, con il loro seguito, andassero a Todi a far atto di sottomissione al Comune: quelli di Amelia, giuravano in ginocchio e quelli di Terni in piedi; presentavano come tributo un cero di notevoli dimensioni, che veniva poi portato processionalmente nella chiesa del Santo, morto il 14 ottobre circa l'anno 560. (1996)


29 -  Nel Consiglio dei Dieci del 29 Giugno 1450 si dibatte delle notevoli spese affrontate "in adventu huc" cioè per essere qui giunto Papa Niccolò V con sei Cardinali, cioè Colonna, di Fermo, Orsini, Angioino, di S. Maria Nuova e di S. Angelo, "cum omnibus equitibus et comitivis", cioè con tutto il seguito di cavalieri e relative comitive. Si elencano le spese sostenute dal Comune in dettaglio:

“-pro blado et stramine, libras 366 - pro vino, lib. 325 - pro carnibus, lib. 199 - pro pullis, ovis et caseo, lib. 250 - pro fructibus et agrista, lib. 21 - pro cera et confectionibus, lib. 517 - pro pane, lib. 72 - pro lignis, lib. 20 - pro baldacchino seu palco, lib. 55 - pro armis ibi positis ecclesie et francia sirici, lib. 26 - pro flaschis 23 perditis, lib. 12 - pro victura Jo. Martini missi Aquaspartam etc. lib. 3 - pro vino et carnibus salatis in alia manu, lib. 7”.  In totale, "sunt libre 1.873 denariorum".

Data l'entità della cifra, si rimette la decisione al Consiglio generale che, riunitosi il giorno seguente,  e, "ut deveniat pecunia in Communi", cioè per trovare i soldi necessari, delibera di ricavarne per un terzo tassando "focularia", cioè per ogni focolare, per un terzo, per imposizione "pro capite" e per l'altro terzo "pro libra", cioè secondo la rendita catastale. In definitiva, è come dire che un terzo lo paghi Mario, un terzo Rossi ed un terzo Mario Rossi! (2004)


29 - In una missiva inviata da Roma il 29 Giugno 1797 al Conte Bartolomeo Farrattini dal cugino Stefano Sandri, quest'ultimo, fra le altre notizie contenute nella lettera, scriveva:

"Avrete già saputo che ieri Vigilia di S. Pietro poco doppo il mezzo giorno nel tempo che lavorava gran gente in Castel S. Angelo per la solita girandola andiede a fuoco molta polvere, e mandò in aria qualche fabrica, palle sparse per tutta la Città, e finora si sono scavati sotto le macerie dieci morti, li feriti sono magior numero, né si sa se sia stata sola disgrazia, ma dai più si teme artefatta".

Come si vede, il terrorismo dinamitardo ha radici lontane! (2005)


29 - Stefano Sandri, cugino di Bartolomeo Farrattini, avendo saputo che quest'ultimo è affetto da una "flussione di occhi", gli scrive da Roma in data 29 Giugno 1797 che si informerà "da qualche professore per potervi sugerire qualche rimedio". Puntualmente, allega alla lettera il seguente foglietto:

"Ho sentito un primario chirurgo Sig. De Rossi ... è necessario sapere se questo incomodo che avete avuto più volte ve lo abbia lasciato la Rosalia (sic), o pure lo abbiate avuto anche prima. La mignata che vi è stata sugerita la crede di poco, o niente giovamento. Bensì crede efficacissimi due visiganti (vescicanti) alle braccia, ma temo che questo voi non lo farete, ma questo dice sarebbe assai utile, intanto dice che procuriate tenere il corpo lubrico, mangiate e beviate con moderazione e vi laviate di tanto in tanto gli occhi con acqua di fiori di sambuco mischiato con poco aceto e non vi riscaldate. Questo è quello che può sugerirvi da lontano".

Si ignora se tali rimedi empirici abbiano sortito effetto positivo. (2006)


29 - Il 29 Giugno 1496 gli Anziani, riunitisi collegialmente nella cancelleria comunale, "studentes Reipublice Amerine pro viribus prodesse" desiderando vivamente portare giovamento alle forze (cioè al prestigio) della Repubblica Amerina, "redimerunt octo crateras (sic) argenteas ponderis librarum quinque untiarum duarum ex crateris communis" riscattarono otto tazze d'argento del peso di 5 libbre e 2 once delle tazze del Comune "pro uno et viginti ducati de carlenis solutis Gabrieli ebreo per manus Angeli Angeli camerarij communis" con 21 ducati di carlini pagati all'ebreo Gabriele, per mano del Cancelliere comunale Angelo Angeli.

Queste tazze (o coppe) d'argento, presumibilmente derivate in proprietà del Comune, insieme ad altre, in dipendenza di regalie di volta in volta effettuate alle maggiori magistrature cittadine da personaggi pubblici o da privati cittadini, venivano spesso date in pegno a qualche banchiere ebreo, per rimpinguare le anemiche finanze comunali, come era già capitato in passato e come avverrà di nuovo, ad esempio il 22 Settembre 1516, per trovare i denari occorrenti a presentare un dono a Papa Leone X ed il 2 Agosto 1518, per omaggiare Mario Orsini. (2007)


29 - Occorre procedere alla scelta del nuovo medico. Su delega del maggior consiglio, gli Anziani, in data 29 Giugno 1478, eleggono Bartolomeo Cansacchi, Taddeo di Giovanni, Pietro Ciardi e Alberto Nicolai di ser Luca, cittadini amerini, affinché notifichino a Maestro Giovanni "phisicus" di Carpi ed a Maestro Gregorio Angeli di Toscanella, entrambi definiti "medici famosissimi", se intendano venire in Amelia ad esercitare la loro professione "cum salario clxxx fl. ad rationem 50 bay. pro fl." con il compenso di 180 fiorini, in ragione di 50 baiocchi a fiorino, "cum capitulis consuetis", con i soliti patti; e "alter eorum qui electionem duxerit acceptandam" chi dei due si deciderà ad accettare l'elezione, "veniat personaliter ad civitatem Amerina ante diem x.um mensis Julij proxime futuri 1478" venga ad Amelia prima del 10 luglio prossimo; "aliter electio nulla sit" altrimenti l'elezione sarà considerata nulla. (2008)


29  -   Nel consiglio decemvirale del 29 Giugno 1748 viene data lettura della seguente supplica, presentata agli Anziani da parte delle Monache di S. Giovanni:

“Ill.mi Sig.ri, il Monastero e Monache di S. Giovanni Evangelista di questa Città d’Amelia, Oratrici delle SS. Loro Ill.me reverentemente le rappresentano (fanno presente) che, avendo dato principio alla loro Fabrica con il riflesso (la conseguenza) che la strada non deve serrarsi (venir chiusa) che doppo compita la detta Fabrica, ed avendo a tal effetto fatto venire da Perugia quattro muratori e perciò supplicano la SS. VV. Ill.me acciò non gli faccino alcuna oppositione, perché quando si occuparà detta strada che passa dietro le mura della Clausura, allora si darà alla Comunità le giuste e doverose sodisfazioni, come averanno riconosciuto nel nuovo fatto vicino al domo e strada adagiata, quale intendono compire con cordonata e salciata, benché non spettante ad esse”.

Il consigliere Olimpiade Racani, “sopra il tenore del memoriale dato dalle Rev.de Monache ... le quali supplicano per la licenza di chiudere et occupare la strada publica che passa sotto le mura della loro Clausura e conduce alla Catedrale, esibendosi (offrendo) aprire un altra come già è noto”, dice: “sono di sentimento e parere che la detta strada se gli possa concedere a condizzione però espressa, che non s’indenda mai conceduta, né alle medesime sia lecito di chiuderla se non doppo che averanno aperta e ripianata e di tutto quanto aggiustata la nuova strada, che indendono di sorrogare a contentamento di questo Publico, da riconoscersi da due deputati, che sono di parere si debbiano eleggere dal presente Magistrato e secondo che da medesimi Sig. deputati gli sarà ordinato; inoltre, considerando che, stante la nuova fabrica della Chiesa di S. Caterina, le processioni solite farsi nella nostra Città dovranno fare, per non dare indietro, il giro della strada dove sta il forno del suddetto Monastero di S. Giovanni, la quale è angustissima, come ognuno sà, debbino dette Monache demolire la casetta del detto forno e in considerazione di questa concessione di strada da loro richiesta, essendo considerabile (considerevole) la quantità del sito che loro acquistarebbero rispetto a quello, che del proprio (a proprie spese) surrogono (provvedano) per la nuova strada, e non altrimenti”. 

La proposta del Racani ottiene la totalità dei voti, meno uno. (2009)


29  -  Nella seduta del consiglio decemvirale del 29 Giugno 1519, fra l’altro, si dà atto di una decisione presa in una riunione assembleare dei bifolchi, nei seguenti termini: “Bubulci ut fertur fecerunt Consilium jnter se quod nemo eorum possit ire ad prestandas operas cum bobus pro minorj pretio 18 bon. quod est ultra consuetudinem” si riferisce che i bifolchi fecero consiglio fra di loro che nessuno di essi possa recarsi a prestare la propria opera con i buoi per un corrispettivo inferiore a 18 bolognini; il che risulta essere contrario ad ogni consuetudine. Si chiede, quindi, “quid agendum” che decisione adottare.  Si delibera che nessuna associazione di artigiani possa riunirsi in consiglio “absque presentia et voluntate Dominorum Antianorum” senza la presenza e l’autorizzazione degli Anziani, sotto pena di 4 ducati ed, in particolare, per quanto riguarda la riunione in oggetto, si ribadisce “nec aliquis bubulcus presumat pro operis prestandis petere plus consueto” che nessun bifolco possa chiedere, per le sue prestazioni, più di quanto normalmente praticato, sotto pena di un ducato, sia a carico del prestatore d’opera, che di chi lo assumerà.

Nella stessa seduta, viene presentata una petizione del seguente tenore:

“Supplica ad questo generoso Consiglio el devoto oratore Menico de Achille de Succhio et expone como luj non possede cosa alcuna, per questo dimanda di gratia non mediocre vogliano dignarse farlo exempte da tucte date jmposte et da imponere per qualuncha cascione, la qual cosa benché la honestà et lo dovere el rechieda, lo receverà ad gratia da questa Magnifica Comunità alla quale continuo se recomanda”. Si decide che il povero Menico “si nihil possidet fiat exemptus ut petijt, de quo stetur ipsius juramento” se non possiede nulla, gli sia concessa l’esenzione che chiede e si creda al suo giuramento. (2011)


29  - Nel consiglio decemvirale del 29 Giugno 1540 si tratta, fra l’altro, di decidere della destinazione da dare ai denari ricavati dalla vendita dei pegni non riscattati: “ex pignoribus montis vendendis quid faciundum sit de pecunijs”.

Ser Ludovico Nacci, “vir administrandae Reipublicae peritissimus”, propone “quod bandimentum fiat ut quisque habens pignora in Monte debeat illa per totum mensem Augusti proxime futurum reluere (redimere)” che si bandisca pubblicamente che chiunque abbia dei pegni presso il Monte di Pietà, li debba riscattare entro il prossimo mese di Agosto, “alias quod M.ci d.ni Antiani eligant quatuor Cives qui, una cum eis, habeant auctoritate presentis consilij facultatem ac potestatem provisionem idoneam et talem qualis eis videbitur necessaria et oportuna” altrimenti, che agli Anziani il consiglio dia facoltà di nominare quattro cittadini che, insieme ad essi, abbiano ogni potere di prendere la decisione che sembrerà loro più  opportuna per procedere alla vendita dei pegni non riscattati “et pecunie inde proveniendae convertantur in frumentum” e i denari ricavati dalla loro vendita si impieghino nell’acquisto di grano.

La proposta del Nacci si rivela all’altezza della sua fama di “uomo grandemente esperto nell’amministrazione della cosa pubblica” e viene approvata con venticinque voti favorevoli e sette contrari (forse appartenenti a debitori morosi!).

Ed ecco i nomi dei quattro cittadini eletti per provvedere in merito: Laurelio Laureli, Francesco Riccardi, Pannunzio Cerichelli e Paolo Carleni. (2012)


29  -  Il 29 Giugno 1559 nelle riformanze viene riportata la seguente notizia:

“Ex consensu et voluntate Magnificorum Antianorum, Capitaneus Momus Leonius de Tuderto constituit elegit et deputavit Grifaldum Gacciole de Civitate Amerie sergentem militie dicte Civitatis” con il consenso e la volontà degli Anziani, il Capitano Momo Leonio di Todi elesse e nominò Grifaldo Gacciola di Amelia sergente della milizia di questa Città, “presentibus Sensino servitore palatij et Jo. francisco tubicine testibus” alla presenza dei testimoni Sensino, famiglio del Palazzo anzianale e Gian Francesco, trombetta.

Da quanto sopra, risulta evidente, anche in quel periodo, la dipendenza militare da Todi della nostra Città.

Lo stesso giorno, in seduta consiliare, Leandro di Massimo -”prudens vir”- propone che si adottino provvedimenti “ne tot danda (damna) agrestis alijsque fructibus inferantur” affinché si limitino i danni che vengono inferti ad uve e ad altri frutti. Camillo Carleni -“facundus vir”- facendo onore al suo appellativo, esordisce dicendo: “Ne mallefitiorum levitas sit argumentum male agendj” affinché l’indulgenza (nel giudizio) dei reati non incoraggi ad agire malamente, “quando exemplum ad multos, poena vero ad paucos pervenit” allorché l’esempio arriva a molti e la pena a pochi; “quicumque reperiretur talia inferre damna” chiunque sarà trovato a produrre tali danni “berline, ut dicunt, alligetur ibique toto die permaneat ad aliorum exemplum” venga legato ed esposto -come si dice- alla berlina ed ivi resti per un giorno intero, da servire per l’esempio altrui; “dominoque rej damnum inferens pro suo emendo ... teneatur” e chi reca danno sia tenuto a risarcire il proprietario. Ed aggiunge:

“Itemque quattuor creentur custodes, quorum duo ad portas morentur ubj possint inquirere uvarum vel agrestarum quantitatem et duo foris per vineas et possessiones” Ed inoltre si nominino quattro guardiani, dei quali due stiano alla porta (Busolina), dove possano controllare i carichi delle uve in transito e gli altri due vadano in giro nelle vigne e nelle proprietà “et invenientes aliquem vel ad portam vel foris possint illum accusare perinde ac reperissent in damno” e se trovassero qualcuno, tanto alla porta, quanto fuori, lo possano accusare come se lo avessero sorpreso a dare danno “et dominus rej teneatur dare dictis custodibus quartam partem quae sibi tetigerit” ed il padrone sia tenuto a dare ai detti gurdiani la quarta parte di quanto gli spetta.

“Item quicumque fuerit repertus facere raspatum aut uvam passam nec habuerit vineam teneatur ad poenam dupli pluris” inoltre, chi sarà trovato a fare vino raspato o uva passita e non possedesse vigna, sarà tenuto al doppio della pena. (Molto probabilmente il vino “raspato” non dovrebbe aver avuto allora lo stesso significato di oggi, in cui indica un vinello ricavato dalle vinacce già passate al torchio).

“Item dominus rej absque licentia dominorum Antianorum in scriptum ante tempus non possit facere raspatum sub eadem poena et de qua quidem poena ulla gratia fieri non possit” inoltre, il padrone, senza licenza scritta degli Anziani, non possa far vino raspato prima del tempo, sotto la stessa pena, della quale non possa essergli fatta remissione “et quicumque prestaverit favorem vel procuraverit damnum inferens non alligetur berlinghe vel talem poenam non solvat” e chiunque presterà aiuto a chi reca danno o farà in modo che lo stesso non venga legato alla berlina o non paghi la pena prevista, “illico scribatur in speculis pro scutis quinquaginta” sia immediatamente iscritto nel libro degli specchi per cinquanta scudi ...

... “Item quod quilibet dominica ista reformatio bandiatur per loca solita et consueta ne ingniorantiam (sic) excusent et in quisque ottavos dies novj custodes extrahantur in cancellaria” inoltre, che ogni domenica queste disposizioni vengano bandite per tutti i luoghi della Città, ad evitare che ne sia contestata la conoscenza ed ogni otto giorni, nella Cancelleria, vengano estratti i nomi dei nuovi guardiani.

Sembra che, all’epoca, l’uva godesse della massima protezione e fosse considerata più preziosa dell’oro! (2014)


30 - Durante la peste che infuriava a Roma nell’anno 1476, Sisto IV, con un ricco seguito, venne ospitato il 30 Giugno di quell’anno, in Amelia, dalla Famiglia Geraldini, nel palazzo sito nell’attuale Via della Repubblica, al c.n.74, dove restò ospite per venti giorni, con grande diletto; quindi, “refocillato animo”, riprese la via del ritorno.

Ne resta memoria in una lapide tuttora murata sulla parete anteriore del palazzo. (1997)


30 - Il 30 Giugno 1504 viene riportata nelle riformanze una lettera di Giulio II Della Rovere, il papa che, dopo il brevissimo interregno di Pio III -durato poco più di un mese- era succeduto ad Alessandro VI Borgia, sotto il cui pontificato si disse che, a Roma, Dio non era "trino" ma "quattrino".

La lettera, datata da Roma il 27 Giugno, così recita:

“Cum dilectus filius Bartholomeus de Alviano ac eius fratres et nepotes domicelli Romani ex voluntate et iussu nostro restituerint et liberi iam reposuerint in manibus commissarij nostri oppidum nostrum Lugnani”, poiché il diletto figlio Bartolomeo d’Alviano, suoi fratelli e nepoti, su nostro comando, hanno restituito e consegnato in mani del commissario papale il nostro castello di Lugnano “ac preterea promiserunt se liberos dimissuros captivos omnes de vestris penes se habentibus” ed inoltre promisero di rilasciare liberi tutti i vostri prigionieri che hanno presso di sé “mandamus vobis ut visis presentibus et receptis captivis vestris” vi comandiamo che, letta la presente e riavuti i vostri prigionieri “absque aliqua tergiversatione relassetis et liberum penitus dimittatis dilectum filium Jacobum de Alviano apud vos detentum: quod erit nobis gratissimum” senza indugio rilasciate e mandiate del tutto libero il diletto figlio Giacomo di Alviano, prigioniero presso di voi; il che sarà per noi cosa assai gradita “ut per eam que vos decet obedientie promptitudinem” affinché, per quella prontezza nell’obbedire che vi conviene “alacrius domino adiuvante” al più presto, con l’aiuto di Dio, “possimus intendere ad reliqua nostra que spectant ad pacem et securam tranquillitatem omnium vestrorum” potremo dedicarci a quelle altre cose che riguardano la pace e la sicurezza di tutti voi. (2007)


30 -  Il 30 Giugno 1651 nel Consiglio Nobile dei Dieci si tratta un argomento piuttosto singolare, cioè la profumazione della corrispondenza, certamente legato ad un problema di prevenzione di contagio e non, come suggerirebbe il verbo “profumare”, ad una qualche frivola preziosità.

“Il mastro delle Poste di Narni li giorni passati scrisse a questa Communità che gli era stato ordinato da Monsig.r Governatore di detto Narni che facesse profumar le lettere e perché le lettere vanno unite con queste nostre, che si doveva unitamente far le spese, che però ne dava parte per sapere se si voleva contribuire o se si voleva pagare un quattrino più per lettera” da cui derivava che ogni comunità avrebbe dovuto contribuire alla spesa della “profumatura” con 25 giuli il mese. Aggiungeva che avrebbe inviato la copia di una lettera “mandatagli da Monsig. Ill.mo Marazzani, Commissario Generale sopra la sanità, dove gli dà autorità che pigli le spese che fa nel profumar di esse lettere un quattrino più per lettera”.

Il consigliere Francesco Boccarini formula la presente proposta:

“Io sono di parere che si scriva al mastro delle Poste suddetto che ci mandi le nostre lettere senza profumarle, non intendendo questo publico di pagar la gabella di un quattrino più per lettera, perché le faremo profumar noi che altrimente ne daremo conto alli SS.ri Superiori di Roma non mandandole conforme al solito e che si scriva ancora a Monsig. Ill.mo Marazzani con rappresentargli che a questa povera Città importarebbe detta gabella più di cinquanta scudi l’anno”.

E, quindi, ognuno si “profumi” per conto suo la propria corrispondenza! (2008)


30  - Sotto la data del 30 Giugno 1537 nelle riformanze risulta trascritta una lettera inviata dal Cardinale Legato Grimaldi da Foligno il 26 precedente al Governatore di Terni Gian Francesco Luzi, del seguente tenore:

“Non havendo noi provisto (provveduto) per anchora al Governo de Amelia, ve commettemo debiate jnseme con Terne pigliar la cura de quella Cità anchora sin tanto chelliaremo facta altra provisione perlo regimento de epsa. Et perché jntendemo (sappiamo) che già molti mesj sondo (da molti mesi) è stato ritenuto carcerato lì in Amelia un Troiano de Aquasparte et ne è bisognato revocar de là uno auditore mandatoce ad questo effecto, ve conferirete subito là et cognoscere la causa de questo Troiano summariamente per justitia, jl quale si trovarete culpevole che li delicti che li sondo (sono) apposti (attribuiti) lhabia commessi per causa sua propria (per motivi personali) lu punirete secondo che ve parerà de ragione; quando veramente fosse jncurso in qualche errore per causa publica et col nome (a nome) dela sua comunità et non per particular suo jnteresse, vi farrete dar bone cautioni (garanzie) da lui de se representando (di presentarsi) et parendo preceptis (e di ubbidire alle ingiunzioni fattegli) et liberaretelo intanto de la carcere, che in tal caso riservamo la cognitione de questo delicto ad noj, da judicarlo quando ce sarremo trasferiti da quelle banne (parti) perché (nella circostanza in cui) darremo opera (cercheremo) che se quietino le differentie (questioni) che sondo (esistono) tra la Comunità de Tode et quella de Acquasparta. Et si trovarete el decto Troiano jnnocente et che né per sé né per nome (a nome) de la sua Comunità habia errato, lassolverete et liberaretelo come è de justitia. Et bene valete. Da Fuligno ali 26 de Jugno 1537”. (2012)


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© Giovanni Spagnoli 2013