M A R Z O


Nel mese di Marzo, fra i lavori più usuali che si effettuano nelle campagne, vi sono quelli relativi alla custodia delle viti. Virgilio, nel primo libro delle Georgiche, cita, al verso 265 "atque amerina parant lentae retinacula viti" (apprestano -gli agricoltori- legami d'Amelia alla flessibile vite). In Amelia -teste Columella- crescevano salici particolarmente adatti a tale operazione. (1998)


1 - I nuovi Anziani, in data 1° Marzo 1434, giurano “ad statum gloriam triumphum et exaltationem perpetuam illustris et excelsi d.ni nostri d.ni Francisci Sfortie Vicecomitis Cotignole et Ariani, Comitis Marchie Anchone etc., armorum victoriosissimum Capitaneum et Amelie domini, etc”.

La decisione di concedere la signoria della città allo Sforza era stata presa il precedente 6 febbario, nell’arengo convocato nella chiesa di  S. Agostino, dov’erano presenti ben 630 persone.

Mons. Angelo Di Tommaso, uomo di grande cultura ed illustre studioso della storia amerina, commentando questa nuova formula del giuramento degli Anziani, si abbandona ad una considerazione di carattere tanto patriottico, quanto utopistico: “E’ il tramonto dei nostri Comuni travagliatissimi. Oh se lo Sforza avesse potuto e voluto unificare l’Italia sotto il suo dominio, quanti guai si sarebbero risparmiati!”. (1999) 


1 - Il 1° Marzo 1435 vengono impartiti al nuovo castellano di Penna in Teverina gli ordini di effettuare, in caso di pericolo, i seguenti segni convenzionali:

-per una cavalcata di passaggio, "faciet semel fumum de die": una sola fumata di giorno;

-se la cavalcata si arresta, "faciet fumum bis vel ter": due o tre fumate;

-se il pericolo si facesse serio ed il castello venisse assediato: "tunc faciet fumum continuo; et de nocte, ignem eodem modo": la fumata sia continua e, se di notte, sia continuo un fuoco.

(Sembra un'anticipazione dei tempi del Far West!)

-Sulla torre della Rocca, sventoli la bandiera con le armi di Francesco Sforza, dipintevi da Mario di Ser Nicolò per 7 libre e 15 soldi. (2001)


1 - Nell'elezione degli Anziani per il bimestre Marzo-Aprile dell'anno 1552, è da notare, per la particolare devozione ed il notevole impegno esprèssivi dal Cancelliere verbalizzante, l'intero preambolo, che volentieri si riproduce. 

Dopo la singolare indicazione della data: "Felicibus Kalendis Martij" Nel felice giorno delle calende di Marzo:

"Nullum Deo vacare debet principium" nessun inizio deve mancare da(ll'invocazione a) Dio "quare desiderandum est ut aditus novorum dominorum ad gubernacula Civitatis sit ad laudem gloriam et honorem omnipotentis Dei Beatissimeque matris Marie virginis ac totius celestis Curie" perciò è desiderabile che l'ingresso dei nuovi Signori al governo della Città sia fatto a lode, gloria ed onore di Dio onnipotente e della Beatissima Maria Vergine Madre e di tutta la Celeste Curia "et ad quietem pacificumque statum huius inclite Civitatis" ed al(la conservazione del)la quiete e pacifico stato di questa illustre Città "ad excidium qui oppositum desideraret" in rovina di chi desiderasse il contrario.

Si ricordano i nomi degli Anziani eletti dopo tanto laborioso fraseggio: Pannunzio Cerichelli, Schioppo di Andrea, Federico Cansacchi e Sestilio Gacciole. ("Magnifici Domini Antiani populi amplissime Civitatis Amerie pro duobus mensibus Martij et Aprilis") (2006)


1  -   Il nuovo Cancelliere Barnaba da Sarnano, degno successore ed emulo di Battista Mariani Santi de Quarantoctis, in occasione della presa di possesso da parte dei nuovi Anziani il 1° Marzo 1473, rivolge loro una magnifica orazione, di cui riportiamo l’inizio, lasciandone la traduzione ai latinisti:

“Quanti te Deus optimus maximus semper Ameria fecerit ob excellentem tuorum civium dignitatem ac prope divina ingenia mihi etiam hoc ipsum animo voluptanti compertum est” e così di seguito, per oltre una pagina e mezza, vergata con una grafia minuta ed elegante, con citazioni di Platone, Catone, Plutarco ed altri, con le quali e con argomenti altrettanto eruditi il dotto Barnaba si rivolge ai nuovi Anziani, che chiama ciceronianamente “Patres conscripti”. (2009)


1  -  Muore in un albergo di Amelia un armigero di Carpi, Angelo de Rosa. Erano presenti al decesso fra Serafino di Amelia con altri. Il 1° Marzo 1521 viene redatto l’inventario di quanto lasciato dal defunto:

“Unum equum pilaminis baij cum sella et breglia. Item unum eiusdem cum guarnimento ala schiavona” un cavallo di colore baio, con sella e briglia, ed altro con guarnimento “alla schiavona”. “Item uno pugnale, videlicet (cioè) unum stilectum aurato  cum manica laborata de argento cum fodero de villuto nigro cum ponta de ramo (punta di rame) indorato. Et uno sagione (cotta) di panno verde et pagonazzo, con dui lioni et uno arboro et lo sayone listato de villuto negro; uno joppone de fustagno negro; uno paro de calze negre fruste tagliate; uno feltro bianco, uno paro de stivali con li speroni, una berretta negra, uno corpetto de cordovano rosso et bianco, (il) quale Bartolomeo da borgho disse che’l predicto Angelo lo haveva lassato et donato ad Damiano”. L’estensore dell’inventario -o meglio l’incaricato dal defunto di fare i conti con l’albergatore- certo Tasso, resta, a conti fatti, creditore di diciannove carlini. Un altro albergatore -Giovan Ciccolini di Narni- per i cinque giorni che il defunto stette “cum famula” al suo albergo, deve avere 12 carlini; donna Clemenza senese, moglie di Tizio Spoletano, per servizio prestato durante tredici giorni, deve avere 13 carlini; il detto Giovanni, per sei libbre di cera comprata per i funerali, deve avere 12 carlini, per un’elemosina ai frati di S. Francesco, per la sepoltura, due carlini e, per il lenzuolo in cui fu involto e sepolto il corpo, altri 5 carlini; per un messo inviato, d’ordine del morente, tre carlini. Infine, al notaio, per la scrittura dell’inventario, un carlino. E riposi in pace. (2014)


2 - Al tempo di Papa Clemente VI venne redatto il “Liber” della “Fraternita S.ctae Mariae”, durante il priorato di Angeluzio di Maestro Giovanni e l’anzianato di Ser Salvato di Ser Jannis, Angnalucolo di Fazio, Gregorio Jannelli, Martuzio Jacobutii e Marzio Petri, sotto la data del 2 Marzo 1349.

Tale circostanza rilevasi -soltanto con sussidio di mezzi di laboratorio- scritta sotto la miniatura della Vergine in trono col Divin Figlio, di artista umbro, che costituisce il primo foglio dell’originale manoscritto giunto fino a noi.

Tuttavia, la prima codificazione ufficiale degli statuti della “Fraternitas” è pubblicamente riconosciuta sei anni dopo, nel 1355.

La “Fraternitas Sanctae Mariae” sorse inizialmente fra “quidam layci amelienses” (e, da ciò, denominata comunemente “Laycorum”), con intenti di ausilio principalmente spirituale, per il conseguimento della salvezza eterna e la sua costituzione si fa risalire all’ultimo quarto del XIII° secolo.

In virtù di donativi e lasciti, la “Fraternitas” fu in grado di fornire anche assistenza di tipo materiale ai meno abbienti, aprendo un ospizio per poveri e pellegrini, con molta buona approssimazione intorno all’anno 1300, in occasione del movimento che venne a determinarsi per il giubileo indetto da Bonifacio VIII° per quell’anno.

L’antica sede dell’ospedale può riconoscersi nella chiesa ancora oggi denominata “dell’Ospedaletto”, e negli adiacenti stabili (attualmente in Via della Repubblica 26-28).

Dall’anno 1794 l’ospedale venne trasferito presso i locali dell’ex monastero delle suore benedettine di S. Stefano, corrispondenti all’odierno “Ospedale Civile S. Maria dei Laici” che, con decorrenza dal febbraio 1995, è stato rinominato, con discutibile opportunità, “Stabilimento Ospedaliero di Amelia”.

(Chi volesse approfondire la conoscenza della storia del nostro ospedale, può consultare l’opera di Giuseppe Abate “Statuti Medioevali e inventari della Fraternita di S. Maria dei Laici d’Amelia”). (1997)


2 - Il 2 Marzo 1411 viene trascritta nel registro delle riformanze la lettera liberatoria inviata dal Camerario della Città di Roma Pietro Tregiesani in data 21 Febbraio e redatta dal notaio camerale Filippo Venacci con la quale si dà atto che la Città di Amelia ha partecipato con "quatuor equestres ludentes ante palatium Campidolij cum bampnerijs" quattro giostratori a cavallo, ai giochi (del Testaccio) dinanzi al palazzo del Campidoglio, con bandiere e quanto altro occorrente "prout annuatim tenentur et secundum nostre et consuetudinem Urbis" come annualmente si svolgono e secondo la consuetudine nostra e della Città di Roma. (2006)


2  -  Giunge agli Anziani una lettera inviata il 2 Marzo 1498 dal Legato Cardinale Giovanni B. Savelli, con la quale si riferisce che il papa è fuori di sé, perché gli è stato riferito che Lugnano si contenta di restare sotto Bartolomeo d’Alviano. Consiglia che Lugnano mandi dal papa due ambasciatori per chiarirgli le idee. Eccone il tenore:

“Le V. M. S. non se meraveglieno si de po (dopo) la partita (partenza) del vostro Ambasciatore de qui le cose de Lugnano non sondo (sono) state exequite (andate) secondo fo ordinato; che la casione è stata che ala S.tà de N. S.re è stato dicto che la Communità de Lugnano se contentaria essere socto lu dominio de Bartolomeo de Alviano; de che S. S.tà se meravegliava et è fora de ogne voluntà et intentione de S. Beatitudine; onde exhortamo V. M. vogliano persudere  ad cuilli homini (che) mandeno qui doy massari in nome de quella Communità, ad dechiarare (chiarire) la mente de S. S.tà (di) non volere (restare) socto tale dominio et subito serremo expediti secundo fo ordinato. Et bene valeant (stiano bene) M.V.”.

A distanza di appena cinque anni, ridotti i Lugnanesi alla ragione ed imprigionati sotto accusa di tradimento, nelle riformanze, sotto la data del 2 Marzo 1503, è riportato l’ordine del Commissario del Duca Borgia, Gabriele de Carminanti, con il quale lo stesso “commisit et imposuit” diede incarico e comandò al socio milite del podestà -che, all’epoca, doveva essere Pietro Lupi di Piombino- “ut examinet captos de Luganno super proditione dicti castri Lugnani et illos culpabiles repertos Jure medio puniat” di esaminare i prigionieri Lugnanesi circa il tradimento posto in essere dal detto Castello e di punire, per mezzo della legge, quelli di loro trovati colpevoli. Circa quel “mezzo”, è illuminante quanto vergato a margine dal Cancelliere, che recita: “Licentia torquendi Captos de Lugnano”: in parole povere, gl’infelici Lugnannesi potevano venir liberamente sottoposti a tortura! (2010)


3 - Fra le letture liturgiche del 3 Marzo 1998 (martedì della prima settimana di quaresima) vi è, secondo il testo tramandatoci dall’evangelista Marco (Cap. VI, 9-13) l’esortazione del Cristo ad elevare al Padre la  preghiera che Egli stesso ci ha insegnato.

Nella nostra cattedrale, fra le pitture della volta, Luigi Fontana ha rappresentato l’episodio della prima formulazione del “Pater Noster”, la comune preghiera nella quale ogni cristiano si deve riconoscere.

Noi vogliamo riproporla ai Lettori dell’almanacco nella sublime versione che l’Altissimo Poeta Dante ha eternato nel suo Poema immortale:

            “O Padre nostro, che ne’ cieli stai,

                Non circoscritto, ma per più amore

                 Ch’ a’ primi effetti di lassù Tu hai,

             Laudato sia il Tuo nome e il Tuo valore

                 Da ogni creatura, com’è degno

                 Di render grazie al Tuo dolce vapore.

             Vegna ver noi la pace del Tuo regno,

                  Ché noi ad essa non potem da noi,

                  S’ella non vien, con tutto nostro ingegno.

             Come del suo voler gli angeli Tuoi

                  Fan sacrificio a Te, cantando Osanna,

                  Così facciano gli uomini de’ suoi.

             Dà oggi a noi la cotidiana manna,

                  Senza la qual per questo aspro diserto

                  A retro va chi più di gir s’affanna.

             E come noi lo mal ch’avem sofferto

                  Perdoniamo a ciascuno, e Tu perdona

                  Benigno, e non guardare al nostro merto.

             Nostra virtù che di leggier s’adona,

                  Non spermentar con l’antico avversaro,

                  Ma libera da lui, che sì la sprona”.

(1998)


3 - Il Vescovo Giovan Domenico Moriconi, con suo precetto del 3 Marzo 1547, trascritto nelle riformanze, fa presente agli Anziani di aver ricevuto da Don Antonio Cascioli una lamentela contro il loro comportamento, per il motivo che, "nullo habito respecto ad ordinem clericalem", non avendo avuto alcuna considerazione alla sua qualità di chierico, lo hanno segnato nel libro degli specchi, cioè fra i debitori comuni "pro ducatis quinquaginta" per cinquanta ducati e ciò "contra formam juris et sacrarum constitutionum", in spregio alla legge ed alle costituzioni ecclesiastiche, che non permettevano di sottoporre persone del clero al foro secolare. Il Presule ci va con la mano pesante: "sub poena excomunicationis late sententie et ducentorum ducatorum auri" cioè sotto la comminatoria di scomunica e di duecento ducati di multa, intima agli Anziani che, "infra terminum unius diei", nel giro di un giorno, debbano “cassare interlineare et penitus extingui facere” depennare ed annullare ed immediatamente considerare estinto il debito del Cascioli, eliminando il suo nomonativo  dal libro degli specchi, “cum non liceat mittere falcem in messem alienam”, non essendo lecito porre la falce nella messe altrui.

La risposta degli Anziani non si fa attendere: con successiva delibera consiliare e con 21 voti favorevoli e 11 contrari, si decide  che “obediatur Reverendissimo Episcopo” si obbedisca al Reverendissimo Vescovo.

E' da sperare, almeno, che Don Antonio avrà comunque pagato il suo debito! (2005-2009)


3  - Il 3 Marzo 1538 ha luogo la “cerna” cittadina, nella quale prende la parola l’Anziano (“Prior”) Bernardino Sciuchi, il quale, con il consenso dei colleghi (“annuentibus Collegis”) espone che “jmpositi sunt Communitate Amerie vigntiquinque remigantes ad Triremes S.mi D. N. mittendi ex mandato R.mi et Ill.mi D. Legatj, vigore licterarum apostolicarum” alla Comunità di Amelia sono stati imposti venticinque rematori, da inviare nelle triremi pontificie, come risulta dal mandato del Cardinale Legato Grimani con una lettera inviata da Perugia sotto l’improbabile data “Tertio nonas Martij” (trascritta nelle riformanze il 13), con la quale trasmette il contenuto del breve papale, con cui il pontefice “deliberavit ut summo convenit Pastori oportune succurrere” aveva deciso -come è compito del sommo Pastore- di venire opportunamente in aiuto al suo gregge, facendo opposizione “ad Jnfidelium expugnationem quae continue contra Christi fideles jrruunt” agli assalti degl’infedeli (i Turchi), che irrompono continuamente contro i fedeli Cristiani “jpsosque pullulare et eorum mansiones diruere non desistunt, in S.te Sedis non modicum vilipendium et detrimentum” e non cessano dal dilagare e dal distruggere i loro insediamenti, in gran vilipendio e danno della Santa Sede. Il papa diede, pertanto, incarico ad esso Legato (“nobis commiserit”) ut in Provincia de numero rimantium (sic) sub notula in Commissione transmissa providere curarem” di adoperarsi per trovare, nella Provincia, un certo numero di rematori, come dalla nota trasmessagli nella commissione ricevuta, “volentes sue S.tis jussa ea qua decet celeritate ... exequj” volendo dar esecuzione ai comandi di Sua Santità con tutta la necessaria celerità, “cum ... periculum sit in mora” essendovi pericolo nel ritardo. Il numero dei rematori da fornire viene specificato in calce: 100 da Todi, 25 da Narni e 25 da Amelia. 

Il giorno 6 successivo, viene riportato l’elenco dei dieci cittadini eletti, per la ricerca delle persone da destinare “pro triremibus”: Laurelio Laureli, Stefano Boccarini, Angelo Ceracchini, Dardano Sandri, Stefano Vatelli, Girolamo Nacci, Nicolò Geraldini, Girolamo Geraldini, Simone Farrattini ed Alfonso Racani. A momenti tanti, quanto il numero dei rematori! (2012)


3  -  La Chiesa di S. Croce ha urgente bisogno di riparazioni, ma non vi sono denari. Il suo rettore propone, a tal fine, di vendere alcuni spazi a confine con il muro comunale ed il Vescovo Filippo Venturelli, dopo aver sentito il parere del Priore Ruggero Mandosi ed il Canonico Bartolo Colaj, da lui delegati quali estimatori, acconsente alla vendita, per il prezzo di due fiorini d’oro. L’atto viene stipulato il 3 Maggio 1442 ed acquirente si rende il confinante Tommaso di Arcangelo Jacobi. (2014)


3  -  Il 3 Marzo 1503 il notaio Ugolino di Nicolò redige un atto di quietanza di trentacinque ducati, rilasciata da Gabriele de’ Carminatibus di Francia, Capitano Generale e Commissario dell’Ill.mo Signore Cesare Borgia, Duca di Romandiola, al rappresentante di Lugnano, dovutigli “nonnullis de causis” per diversi motivi (la cui bontà o meno è restata nella penna del notaio). (2014)


4 - Con una lettera indirizzata agli Anziani dal Cardinale Legato Firmano, viene consigliato l’acquisto del castello di Penna: “Credemo bene sequitarà honore et utile, nollo facendo simo certi ne haverrete danno et vergogna”.

Nel maggior consiglio del 4 Marzo 1445, si propone di seguire il suggerimento del Cardinale Legato “quod emetur castrum Penne per commune vel per cives particulares” che, da parte del Comune o di privati cittadini, si proceda all’acquisto del Castello di Penna. Si nominino, quindi, alcuni cittadini “qui habeant auctoritatem et baliam inveniendi pecunias quascumque necessarias circha talem emptionem et quod possint vendere, pignorare, obligare et donare (!) omnia et singula bona communis Amelie” che abbiano potere ed autorità di ricercare i denari occorrenti ad effettuare tale acquisto, con facoltà di vendere, pignorare, assoggettare ad ipoteca e donare (e qui il cancelliere verbalizzante si è fatto trascinare dalla foga della sua verbosità!) tutti i beni del Comune di Amelia, “et quicquid per eos super predictis deliberatum et factum fuerit octineat roboris firmitatem” e quanto verrà da essi deliberato ed eseguito, abbia piena forza di legge. (2008)


4  - Il 4 Marzo 1554 si decide, fra l’altro, della “licentia petita pro Matheo Cechotti rumpendi menia communis pro eicienda turpitudine, cum obligatione claudendi illa suis temporibus” licenza richiesta da Matteo Ceccotti di fare un’apertura sulle mura comunali per permettergli di gettarvi fuori delle immondizie, con l’obbligo, beninteso, di richiuderla a suo tempo. Gerolamo Nacci “prudens Vir” propone “quod concedatur licentia pro quindecim diebus Matheo, deinde teneatur claudere foramen harena et calce suis sumptibus” che a detto Matteo si conceda licenza per quindici giorni di praticare un foro nelle mura, che dovrà venir richiuso, a sue spese, con rena e calce. Prima di decidere affermativamente, non sarebbe stato male che il “prudens vir” si accertasse –prudentemente- che tipo di “turpitudine” Matteo volesse gettare giù dalle mura! (2012)


5 - Secondo alcuni storici, il movimento processionale penitenziale che si sparse per l’Italia nel 1399, passato nelle cronache del tempo come “moto dei Bianchi”, a causa del bianco saio da essi rivestito, ebbe origine a Chieri, in Piemonte, il 5 Marzo 1399, durante la guerra in corso fra Savoia e Monferrato, quando alcuni popolani, che non più sopportavano l’opera distruttiva delle soldataglie di Facino Cane, uscirono sulle piazze, al grido di “Pace e Misericordia!”, flagellandosi in segno di penitenza.

In Amelia abbiamo una traccia del passaggio dei “Bianchi” nella delibera consiliare del 27 settembre, nella quale, preso atto di “quaedam alma devotio” una certa benefica devozione, sorta “per universum orbem”, si stabilì di condonare i reati commessi da tutti gli sbanditi e i condannati, a patto che si riappacificassero con i loro avversari.

Il movimento, che aveva come mèta finale raggiungere Roma alla vigilia dell’anno giubilare, il 25 dicembre di quell’anno, passò come una meteora nel corso del 1399 e si estinse con esso. (2000)


5 - Il Tesoriere generale del Patrimonio del Beato Pietro in Tuscia, Nicola de Carducci fiorentino, per conto della Chiesa di Roma e del papa (antipapa) Giovanni XXIII, con lettera scritta da Viterbo il 5 Marzo 1412 e riportata nel registro delle riformanze il 12 successivo, comunica a tutte le autorità religiose e civili delle città del Patrimonio -Amelia compresa- che, per incarico avutone dallo stesso papa, Melchiorre Cossa "domini nostri pape nepotem" nipote di nostro signore il papa (è il titolo preminente!) Riformatore e Rettore del Patrimonio ecc. ha ricevuto (a sua volta) una bolla pontificia diretta "dilecto Nobili Viro Paulo de Ursinis domicello Romano, nonnullarum gentium nostrarum armigerarum Capitaneo" al diletto figlio e nobile signore Paolo Orsini, patrizio romano e Capitano di alcune genti armate al soldo del papa (si fa per dire!), nella quale quest'ultimo si preoccupa che ad esso ed alle sue genti si soddisfi "super stipendijs et provisionibus" circa gli stipendi e le provvigioni loro spettanti e dovuti "a dilectis filijs Comunitatibus, et singularibus personis" dai "diletti" figli, Comunità e singole persone dei territori soggetti, dei quali in calce alla bolla si riporta l'elenco, per la complessiva trascurabile somma "duodecim milium ducentorum septem florenorum auri de camera" di 12.207 fiorini d'oro di camera. Amelia, che ha il privilegio di essere la prima in lista, è "tassata" per 500 fiorini, Foce per 100, Lugnano e Porchiano per complessivi 200, Giove per 50, Penna per 40, e via di seguito. (2006)


5  -   Il 5 Marzo 1495 gli Anziani “in unum collegialiter congregati in Audientia Antianalis Palatij pro rebus publicis expediendis vacantes circha electionem unius bajuli” riunitisi collegialmente in udienza nel loro palazzo per provvedere e deliberare su affari di pubblico interesse, riguardanti l’elezione di un baiulo, “pari omnium assensu” a voti unanimi, “eligerunt infrascriptum cum salario consueto, videlicet Baptistam alias Magnaconfecti in baiulum Communis” elessero a baiulo comunale, con il consueto salario, Battista detto Mangiaconfetti. C’è da pensare che, con quel soprannome, il buon Battista fosse ospite fisso in ogni matrimonio! (2010)


5  -  E’ giunta notizia che papa Giulio II, di ritorno da Bologna, riassoggettata alla Chiesa dopo la cacciata dei Bentivoglio, stia per transitare dalle nostre parti. Il 5 Marzo 1507, nelle riformanze, risulta annotato che gli Anziani, con l’autorità loro conferita dal maggior consiglio, “eligerunt infrascriptos Cives ... super provisione facienda de pecunijs et alijs quibuscumque oportunis pro recipiendo S.mo D. N.” elessero gl’infrascritti cittadini per provvedere al reperimento dei denari ed a fronteggiare le altre necessità relative all’accoglienza da fare al papa. Seguono i nomi degli otto eletti: Angelo Antonio Geraldini, Giovanni Antonio de Moriconibus (Moriconi), Domizio di Ser Manno, Maestro Antonio medico, Pierfrancesco di Alberto, Pietro Paolo Cerichelli, Berardino detto Carta, Ludovico di Sabino.

Qualche giorno più tardi, si legge la seguente annotazione:

“Sanctissimus Dominus noster Dominus Julius divina providentia papa Secundus rediens Bononia Romam hora vigesimasecunda diei undecim mensis Martij MDVIJ faciensque jter per Amerinum Territorium transivit prope et ante portam pusciolinj Civitatis Amerine”: il S.mo N. Signore Giulio, per divina provvidenza papa Secondo, tornando da Bologna e diretto a Roma, di passaggio per il territorio amerino, alle ore 22 del giorno 11 Marzo 1507, passò dinanzi alla porta Busolina della Città di Amelia. (2011)


5  -  Il 5 Marzo 1477 dal notaio Ricco di Francesco si redige un atto, mediante il quale viene dato incarico a imprenditori lombardi di costruire alcuni mulini a “pare lacus” (Lago Vecchio), “versus costam Sancte Marie de publica” verso la costa di S. Maria di Publica (volg. “Piubica”), al prezzo di sette ducati per ogni pertica di muro. (2014)


5  -  Il “discreto” macchianese Cipriano di Francesco, il 5 Marzo 1515, dona due terreni alla Chiesa di Macchie e, per essa,  al Rettore prete Bernardino di Gian Battista Garofi “et hoc motus devotione erga Deum et S. Nicolaum et cupiens terrena pro celestibus comutare in remissionem peccatorum suorum” e, ciò, in quanto spinto dalla devozione verso Dio e S. Nicola e desideroso di scambiare le cose terrene con quelle celesti, in remissione dei suoi peccati. (2015)


5  -  Il 5 Marzo 1577 nelle riformanze si dà notizia che gli Anziani hanno proceduto alla nomina dei “pacificatori”, cioè pacieri, nelle persone di Mons. Giovanni Antonio Lazzari, Vescovo di Amelia; Ippolito Sanese di Montalcino, podestà di Amelia; Rev.do Corrado Gurra (?), della Compagnia di Gesù, Padre Predicatore; Rev.do Vicario Valentino Roscio, Giovanni Crisolini e Marzio Boccarini.  Oltre ai pacieri, vengono nominate anche quattro “pacificatrici”, nelle persone di Donna Consiglia (?) Boccarini, Donna Sonia de Magistris, Donna Finaura e Donna Muzia Laureli.

Con tanti volenterosi che prestavano la loro opera a “metter pace” fra gli Amerini, c’è da sperare che le liti fra di essi -almeno in quel periodo- abbiano subito una drastica riduzione! (2015)


6 - In data 6 Marzo 1859 il Gonfaloniere F. Vannicelli scrive dal Municipio di Amelia al Cav. Pietro Cansacchi la seguente lettera:

"Domani alle Ore 3 pomeridiane nella solita Strada di Borgo avrà effetto una Carriera di Cavalli a vuoto, e trovandosi assente il Sig. Antonino Lancia uno dei Deputati dei Pubblici Spettacoli, prego V. S.ria Ill.ma a volerlo rappresentare in unione dell'altro titolare Sig. Giuseppe Ferrari, per disimpegnare seco lui le attribuzioni inerenti a quest'Officio.

“Vivo sicuro che la di Lei sperimentata gentilezza e condiscendenza accoglierà di buon grado questo tratto di fiducia che si ripone in Lei, di concerto ancora con questa Autorità Governativa, e perciò la ringrazio anticipatamente, mentre con pienezza di stima passo al bene di confermarmi di V.ra S.ria Ill.ma dev.mo oblig. Servitore".

(Ex arch. priv. F. Razza) (2006)


6  - Si dà notizia che il guardiano della torre del Castello di Colcello, tal Guizzolano, il 6 Marzo 1408 iniziò "suum officium exercere" ad esercitare il suo incarico, con il salario di tre fiorini d'oro.

Intanto, da Viterbo, lo stesso giorno,  il Rettore Marco Corario (Correr), fratello di Francesco ed anch'egli nepote del papa Gregorio XII e nuovo Rettore del Patrimonio, fa presente ai "Nobiles viri Antiani nostri carissimi" che, "dum fuisset debellatum castrum Guardeie" in occasione della conquista del Castello di Guardea da parte dell'esercito pontificio, malgrado le richieste fatte agli Anziani di fornire una "certa quantitate famulorum", un certo numero di uomini, "negligentes fuistis", cioè disattesero tali aspettative. Lo stesso Marco Corario, inoltre, invita gli Anziani a pagare a Ser Andrea, cancelliere di Paolo Orsini, 150 ducati "pro residuo ultimi tertij" per il soddisfacimento dell'ultima terzeria del sussidio a lui dovuto "nomine prefati Pauli" a nome del detto Paolo Orsini, somma che senza fallo debbono pagare ("infallibiliter debeatis"). (2007)


6 - Nel Consiglio generale e dei “X de Populo” del 6 Marzo 1412, Nicolaus Jacobutij figlio del maestro Francesco, fa una proposta "super adventu domini Cardinalis de Columna et de honore sibi fiendo" in occasione della venuta in Amelia del Cardinale Oddone Colonna (il futuro Martino V) e circa l'accoglienza da riservargli. Propone, quindi, "quod in eius adventu dentur et largiantur quinquaginta florenos auri auctoritate presentis consilij" che, per tale evento, siano stanziati 50 fiorini d'oro, per decisione dello stesso Consiglio. (2008)


6  -   Nel consiglio generale del 6 Marzo 1524 la Società di S. Rocco ripropone la petizione presentata il 28 Agosto del precedente anno, cioè  “petit elemosinam pro pignenda Jmagine Virginis et Beatj Rochj” di ottenere un sussidio per dipingere nella sua cappella le immagini della Vergine e del Patrono.

“Vir piissimus Aurelius Bocharinus aliter ex numero consultorum ubi rostra conscendit, Divino Numine Implorato, super proposita de petitione Societatis S.ti Rochj, consuluit ut detur in Elemosina vigintiquinque Carolenj ad depignendam imaginem S.ti Rochj ut nos a peste defendat” il consigliere Aurelio Boccarini, uomo di grande pietà, salito al banco delle arringhe, dopo aver invocato l’Altissimo, circa la richiesta avanzata dalla Società di S. Rocco, propone che, a titolo di elemosina, le venga corrisposta la somma di  25 carlini per far dipingere l’immagine di S. Rocco, affinché difenda la Comunità dalla peste. E certamente la protezione di S. Rocco era più che necessaria, considerando quel che sarebbe avvenuto a Roma e dintorni a distanza di poco più di tre anni, con la calata dei lanzichenecchi del Frundsberg!  (2009)


6  -    Il 6 Marzo 1479 viene ascoltata la supplica presentata in consiglio da tal Matteo di Angelo di Foce, “dicente et exponente che conciosia cosa che luj sia jovene de eta de xiiij annj o circha Et jovenilmente habbia dicto porta (sic) de La vergine maria et sia malcontento essere caduto in tale errore et peccato et per poca sua advertentia et juvenile eta Et contra de luj se proceda alla pena  per la corte del presente messer lo podestà: pertanto cognoscendo luj lo suo errore humilemente suppplicando recorre alla V. M. S. se degnino farlj gratia del dicto excesso dela pena in laquale fosse jncorso, stante reformanze et omne altra cosa che jncontrario facessero non obstante. Et quando non se possa fare gratia de tucta la pena ad minus (almeno) se degneno redurla a qualche piccola quantità”.

Nel maggior consiglio del giorno successivo, si delibera “quod dictus Mateus solvat quartam partem dicte sue pene et de residuo fiat sibi gratia liberalis actenta eius juvenilj etate et paupertate” che detto Matteo paghi la quarta parte della pena e, per il resto, gli si faccia liberale grazia, in considerazione della sua giovane età e povertà. (2010)


6  -  Il 6 Marzo 1468 Giannino del fu Mannuzio di Porchiano, “volens Beati Jacobi de Galitia limina visitare” volendo visitare i luoghi dov’era vissuto San Giacomo di Galizia (Compostela), fa testamento, nominando erede sua moglie Bionda,  con patto che, dopo di lei, l’eredità passi a suo figlio Mannuzio. All’altro figlio Matteo, frate dell’Ordine Francescano dell’Osservanza, non lascia che due fiorini, “pro uno habito seu vestito fratile” per potersi comprare una nuova tonaca. Tanto lui ha fatto voto di povertà! (2014)


6  -  Il 6 Marzo 1531 il Vescovo Giovan Domenico Moriconi, con atto del notaio Tommaso de’ Pretoribus, acquista da un Catenacci il podere “la Colombara”, in territorio di Montecampano, per cento ducati e riceve una cospicua donazione dalla vedova Leonina Boccarini, del fu Gerolamo Mandosi, affinché preghi per lei ed impieghi quanto ricevuto “ad pias causas” in opere pie, secondo il suo giudizio. (2014)


7 - Con una bolla in data 7 Marzo 1431, trascritta nelle riformanze, Papa Eugenio IV si rivolge agli Amerini, "quorum fides et devotio quam erga nos et apostolicam sedem geritis satis nobis comperte et cognite", la cui fedeltà e devozione alla sua persona ed alla sede apostolica è a lui nota e provata, affinché "decem de vestris hominibus eligatis", affinché eleggano quanto prima dieci cittadini, ritenuti idonei "ad nostram et nostri palatij custodiam deputandos" cioè da destinare alla custodia del pontefice e dei palazzi apostolici: una specie di "Guardia Svizzera" ante litteram, cioè prima della sua istituzione ufficiale, avvenuta nel 1506 per opera di Giulio II, anche se una similare organizzazione era nota fin dal XIV secolo.

L'elezione dei dieci candidati aspiranti a divenire guardie del Papa, con lo stipendio di 25 libre al mese pro capite -da pagarsi, però, dal Comune di Amelia!- vide, fra gli altri, favoriti Ser Arcangelo ser Tellis, Angelo Manni, Vitale Tome, Angelo Angeluzzi, Pietro Stefani, Nicolò Arcangeli, Cecco ser Ancangeli, che, insieme agli altri eletti, il 16 Marzo successivo partirono alla volta di Roma. (2004)


7 - Il 7 Marzo 1433 gli Anziani scrivono "Doctissimo ac honestissimo Viro dompno Petro de Tuderto" al dottissimo ed onestissimo Signore Pietro di Todi, abitante a Fermo, "gramatice profexori", professore di grammatica, vantandone la moralità "laudabilium morum" e le doti culturali "discipline liberalis peritia affluens", pervenute agli Anziani tramite attendibili testimonianze "penes nos fidedignorum testimonijs comprobaris meritis", che li induce a rivolgersi a lui, per poter far attingere alla sua fonte di virtù e sapienza gli scolari di Amelia "nos inducunt ut te in educandis scolaribus civitatis nostre licteris ac exemplis a tuum virtutum fonte percipiendis", insegnando loro la scienza delle lettere e la bellezza della vita "licterarum doctrinam et venustate vivendi". Maestro Pietro viene, quindi, esortato ad accettare la nomina "in Magistrum Gramatice Rhetorice atque Poetice facultatis" quale Maestro di grammatica, retorica ed arte poetica. Lo stipendio che si offre all'insegnante consiste in 36 fiorini d'oro, in ragione di 62 bolognini di moneta corrente per ciascun fiorino: "cum salario trigintasex florenorum auri ad rationem sexagintaduorum bonon. pro quolibet floreno nostre currentis monete", da pagargli dal Camerario comunale in rate bimestrali "per Camerarium nostri communis de bimestri in bimestri pro rata". Inoltre, al Maestro, a seconda dei vari gradi di istruzione impartiti, com'è consuetudine, dovranno venir corrisposti, da ogni scolaro, da uno a tre bolognini. Infine, il Comune fornirà all'insegnante l'abitazione per un anno, ad iniziare dal 1° Aprile successivo o anche da prima, se egli si deciderà a venire in anticipo su tale data. Lo esortano ad accettare l'incarico, senza guardare tanto alla pochezza del corrispettivo, quanto alla loro buona disposizione d'animo "parvitate salarij non inspecta sed nostrum potius affectione pensata".

Dopo questa sviolinata, il Maestro, il 13 successivo, accetta la nomina.

Un'ultima notazione: a fianco del verbale, Pirramo, Cancelliere comunale, ci ha lasciato un mirabile profilo di uomo dotto, che ben può riferirsi alla figura del Maestro ivi descritta. (2007)


7  -   Il 7 Marzo 1478 il consiglio dcemvirale è chiamato a decidere su alcune suppliche.

Una è presentata “pro parte pauperrime ac miserabilis persone forensis Joannis piccinini de Bergamo texitoris pannorum lane” da parte del poverissimo e miserabile forestiero Giovanni Piccinini di Bergamo, tessitore di lana, il quale espone che, camminando per una strada pubblica cittadina, Rainaldo di Francesco di Giovanni Brodi, di Amelia, “protulit contra ipsum nonnulla verba contumeliosa et infamatoria”, profferì contro di lui alcune parole ingiuriose e diffamatorie ed egli “ipsum Raynaldum percussit cum certo quortello a gula infra cum sanguinis effusione” percosse lo stesso Rainaldo con un coltello dalla gola in giù, con effusione di sangue. Condannato dal vicepodestà a pagare 30 ducati, supplica gli Anziani ed i consiglieri che “misericordia non sit denegata sed semper pecchatoribus et delinquentibus sit attribuenda” non venga negata misericordia, ma sempre sia da concedere ai peccatori e ai delinquenti e anche a lui, che “brachis extensis oculis lacrimatis genibus flexis” con le braccia levate, gli occhi pieni di lacrime e a ginocchia piegate, supplica le Loro Signorie, in considerazione della sua povertà e massimamente perché lui intende “semper vivere et mori sub alis V. M. S. et totius populi amerini” sempre vivere e morire sotto le ali delle Loro Signorie e del popolo amerino. Poiché nulla possiede ed è gravato da “familie disutilissime” una famiglia che non gli reca il minimo aiuto ed ha una figlia in età da marito, chiede che, per pietà e misericordia, gli venga condonata almeno una parte della pena, secondo la volontà delle dette Signorie. Gli viene ridotta ad un ottavo, da soddisfarsi in prestazioni a favore della Comunità.

Altra supplica viene presentata da “Valerio de Mascio da Lacuscello habitatore de amelia” il quale “dice et expone che al tempo della potestaria de Dolce da Spoleto fo condemnato in ducati xxv et in nel quarto più in nel quale è incurso per una questione (che) hebbe con Pietro de Brancatello, col quale ha facto bona pace. Et pertanto domanda gratia, attento che è povera persona, se degnino V. S. per loro benigna gratia farli cassare decta condemnatione et de ciò farli gratia. Et non havendo lui ad possere pagare offerisce la sua persona exercitare in servitio del decto communo tanto quanto pararà alle V. M. S. le quale dio prosperi in felice stato Et questo domanda de dono et gratia speciali, statuti riformanze et omne altra cosa che in contrario facesse (disponessero) non obstante”. Il maggior consiglio del giorno seguente delibera che Valerio da Lagoscello “teneatur servire communitati suis sumptibus viginti diebus” sia tenuto a prestare i suoi servizi alla Comunità gratis per venti giorni; il resto della pena gli venga condonato. (2009)


7  -  Il 7 Marzo 1529 il consiglio speciale prende, fra l’altro, in considerazione la supplica presentata da “jl devoto oratore et servitore Pandaro de rusciolo de la cipta de Amelia”, il quale “humilmente expone ritrovarse condennato per la corte del presente Potestà in li libri de li mallefitij in libre cinquecento, pigliata la causa che lo homicidio commesso per Tamborino in persona de Lorita di epso Tamborino mogliera non revelasse, quale di poi il facto epso Tamborino ad epso Pandaro certificò; et di poi commesso lo homicidio prefato, le robe di epsa Lorita il prefato tamborino  et epso pandaro le portassero in casa di epso pandaro et perché il prefato oratore vi annò chiamato da Tamborino prefato, non sapenno  tanto excesso commesso da prima (che) se conducesse in casa di epsa lorita et le robe predicte le receptò in casa sua non pensanno cascar in pena alcuna et se in errore è, è per sua simplicità et pocho cognoscere, del che si dole. Per tanto ricorre ale S. V. supplicandolj humilmente, actenta la sua simplicità et povertà extrema che non ha modo da vivere che mendico ... se dignino de dicta pena  per acto de charità et per lo amore de dio ... farli gratia liberale...”.

Altra supplica viene presentata da “la povera et miserabile vedova fidelissima servitrice ... Gabriella moglie che fo già de Johanni stefano de quatranello de Amelia, qualmente decto suo marito già (da) pochi giornj è passato di questa presente vita et più presto (piuttosto) è manchato per fame che de nisciuna altra infirmità et ha li (le ha) lassati quattro figlioli piccolj, adeo (tanto) che il maiure non arriva a dece annj, sensa alcuno subsidio né modo alcuno da subvenirlj solamente del misero victo et fino ad hora se ha venduti li suoi pannicelli et massaritiole de casa per adiutarlj et del continuo è molestata ad pagare le date del potestà et non solum (non soltanto) che possa pagare dicte date, non ha pure (neppure) il modo de comperare tanto pane de tritolo (tritello) che almancho  una volta la septimana li ne possa dare una fecta per uno. Jmpertanto humilmente supplicando recorre in lo grembio de V. M. S. pregando quelle se vogliano dignare de concederlj la exemptione ... almancho per insino ad tanto che dicti sui figliolj siano de età da possere affatigarse per guadagnare il victo et pagare similj gravecze ...”.

Il maggior consiglio dello stesso giorno riduce a Pandaro la pena al pagamento di sei ducati di carlini e concede alla povera Gabriella l’esenzione da tutte le imposte per tre anni: è assai ben poca cosa!

Il consiglio deve anche interessarsi di un problema di carattere alimentare:

“Multi sunt qui emerunt farinam a lucha Talianj et Francisco manzi” molti hanno comprato farina da Luca Taliani e da Francesco Manzi “et de ea fecerunt panem et prelibata farina est res non bona quia fetida et putrida” e con essa fecero del pane, ma detta farina non è buona, perché è andata a male e puzza “et panis de ea actus fuit vetitus venundari” e del pane con essa confezionato è stata vietata la vendita “et qui de ea emerunt conqueruntur, quia vendere panem de ea factum eis fuit inhibitum” e coloro (si presume panettieri e fornai) che ne comprarono, reclamano, perché è stato loro proibito di vendere il pane confezionato con essa. Il maggior consiglio decide che le autorità cittadine al completo, rappresentate dal Podestà, dagli Anziani e dalla Commissione dei Quattordici, indaghino e s’informino circa il danno subito dai panettieri (“damnum per eos passum”) e facciano in modo “quod eis reficiatur per dictos Lucam et Franciscum” che i detti Luca e Francesco li risarciscano della perdita patita “et hoc acto in exemplum aliorum” e ciò fatto, perché serva d’esempio agli altri, “fiat eis Luce et Francisco solvi pena arbitranda per dictos dominum Potestatem, dominos Antianos et officium 14” agli stessi Luca e Francesco venga fatta pagare una pena da stabilirsi dalle citate autorità cittadine.

Ci sarebbe da chiedersi -a parte il problema sanitario, non preso in considerazione nella delibera- come fosse stato possibile vendere e comprare farina marcia e puzzolente e confezionarci del pane, senza che nessuno se ne fosse accorto prima. Colpa della fame? (2011)


7  -   Il 7 Marzo 1466  Antonio di Fazio, originario di Canale ed ora residente nel Castello di Vitorchiano, dona a frate Angelo di Tommaso Concini, Guardiano del Convento di S. Francesco e, per esso, ai frati, convento e Chiesa di S. Francesco, tutti i beni da lui posseduti nei Castelli di Canale e Lacuscello, “propter multa et grata servitia et benemerita” a causa dei molti  graditi servizi e benemerenze che detto donante dichiara di aver ricevuto dal guardiano e dai frati, nonché “pro amore Dei et anima mortuorum suorum” per amore di Dio ed a suffragio delle anime dei suoi defunti.

E’ lecito pensare che Antonio fosse uno sbandito che  trovò amorevole asilo in quel convento. (2014)


8 -  Il Rettore del Patrimonio Marco Corario, con sua lettera datata da Viterbo l'8 Marzo 1408,  concede ("licentiam damus") agli Anziani di Amelia il diritto di rappresaglia  "contra dominum Francischum domini Catalani de Tuderto" contro Francesco Catalani degli Atti di Todi "suas res et bona offendendi et guerram cum eodem et suis bonis et rebus faciendi", con licenza di deguastare i suoi beni e muover guerra allo stesso ed alle sue cose ed inoltre, concede lo stesso diritto ("licentiam similem comitatinis de Sancto Fucetulo et alijs comitatinis nostris concedamus") alle genti del contado di Sambucetole e dei contadi sotto la sua autorità.

Non sappiamo per quale ragione il Rettore abbia concesso tale drastico provvedimento, ma certamente Francesco Catalani di Todi doveva averne fatte delle grosse contro Amelia ed il Castello di Sambucetole! (2006)


8  -  Il Governatore “Magnifico et honorando Homo Messer Jacomo de Crescentiis” patrizio romano, scrive da Terni al Podestà di Amelia Camillo di Ser Robertis quanto segue:

“Jntendemo et non sensa gran displicentia de lanimo nostro (che) Schioppo et Fulvio de Andrea de Valentino dellì (ivi) condendati (condannati) in amputatione manus (di una mano) per lo adiuto  et favore dato ad Pervito loro fratello alhomicidio commesso in persona de Tito de hieronymo de Naccio (e per il) continuo praticare et conversare per cotesta Cità, in poco honore nostro et de la Corte; per tanto volendo obviare ad qualche scandalo che da questo potria nascere, ve ordinamo et commettemo in nome nostro debiate subito far fare publico banno che non sia persona alchuna (che) li debia dare recepto né altramente conversare con loro sopto quelle pene (che) judicarete  conveniente. Et bene valete. Jnteramna v Martij MDXXXJ”.

Il bando segue puntualmente sotto la data dell’8 Marzo 1531: “Se fa publico banno che non sia persona alcuna de qualuncha sorte, stato,  o conditione se sia, tanto Citadino quanto Contadino, che dia recepto o recepti in alchun modo  in casa overo altrove Fulvio et Schioppo de Andrea de valentino de Amelia, sotto la pena et alla pena de Cento ducati doro, da applicarse per un terzo ala Camera apostolica, un terzo ala Camera de la Communità de Amelia et laltro terzo alo Exequtore quale ne farrà exequtione. Jtem che non sia alchuna persona come de sopra che ardischa conversare, pratichare, stare, overo andare con li sopradictj, sotto la medesima pena, da applicarse come de sopra”. (2011)


8  - L’8 Marzo 1541 il consiglio decemvirale  si deve, fra l’altro, interessare di una protesta presentata dai “rectores Artis bubulcorum” rettori dell’arte dei Bifolchi, i quali “protestati sunt ne aliquod innovetur circa jmpositiones bestiis” reclamano che non vengano presi provvedimenti tendenti ad aggravare l’imposizione delle pene a causa di danni provocati dai buoi durante le operazioni di aratura. Nel susseguente consiglio generale, Gerolamo Nacci -”prudens vir”- propone che se “pastor cum dictis bobus damnum dederit studiose, quod tunc solvatur poena” chi conduce i buoi  abbia voluto recare danno intenzionalmente, la pena sia dovuta. Analoga protesta viene esibita dagli appaltatori della gabella del pascolo ed, affinché “fiat ut iuris fuerit” si prendano decisioni conformi al diritto statutario, “et ut nemini fiat iniuria” e sia a ciascuno resa giustizia , “talis causa remittatur Praetoris” le relative controversie vengano sottoposte alla competenza del Pretore (Podestà).

Altro argomento trattato riguarda la vecchia fornitura di sale effettuata ad Amelia da tal “Tarquinio de Ocriculo” -Tarquinio di Otricoli- per la quale sembra che vi siano da chiarire alcune differenze. Si decide “quod revideatur computum salis diligenter cum eo et si debitor communitatis remanserit, scribatur jn Camera pro debito sale recuperando” si riveda diligentemente con lui l’esame delle singole partite e se ne risulterà debitore verso la Comunità, si riporti quanto dovuto nella contabilità camerale per il recupero del relativo credito.

V’è da decidere anche su di un paio di suppliche.

Una è presentata da una certa Silvia Angelini, con la quale “petit fieri exempta a dativis Domini Potestatis”  chiede l’esenzione dalla dativa del Podestà: è un altro dei tanti drammi della povertà ed il maggior consiglio si pronuncia “quod fiat exempta per triennium” accordandole l’esenzione per tre anni.

Altra supplica è prodotta da Domenico di Censo, il quale “petit cassari ex libro speculorum, ubi descriptus apparet pro ducato, non adeundo officium Antianatus cum fuerit absens” chiede che, dal “Libro degli Specchi”, dove risulta iscritto quale debitore per un ducato, per non aver accettato l’incarico di Anziano, venga cancellato, in quanto, al momemto della nomina, era assente dalla Città. Ma la decisione “si idem Dominicus fuerit cassandus vel condemnandus” se Domenico sia da assolvere o condannare viene rimessa al Podestà, il quale, “visa causa et casu bene praecepto de quo erat bene informatus” dopo aver bene istruito la causa, della quale era perfettamente a conoscenza, “judicavit esse de jure condemnandum ad solvendum dictum ducatum et ita pronuntiavit omni meliori modo”, emette verdetto di condanna. Si vede che Domenico di Censo, tutto sommato, era risultato poco credibile! (2012)


8  -  L’8 Marzo 1516 prete Francesco di Angelo Saraceno è incarcerato per un delitto commesso e, per essere rimesso a pié libero, si obbliga a pagare al Vescovo sei ducati. Evidentemente, il Vescovo aveva lo stesso potere del Giudice! (2014)


8  -  L’8 Marzo 1523 (notaio Tommaso de’ Pretoribus) Giustiniano Moriconi, Vescovo emerito di Amelia, dona a suo nipote Giovan Domenico Moriconi, suo successore nella cattedra episcopale amerina, centocinquanta ducati che deve avere quale pensione sull’Arcidiaconato di Benevento, di cui era titolare nel 1504, quando ebbe la nomina a Vescovo di Amelia. (2015)


9 - Dai registri parrocchiali dell’anno 1614, si deduce che, nel periodo compreso fra il 9 Marzo ed il 20 Settembre, il Convento di S. Caterina subì una vera falcidia fra le religiose ospitate dal monastero.

Iniziò la serie Sora Scolastica Archileggia, deceduta, appunto, il 9 marzo; il giorno successivo fu la volta di Sora Suffia Artemisia, seguita, a distanza di sole 24 ore, da Sora Felice Venturella e da Sora Seraffina Vulpia da Lugnano; il 13 dello stesso mese decedette Sora Francesca Corrada ed il giorno 26 la seguì Sora Eurosia Magistri. Il 28 aprile morì Sora Fermina del Santo ed, infine, il 20 settembre chiuse la triste teoria Sora Horazia Zeffiri. 

Tranne che per le tre ultime, morte rispettivamente a 87, 70 e 70 anni, non si conosce l’età delle altre decedute.

E’, però, strano, se non addirittura singolare, che, nel giro di poco più di sei mesi, ben otto suore del convento di S. Caterina siano passate a miglior vita.

Non è dato sapere quali siani state le cause di tanto numerose morti, ma forse la principale dovrebbe ricercarsi nell’età avanzata, anche se non è da escludere un’epidemia di qualche malattia infettiva: la peste che, di lì a meno di 25 anni, avrebbe devastato l’Europa, non può venir esclusa fra le più probabili.

Non sappiamo quante monache fossero presenti in quel periodo nel monastero di S. Caterina, nel quale vissero e vennero sepolte, ma certamente la percentuale dei decessi dovette essere piuttosto alta. (2000)


9 - Il 9 Marzo 1923, al Teatro Sociale di Amelia, si ebbe una "Tournée di beneficienza della prima Compagnia Drammatica Italiana FASCISTA diretta dal Comandante Zino Adriano (Direttore di scena: C. Bertea - Amministratore: Dy Alma - Segretario: D. Tubi)".

In unica rappresentazione "PRO PARCO RIMEMBRANZA", si eseguì un programma che prevedeva:

"Parte Prima: L'ORDINANZA Bozzetto militare in un atto di A. Testoni.

"Parte Seconda: SPERDUTI NEL BUIO Capolavoro drammatico in 2 atti di Roberto Bracco.

"Parte Terza: SCUOLA DELLA NAZIONE Bozzetto militare patriottico in versi del Cav. A. Martelli.

"Prezzi: Ingresso Platea e Palchi £.3 - Poltrone £.3 - Sedie £.2 (oltre l'ingtesso) - Loggione £.1,50". (2004)


9 - Il 9 Marzo 1326, in riunione plenaria dei Consigli decemvirale e generale e presenti anche i rettori delle arti, si deve deliberare "quid placeat" cosa piaccia "super honore faciendo domino Comite Romano venturo ad Civitatem Amelie" circa l'onorevole accoglienza al Conte Romano che verrà nella nostra Città "et quod eidem pro parte dicti Communis fiat enxenium de spelta cera et alijs" e che gli si faccia dono, da parte del Comune, di spelta, cera ed altro, "dummodo expense faciende" purché le spese da fare "non excedant quantitatem C. librarum, et unde habetur pecunia pro expensis" non superino le 100 libre e dove trovare i soldi necessari.

Veno di maestro Galgano propone che il Gudice e Guardiano della Città, con il consenso degli Anziani, "cogat Vitalem Judeum ad mutuandum communi in quantitate sufficiente pro expensis predictis" costringa l'ebreo Vitale a prestare al Comune denaro sufficente a sostenere dette spese "et quod eidem restituatur de primis introitibus qui pervenerint ad manus camerarij dicti communis" e che la restituzione avvenga con i primi incassi che verranno introitati dal Camerario comunale.

Nella stessa tornata, si discute circa la presenza, presso il palazzo vescovile, di "d.num Goffredum episcopum Theanensem et Magnificum et potentem virum d.num Romanum comitem Nolanum" di Goffredo, vescovo di Teano e del Conte di Nola (Romano Orsini), "ambasciatores serenissimi d.ni Regis Roberti" ambasciatori del serenissimo Re Roberto "petentes pro parte d.ni regis predicti per homines de Amelia assotiari d.num ducam filium ipsius d. Regis seu fratrem eius" che chiedono, da parte del re, che uomini di Amelia vengano ad associarsi al duca figlio del re o a suo fratello "venturum in Tusciam in auxilium et favorem fidelium S.ce Matris Ecclesie et d.ni Regis predicti" nel suo prossimo passaggio per la Tuscia, in aiuto dei fedeli di S. Madre Chiesa e dello stesso re Roberto.

Dopo lunga ed accurata consultazione, si conviene di rispondere agli ambasciatori regali che "propter guerras et brigas diu habitas in Civitate Amelie et propter inopiam specialium personarum" a causa delle guerre e dei disordini da lungo tempo affliggenti Amelia e della povertà dei suoi cittadini, "non possunt homines de dicta Civitate d.no Regi Roberto servire ut cupiunt et adimplere petitionem ipsorum ambassiatorum" gli Amerini non possono servire, come vorrebbero, re Roberto ed accondiscendere alle istanze dei suoi ambasciatori. "Quare dictum Commune habere placeat excusatum"  Pertanto, si abbia il Comune per sufficientemente giustificato.  (2007)


9 - Sotto la data del 9 Marzo 1433 è riportata nelle riformanze copia della lettera inviata il giorno 7 ai nobili signori Ufficiali della Comunità ed agli uomini della Città d'Amelia da parte dei "Conservatores Camere Alme Urbis" Conservatori della Camera della Città di Roma, Giustino de Planchis, dottore in legge, Giovanni de Capoccinis e Giovanni Cecchi, scritta dal loro Notaio Niccolò di Maestro Raynaldi, con la quale si attesta che al loro cospetto si presentò Pietro Paolo Pietri, nostro cittadino, chiedendo ad essi Conservatori che da loro si facesse pienamente fede "ut nobis fidem indubiam facere deberemus" che lo stesso, associato a due cavalieri "qualiter ipse cum duobus sotijs equester" nell'anno 1433, nell'ultimo sabato di carnevale "in die sabati Carnisprivij", tanto lui, che i due associati  comparvero a giostrare nella piazza del Campidoglio, com'è di consuetudine "ipse et sotij comparuerunt in foro capitolij, ut est moris". I Conservatori non hanno difficoltà a rilasciare tale attestazione che gli stessi, in detto giorno, si presentarono e giostrarono a cavallo "cum bannerijs et coptis more solito" con bandiere e cotte, nel modo consueto, ma lamentano che "requisiti a nobis ut in sequenti die dominico in campo testacie deberent comparere" richiesti altresì di comparire la domenica successiva nel campo di Testaccio "ad astiludendum una cum alijs ut est mos facere non curaverunt" a giostrare insieme agli altri, come al solito, non si curarono di parteciparvi. Per la quale cosa, considerando altresì che, invece di essere presenti con sei giostratori si presentarono soltanto in tre, fanno presente che "contra vos fuisse processum tam quam contra inobedientibus nostris mandatis" si sarebbe proceduto contro gli Amerini, per aver disobbedito al loro mandato. (2008)


9  -   Nel consiglio decemvirale del 9 Marzo 1476 si tratta, fra l’altro, una questione di moneta corrente. “Crociati” erano detti, nel XV secolo, tutte le monete (denari) di varie zecche italiane. aventi, su di un lato o su entrambi, una croce nel campo. Non sappiamo a quali monete si faccia riferimento in detto consiglio, mancando delle relative documentazioni. Possiamo soltanto dedurre che, alla data surriferita, tali monete non fossero bene accette in Amelia, se troviamo all’ordine del giorno che “a nonnullis renuantur” da diverse persone venivano rifiutati. Nel maggior consiglio del dì seguente, si ordina che “quicumque renuerit cruciatas usque quo aliud non habetur in mandatis a superioribus, incurrat penam librarum decem vice qualibet qua contrafecerit” chiunque rifiuterà di accettare monete crociate, fino a quando diversamente non verrà stabilito dalle autorità, incorra nella multa di dieci libre per ogni volta che avrà contravvenuto a tale ordinanza “et potestas teneatur summarie executionem facere et bandiri debet” ed il podestà sia obbligato a farne sommaria esecuzione ed a far bandire tale divieto “et a die bandimenti intelligatur renui non posse” e dalla data del bandimento s’intenda che non sia più possibile il rifiuto di tali monete. (2009)


9  -   Con regolare contratto stipulato il 9 Marzo 1495 (riportato nelle riformanze il successivo giorno 12) la Comunità di Amelia, rappresentata dagli Anziani e da una delegazione di cittadini, “sponte ex certa ipsorum scientia fuerunt contenti et confessi nomine et vice dicti Communis” con piena consapevolezza di quanto veniva convenuto, a nome del detto Comune, si dichiararò pienamente soddisfatta “habuisse et recepisse unam machinam sive Bumardam de ferro sine cauda a Communitate Magnifice Civitatis Tuderti per manus Nobilis viri Tranquilli Ascanij de Moriconibus de Ameria” di aver accettato e ricevuto in consegna una macchina da guerra, cioè una bombarda di ferro senza affusto, dalla magnifica Comunità di Todi, tramite e per mano del nobile Tranquillo di Ascanio Moriconi di Amelia “quam Bumardam sive machinam prefati M.ci D. Antiani et Cives nomine quo supra promixerunt Communitati dicte Civitatis Tuderte et dicto Tranquillo restituere ad omnem illorum stantiam (sic) et requisitionem” e gli stessi Anziani e Cittadini, sempre a nome del Comune di Amelia, promisero alla detta Comunità di Todi ed allo stesso Tranquillo, di restituire detta bombarda ad ogni loro richiesta.

Ma che ci avrebbero dovuto fare gli Amerini con la bombarda di Todi? (2010)


9  - Il consiglio decemvirale del 9 Marzo 1539 è chiamato a discutere di diversi argomenti, fra i quali “ne pauperes et miserabiles persone indefense remaneant et bona earumque jura propter jmpotentiam amittantur” che le persone più povere non restino indifese ed i loro diritti e beni, a causa della loro debolezza, non ne restino pregiudicati. Nel consiglio generale seguìto nello stesso giorno, Stefano Boccarini, definito “facundus ac vir ignenti laude disertus” uomo dotato di  grande e lodevole eloquenza, propone che, nei procedimenti, nei quali sono interessate le persone più indigenti, il Pretore (Podestà) procedente, sia tenuto a “jus reddere summarie et de facto, sine aliqua juris solemnitate, sola facti veritate inspecta” procedere con diritto sommario, senza alcuna solennità di rito, con il solo scopo di accertare la verità ed, in caso contrario, “incidat in penam unius ducati pro vice qualibet de eius salario de facto retinendi et Communi applicandi” cada nella pena di un ducato, da ritenersi dal suo stipendio e da versarsi nelle casse comunali.

Si esamina, quindi, la supplica presentata dal candidato immigrante Mastro Cesare di Todi, che chiede di venir esentato da tutte le imposte di ogni genere “et hoc quia cum tota eius familia vult venire ad habitandum huc in Civitate Amerie et secum ducere eius fratrem, qui ambo exercere volunt exercitium fabrorum” in quanto vorrebbe venire, insieme alla sua famiglia, ad abitare in Amelia, conducendo seco anche il fratello, con il quale intenderebbe esercitare l’attività di fabbro. Il maggior consiglio gli concede esenzione per venti anni da ogni imposta reale e personale, compresa quella sul sale, “dummodo tamen emat in Civitate nostra Amerina”, a patto, comunque, che lo acquisti in Amelia.

Altra supplica è quella “R.de matris Abbatisse Monialium mostarerj (sic) S.te Catarine de Ameria” della Madre Badessa del Monastero di S. Caterina, la quale chiede che, a favore di “Menecum Joannis de castro Pedecolle dictarum monialium famulum et negociorum gestorem dicti Monasterij” Menico di Giovanni di Piedicolle, famiglio e gestore del detto Monastero, sia pronunciata l’esenzione da tutte le imposte presenti e future, compresa quella del Podestà. Gli si concede, ma soltanto fino a quando resterà a servizio del Monastero e non oltre.

Infine, si esamina la supplica presentata da un tal Gaspare di Matelica, il quale chiede che gli venga fatta grazia delle condanne subite “pro preceptis spretis, quorum unum dicitur factam oretenus in uno ducato, alterum in scriptis in scutis decem” per aver trasgredito a delle norme (non meglio indicate), di cui una, ammontante ad un ducato, per una trasgressione verbale ed un’altra, di dieci scudi, per averlo fatto con uno scritto. Il consiglio generale decide che “solutis duobus florenis, de reliquo fiat gratia liberalis” il turbolento Gaspare paghi due fiorini ed il residuo della pena gli venga condonato. (2012)


10 - In calce allo statuto manoscritto di Porchiano, redatto sotto il pontificato di Niccolò V (1447-1455), figura la seguente annotazione:


9  -  Il 9 Marzo 1473 il notaio Ugolino di Nicolò è chiamato a verbalizzare la consegna della Chiesa di S. Giovanni Battista in Urbestole ed annesso terreno ai “religiosi et pauperes Christi frater Benedictus de Nursia et frater Antonius de Augubio” frati Benedetto da Norcia e Antonio di Gubbio, dell’Ordine dei Frati Minori dell’Osservanza, che avviene alla presenza del Cavalier Placenzio Cansacchi e di altri quattro nobili amerini. Vale la pena di descrivere le complesse formalità. Innanzi tutto, i due frati presentano e consegnano al Vescovo Ruggero Mandosi, pure astante, le bolle apostoliche d’investitura, pregandolo di volerne eseguire le disposizioni quale commissario deputato dalla Santa Sede. Il Vescovo, prese le bolle dalle mani dei frati, fa il gesto di porsele sul capo in segno di umile e riverente accoglimento. Quindi, viste e lette attentamente le medesime bolle, visitata la chiesa, con il campanile, la campana e l’annesso cimitero, visitato il dormitorio, il refettorio, il chiostro, gli orti ed annessi, invocato il nome del Salvatore, della Vergine Maria e di S. Giovanni Battista, “fratrem Benedictum de Nursia et fratrem Antonium de Augubio vice et nomine totius religionis minorum de observantia inmisit et posuit in tenutam et corporalem possessionem dicti loci cum omnibus necessarijs predictis” immette e pone nel possesso materiale dei luoghi i due frati, in nome e per conto dell’intero Ordine dei Frati Minori dell’Osservanza, con tutti gli annessi e connessi, “et consignando in manibus dictorum fratruum claves Ecclesie, pannos altaris et hostia loci claudendo et aperiendo” e consegnando nelle loro mani le chiavi della Chiesa, gli arredi dell’altare ed aprendo e chiudendo la porta, ed, infine, facendo coglier loro “herbas et ramusculas arborum ortorum et nemorum dicti loci, in signum vere possessionis et dominij” l’erba e alcuni rametti dagli alberi degli orti e del bosco annesso, in segno di effettivo e pieno possesso e dominio. Passa il tempo e, a due anni e più di distanza, il primo luglio del 1475 i frati sono diventati nove, fra cui uno spagnolo ed un ungherese. Riunitisi capitolarmente, “desiderando in pace sui cordis et regule observantia prout convenit” avendo desiderio di vivere con la pace nel cuore e, come è giusto e conveniente, nell’osservanza della regola, e considerando “id posse fieri in humilitate spiritus et contemplationis suavitate eo sincerius et quietius quo magis ab externis et secularibus curis” che ciò sia possibile in massimo grado in umiltà di spirito e nella soavità della contemplazione e tanto più sinceramente e quietamente quanto più lontani dalle cure mondane della vita secolare, eleggono e nominano per loro amministratore, fattore, economo e sindaco Ser Matteo di Cecco di Amelia. (2014)


10 - In calce allo statuto manoscritto di Porchiano, redatto sotto il pontificato di Niccolò V (1447-1455), figura la seguente annotazione:

“A di 10 di Marzo 1498 il Sig. Bartholomeo de Alviano messe il canppo a Porchiano e la Città (di Amelia) non li potté dar agiuto che per tutto havea messo la sedio e venne per agiuto Mr. Angelo da Passignano che se trovava a Lugnano con alcuni Homini et il detto Mr. Angelo morse di una archebugiata et la Città fece porttare il suo corppo a seppellire nella Chiesa di S.ta Fermina con gran honore...”

Anche un’altra annotazione si legge in calce al medesimo statuto:

“Adi 20 di Maggio 1499 la seconda festa di Pasqua Rossata fu la rotta che diettero li homini ortani alli Porchianisi et Altobello (Chiaravalle) venne in aiuto di essi Porchianisi, con 100 homini et ne amazzarno gran quantità di detti ortani”. (2000)


10 - Nella seduta del Consiglio dei Dieci del 10 Marzo 1603, viene presa in esame la supplica degli scolari di Amelia, che chiedono che il Collegio dei Somaschi sia dotato di buoni maestri. Il Consigliere Silvestro Cansacchi fa la seguente proposta: "Io sarei del parere che si scrivesse al Padre Priore della Congregazione Somasca, con ogni sorte di modestia, che voglia mandare buoni maestri quà acciò si proveda a quanto si narra nella supplica per utilità publica e conforme che parerà alli Signori antiani".

"Quae opinio comprobata fuit nulla faba in contrarium reperta". La proposta ottenne l'unanimità dei consensi.

E' questo un esempio che anche gli scolari amerini del XVII secolo avevano una buona coscienza "di classe" ed una matura consapevolezza dei propri diritti a fruire di un'adeguata istruzione. (2004)


10 - 10 Marzo 1330, il maggior consiglio ratifica alcuni provvedimenti già deliberati dal consiglio speciale il giorno precedente. Fra gli altri, la misura della gabella sui fichi esportati dalla Città e distretto, che viene precisata in 12 denari per ogni salma; 4 denari per "petiis sive palloctis" confezioni assemblate (probabilmente simili alle odierne "mattonelle"), da 50 a 10 unità; per un numero di confezioni inferiore alle dieci, l'esportatore "in nulla gabella solvere teneatur" non dovrà pagare gabella.

Inoltre, si dà licenza al Cancelliere del Comune -che ne aveva fatto espressa richiesta- "toto tempore quod stabit ad officium dicte Civitatis" per tutto il tempo del suo incarico di "tenere filium suum et facere studere et discere quamcumque artem voluerit" di tenere con sé il proprio figliolo per farlo studiare e fargli apprendere qualsiasi arte vorrà. Non solo, ma il consiglio generale estende tale facoltà "in omnibus offitialibus forensibus" a tutti i forestieri ricoprenti pubblici uffici e, oltre ai figli, potranno tenere "fratres, nepotes et alios suos" fratelli, nepoti ed altri parenti "ad quamcumque artem voluerint" ad esercitare qualsiasi arte vorranno. I nostri predecessori mostrarono, in tale occasione, un profondo buonsenso, favorendo l'accesso allo studio e all'insediamento artigiano ad un maggior numero possibile di persone di buona volontà, con notevole vantaggio per la comunità amerina. (2007)


10  -  Nel consiglio decemvirale del 10 Marzo 1504 vengono, fra l’altro, esaminate alcune suppliche di cittadini, fra cui figurano taluni restati feriti o mutilati o anche privi di abitazioni nelle recenti vicende belliche.

La prima è presentata “per parte del vostro fedelissimo servitore Brino de gabrielle de Melecsale (Melezzole) habitante in Amelia (il) quale dice più volte avere messa la sua propia persona inservitio de questa Mag.ca Ciptà et maxime quando li ortani vendaro (vennero) in campo al Castello de monte campano, dove lui et li altri se restono (restarono) dentro alla defesa del decto Castello et hebero victoria, de poy (e dopo che) per alcuni vendaro ad currare (vennero a fare scorreria) et aderobare la contrata del decto Castello, per (da) lui et li altri Compagni fo recuperato quanto li nimici havevano facto, dove fo esso brino crudelmente firito et per quelle firite è remaso stroppiato de uno braccio, de poi in la proxima (successiva) guerra facta per Bartholomeo de Alviano lui con alcuni Compagni jntrò al sucurso del Castello del Colcello dove li fo rocta la cossa (coscia) et per questo è remasto stoppiato (sic) per modo che non se po ad alcuno exercitio operare (applicare); per la qual cosa humelmente recurre alle V. M. S. (che) se vogliano dignare haverli misiricordia et pietà che nella sua juventudine è privato de la sanità, che li vogliano sovenire et aiutarlo (sì che) possa vivare, al meo (almeno) de farli gratia de tucte dative ordinarie et extraordinarie (che) se hanno ad jmponare per questa Mag.ca Comunità quomodocumque et qualitercumque (in qualunque modo e comunque) per li tempi da venire. Et questo quantunque sia justo et honesto et consueto farlo ad tucti quelli (che) mettono la propia vita jnservitio de la loro comunità, niente de meno lo receverà ad gratia singulare ad (da) V. M. S. quale dio conservi et exalti come desidarano”.

Altra supplica è presentata “per parte de li vostri fedelissimi servituri et poverissimi homini et massari et università del vostro Castello de foce, li quali dicono et expongono come ad voy tucti è noto et manifesto la loro desolatione jncendio e scarchamento per modo che ipsi non possono habitare el decto Castello né posserse sostentare per loro victo et loro famiglie senza el subsidio et suffragio et aiuto de le V. M. S. per le qual cose domandano per vinticinque anni essarli remesso et farli gratia de la data de Sancta firmina, quale sonno (sono) obligati ad pagare onne Anno; jtem lo subsidio (per) la data del medico, (per la) legna del palaczo et altre gravecze extraordinarie, quale se impongono per (da) questa magn.ca comunità et V. S.. altramente non vegono (vedono) modo né forma (di) potere rehabitare decto Castello, ma piu presto (piuttosto) andare mendicanno per poter sostentare loro famiglie per non perire de fame et questo quantunqua sia justo et honesto et usito (sic) ad fare insimili casi niente de meno lo receperando (riceveranno) ad gratia singulare da le V. M. S. quale dio conservi in bono stato et exalti”.

L’ultima supplica è presentata dal “vostro fedele servitore nicolò alias Sciardiglia de Secarella de Ameria”, il quale espone che “andanno per la prima sera fo commandato alla penna (di recarsi a Penna)” e “che trovandose in casa de bracti del decto loco et sparlando decto bracti contra li homini de Amelia decto nicolò et bracti vendaro (vennero) ad molte parole iniuriose; dove trovandose fanese da fano amico de B(r)acti de jmproviso curse contra decto nicolò et in ipso insulto (con tale aggressione) li fece dui firite in capo et pigloli (gli prese) la sua arme et ruppela per che decto nicolò non se guardava da lui onde de poi decto nicolò iniuriato dette una bastonata in capo a decto fanese con uno legno macsuto (a forma di mazza) per lo quale decto fanese (do)po alquanti dì morì, per la qual cosa, per la corte del potestà de Ameria è (stato) condempnato in ere et persona (a pene pecuniarie e corporali), donne (per cui) se reccomanda alle V. S. et ad tucta la comunità che, attento el caso inoppinato et desgratiato del quale lui è pegio contento (più dispiaciuto) che homo che sia (quant’altri mai) et che lui sempre ha desiderato morire per la sua patria et mai se ponò (si dedicò) ad fare robaria in lochi presi per (conquistati dalla) comunità, supplica (che) non ad lui ma alla sua piccola famiglia voglia havere mesiricordia (sic) et farli gratia et remissione de decta condempnatione et quella cassarli, el que (la qual cosa) haverà ad gratia misericordiosa da quelle (Signorie) quas deus conservet (che Dio conservi)”.

Nel maggior consiglio del successivo giorno 11, la supplica di Brino di Gabriele viene completamente accolta, con la concessione dell’esenzione totale da ogni imposta ordinaria e straordinaria per il tempo a venire; ai Fociani, poi, si concede remissione totale di tutte le imposte decorse, nonché l’esenzione da quelle future per dieci anni “et elapsis dictis decem annis teneantur et debeant onera imponenda tam ordinaria quam extraordinaria solvere et satisfare prout veri comitatini”, decorsi i quali, dovranno pagare le imposte ordinarie e straordinarie quali effettivi uomini del contado, “prout faciunt homines et massarij Castrorum montiscampani, fornoli et machie”, come fanno gli uomini ed i massari dei Castelli di Montecampano, Fornole e Macchie. Per quanto riguarda, infine, la supplica di Nicolò di Secarella, si decide che “solutis per dictum nicolaum ducatis quindecim de carlenis, cassetur et aboletur processus ipsius nicolai” dopo aver pagati 15 ducati di carlini, gli si cassi il processo pendente per l’omicidio del fanese che, evidentemente, venne giudicato preterintenzionale.

Lo stesso giorno 11 Marzo nelle riformanze risulta annotato che Piacenzio Vici, appaltatore del sale, dinanzi agli Anziani ed alla presenza dei testimoni Cecco di Cipolla e Turcarello di Bartolomeo, “dixit et confessus fuit habere intus Ameriam in salaria vigintiseptem vel triginta rubios salis et non ultra” dichiarò che nel deposito del sale, dentro la Città, v’erano non più di 27 o 30 rubbi di sale: considerando il rubbio equivalente a circa 200 kg., la scorta di sale che gli Amerini avevano in quel periodo ammontava alla ragguardevole quantità di ben 54 quintali: non potevano certo lamentarsi che la loro vita non avesse sapore! (2011)


10  - Il 10 Marzo 1541 Riccio da Montepulciano scrive da Roma la seguente lettera patente, riportata nelle riformanze sotto la data del 14 successivo:

“Jo Riccio da Montepulciano de lexercito de N. S. et de S.ta sede Apostolica commissario generale, essendo necessario provedere al bisogno del Felicissimo Exercito de la S.tà de N. S. et S.ta Sede apostolica, de ordine de Sua S.tà deputamo Messer Achille bonfine Exhibitor de la presente Commissario nela Provincia de lumbria ad provedere de guastatori per uso et servitio del prefato felicissimo Exercito. Per tanto commandamo ad tucte communità, università, et particulari persone de le Cità, Terre et castelli et altri lochi de dicta Provincia et Governatori et officialj de epse che, secundo la descriptione de fochi (focolari, nuclei familiari) debiano sensa indugio consignare et dare al prefato commissario octo guastatori per ogne cento fochi per condurli dove farrà bisogno et obedirlo in ognaltra cosa che possa concernere jl bene et utile del prefato felicissimo Exercito, come farrebono (farebbero) ala persona nostra propria, per  quanto stimano la gratia de sua beatitudine et sotto laltre pene reservate al nostro arbitrio. Jn quorum fidem. Datum jn Roma adj x. de Marzo MDXLI. Jo Riccio Commissario Generale. (Sigilli Locus). Jacomo Marmitta secretario”.

La precedente “letterina” viene esaminata il 14 nella Sala Magna del Palazzo anzianale e si decide di inviare a Roma, quale ambasciatore della Città, Giovanni Antonio Laureli, il quale va e ritorna con nessun altro responso che “opus est obligationem facere prout quedam alie communitates faciunt” è necessario obbedire a quanto richiesto, come fanno le altre comunità.

E così, per fornire guastatori al “felicissimo esercito” del papa, ancora una volta agli Amerini non resta che far buon viso a cattiva sorte ed anteporre “jl bene et utile” altrui a quello proprio! (2012)


10  -   Il 10 Marzo 1470 viene redatto un contratto di appalto dal Vescovo e dai Canonici di S. Fermina con Mastro Pietro lombardo di Valle Lucana, per la costruzione di una cappella “in locho ubi nunc stat quadam magiestas Virginis Marie inter duas fontes posita in contrada trifignani, in Vocabolo fontane Sancte” nel luogo dove attualmente vi è una maestà ( o edicola, volg. “mestaiola”) della Vergine Maria, tra due fonti, sita in contrada Trifignano, al Vocabolo Fontana della Santa. Il prezzo è stabilito a misura, in ragione di  diciannove libre di denari per ogni pertica di muro. (2014)


10  -  Il 10 Marzo 1493 il Luogotenente di Terni ed Amelia, Rev. Battista Colleoni, protonotario apostolico, scrive  al Vicario di Porchiano, Ser Giacomo Salem, comminando salate pene pecuniarie per i faziosi di Porchiano, invitandoli a cessare dalle violenze. Essendo, inoltre, venuto a sapere da un certo Stefano che il figlio di Manne, Paolo, pur essendo sbandito, continua a praticare Porchiano, scrive: “ve esortamo ad condurlo in lo laccio, et debiate comandar ad Manne che sotto pena de cento ducati, ... non li dia recepto, né victualia, né favore et demum (infine) sia bene imbregliato et legato corto”. Ma non finisce qui; la lettera prosegue, dicendo che, sotto pena di cento ducati, è intimato a Manne Saracini, a Menecuzio Saracini, ad Angelo Ciotti, a Simonetto Gambacorta, alla moglie di Manne Francesca, alla figlia Angelina ed a Franceschella, nuora e sposa del bandito Paolo, di non prestar a costui né ricetto, né vitto, né favore. Ma che avrà mai combinato Paolo di Manne? (2014)

 

10  -  Il 10 Marzo 1496 due vedove amerine, una Venturelli ed una Filippi, davanti all’altare, nella Cappella di S. Antonio di Padova, “flexis genibus”, in ginocchio, supplicano umilmente il Vicario frate Egidio di riceverle come oblate, “parate mundum relinquere ... et Deo omnipotenti perpetuo famulari sub jugo sancte obedientie et paupertatis et castitatis dictamque regulam profiteri et observari” pronte ad abbandonare il secolo ed a professare e sottomettersi in perpetuo a Dio ed al servizio, adottando la regola ed il voto della santa obbedienza, di povertà e di castità. Commenta il Di Tommaso: forse si tratta delle francescane di S. Elisabetta? (2015)


10  -  Il 10 Marzo 1530 papa Clemente VII pubblica un’indulgenza in forma di giubileo per la prosecuzione della fabbrica di S. Pietro e nomina commissario per la raccolta delle offerte il Vescovo Giovan Domenico Moriconi. E così anche gli Amerini contribuirono alla fabbrica di S. Pietro! (2015)


11 - In occasione dell’elezione di Eugenio IV (il veneziano Gabriele Condulmer) avvenuta il 1 Marzo 1431, sotto la data dell’11 successivo è stata riportata nelle riformanze copia della lettera inviata al nuovo eletto dagli Anziani, con la quale “dum volatili fama percepimus Sanctitatem vestram divina providentia summum in terris fuisse creatum pastorem” avendo appreso dalla fama velocemente diffusasi che Sua Santità, per divina prvvidenza, è stato creato sommo pastore in terra, “ut devotissimi servuli Sancte Matris Ecclesie et S. V.” gli stessi si professano devotissimi servitori della Chiesa e dello stesso papa e “gaudio magno letati sumus et nunc et in futurum fideliter gaudebimus” ed allietati per la grande gioia presentemente e per l’avvenire fedelmente ne godranno “Gaudent enim viri juvenes pueri vidue nupteque puelle” e ne godono uomini, giovani, fanciulli, vedove, maritate e fanciulle.

 Per esternare al nuovo papa la devozione della Città, vengono nominati Ser Arcangelo di Ser Telle, Angelo di Giacomo e Ser Nicolò di Ser Luca, che, ai piedi del pontefice, facciano mostra “de nostra ortodosa fidelitate” della ortodossa fedeltà della Città di Amelia e testimoniino della comune gioia per l’avvenuta elezione, raccomandino al papa la devotissima Città ed, infine, (ciò che più conta) richiedano “confirmationem bullarum immunitatum et gratiarum per summos pontifices et legatos Apostolice Sedis precessores Sanctitatis huic S.V. devotissimo populo et communi Amelie concessarum” la conferma di tutte le bolle, immunità e privilegi concesse al popolo e Comune di Amelia -che si professano massimamente devoti al nuovo papa- dai precedenti pontefici e legati della Sede Apostolica. (2008)


11  -    L’11 Marzo 1497, riprendendo la notizia pubblicata nelle riformanze due giorni innanzi, secondo la quale “Catalanenses de Tuderto cum eorum complicibus, Duce Carpellone de Castro Todino, depredati sunt tenimentum Amerinum, hoc est Macchie, Fractutie, Collicelli et Sancti Focetuli et multa animalia civium amerinorum derobbaverunt” (gli uomini appartenenti alla fazione catalanese di Todi, facenti capo alla famiglia degli Atti, con loro complici ed al comando di Carpellone di Casteltodino, depredarono il territorio amerino, cioè Macchie, Frattuccia, Collicello e Sambucetole, razziando molto bestiame di proprietà di cittadini di Amelia), nel consiglio decemvirale si discute sullo stesso argomento, asserendo che “nisi oportune provideatur” se non si prenderanno opportuni provvedimenti, i Catalanesi “maiora poterint damna inferre” potrebbero procurare danni ancora maggiori. Si propone di discuterne nel maggior consiglio del giorno seguente e Ludovico di Carlo Boccarini suggerisce di nominare un comitato di cinque cittadini, ai quali conferire le più ampie facoltà, comprese quelle “inveniendi et conducendi gentes armigeras” di assumere armati e “inveniendi pecunias accipiendi ad interesse” di trovare i soldi necessari, contraendo mutui ad interesse. Un più saggio consiglio sembra quello espresso da Cristoforo Cansacchi, che suggerisce “prius et ante omnia  queratur pax cum dictis Catalanensibus medium Dominum de Alviano” che, innanzi tutto, si cerchi di trattare la pace con detti Catalanesi, tramite il Signore di Alviano “et si pax concludetur bene erit, alioquin fiat ut supra per supradictum Ludovicum consultum est” e se sarà possibile concludere un accordo di pace, tanto meglio, altrimenti si seguirà il consiglio del Boccarini.

Fortunatamente prevale la saggia proposta del Cansacchi, la cui attuazione dà risultati insperati: il seguente 1° Maggio, nelle riformenze, sono riportati i capitoli di pace, stipulati presso il Castello di Alviano, fra la Comunità di Amelia, la Fazione Catalanese di Todi, rappresentata da Ludovico degli Atti, nonché l’altra fazione todina dei Chiaravallesi, sempre in combutta fra loro, con conseguenti continui danneggiamenti per gli Amerini. Leggiamone alcuni:

“In primis, che luna et laltra parte et factione tanto Catalanescha, quanto Chiaravallese possano liberamente et securamente praticare in la Magnifica Ciptà de Amelia (e suo distretto) senza alcuno danno et offensione né del una, né del altra parte e che qualuncha parte contravenesse, che offendesse laltra parte in dicta ciptà ... overo districtu de Amelia da mo (ora) sia publicato et processato per rebelle et exbandito de dicta ciptà, como capitali inimici, qualuncha ciò comectesse o facesse et che qualuncha de dicte factioni offendesse alcuno del altra factione ... offendendolo nelo tenimento de Amelia o in qualuncha altro loco sia punito secundo la forma deli statuti de dicta ciptà de Amelia et nientedemancho se intenda incorrere in pena de rebellione ...

“Item che la prefata Magnifica Comunità de Amelia non possa né debbea dare alcuno subsidio o favore né alauna né altra parte cioè de dicte factioni, socto la pena predicta ...

“Item che nesuna de dicte parte et factioni offendendo altrove che in lo tenimento de Amelia laltra parte, non ardischa né presuma condurre robbe, né prede o presioni (prigionieri) ne lo tenimento de dicta Ciptà ... et nientedemancho le robbe siano restituite ali veri patroni ...

“Item che mai per alcuno tempo alcuna chohadunatione de genti possano fare alcuna de dicte parti per nocere al altra parte in dicta ciptà ... socto pena de rebellione.

“Item che le dicte parti ... fanno plenaria et perpetua remissione et quietatione hinc inde luna al altra parte et laltra al altra de tucte et singule robbe tolte, furate et predate per qualuncha modo et via in le dicte Ciptà de Tode et de Amelia ... et che mai per dicta casione per nesciuno tempo se possano reademandare né comectere alcuna represaglia ...

“Item che la pace predicta non se intenda  essere rocta se alcuno privato andasse in favore de alcuna de decte factioni, ma contra quelli tali se proceda secondo la forma (degli statuti) de dicta ciptà de Amelia et socto pena de ducati cento per ciaschuno che contrafacesse et per ciaschuna fiata, dapplicarse per la terza parte ala Comunità de Amelia, per laltra terza parte ala Camera apostolica e per laltra terza parte ala parte offesa et osservante.

“Item che qualuncha dele parte de dicte factioni, venendo ala ciptà de Amelia o da qualuncha loco sia non possano, ne lo tenimento de Amelia essere offesi dal altra factione, ala pena (che) se contene neli statuti predicti ... et ad pena de rebellione.

“Item che nesciuno dela factione Catalanescha, né loro cohaderenti possano né debbano offendere né in li beni né in le persone alcuno ciptadino, comitatino, distrectuale o cohaderente de dicta ciptà de Amelia, tanto in lo tenimento de Amelia ... quanto in quello de Tode ... sotto pena (che) se contene neli statuti dove se commettesse lu delictu et ala pena de trecento ducati, da applicarse come de sopra...

“Item che li priscioni che fossero retenuti dal una et laltra parte che siano liberati et relassati ...

“Item promectono dicte parte ... suo loco et tempo fare cassare et annullare et abolire tucti processi et condempnationi (che) se trovaranno essere facti hinc inde (da una parte e dall’altra) per qualuncha malefitij et excessi”. (2010)


11  -  L’11 Marzo 1329, fra l’altro, si deve decidere circa la richiesta fatta da Pietro Rainucoli, il quale “accepit pro uno anno a communi pedagium, mensuras et pondera pro clxxxx libris solvendis pro medietate in principio et pro altera medietate hinc ad sex menses et dictus Petrus volet solvere totum pretium statutum in principio, dummodo de pretio convento relapsetur eidem xv libre. Si placet dicto consilio quod dicte xv libre eidem auctoritate presentis consilij remictantur” dal Comune assunse l’appalto dei pedaggi, dei pesi e delle misure per un anno, dietro pagamento di centonovanta libre, da pagarsi dall’appaltatore per una metà all’inizio e per l’altra metà dopo sei mesi; ma detto Pietro propone di pagare l’intero prezzo d’appalto anticipato, purché gli si riduca di quindici libre. Con 34 voti favorevoli e 17 contrari, la riduzione è approvata.

Altro argomento da trattare, riguarda la sottrazione di un asino e di altre cose da parte di “quosdam malandrinos” certi malviventi, effettuata ai danni  di un prete Giacomo di Gualdo, quando venne in Amelia al seguito  del Cardinale Legato Nini di Montoro. “Amore et gratia Nini de Montorio” per rispetto del detto Nini, il risarcimento da fare a prete Giacomo viene approvato con 44 voti favorevoli e cinque contrari. (2014)


12 - “Essendosi visto il bisogno, et convenienza d’accomodare l’horloggio publico, sendo capitati qui doi maestri di tal arte sufficienti, li S.ri Antiani con il Massaro hanno dato ordine che si accomodi et la spesa sarà di quindici scudi incirca, però (si chiede) quid agendum (cosa fare)”.

Il Consiglio dei Dieci del 12 Marzo 1616 è chiamato a decidere in merito.

Maurizio Boccarini, “unus ex consultoribus, dixit ad Consilium Generale, nel quale si proponga ancora la spesa (dell’orologio) di Piazza”.

Nessuno vuole sbilanciarsi, quindi la questione viene rinviata al Consiglio Generale.

Paura di venire accusati di ricevere una “tangente” dall’orologiaio? (1998)


12 - Nel Consiglio dei Dieci del 12 Marzo 1776, viene data lettura di un'istanza di alcuni cittadini, che chiedono che venga abbattuto l'arco detto di Giannone, "che esiste nella strada maestra che, dal Palazzo di questa Ill.ma Comunità conduce alla Piazza Grande", perché si ritiene alteri la bellezza della Città ed è, altresì, di impedimento alle processioni. Il proprietario del detto arco, Tancredo Cibbi, sarebbe propenso al suo abbattimento, ma chiede, in cambio, che gli venga assegnata una porzione di bosco, di scarso valore perché "macchia bassa", di proprietà della Comunità di Amelia, purché sia ubicata vicino al podere già posseduto dal Cibbi, in vocabolo Carufino, nel territorio di Porchiano. Naturalmente, previa stima degl'immobili da permutare ed approvazione da parte della "Sagra Congregazione del Buon Governo".

Il Consigliere Conte Diomede Cerichelli appoggia la richiesta di abbattimento "come cosa troppo vantaggiosa all'adornamento della Città e alle publiche Processioni", purché sia chiesto anche il consenso "delli Signori Fratelli Sandri e Girolamo Assettati, alle di cui case appoggia il suddetto arco", per evitare danneggiamenti e relative questioni che ne potrebbero derivare alla Comunità. Si demanda, comunque, all'approvazione del Consiglio Generale, che si riunisce il giorno successivo, nel quale viene approvato quanto richiesto, nonché un'istanza presentata dal nobile Antonino Lancia, che "desidera gettare un piccolo arco nel vicolo chiuso, senza uscita, esistente appresso la di lui casa e l'osteria spettante a questa Ill.ma Comunità e di appoggiarlo ad essa osteria, alla quale recarebbe utile, per essere il muro della medesima in questa parte molto patito".

Arco che va, arco che viene! (2004)


12 - Nelle riformanze del 12 Marzo 1518, è riportata la notizia delle "Mirabiles precessiones (sic) facte in Urbe" delle meravigliose processioni fatte a Roma per scongiurare quanto -più o meno attendibilmente- si era "non sine metu" non senza timore divulgato circa "adventus regis turcarum qui ferebatur proficisci contra Principes cristianos" la venuta del sultano turco, che si diceva essersi mosso contro i reami cristiani "cum sexcentis milibus armatorum et classibus innumerabilibus" con 600.000 armati ed innumerevole flotta "Quam ob rem S.mus Pater Leo PP. mandavit ... per tres dies solemnibus precessionibus Romam lustrarent" a causa di ciò, papa Leone X comandò di percorrere per tre giorni la Città con solenni processioni. In ossequio al comando del pontefice, "cuncti religiosi qui in Urbe sunt ut parerent mandatis pontificis" tutti i religiosi della Città "dictas precessiones paraverunt et tribus diebus Urbem circumiverunt cum omnibus reliquijs urbis, excepto vultu sancto, quem tolli e loco suo canonici basilice divi Petri non sunt passj" approntarono dette processioni e per tre giorni si recarono in giro per la Città con tutte le reliquie esistenti in Roma, eccettuato il Volto Santo, che i canonici della basilica di S. Pietro non permisero di prelevare dalla sua sede "Ultimo die Pontifex simul cum omnibus cardinalibus episcopis et prelatis pedes profectus est ad templum Minerve absque calciamentis" L'ultimo giorno, il pontefice, con tutti i cardinali, i vescovi ed i prelati, si recò a piedi senza calzari al tempio della Minerva.

Ma ben altre e più grevi nubi si stavano addensando sulla curia romana. La vigilia di Ognissanti del 1517, poco più di quattro mesi prima dei fatti sopra riportati, il frate agostiniano Martin Lutero aveva affisso alla porta dell'omonima chiesa di Wittenberg le sue 95 tesi. (2006)


12  -   Il 12 Marzo 1473 si legge la sguente lettera inviata da parte dei Priori della Città di Spello agli Anziani di Amelia e trascritta nelle riformanze:

“Magnifici Domini tamquam Patres et Benefactores precipuj.

“Ja è uno anno passato facemmo per nostre lettere notificare ad quilli (che) allora tenevano elloco  dele V. M. S. como qui era ordinata la fiera per lo anno presente comminzando ad dì quindici del presente mese et dura perfine alli vintiquatro pur del decto presente mese. Hora novamente lo reducemo ad memoria de le V. M. S. sopplicando quelle se digneno exhortare vostri ciptadinj mercatanti artisianj et altri traficanti ce vogliano  venire perche ne haveranno utilità et da noi seranno optimamente veduti et tractati. Reccommandamone ad V. M. S. Spelli xi Martij Mcccclxxiij. Priores Populi Terre Spelli”.

Subito dopo, vi è riportata la seguente annotazione del solerte Cancelliere Barnaba da Sarnano:

“Statim Jacobus Tornana Mandato dominorum Antianorum rettulit mihi Cancellario litterarum dictarum tenorem per urbis publica et solita loca premisso clangore tube voce clara precivisse”: immediatamente, Giacomo Tornana riferì a me Cancelliere di aver, su ordine degli Anziani, diffuso il contenuto della predetta lettera nei luoghi pubblici e consueti della Città a chiara voce, premesso uno squillo di tromba. (2009)


12  -  Il 12 Marzo 1420 Sforza “de Actendolis”, Conte di Cotignola, Conestabile di Sicilia e Gonfaloniere di Sua Santità, scrive da Viterbo al podestà ed agli Anziani una lettera -riportata nelle riformanze il 16 successivo- del seguente tenore:

“Per altra lettera pro parte del rectore ve fo scripto et voy vel mandamo adire che Brancatello reintrasse dentro in Amelia a fare et adire bene como laltri Cictadinj azo che (affiché) infra voy fosse bona pace et unione et cossì tucte queste tale discordie se avessero acessare, perché la intentione de N. S. (il papa) è havere tucto nele terre de Sancta Ecclesia non ciesìa partialità né ugnj (uggia?) infra luominj par che non labiate mandato adeffecto. El perché de nuovo vene replicamo che ne pare lodebiate fare senza altra exceptione poy che la intentione de N. S. et de suoy offitiali è cossì che molto el comandamo fatelo liberalmente. Paratus semper ad grata vobis. Viterbij xij martij 1420”.

Non si conosce la ragione per la quale Brancatello era stato allontanato da Amelia, ma la volontà degli Amerini, anche se ben fondata, poco poteva contare contro chi deteneva le leve del comando! (2010)


12  -  Nel consiglio decemvirale del 12 Marzo 1468 vengono esaminate, fra l’altro, alcune suppliche.

Una è presentata “per parte del vostro minimo (sic) servitore Cristofano dicto Tentellone, che conciosiacosa che per governare sé et lapovera sua fameglia habbia venduta casa et vigna et ogne sua substantia et per lidebiti (che) ha contractato, et lesoi (le sue) braccia non labastano ad poterla governare Et tucto ludì (il giorno) sia constricto et impresionato (imprigionato) per ledate (le imposte) incorse Et adciò lui possa vivere in questa vostra Cità colasua famegliola per lamore de dio se recommanda ale V. S. glie (che gli) vogliano usare gratia et benignità, quale laltissimo dio prospere in felice stato como le V. S. dessiderano”.

Altra supplica viene presentata “per parte delvostro fidelissimo servitore et poverissima persona Michele spagnolo habitatore inamelia, dicente et exponente come isso venne ad habitare inamelia et pigliò dompna (moglie) con animo et intentione  de vivere et morire innella dicta Cità Et de continuo se affanna et fatiga per vivere et governare lasua fameglia et non po tanto fatigare et lavorare che possa governare lasua fameglia et perfino inmò (ora) per lucomono (il Comune) de Amelia non le (gli è)  mai sovenuto  de alcuna exentione et jmunità Et de continuo è affannato et agravato dalli offitiali del communo per legraveze imposte; per laquale cosa supplica humelmente et devotamente ale V. M. S.  se digneno farlo exemte de tucte graveze imposte et corse fino nel presente dì. Et per lo avenire per xvj anni prossimi davenire de tucte graveze  da imponerse decapo (pro capite), focho et de altre dative  che se imponessero per ludicto communo et questo domanda per intuito depietà et de misericordia dale V. M. S. lequale conserveno (sic) dio in felicissimo stato”.

Il maggior consiglio del giorno appresso concede al povero Tentellone la remissione di tutte le imposte pregresse e, per il futuro, “habeat gratiam per quatuor annos de capite et foculari tantum” sia esentato per i prossimi quattro anni dal pagamento delle sole imposte personali riscosse per fuoco o famiglia. Lo stesso trattamento “di favore” viene deliberato nei riguardi dell’altro supplicante Michele, di origine spagnola, “qui per plures annos stetit et habitavit in Civitate amerie et bene honeste ac virtuose se gessit et sine aliquo scandalo” che per molti anni è restato ad abitare in Amelia, comportandosi onestamente ed in modo moralmente irreprensibile, senza suscitare alcun motivo di lamentela. (2011)


13 - Nel "Liber Instrumentorum Magnificae Communitatis Ameliae, redatto dal Notaio "Petrum Paulum Orlandinum de Cerreto, Spoletanae Diocesis", il 13 Marzo 1595 vengono stipulati fra la Città di Amelia, rappresentata dagli Anziani "Jacobus Sander, Scipio Geraldinus, Octavius Geraldinus et Joannes Coceiae", debitamente autorizzati dal Consiglio Generale del 12 Marzo precedente, ed il Signor Agabito Studiosi, i "Capitula" relativi alla locazione (leggi: appalto) del "Macellum et ius macellandi carnes in Civitate Ameriae" per due anni, con inizio dal 25 Marzo successivo. Fra gli altri patti, scritti in lingua volgare, si annotano i seguenti:

-"li macellari soliti, che saranno pro tempore siano obligati pagare alla Tavola delli Signori Antiani, per ogni vaccina, libre cinque di carne.

-Item per le vitelle doi libre et mezza.

-Item per ogni castrato et porcho tre quattrini buoni, cioè un carlino per dicina.

-Item per ogni agnello doi quattrini buoni, cioè baiocchi cinque per dicina".

L'atto si chiude con la dichiarazione dello Studiosi circa la garanzia prestata per il rispetto delle clausole contrattuali: "Io offerisco dare per Sigurtà Messer Antonio Geraldino".

La famiglia Studiosi si era forse insediata in Amelia nella seconda metà del XVI secolo e l'atto sopra accennato è uno dei primi nei quali trovasi citato un suo membro. Il nome Agabito ricorre spesso nel corso dei secoli successivi. Se ne potrebbe dedurre che il Nostro fosse il suo capostipite. Il Conte Carlo Cansacchi, nella sua "Cronistoria Amerina", accenna che, fra gli anni 1614 e 1616, il nobile Francesco Studiosi, con il grado di capitano, partì con 650 cavalleggeri per recarsi in Ungheria, in aiuto all'imperatore contro i turchi, dietro sollecitazione di papa Paolo V, conquistandosi il grado di colonnello.

Un Agabito Studiosi figura anche nella incisione a stampa composta da Lorenzo Vincentini nell'anno 1738 ed intitolata "L'Antichissima Città di Amelia". (2004)


13  -   Nel maggior consiglio del 13 Marzo 1474 si decide circa le suppliche presentate nel consiglio decemvirale del giorno innanzi da tal Apollonio di Giovanni da Orte e da Giovanni (zoppo) di Claudio Epirota (cioè greco dell’Epiro), concepite in tali termini:

“Se supplica humile et devotamente per parte del vostro fidelissimo servitore Apollonio de Jovanni da orte habitante in Amelia, el quale dice como più dì sonno (da più giorni) li fo formato uno processo per la Corte del presente potestate per casione (che) havea ferito dal collo in giù uno sopranominato Camerino et più et meno secundo nel decto processo se contene al quale in tucto se referisce. Ad qual maleficio fo incitato et provocato et fo li (gli fu) forza venire ad quello acto per defesa de la sua persona perché decto Camerino admeno dui volte (venne) ad ipso supplicante con una coltella nanti che ipso Apollonio se defendesse né facesse cosa alcuna ad decto Camerino. Et advenga (benché) da multi li sia stato recordato (suggerito) voglia (che volesse) recorrere ala Sig.ria R. del nostro Governatore che li farria remissione de tucto over de la maiore parte (della pena), nientedemanco non lo ha voluto fare, ma se (si è) voluto et vole mectere et buctarse ali piedi de V. S. (gli Anziani) et ad quelle demandar gratia et misericordia como ad soi benigni et clementi Signuri; perla qualcosa humilemente supplica ale V. S. che considerato decto Apollonio ha(avuto) col prefato Camerino bona pace et che decto Camerino ha havuta dal Superiore gratia de pagare bol. dudici, et che dicto Supplicante è venuto ali principali et veri Signuri, vogliano avere misericordia ala decta sua pena, quale è circa nove o dece ducati over circa, admesoli (concessigli) li beneficj, che pagato quello  (che) ad voi parerà el resto li se done et casselise (gli si cancellino) tucti processi per decta casione. El che benché ad più sia consueto farse, el demanda ad singolare gratia da le V. M. S. le quale dio prospere in fortunatissimo statu”.

“Denati ad Voi M. S. Antianj del populo dela Ciptà de Amelia et Conseglieri de dece et trenta boni homini et quindici Capitanei de contrata de la decta Ciptà se supplica humilemente per parte del vostro fidelissimo servitore et poverissima persona Jovanni zoppo Albanese stante mo in Amelia dicente luj perché più dì fece questione et ferì uno altro albanese in capo colpendoli con una accepta la coccia, essere stato per la corte del potestà condennato in gravissima quantitate de denari et circa centocinquanta ducati et perché ipso è poverissimo et infermo et habia la sua moglie con tre figli chel maiore non ha sej annj et tucti tre vanno accaptando perché non hanno da vivere et luj sia stato et stia nela prigione recorre et buctase ali piedi de le V. S. lequale humilemente prega se digneno fare ad luj gratia liberale et donare decta condennatione ali soi figlioli considerando che quando queste V. S. non facessero  li serria necessario fine che vive stare in pregione dove se morrà de fame perché la sua donna nol po più nutricare offerendo ala decta Comunità tucta la sua facultà et pagare quello pocho che ha, che non ha niente. El che demanda per intuitu de pietà et misericordia et de usata clementia de decta Comunità et de V. M. S.  lequale dio preserve in felicissimo stato como quelle desiderano”.

Il maggior consiglio delibera di ridurre ad Apollonio la pena a tre ducati, riconoscendogli la provocazione e una quasi giusta reazione (“provocatus iuste quodammodo certasse”) ed a Giovanni “Epyrote”, “licet ex gravi delictu ingens supplitium meritatus”, sebbene meritevole di una ben più pesante punizione per il grave delitto commesso, per amore di Dio e dei di lui moglie e figli, gli si riduca la pena a dieci ducati e, quindi, “ex carcere et compedibus eximatur” sia liberato dai ceppi e dalla prigione. (2009)


13  -  Il 13 Marzo 1797 in Consiglio “Si propone che alle Sig.rie Loro Ill.me sarà ben nota la scarsezza del prodotto dell’olio dela presente staggione, nonché esser stato una quantità del medesimo precettato al Sig. Cav. Stefano Cansacchi ed altri, dal Sig. Marco Carocci, Vice Commissario, per l’Abbondanza Olearia di Roma. Per il che, ne nasce in questa nostra Città una scarsezza tale, che dall’Ill.mi Sig.ri Governatore ed Anziani non si sa a chi ricorrere per la provvista di tal genere e per supplire allo spaccio (fabbisogno) di questa popolazione ed evitare qualche tumulto che potesse nascere nel Popolo”. Prende la parola Alvaro Perejra, dicendo: “L’estrema necessità in cui ritrovasi questa nostra Città e Territorio per la mancanza dell’olio, per cui se ne sentano continuamente delle lagnanze, formano l’oggetto di prendere i più valevoli provvedimenti per evitare qualunque tumulto che potesse insorgere nel Popolo, tanto più che il Sig. Vice Commissario Carocci, a cui era ben nota la succennata scarsezza, aveva speranzato (sic) l’Ill.mi Sig. Governatore ed Anziani di lasciare il necessario quantitativo e non avendo a tutto ciò adempito, onde in tal stato di cose sono di sentimento di prendersi a conto (favore) di questa Comunità (non trovandosi altro) l’olio di già precettato e darsi questo a vendere, ad arbitrio degl’Ill.mi S.ri Anziani presenti a quella persona che crederanno più idonea, acciò venga venduto a’ soli Paesani e non al Forastiere, nella sola quantità di una foglietta”. La proposta del Perejra viene votata ed approvata, riportando “omnia vota favorabilia”, in modo da “speranzare” anche tutti i Cittadini di non restare senza olio. (2014)


14 -  Notizia apparsa sul periodico AMERIA del 14 Marzo 1897, sotto il titolo: "Conseguenze di una prepotenza":

"Giorni indietro in una caccia a reti delle palombe nel nostro territorio, si inoltrò senza riguardo alcuno, sino alle capanne dei postaroli, un individuo armato di fucile, cagionando l'allontanamento dei volatili che stazionavano nel bosco. Non bastando ciò, lo stesso individuo chiese con modi spavaldi ai cacciatori alcune palombe. E non avendo questi potuto dargliele perché per quel giorno non se ne erano prese, egli rispose che se le sarebbe procurate da sé. Difatti si allontanò di poco ed appostatosi in luogo opportuno, con un colpo di fuoco fece cadere varie di esse. Allora i cacciatori, indispettiti che in seguito al rumore dell'esplosione in un attimo tutte le palombe avessero abbandonato la macchia, gli furono sopra, gli tolsero il fucile e lo percossero seriamente in modo da doversi ricordare per un pezzo della sua prepotenza.

Avviso a tutti i disturbatori delle cacce".

Praticamente, ad una prepotenza, si rispose commettendone un'altra, con buona pace del cronista! (2006)


14 - I consiglieri Boccarino Nardi, Colozio Guidi e Giacomo di Giovanni "assunti et electi per d.nos Antianos ad adiustandum unam stateram meliorem et utiliorem pro communi" nominati dagli Anziani per procurare al Comune una stadera (pesa pubblica) migliore e di maggiore utilità collettiva, "Visis et examinatis stateris pluribus hominorum Civitatis Amelie" dopo aver vagliato ed esaminato numerose stadere di molti cittadini, in data 14 Marzo 1326 "declaraverunt stateram Glorij Raynalducij esse justi ponderis et meliorem ac utiliorem alijs pro communi" dichiararono che la stadera di Glorio Rainalducci fosse la più esatta di tutte e, pertanto, la migliore e di maggiore utilità pubblica.

Da quanto sopra, può dedursi che anche la scelta di una stadera per la nostra comunità di oltre cinque secoli addietro poteva avere un certo ... peso! (2007)


14  -   Dal periodico “AMERIA” del 14 Marzo 1897 si riporta la seguente notizia, sotto il titolo “Incendio”:

“La sera del 2 marzo, mentre i signori Laureti Giuseppe, notaio, Barcherini Luigi, consigliere Provinciale e l’Avv. Assettati Stefano passavano davanti al negozio, già chiuso, del sig. Cinti Domenico in via V. Emanuele, avvertirono della luce attraverso le fessure della porta. Si avvicinarono ad essa e videro che ne usciva del fumo. Convinti allora che non poteva trattarsi che di un incendio, chiamarono subito persone, tra cui il falegname Nazzareno Paolucci munito di ferri per far saltare la serratura. Dopo pochi momenti si riuscì ad aprire. Si era appicato il fuoco al banco e già era in fiamme, e fu opera veramente ardita del Sig. Pinzaglia Giulio, padrone del locale, di alcuni soldati e degli altri accorsi, se riuscirono a trasportarlo fuori del negozio, riparando così ad un incendio, che avrebbe potuto prendere enormi proporzioni”. (2009)


14  -  Dinanzi agli Anziani il 14 Marzo 1470 compaiono gli Ebrei Elia e Leone, abitanti in Amelia, i quali esibiscono ai detti Anziani una lettera inviata  loro il 12 precedente dal Vescovo di Perugia, Governatore di Spoleto ed Amelia, del seguente tenore:

“Magnifici Viri et Amici nostri Carissimi Salute. Maestro helia hebreo delì (di lì) et lione suo fratello se sono doluti con nuj che sonno circha tre anni imprestarono ala Communità da una parte (cioé Elia) ducati vinticinque a bol. lxxij (bolognini 72) per ducato; et da unaltra mano (cioè Leone) libre quarantadue soldi cinque et ancora nonli seda modo de pagarli, et ... vogliamo ... siano pagati; la quale cosa essendo iusta como mustrano per scripte fidedigne non possemo ne devemo denegare; pertanto ve comettemo et comandamo  che debiate pagare lidicti  Magistro Elia et Lione dedicta summa (per la quale) lisiete obligati como appare per dicte scripte se ce sono denari impunto al presente, quando che non volemo che de tucte le intrate de malifitij rescossi o darescoterse per loavenire sotto pena del nostro arbitrio non nedebbiate né possate disponere finché lidicti magistro elia et leone siano integralmente satisfacti. Et così vicommandamo glienefate assignatione sopra ledicte intrate como noi per tenore dequesta glienefacemo piena assignatione. Spoleti die xij Martij 1470”.

E’ una buona tirata di giacchetta per i nostri amministratori di un tempo, che certamente non disponevano delle possibilità finanziarie di un Comune dei giorni odierni. (2011)


14  - Il 14 Marzo 1469 nelle riformanze risultano riportate due suppliche, che vengono rivolte al Governatore, Vescovo di Perugia e giudicate dallo stesso.

Una è presentata da parte di Cecco di Angelello di Amelia, il quale espone che “ipse de anno millesimo quatricentesimo sexagesimo septimo et mense augusti esset per Curiam domini potestatis Civitatis Amerie detentus in palatio et carceratus in camera dicti domini potestatis propter dativas Communis dicte Civitatis videlicet salis et subsidij vel particulari debito spetialium personarum quod quidem erit tenue” egli, nel mese di Agosto dell’anno 1467, dalla Curia del podestà di Amelia fosse stato trattenuto nel palazzo ed incarcerato nella camera del podestà, a causa del mancato pagamento di alcune tasse comunali, quali quelle del sale e del sussidio e di alcuni debiti verso singole persone, seppure di lieve entità “et cum esset inhaabilis et satis egens ad dictum debitum persolvendum et timens  propter diuturnum carcerem” ed essendo incapace per la sua grande miseria a far fronte al pagamento di quanto dovuto e temendo, a causa della prolungata detenzione, di poter finire i suoi giorni in prigione, “ex dicta camera et carcere discessit et quo libuit profectus est” evase da detto carcere, andandosene per i fatti suoi; “quapropter ob id factum per Curiam dicti domini potestatis condennatus fuit et est in libris sexcentum decem, secundum formam statutorum dicte Civitatis” e, per tale ragione, venne condannato dalla Curia del Podestà al pagamento di 610 libre, secondo quanto previsto dagli statuti cittadini. “Quam ob rem ipse supplicans humiliter ad gremium vestre largissime humanitatis confugit” per la qual cosa, lo stesso supplicante si rifugia nel grembo della generosissima umanità del Governatore, affinché “de solita benignitate et clementia remissionem fieri dicte condemnationis, mandando officialibus et Cancellario” con la consueta benevolenza e clemenza, gli venga revocata detta condanna, dando ordine agli ufficiali ed al Cancelliere incaricati della sua esecuzione che “dictam condemnationem irritent, cassent et annullent” vogliano cancellare ed annullare la stessa condanna.

Il Governatore, che scrive da Spoleto, dà il suo “placet” alle richieste del povero Cecco, “costito quod non fregerit murum neque hostium loci inquo detinebatur, qui solum teneatur ad servende fabrice S.cte Marie pro mensem si est pauper ut profertur” constatato che non ruppe né il muro, né la porta del luogo della sua carcerazione, ma, se sarà riconosciuta la sua indigenza, come da lui asserito, presti per un mese la sua opera nella fabbrica di S. Maria.

Altra supplica è presentata da Maestro Riccardo fisico, abitante in Amelia, ma di origine inglese (“Anghilensis”), il quale espone “quod cum ipse a quodam pascutio de Narnea habitatori Amelie esset injurijs et contumelijs lacessitus” che essendo stato provocato da un certo Pascuccio di Narni con ingiurie e contumelie “que  ne utique a quoquo fortissimo viro equo animo tollerari potuissent” che giammai si sarebbero potute sopportare con equità d’animo neppure da una persona di grandissima tolleranza, “neque ab eo iusta aliqua ratione deberi ita obrobrijs affici” e non essendoci neppure alcuna ragione di venir da lui fatto segno da simili ingiurie,  “percussit manu vacua cum uno pungno in facie dictum pascutium et deide prostravit dictum pascutium in terra et ipsum percussit duobus pungnis a collo infra manu vacua” percosse detto Pascuccio a mani nude con un pugno in faccia e, quindi, lo gettò in terra e, sempre a mani nude, gli diede altri due pugni dal collo in giù; “quapropter ob tale facinori fuit per Curiam domini potestatis et est condendatus (sic) in libris denariorum septuagina quinque secundum formam statutorum Civitatis Amerie” ed a causa di tal fatto, è stato condannato dalla Curia del podestà a pagare settantacinque libre di denari, giusta gli statuti della Città di Amelia. “Confugit igitur ad pedes V. R. D. veniam et misericordiam inplorans ut cum ipse sit forensis et pauperrimus ... fueritque precipiti ira ductus ... non potuerit se contineri cum primi motus non sunt inpotestate nostra” pertanto ricorre ai piedi della Vostra Reverenda Signoria, implorando perdono e misericordia, poiché, essendo forestiero e in grande povertà, preso da ira subitanea, non fu in grado di controllarsi, essendo i nostri primi impulsi fuori della possibilità di venir dominati; e dolendosi della sua condotta, umilmente prega “dignemini de solita benignitate et gratia de dicta quantitate sibi gratiam facere ut ipse possit tute remeare in patriam amerinam quam sibi pene proculdubio patriam delegit et appellat ubi etiam ab omnibus studijs maxime fovetur”, che ci si degni di fargli grazia dell’entità della pena, affinché possa tranquillamente rientrare in quella che lui considera la sua patria amerina che, senza dubbio, per tale ha eletto e chiama e dove otterrà  il miglior risultato da tutti i suoi studi.

Il Governatore -che questa volta scrive da Sangemini- concede (“placet”) quanto richiesto, “actenta qualitate persone” in considerazione della qualità 

del postulante -che doveva quasi certamente studiare per diventare medico (“phisici”)- e giudica “quod absolvatur et cassetur processus” che venga assolto ed il processo a suo carico sia cancellato. (2012)


15 - Nella copia a stampa dello statuto narnese del 1371, approvata con breve di Pio IV del 15 Marzo 1716, il capitolo n. 212 reca le seguenti disposizioni:

Qualunque povero, cittadino o del contado della città di Narni, sia stato in passato o sarà in futuro colpito, reso inabile o ferito (“percussus, impeditus vel magagnatus”) durante il servizio reso al Comune nell’esercito, in compagnia armata (“masnata”) o in cavalcata, sia aiutato dal Comune stesso per spese mediche e con un conveniente salario vitalizio; e ciò s’intenda di chiunque sia allibrato per meno di 200 libre cortonesi e abbia riportato, al servizio del Comune, colpi, infermità o ferite in qualunque parte del corpo. 

E’ un bell’esempio di riconoscenza  e di solidarietà sociale! (2000) 


15 - Con bolla in data 15 Marzo 1392, Bonifacio IX, in considerazione della povertà che incombe sulla Città di Amelia "propter guerras" a causa dei conflitti, concede che le cause civili e criminali vengano trattate in prima istanza dalla Curia del Podestà. L'originale della bolla "fuit recondita in Archivio Comunis existente in sacristia S. Firmine in quadam sacchula" fu riposta, in una sacchetta, nell'Archivio comunale esistente nella sacrestia di S. Fermina. Se ne fecero due copie, di cui una venne depositata presso la sacrestia di S. Francesco e l'altra in quella di S. Agostino. (2001)


15  -   Sotto la improbabile data del 15 Marzo 1478 (essendo stata, la supplica di cui infra, presentata il giorno 17!) il maggior consiglio si pronuncia sulla medesima, che risulta espressa in tali farraginosi termini:

“Supplicase humelmente et devotamente per parte delli fedelissimi homini Bartholomeo de tavolaccio et Angelello de Benedicto de Cascichio del vostro castello de Porchiano dicenti et exponenti come al presente sonno retenuti et carcerati per lu presente messer lo vicepotestà de questa mag.ca Ciptà et contra loro se procede per casione che pigliarono una con (insieme a) certi altri da porchiano una donna Petruccia moglie già de thomasso de cataluccio dal decto castello. Et perché el decto Bartholomeo accompagnò Berardino de Stefano de Malitio del decto castello che andò ad casa de una donna Augustina figlia già de Antonio Jacovoni et rupparli luscio. Et che el decto Berardino ad altro acto provenne che per honestà se tace come nelli acti del decto misser luvicepotestà se contene, alli quali se riferiscono. Item dicono como delli dicti malefitij ià è facta assimilatione siche se sa in que vengono condennati. Et perché sonno poverissimi et hanno già patuta grandissima gastigatione delli loro errori, liberalissimamente  recurrono alla solita benignità de V. M. S. che lo piaccia delli decti maleficij farlo remissione in tucto ho in parte como parrà alle V. M. S. sendo la loro inopia et povertà, et ordinare che siano relassati et scarcerati. Et questo ben che sia alli altri consueto per le V. M. S. usare tale gratia, nientedemancho domandanolo de special gratia per lamore de dio doverlose concedere per le V. M. S. quale dio ad vota conservi”.

La decisione prescrive che Bartolomeo di Tavolaccio, prima di essere dimesso dal carcere, paghi 15 ducati, che verranno dati in deposito ad una persona da eleggere dagli Anziani e, quindi, impiegati per la riparazione del palazzo anzianale e del macello di Porta; il residuo della pena gli venga condonato. Ad Angelello di Benedetto, poi, concessigli tutti i benefici previsti, s’ingiunge di pagare la quarta parte della pena, da depositare come sopra. Il tutto alla condizione che gli stessi abbiano pace con le persone offese e con facoltà, da parte del vicepodestà, di prendere, in merito, le precauzioni che riterrà opportune. (2009)


15  -  Sotto la data del 15 Marzo 1504 nelle riformanze risulta registrata la notizia che il Vicario di Porchiano Giovanni Peregrini “dictum officium vicariatus renumptiavit” aveva rinunciato all’incarico e, quindi, occorre provvedere in merito. Nel consiglio decemvirale del giorno successivo 16, si propone: “placeat presenti consilio providere” che il consiglio provveda in merito, “quia homines de porchiano petunt vicarium” poiché i Porchianesi vogliono il loro Vicario. Nel consiglio generale del giorno stesso, si propone “quod imbussulentur  decem vel duodecim cives et extragatur de bussulo et ille teneatur jre ad custodiam Castri porchiani” che vengano imbussolati i nomi di 10 o 12 cittadini e se ne estragga uno, cui sarà affidata la custodia del castello e che la Comunità “provideat de expensis” si faccia carico delle relative necessità finanziarie. (2011)


15  -  Il 15 Marzo 1469 tal Giovanni Mancino lascia delle disposizioni testamentarie, che vengono redatte dal notaio  Nicolò Narducci, in base alle quali i suoi eredi dovranno sborsare cinquanta fiorini d’oro o l’equivalente in terreni, al suo servitore Lorenzo, che non conosce né patria né genitori, essendo stato portato ad Amelia a suo tempo quale preda bellica.

Passano duecentosettant’anni. D’ordine della “Sagra Consulta”, sono stati “accresciuti quattro Birri” e si debbono trovare sessanta scudi per pagare i loro stipendi per i primi quattro mesi. Il 15 Marzo 1739 se ne parla, fra l’altro, in consiglio, per stabilire “se s’abbia tal somma imponere sopra le Date o sopra la libra dei terreni”. V’è anche da risolvere un altro problema: “Li RR. PP. Sommaschi Maestri delle Scuole publiche fanno istanza che si rinovino nove banchi, resi affatto inagiustabili et che un altro se ne riatti per la prima et seconda Scuola (classe)”. Prende la parola Lorenzo Venturelli e, per quanto riguarda i banchi di scuola, afferma: “son di parere che si ponga il lavoro a Candela et si deliberi a chi farà miglior condizzione”; cioè che si indìca un’asta pubblica con il sistema della “candela vergine” e si aggiudichi il lavoro al miglior offerente. Per la dolente nota relativa allo stipendio dei nuovi quattro birri, lo stesso Venturelli propone “che si supplichi la Sagra Congregatione à degnarsi ordinare” se i soldi per i birri debbano trovarsi con nuove imposte personali o reali; tanto, per i poveri Amerini, se non è zuppa, è pan bagnato! (2015)


16 - Sta per giungere in Amelia l'illustre cittadino Baldo Farrattini, nominato Vescovo. Il 16 Marzo 1572 il Consiglio, riunitosi "super bono publico", delibera di fare degna accoglienza al Presule, di presentargli un dono e di nominare alcuni cittadini per presentargli l'omaggio e l'ossequio della Città. Si stanzia, per la bisogna, una somma di trenta scudi. (2005)


16  -   Nel consiglio decemvirale del 16 Marzo 1465 si discute, fra l’altro, circa la pretesa avanzata dal Vescovo e da tutto il clero amerino, che “non intendant solvere gabellam macinati, dicentes et affirmantes se non tenerj” non intendono pagare la gabella del macinato, in quanto affermano di non esservi tenuti. Nel maggior consiglio del giorno seguente, si riconosce al Vescovo, per ciascun anno, una franchigia “pro quatuor buccis ad rationem unius salme cum dimidia pro qualibet buccha” per quattro bocche, in ragione di una salma e mezza per ogni bocca; “cuilibet presbytero dicenti missam” a ciascun sacerdote che dice messa, una o due franchigie di una salma e mezza; “monialibus reclusis” alle monache di clausura, una franchigia di una salma per ciascuna; “fratribus vero” ai frati, poi, vengano concesse tante franchigie, quante ne saranno ritenute opportune, secondo quanto verrà dichiarato dai rispettivi rappresentanti dei conventi di S. Agostino e di S. Francesco, “iuxta eorum conscientia” secondo loro coscienza; “clericis vero habentibus ordinem sacrum et servientibus  ecclesie” ed ai preti confermati e serventi la chiesa, vengano concesse franchigie “ad declarationem presbyteri Jacobi, suo juramento” secondo dichiarazione giurata del presbitero Giacomo. (2009)


16  -  Il 16 Marzo 1486 il consiglio dei X deve interessarsi di importanti problemi di ordine pubbico:

“Cum undique varij exoriantur bellorum tumultus et seditiones et potissime in Civitate Tudertina ad quam plurimi ex nostris accurrunt propter quod scandalum et detrimentum rei huius publice nostre exoriri posset” poiché da ogni parte nascono tumulti di guerra e sedizioni e particolarmente nella città di Todi, alla quale accorrono molti dei nostri cittadini e da ciò possa derivare scandalo e danno per questa nostra Comunità, occorre provvedere “ut in Civitate hac amerina pacifice et quiete vivatur” affinché nella Città di Amelia si viva in pace e tranquillità e tutti obbediscano al podestà ed agli Anziani e, all’uopo, venga imposta un’adeguata pena.

Inoltre, poiché “aliqualis pestilentie vis Civitatem hanc amerinam invaserit qua nonnullj pereunt tam nulla adhibita cura quo ad animam quam etiam quo ad corpus” una certa virulenta pestilenza abbia invaso la Città, a causa della quale molti periscono e nessuna cura sia stata posta in atto né per l’anima, né per il corpo “et cum alienum ab omni equitate et justitia sit ut brutorum more qui Christi nostri fidem fatentur pereant” ed essendo fuori da ogni equità e giustizia che coloro che professano la fede cristiana periscano come bruti, “bonum et utile est ut de oportuno provideatur remedio omni meliori modo” è cosa buona ed utile che si trovi un opportuno rimedio nel modo migliore possibile.

Circa l’argomento relativo alla sicurezza pubblica, si propone che vengano strettamente osservati sia il capitolo XIV del libro IV dello statuto cittadino, intitolato “Della pena di chi facesse cavalcata o movesse guerra contro la Città”, che il capitolo XXX dello stesso libro, che prevede “Che nessuno si rechi in qualche terra dove si organizzassero riunioni sediziose”, con la proposta di apportarvi l’aggiunta che coloro che contraffacessero a quanto ordinato in detti capitoli, “ultra penam in illis contentam dentur duo tracti corde et accusator habeat quartam partem pene, qui secretus postmodum teneatur” oltre alla pena prevista in detti capitoli, siano sottoposti a due tratti di corda e l’accusatore abbia la quarta parte della pena ed il suo nome resti poi segreto. E, inoltre, che ogni forestiero, che abitasse in Amelia e suo distretto, non possa uscirvi in modo irruento ed ostile, senza licenza scritta e sigillata del podestà e degli Anziani, sotto la pena di dieci ducati e dieci tratti di corda e se non intendesse osservare le leggi e gli ordinamenti cittadini e vivere in pace, venga espulso dalla Città e suo distretto ed a nessun forestiero sia lecito girare per la Città, sia di giorno, che di notte, portando con sé qualsisi genere di arma, alla detta pena ed i guardiani delle porte cittadine, sotto pena di due ducati, non permettano l’ingresso ad alcun forestiero che rechi armi e debbano curare che questi, prima di entrare, lasci l’arma in deposito all’entrata; ciò fatto, i guardiani lo accompagnino dal podestà. E chi ospita un forestiero deve munirsi di un permesso concesso dal podestà. E tutte queste prescrizioni vengano divulgate pubblicamente per la Città, con appositi bandimenti ed il podestà avrà la quarta parte di quanto derivato dall’applicazione delle pene suddette e, se si mostrasse negligente nel richiederne l’osservanza, incorra in dieci ducati di multa.

Inoltre, per quanto riguarda la prevenzione e la difesa contro il morbo della peste, sia a tutela dell’anima, che del corpo, “provideatur quod de cetero detur sacerdos qui in omnibus S. ecclesie sacramentis infirmis adesse teneatur” si provveda che un sacerdote sia tenuto ad essere accanto a tutti gl’infermi, con i sacramenti di Santa Chiesa “et ut aliquo munere gratitudinis nos gratos exhibeamus in illos qui in nobis beneficia conferunt” e per mostrare con qualche tangibile dono la nostra gratitudine verso coloro che ci procurano benefici, “detur solvatur et consignetur presbitero Baptiste antunj eius vita durante medius ducatus mense quolibet de ere publico” si paghi a prete Battista di Antonio, sua vita durante, mezzo ducato al mese, da prelevarsi dal pubblico erario.

Dopo l’anima, si pensi alla salute del corpo. “Potestas jnsuper teneatur et debeat contaminatus et infectos e Civitate expellj et removeri facere, vel mandare ut domi se contineantur, ne morbida facta pecus, etc.” il podestà sia inoltre tenuto e debba far espellere ed allontanare dalla Città i contaminati ed infetti (tanto, l’anima è già stata salvata...) o prescrivere che restino chiusi in casa, affinché la pecora infetta ... con quel che segue. E gli Anziani diano incarico a due discreti uomini “quorum cura jnfectis et pestiferis de necessarijs publicis sumptius provideatur et succurratur” con la cui azione  si provveda e si soccorra a tutte le necessità degli infetti ed appestati, sempre a spese della Comunità e “Ad que peragenda liceat antianis accipere pecunias undecumque presentis auctoritate consilij” gli Anziani, per provvedere a quanto sopra, siano autorizzati, in virtù della presente delibera consiliare, a reperire i fondi dovunque sarà possibile.

Infine, nello stesso consiglio, si leggono alcune suppliche.

Una è esibita da tal “Polacchus de Alamania” Polacco di origine tedesca, nella quale, definendosi “miserabilis pesona”, dichiara di essere stato inquisito dalla Curia del podestà “de fractura carceris” di evasione dal carcere ed, a sua difesa, espone: “et cum verum sit quod cum ipse esset detentus in carceribus ob nonnulla parva debita quibus satisfacere” che, pur rispondendo al vero che, mentre era in carcere per alcuni piccoli debiti da soddisfare “et essent aliqui etiam cum eo ob alias causas et vidisse alios exire ex dictis carceribus ipse etiam exivit” e con lui vi fossero altri detenuti per altri motivi, li vide evadere e, così, anche lui uscì dal carcere “et quare quilibet tenetur aufugere carceres” e perché ogni detenuto in carcere è spinto a fuggirne “sitque pauperrimus adeo quod nihil in mundo possideat” ed essendo lui tanto miserabile, che nulla al mondo possieda, “dignemini amore dei et intuitu pietatis mandare dictam inquisitionem et processum cassari et abolerj de libris Communis”, che, per amor di Dio e per pietà, gli venga annullato il processo e cancellato dai registri del Comune. Nel maggior consiglio dello stesso giorno, in considerazione della grande povertà di Polacco e della inutilità dell’azione promossa contro di lui “quam inopia debitoris excludit” che la sua stessa povertà rende vana, “tum amore dei tum etiam respectu predicatoris qui cum toto populo commendavit” sia per l’amore di Dio, sia per un riguardo al predicatore, che ha raccomandato, con tutta la popolazione, “relapsetur ei omnis pena in quam modo aliquo veniret condemnandus” gli venga rimessa ogni pena in cui, per diversi motivi, era stato condannato. Lodevole esempio di carità cristiana!

Altra supplica viene presentata da Francesco di Leonetto di Amelia, inquisito dalla Curia del podestà “sumpta occasione quod cum venisset ad certa verba iniuriosa jn Civitate Tuderti cum Johanne funario habitatorem in dicta Civitate” poiché, essendo venuto a diverbio, a Todi, con Giovanni artigiano cordaro, di detta città, “dictum Johannem vulneravit cum quodam ense evaginato a collo infra cum sanguinis effusione” con una spada sguainata ferì detto Giovanni dal collo in giù, con effusione di sangue. “Et quia de dicto mallefitio dicitur esse processum in Civitate Tuderti et nemo potest de eodem mallefitio bis punirj” e poiché si dice che sia stato sottoposto a processo anche a Todi e nessuno piò venir giudicato due volte per lo stesso reato “cupiatque nichilominus se remettere in manibus Communitatis sue” ed egli nondimeno desidera rimettersi al giudizio nella propria città, si rivolge agli Anziani affinché, “attenta sua juventute”, in considerazione della sua giovane età, gli venga rimessa o diminuita la condanna. Il maggior consiglio lo condanna a pagare 7 ducati e mezzo, a 72 bolognini per ducato, entro dieci giorni, quale quarta parte della intera pena cui sarebbe dovuto venir condannato, “habita tamen pace”, a condizione che si riconcilii con la parte offesa ed il resto gli venga rimesso. (2010)


16  - Nel consiglio dei X del 16 Marzo 1550 si tratta, fra l’altro, “super oblatione Ottavij farratini in et super exercitio hospitij” circa l’offerta presentata da Ottavio Farrattini relativa alla gestione di un luogo di accoglienza, in pratica di un albergo. Nel seguìto consiglio generale, Pannunzio Cerichelli –gravis et prudens vir- propone “quod auctoritate presentis consilij vendatur hospitium et banniatur per decem dies continuos et si non accesserit alia oblatio, habeatur pro deliberato eidem Ottavio” che lo stesso consiglio abbia autorità e volontà di vendere (in effetti di appaltare) la gestione dell’albergo e la relativa notizia si bandisca per dieci giorni consecutivi e, se non sarà stata presentata nessun’altra offerta, si abbia per appaltata allo stesso Ottavio.

Si tratta, anche, di esaminare la richiesta “Julij servitoris Palatij et Pettacci de pulsando campanam” presentata da Giulio, famiglio di Palazzo e da Pettaccio, circa l’incarico di suonare la campana del Comune. Lo stesso Cerichelli propone “quod cura pulsandi campanam committatur Julio et Pettaccio, iuxta illorum petitione” che la cura di tale incarico si affidi ai due secondo la loro richiesta. La proposta passa con 42 voti favorevoli e tre contrari.

Lo stesso giorno ha luogo un atto di natura strettamente processuale, curiosamente riportato nel volume delle riformanze, anziché in quello, più pertinente alla materia giudiziaria, forse perché presentato sotto forma di supplica. Trattasi di un tal Bolso di Piero, di Amelia, comparso dinanzi agli Anziani, il quale, essendo stato indebitamente iscritto nel registro delle imposte, espone “quod ipse est pauperrimus et nihil possidet intus vel extra  Civitatem Amerie” che lui è persona estremamente povera e priva di qualsiasi proprietà sia nella città che fuori di essa “et ad probandum dictam eius paupertatem, jnduxit jnfrascriptos testes quos petit recipi et admitti ad juramentum” ed a comprovare il suo assunto, ha portato due testimoni che chiede vengano sentiti seduta stante. Gli Anziani, “sedentes pro tribunali” riunitisi quale collegio giudicante, ammettono che vengano sentiti i testi presentati dal povero Bolso. Si tratta di Francesco di Mannicello e di un tal Quatrocca, entrambi di Amelia, che, interrogati singolarmente l’uno dopo l’altro, concordemente rendono la loro deposizione giurata “quod Bolsus nihil possidet intus vel extra Civitatem Amerie in bonis stabilibus” che detto Bolso non possiede beni stabili né dentro, né fuori di Amelia. Gli Anziani, “visis et auditis dictis testibus, mandaverunt dictum Bolsum deleri de libro dativarum” dopo aver ascoltato le testimonianze dei due, ordinano che Bolso venga depennato dal libro delle imposte.

Analoga richesta viene presentata il successivo 21 Aprile da parte di Francesco di Pierpaolo Studiosi, il quale similmente afferma “quod ipse est pauperrimus” di essere poverissimo e di non essere quindi in grado di pagare la dativa del Podestà, presentando, a suo favore i testi Salumbrio Porchetti et Ippolito di Perseo. Udita la loro deposizione, asseverata con giuramento, secondo la quale lo Studiosi non possiede nulla in beni stabili e che lo stesso è da loro ben conosciuto, “quia multis annis citra conversati sunt et nunc conversantur  cum dicto Francisco” per praticar con esso da molti anni, gli Anziani “pronuntiaverunt dictum Franciscum non tenerj ad dativas Dominj Potestatis et de libro dictarum dativarum debet cassarj et ita fieri mandaverunt” dichiarano che detto Francesco non debba essere tenuto al pagamento delle dative del Podestà e ordinano, seduta stante, che il suo nominativo venga depennato dal relativo libro. 

Magari i processi di oggi potessero risolversi con altrettanta rapidità! (2012)


17 - Il Commissario Prefettizio per il  Comune di Amelia in data 17 Marzo 1936 emette la seguente ordinanza:

“Da oggi fino a nuova disposizione, il giuoco della ruzzola e del ruzzolone è soltanto permesso lungo la strada comunale, dalla Grotta degli Zingari fino all’ultima svolta per il Cimitero.

I giocatori devono provvedere per l’incolumità delle persone, mandando avanti apposito incaricato per preavvisare le persone che si trovino lungo la strada”. (1998)


17 - Il 17 Marzo 1240 risulta inviata da Amelia una lettera "mandante Imperatore per judicem de Vinea". Da ciò si deduce con ogni certezza che, a quella data, Amelia era soggetta all'Imperatore Federico II Hohenstaufen e che il suo segretario Pier delle Vigne -cui Dante fa dichiarare, nel Canto XIII dell'Inferno, dove lo pone fra i suicidi: "I' son colui che tenni ambo le chiavi /del cor di Federico e che le volsi / serrando e diserrando sì soavi / che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi"- era presente nella nostra Città, come si legge dalla detta lettera: "datum Amelie". (2001)


17 - Nel Consiglio dei X del 17 Marzo 1506, "Magnifici Domini Antiani populi Civitatis Amerie vacantes circa opportuna Civitatis" gli Anziani, occupandosi di quanto risulti opportuno per la Città, "conduxerunt domum a Hieronymo Julij Pirami de mense in mensem ad beneplacitum" presero in locazione da Girolamo di Giulio Pirramo una casa con scadenza mese per mese, secondo loro giudizio, "pro aperiendo ludo licterario" per l'apertura di una scuola elementare "ad rationem tresdecim bon. pro singulo mense" al canone di 13 bolognini al mese. (2007)


17  -   Nel consiglio generale del 17 Marzo 1465 vengono prese decisioni circa alcune suppliche presentate il giorno innanzi.

Una è quella prodotta da Paolo di Giampaolo, “dicente che altempo del suo Camorlengato mandato (inviato) dalla comunità al thesaurieri del patrimonio con denarj del comune ad fare pagamento del subsidio in loquale era obligata la comunità et facendo el decto pagamento in Viterbo allocotenente del thesauriero per la absentia del decto thesauriero li fuorno recusati certi carlinj li quali per lo baricello del patrimonio inimico del nostro comune et de tucti li hominj desso cercando cascione per cascione (pretestuosamente) li robbò al dicto supplicante carlinj papali sexantatre iniquamente et contra omne debito de rascione ... et nondemeno insistendo el decto paulo per rehaverli non li possé rehavere mai et tucto questo è provato et de nuovo se po provare. Et dal tempo che lui fo camorlengho in qua, per ogni antianato et per ogne Judice et potestà che sia stato, esso paolo è stato molestato (che) gli debia remectere de suoi et farli boni al comune ... Cognosciuto esso paolo havere rascione et non essere tenuto remetterli ma più presto (piuttosto) doverseli fare buonj ... hora ... il presente potestà continuamente gravandolo non li lassa recogliere el fiato el che li pare sia contra omne justitia. Recomandase ad V. M. S. et supplica non gli sia facto torto ...”

Altra supplica viene presentata “per parte delli vostri fidlissimi et devoti servidori Rectori delarte delli bovolci (bifolchi) et dessa arte della Ciptà damelia humile et devotamente se expone et narra che conciosia cosa che già misser Lorenzo de boninsigni dasiena ja governatore della Ciptà damelia havesse de gratia conceduto alla dicta arte de bovolci che non fossero tenuti ad pagare per lagabella del grano sinno (se non) duj baiochi per soma como in un bullectino per esso governatore ad loro concesso appare. Et volendo essi usare la dicta gratia, Antonio de mactiolo, Massio de gardone et Jacovo de ferocto remectendo una soma de grano per ciaschuno volsero pagare la gabella secondo la decta gratia alloro facta el gabelliero che era allora alla porta non la volse recevere non obstante essi più prove (tentativi) facessero de pagare ... dapoi fuorono pigliati como latronj et datoli demolti tracti de corda per modo che anco (ancora) senne sentono. Dapoi per lo presente potestà et sua corte lestato formato el processo et condempnati in perditione (alla perdita) de loro bestie et some sicome nellibri  de maleficij desso misser lo potestà appare. Et parendo alloro de la decta condannascione essere assai gravatj che non anno frodato, se sono appellati alla R.ma S. del Legato et sua S. ha commessa la causa. Et essi vorriano et vogliono stare alla misericordia delloro comuno più presto (piuttosto) che andare piatando (avere questione) con esso, humilemente se racommandano alle V. M. se voglia ad loro far gratia o detucto o de parte secondo al V. M. S. parirà et piacerà, attento la loro innocentia et attento (in considerazione che) loro et tucti de loro case vivono de loro proprio sudore ...”

Il consiglio stesso, quanto a Paolo di Giampaolo, decide “quod revideantur jura sua prout petit” che si rivedano le sue ragioni, come chiede “et fiat sibi Jus” e gli sia resa giustizia e, quanto alla supplica dei bifolchi, “licet dicti supplicantes male fecerint” sebbene abbiano fatto male “ingrediendo per vim portam” a voler passare per forza attraverso la porta della Città, dispone che sia in facoltà degli Anziani e del consiglio dei X decidere in merito e quanto sarà da essi stabilito “habeat plenam roboris firmitatem” avrà pienamente vigore. (2009)


17  - Il 17 Marzo 1539 il Consiglio dei X è chiamato ad interessarsi, fra l’altro, di una questione riguardante il Cancelliere in carica, Tolomeo di Marinangelo de Cuppis, di Montefalco, il quale “petit conditionem sibi jdoneam decernj” chiede che gli venga riconosciuto un trattamento -economico- adeguato alla sua condizione; in sostanza, un aumento della retribuzione. Nel maggior consiglio, riunitosi lo stesso giorno, Dardano Sandri -dallo stesso Cancelliere verbalizzante definito “eloquij iuribus pollens” dotato di competenza ed eloquenza in campo giuridico- propone che, “attenta eius integritate et virtutibus haud vulgaribus, addatur ei pro mercede sui assiduj laboris scutus unus pro quolibet mense, jncohando prima die instantis mensis Martij” in considerazione dell’integrità dello stesso Cancelliere e delle sue non comuni qualità, alla retribuzione del suo assiduo lavoro venga aggiunto uno scudo al mese, iniziando dal 1° Marzo. Il buon Tolomeo continua il verbale della proposta, concludendo -non senza suo compiacimento- con l’esposizione del risultato della relativa votazione: “Quod grave consultum, servatis servandis, vicit, prevaluit et obtinuit per lupinos albos unum supra triginta, unico nigro reddito haud in aliquo obstante” La ponderata proposta (del Sandri), nel pieno rispetto delle norme di legge, vinse, prevalse e venne approvata, ottenendo trentuno voti a favore ed un solo voto contrario. (2012)


17  -  Il 17 Marzo 1240 il segretario dell’imperatore Federico II Hohenstaufen, -“Stupor Mundi”-, vale a dire il capuano Pier delle Vigne, -immortalato da Dante nel XIII canto dell’Inferno, dove lo colloca fra i suicidi- scrive da Amelia tre missive “de mandato imperiali”, cioè per ordine di quest’ultimo. Purtroppo, nessuna delle tre lettere riguarda persone o fatti relativi alla nostra Città, ma piuttosto della cosiddetta “Terra di Lavoro”: la “Campania felix”.

Le notizie di cui sopra, accennate una prima volta da Mons. Angelo di Tommaso nella sua “Guida di Amelia”, sono riportate nella monumentale opera di Alphonse Huillard-Bréholles “Historia Diplomatica Friderici Secundi”, pubblicata, in dodici volumi, a Parigi, fra il 1852 ed il 1861. Le missive amerine sono reperibili nella parte seconda del quinto volume della detta opera, alle pagine 850, 851 e 852.(2014)


17  -  Gerolamo di Giulio de Naccis, in attuazione delle ultime volontà di Leonardo suo parente, identifica e descrive alcuni terreni sui quali erigere un canonicato soprannumerario, da assegnarsi ad un membro “de familia et subole Naccia” della famiglia e stirpe dei Nacci. Se l’erezione non avesse luogo, il possesso dei detti terreni sia devoluto ai Frati di S. Francesco. E’ quanto leggesi nell’atto rogato dal notaio Francesco Cristofori  il 17 Marzo 1514. (2015)


17  -  Il 17 Marzo 1536 il Comune di Montecampano, che aveva venduto a Gerolamo Arcangelini “facultatem coquendi panem” il forno comunale per la cottura del pane, per dodici ducati, con facoltà di riscatto, esercita il suo diritto e lo riacquista, allo stesso prezzo, a mezzo di un procuratore o sindaco. (2015)


17  -  Il 17 Marzo 1553 il notaio Partenio Ciocci è richiesto di ricevere un atto a dir poco inusuale, se non addirittura impossibile. Laurelio Boccarini espone che la moglie Pellegrina di Nicolò Franchi “cupiat Deo et beate Virgini Marie inservire et monasterium introire” voglia dedicarsi al servizio di Dio e della Vergine Maria ed entrare in monastero “iccirco constitutus idem dominus Laurelius coram me notario et testibus infrascriptis sponte et omnibus melioribus modo, via, jure etc. quo qua et quibus eidem licuit et licet, dedit licentiam et potestatem dicte domine Pellegrine licet absenti me notario pro ea recipienti etc. dicto matrimonio et immissione anuli non obstante monasterium ingredi et Deo et beate Virginis inservire, liberans ipsam ab eiusdem potestate maritali etc. ac ea facere et exercere ac si maritata et nuptui tradita non fuisset etc. ... Et ita juravit in manibus tactis scripturis ...” pertanto, il costituito Signor Laurelio, in ogni miglior modo e diritto a lui spettante, dinanzi a me notaio ed ai testimoni infrascritti, concede licenza e potestà alla detta moglie Pellegrina, che, pur assente, a mezzo dello stesso notaio ottiene, di poter, non ostante l’avvenuto matrimonio e l’immissione dell’anello, di entrare in monastero e dedicarsi a Dio ed alla Vergine, liberandola da ogni vincolo matrimoniale e fare e comportarsi come se non fosse stata mai sposata ... E questo ha giurato, toccando materialmente le sacre scritture. Ma siamo sicuri che Donna Pellegrina -che non era presente!- fosse d’accordo? (2015)


18 - Poiché due militi del distretto di Amelia avevano fatto causa comune con i ribelli Fociani, abbandonando il loro posto e fuggendo a Foce, vennero catturati e condotti “in fortiam comunis”.

Il Consigliere Franco di Ser Giacomo, il 18 Marzo 1421, chiesta la parola sull’arringo nella sala del palazzo anzianale, fa la proposta che i due prigionieri “sendo latrones et depredatores stratarum” , cioè riconosciuti ladri da strada, vengano giustiziati “ita ut omnino moriantur et suspendantur in furcis montis Labri ut aliis dicta executio transeat in exemplum”; cioè, affinché sicuramente muoiano, vengano sospesi alle forche del monte Labro (oggi monte S.Salvatore), in modo che la loro esecuzione sia d’esempio a tutti.

C’era poco da scherzare, a quei tempi, per chi si ribellava! (1998)


18 - Il 18 Marzo 1506 Domizio Mandosi, ambasciatore di Amelia al papa Giulio II, per impetrare la conferma della competenza per la curia del podestà nelle procedure penali, scrive, fra l'altro, agli Anziani:

"Heri che fo alli xvij del mese presente circa ad xxj hora fui alli piedi de la S.tà de N. S. mediante lo nostro R.mo Mons.re Car.le Colonna, quale fo una con meco, alla quale primo et ante omnia recommandaj la nostra Comunità, et con una alegra cera et multo gratiosamente me ascoltò, excepto che alla partita de li mallefitij multo fulminava, dicendome che questa è una cosa generale et non vole sia più tale arbitrio in terre de Chiesa, dicendome "Ambasciatore de questa partita non parlate più" et perché più volte ad ciò replicai che seria longo scrivere. Ultimate (da ultimo) li resposi che si alla Sua S.tà era molesto de scoltarme jo non parlaria più. Pure me dette licentia de dire, et pure allegando jo che de questi nostri privilegij ne havemo la confirmatione da superiori de cento et cento cinquanta anni et ultra, et che li altri pontefici havendo veduto questo ne hanno lassati stare. Per queste rascioni la S.tà Sua me dixe che facesse la supplicatione et segnariala et commetteriala alo Auditore de la Camera quale dice ha ordinate queste cose et che sic erit (così sarà) la Sua Beatitudine et per confermare questi nostri privilegij si che le V.S. me li manderanno ad ciò (che) li possa mostrare allo detto auditore de la Camera".

L'ambasciatore fa, quindi, riferimento alla questione "circha la excomunica sopra le docte (doti) et adornamenti de le donne, allegando io più rascione che seria ben facto de levarla via ... la sua S.tà molto benignamente me respuse et disseme pure facesse la supplicatione che signaria volunteri". E prosegue:

"Postmodum li raccomandai la justitia, subiungendo qualche parola al proposito: la Sua S.tà se mise le mano in testa et jurò per la cherica sua che in Amelia et in tucti lochi de Sancta Chiesa siranno puniti li gattivj et quelli (che) non vorranno ben vivere; sicché stamo de bona voglia et ogni uno attenda ad fare bene si non vorrà essere gastigato".

Il Mandosi ha, infine, una parola di apprezzamento per l'aiuto che il Cardinale Colonna dà appoggiando presso il papa le richieste degli Amerini, dicendo che "fa voluntieri per noi quanto che per le sue proprie cose", quindi propone: "me parerà fosse bono recognoscerlo de un poche de fico et de uva passa". Ma non sarà troppo?

Il bravo Domizio Mandosi scrive ancora agli Anziani il successivo 24 Marzo, dicendo di aver presentato le suppliche concordate; fa presente che, per evadere le pratiche affidategli, ha incontrato diverse spese, affermando che "ognuno vole denarj ad torto et ad derecto". Continua facendo un preciso rendiconto "de li xv carlini che V.S. me mandarono l'altro dì". Soggiunge, quindi, "ad me resta in mano quatro carlini: ognuno pense come se sta bene con quatro carlini per volta; et po ad me pareria che questa cosa le facesse intendere ad ogne persona. Et si non ce (c'è) modo prego V.S. (che) me mandino tanti denari quanti me bastano per tornare, perché lo facto nostro non è male (affare) né da xv et né da xx carlini, ma per expedire le cose predicte ce bisogna una brigata de ducati". (2007)


18 - Il 18 Marzo 1607, nel consiglio decemvirale, si propone “se pare di confirmare la deliberatione fatta de la Pizzicaria a Jaco Roscino per tre anni per Novanta scudi con l’aggiuntione del capitolo che il pizzicarolo possi vender la lomba fin che la fanno li Macellari quattro bajocchi la libra, et dopoi che la faranno li Macellari, la possi vender un quattrino più la libra, et nel resto con li capitoli passati et che si facci l’instrumento”. La proposta verrà, in seguito, approvata.

Nel consiglio generale, riunitosi lo stesso giorno, “super bono publico”, si delibera “che si debbano nettar attorno à le muraglie de la Città e che li Signori Antiani trovandosi qualcuno che vogli farlo, li concedino l’essentione ... nel miglior modo che si potrà fare”. (2008)


18  - Sotto la data del 18 Marzo 1498 nelle riformanze viene annotata la seguente laconica notizia:

“Turris Ramici tenimenti et iurisditionis terre lugnani fuit capta et occupata ab Aloysio et Abbate de Alviano et ab illis ruginata et solo equata, non sine maximo prejudicio et displicentia Communis Civitatis Amerie” la torre di Ramici, in territorio e sotto la giurisdizione di Lugnano, venne conquistata ed occupata da Luigi e dall’abate (Bernardino) di Alviano e dagli stessi demolita e rasa al suolo, non senza il massimo danno e disappunto da parte del Comune della Città di Amelia.

Il seguente giorno 22 Agapito Geraldini scrive da Roma agli Amerini: “Come alo R.mo S.re Legato et tucti laltri S.ri Cardinali et prelati che lhanno intiso, è parsa cosa exorbitantissima la persa (perdita) de Ramici et dicono essere stato multo grave ala S.tà de Nostro S.re (il papa)”. Poiché Amelia voleva acquisire la signoria di Lugnano -magari senza sborsare un soldo- il Cardinale Legato Giovanni Battista Savelli scrive una lettera da Roma il 25 seguente, nella quale precisa che “Sua S.tà non ne vole intendere volere concederve el dicto Lugnano senza pagamento et veramente credemo serria grande summa, secondo el parlare de Sua S.tà, benché noy non habiamo cercato più oltra, havendo cognosciuto che voliva tirarla ad denarj; pertanto ve exhortamo non vogliate farlo, considerato essere strana cosa vendere et comparare li poverj homini”. Il Legato esorta gli Amerini a dare incarico di tale affare ad Agapito Geraldini, non volendosi immischiare personalmente in un simile mercato (“perché nuj nullo modo non comportarimo essere partecipi de tal mercantia”) che, al contrario, per papa Borgia, sarebbe andato benissimo!). (2010)


18  - E’ scaduto il termine della condotta medica di Maestro Paolo. Nel consiglio decemvirale del 18 Marzo 1537 si propone “quid agendum” cosa fare. Nel consiglio generale seguìto lo stesso giorno, da parte del “solertis vir” Laurelio Laureli, “animadvertens probitatem, experientiam et jn medendi artem, curam et diligentiam non mediocrem suprascripti Magistri Paulj, consuluit quod omni industria refirmetur et retineatur, cum augmento salarij quindecim scutorum” in considerazione della probità, dell’esperienza, della cura e della non mediocre diligenza del suddetto Maestro Paolo dimostrate nell’esercizio dell’arte medica, propone che ci si adoperi con ogni premura per riconfermare e trattenere in Amelia il citato medico, aumentandogli il corrispettivo di quindici scudi.

V’è un altro problema da risolvere: “de clericis nolentibus solvere salem” gli ecclesiastici rifiutano di pagare l’imposta sul sale. Nel maggior consiglio Pier Francesco Racani, “vir consideratus”, propone che “omnes Clerici habitu Clericali non utentes et minime divino cultui servientes cum licentia D. Episcopi solvere teneantur” tutti gli ecclesiastici che non rivestono la tonaca e che si mostrano scarsamente solerti nell’esercizio del culto divino, siano tenuti al detto pagamento, pur con il beneplacito del Vescovo. (2012)


19  -  Il 19 Marzo 1330 si delibera che il Cancelliere comunale “teneatur et debeat cassare et cancellare omnes et singulas condempnationes et sententias dudum latas et ferendas in posterum, que reperirentur solute et remisse ad introitum  dicti communis” sia tenuto alla eliminazione e  cancellazione di tutte le condanne e le relative sentenze già emesse e che verranno in seguito pronunciate, una volta che le rispettive pene pecuniarie siano state pagate e poste in introito delle casse comunali. Così la burocrazia contribuirà  a snellire i procedimenti e ad eliminare tante cartacce inutili. Imparino a fare altrettanto anche i burocrati dei nostri giorni! (2014)


19 - Con atto rogato dal Notaio Brancatelli il 19 Marzo 1402, l'Arcidiacono venosino e cappellano del papa Antonio de Pantaleonibus, giudice generale "pro Sancta romana Ecclesia" delle terre del Patrimonio ed, in particolare, del Ducato di Spoleto, ad istanza dei Canonici e del Capitolo della Chiesa di S. Fermina, intima a Ser Angelo Rubey ed a ser Bartolo Cole, marito di Flora Rubey, il rilascio entro sei giorni, pena la scomunica e la multa di 25 fiorini a favore della Camera Apostolica, di due case gravate da canone enfiteutico in contrada Borgo, che il Capitolo reclama devolute a detta Chiesa, per avvenuta estinzione della terza generazione, alla quale era evidentemente condizionata la durata dell'enfiteusi. I Rubey non sono d'accordo e, a mezzo di fra Angelo Justini, guardiano di S. Francesco, nominato loro rappresentante, appellano al papa contro il provvedimento del Capitolo, che ritengono inguisto e non dovuto. (2005)


19  -   Il 19 Marzo 1517 nel consiglio decemvirale si discute circa l’alloggiamento imposto da Roma ad Amelia della cavalleria di Angelo degli Atti di Todi. Il consigliere Pierpaolo Cerichelli propone che “recipiantur milites Domini Angeli cum equis” si accolgano i soldati di detto Angelo con i relativi cavalli e che “equi sicut infra per Civitatem et Comitatum distribuantur videlicet” gli stessi cavalli vengano distribuiti nella Città e suo distretto nel modo seguente: “Recipiatur ab unaquaque banderata equus unus; in totum sint in Civitate equi quindecim” da ciascuna banderata venga alloggiato un cavallo e quindi, in Città ne siano accolti 15. Proseguendo, Porchiano ne accolga 5, Montecampano 5, Fornole 5, Foce 4, Collicello 5, Macchie 5, Frattuccia 3 e Sambucetole 3. In tutto, si dovranno alloggiare 50 cavalli. Si comunichi, inoltre, a tutti, che non convengano, con i relativi soldati, un compenso in denaro, sotto pena di 25 ducati d’oro. (2009)


19  -   La peste di nuovo infuria in Amelia. Il 19 Marzo 1486 nel consiglio decemvirale si fanno alcune proposte per limitarne i tragici effetti:

“Cum maxima pestilentie vis Civitatem hanc amerinam superioribus diebus invaserit adeo ut propter illam universa Civitas commota contremiscat” poiché nei giorni decorsi con la massima virulenza la peste ha invaso questa nostra Città, sì che, a causa della stessa, tutta la Comunità è in grande trepidazione “sitque tantorum malorum causa demerita et peccata nostra quibus continue circumvolvimur” e causa di tanti mali siano le mancanze ed i peccati nostri, nei quali siamo continuamente coinvolti, “bonum et expediens forte videretur ad removendum huiusmodi intestinum pestilentie malum” sembrerebbe forse buono ed efficace rimedio, per allontanare un tale occulto pestifero male “ut iuxta monitiones predicatoris nostrj ad merita et gratiam Sancti rochj confugeretur jn cuius gloriam et laudem Capella fabricaretur” che, secondo gli ammonimenti del nostro predicatore, si trovasse rifugio nei meriti e nella grazia di San Rocco, a gloria ed onor del quale far erigere una cappella, “ut precibus et meritis suis nostris sceleribus et iniquitatibus non obstantibus Civitas hec ab huiusmodi pestilentie morbo veniat liberanda” affinché, per le sue preghiere e per i suoi meriti, malgrado le nostre scelleratezze ed iniquità, questa Città possa venir liberata da un tal pestifero morbo.

Inoltre, si propone che “cum in hac presenti quatragesima doctrinam sanctitatem morumque prestantiam fratris Gratiani ordinis heremitarum Beati augustini predicatoris nostri experti simus” poiché nell’attuale quaresima abbiamo constatato la dottrina, la santità e l’eccellenza delle qualità di Fra Graziano, dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino, nostro predicatore, “non alienum a ratione utilitate et decoro  videretur si quid operis et diligentie adhiberetur ut continue in conventu ecclesie nostre beati augustinj moraretur” sembrerebbe non irragionevole, ma utile e decoroso, se si adoperasse una certa diligenza per consentire che egli potesse restare ad abitare per sempre nel convento della nostra Chiesa di S. Agostino, “tum etiam quod tanto viro ecclesiam illam decorare sanctissimum et dignissimum est” tanto più che sarebbe cosa grandemente santa e degna dare lustro a quella chiesa con tanto egregia persona.

Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, Lodovico Boccarini, definito dall’aulico Cancelliere “vir summi consilij et benevolentie in patriam singularis” uomo di eccelsa saggezza e di riconosciuta singolare benevolenza nella sua patria, fiducioso che dal flagello della pestilenza ci si possa liberare “ad celeste confugiens praesidium” facendo ricorso all’aiuto divino, propone che, a lode e reverenza di San Rocco, con le preghiere e per i meriti del quale “Civitas hec amerina  ab omni morbi contagione veniat liberanda” questa Città venga liberata da ogni contagio pestifero, e si degni intercedere per noi presso l’Altissimo, “peccatis et sceleribus nostris postpositis” senza tener conto dei peccati e delle nostre scelleratezze, venga costruita una cappella  “omni cum devotione et fide” con fede e con gran devozione, da edificarsi nel luogo dove, all’entrata del Convento di S. Agostino, v’era una volta “barbitonsoria fratrum” la barbieria dei frati, e, per far fronte alla spesa occorrente, “imponatur dativa duorum bolenenorum pro quolibet focularj, solvenda a volentibus eam sponte solvere, non tamen ab invitis contra quos nulla fiat exequtio” s’imponga una tassa di due bolognini a focolare, da pagarsi soltanto da quelli che si dichiareranno disposti a pagarla di loro spontanea volontà e, quindi, non da coloro che non lo vorranno, contro i quali non possa essere fatta esecuzione alcuna. Si fa, altresì, la proposta che, affinché, anche nei tempi a venire, nella Città di Amelia San Rocco resti sempre onorato e venerato, nel giorno dedicato al Santo nel mese di Agosto, “fiat luminaria eo modo et ordine quo in beate Firmine festivitate fierj et celebrarj solent” si faccia una luminaria con le stesse solennità con cui sogliono farsi nel giorno di Santa Fermina “et ad eadem penam teneantur deficientes in luminarijs Sancte Firmine” e coloro che verranno meno siano tenuti alle stesse pene di quelli che non rispettano tali solennità nella festa di Santa Fermina e tale giorno sia da tutti venerato allo stesso modo della domenica di Pasqua. Infine, da parte degli Anziani, venga presentato nella cappella di San Rocco “cereus unus quinque librarum sumptibus Communis” un cero di cinque libbre, a spese pubbliche, “ponatur etiam dies ille venerandus in volumine statutorum Civitatis amelie jnter alias festivitates celebrarj et venerarj consuetas” e si aggiunga negli statuti cittadini quel giorno fra le altre festività  che si usano celebrare e venerare.

Infine, gli stessi cittadini che verranno nominati per sovrintendere alla costruzione della Cappella di S. Rocco, provvedano, altresì, a scrivere, a nome del Comune, “ubicumque opus fuerit et ita et taliter agant ut Venerandus frater Gratianus de fulgineo in presenti quadragesima  predicator noster continue in Civitate nostra in beati augustini nostra ecclesia permoretur vel saltim interpellatis vicibus et de ipso conventu curam et protectionem suscipiat” dovunque sarà necessario e facciano tutto il possibile, affinché Fra Graziano da Foligno, predicatore in Amelia durante la quaresima, possa restare permanentemente nella chiesa di S. Agostino o, almeno, per periodi alternati e possa assumere la cura e la protezione del convento.

Purtroppo, finché, alla fine del XIX secolo, non si scoprirà l’agente patogeno della peste e come esso viene veicolato, agli uomini non restava che raccomandarsi ai Santi per evitare il contagio, in quanto la stessa era ritenuta una punizione divina per i loro peccati, secondo l’equazione farisaica: virtù uguale premio, vizio uguale castigo. (2010)


19  - La nostra Città è stata finora preservata dal flagello della peste. Pietro Paolo Cerichelli –“vir pietatis insignis”- nella seduta consiliare del 19 Marzo 1524, ricordando il voto fatto a suo tempo, propone “quod Communitas curet ad depignendam jmaginem Virginis Marie et duorum santorum videlicet S.ti Rochj et S.ti Sebastianj pro liberatione Civitatis” che la Comunità provveda a far dipingere (sulle pareti del palazzo anzianale) le immagini della Vergine Maria e dei Santi Rocco e Sebastiano. (2012)


20 - In seguito ad un incontro che il nostro concittadino Ser Artemisio di Ser Benedetto ebbe nella città di Fermo con un esule slavo, di origini greche, “Nicolao Cocle de Peloponiso”, ex proprietario terriero, cacciato dal suo paese insieme a numerose altre genti cristiane “ab inumanissimo Turcho”, furono presi contatti con il Comune di Amelia, per stabilire se esistevano le condizioni favorevoli all’insediamento, nel territorio del distrutto Castello di Sambucetole, di una cinquantina di famiglie greche o slave.

Andate a buon fine le trattative,  il 20 Marzo 1471, tra la Magnifica Comunità di Amelia da una parte e detto Ser Nicolao Cocle in rappresentanza delle sue genti dall’altra, vennero firmati i Capitoli che, per l’avvenire, avrebbero regolato l’esistenza del nuovo insediamento. Diamo qui di seguito notizia di alcuni fra i detti Capitoli:

“In primis, lo dicto Ser Nicolao promette condurre nello territorio de Amelia overo nello Castello de San Focetulo (in termine de uno anno) ad habitare nel dicto Castello o altrove cinquanta famiglie apte ad cultivare terreni.

“Item promette lo dicto Ser Nicolao che lui et le dicte famiglie iuraranno et prometteranno fidelitate devotione et obedientia alla Magnifica Comunità de Amelia et alli Magnifici Signori Antiani presenti et futuri et che lo dicto Ser Nicolao metta casa sua como ciptadino et laltri como contadini et subditi della dicta Comunità de Amelia.

“Item (che) nonostante la infrascripta immunità et exceptione, siano tenuti nella festa de S.ta Fermina, et nella vigilia de S.ta Maria del mese de augusto portare un cero ad ciaschuna delle d.cte Ecclesie como fanno laltri contadini di Amelia.

“Item promecte lo d.cto Ser Nicolao che li homini da condurse per lui portaranno una soma de legna per focho in ciascun anno alli Magn. S. Antiani, non obstante la infrascripta  loro exentione.

“Item che portaranno in Kal(endis) maio uno arboro alli prefati M. S. Antiani.

“Item saranno tenuti andare in hoste et in cavalchata pro honore et stato della città de Amelia dove bisognarà non obstante la dicta loro exemptione”.

Da parte della Comunità di Amelia, si promette la libera elezione del Vicario del castello per dieci anni, con ampi poteri giurisdizionali e si concede a ser Nicolao ed alla sua famiglia per 25 anni ed alle altre genti (greci o slavi che siano) da lui condotte per 10 anni, l’esenzione da ogni dazio e gabella.

Inoltre, a Ser Nicolao la Comunità di Amelia si impegna a dare una casa in Città ed un’altra nel Castello, nonché due “somate” di terreno, secondo le sue esigenze. 

Infine, Amelia sarà tenuta a prestare alle genti del nuovo insediamento, il grano per un anno, che verrà reso l’anno successivo, nonché 50 ducati, da  restituire nel termine di 5 anni. (1999)


20  -   Sotto la data del 20 Marzo 1464 nelle riformanze risulta annotato che gli Anziani “cassaverunt et deposuerunt ab officio bayulatus Matheum de Machie” deposero dall’ufficio del baiulato Matteo di Macchie “et loco suj elegerunt et assumpserunt  ad dictum officium bayulatus Victorem Julianj de Lugnano habitatorem Civitatis Amerie” ed in sua vece elessero ed assunsero nel detto ufficio Vittore di Giuliano da Lugnano, abitante in Amelia “cum salario, emolumentis honoribus et oneribus, cavallo et alijs bayulis dicti Communis hactenus consuetis”, con salario, emolumenti, onori et oneri, cavallo e quanto altro fin ad ora inerenti all’ufficio di baiulo comunale. Lo stesso, nell’assumere la carica, “juravit ad sancta dei evangelia corporaliter manutactis scripturis in manibus mej notarij et camcellarij infrascripti recipienti vice et nomine dicte comunitatis dictum eius bayulatus officium bene sollicite fideliter et legaliter ac sine fraude exercere et omnia facere ad que tenetur etc. secundum formam statuti” prestò giuramento sul santo vangelo, toccando manualmente le scritture in mani del notaio e cancelliere verbalizzante a nome della Comunità, di esercitare il suo ufficio di baiulo bene, con sollecitudine, fedelmente e legalmente e senza frode e fare tutto ciò a cui fosse tenuto, secondo le norme statutarie.

Non si sa se la sostituzione di Matteo di Macchie sia stata provocata da qualche sua colpa o fosse dovuta ad un normale avvicendamento nell’incarico, anche se il termine “deposuerunt” lascerebbe propendere per la prima ipotesi.

Sotto la stessa data, risultano annotate anche due puntature a carico dell’Anziano Antonello Bartolomei, per aver pernottato, una prima volta, cinque giorni fuori distretto “pro suis negotijs et occurentijs” per disbrigare suoi affari, “contra formam novi bussoli” contro le norme previste per la sua elezione, con defalcazione dal proprio salario di 7 soldi e 3 denari per ogni giorno di assenza e, una seconda volta, per aver replicato l’assenza per altri sei giorni, per lo stesso motivo; per un totale di 3 libre, 19 soldi e 9 denari. Si ha l’impressione che Antonello curasse più i proprii, che gli affari del Comune! (2009)


20  - Il 20 Marzo 1539 si riuniscono in assemblea nel Palazzo anzianale i sei cittadini eletti dagli Anziani, nelle persone di Stefano Boccarini, Niccolò di Piergiovanni, Dardano Sandri, Gerolamo Nacci, Ludovico Nacci e Gerolamo Geraldini, per trattare circa la retribuzione da corrispondere agli operai, i quali, qualche giorno innanzi (il 17), avevano avanzato la richiesta di ricevere, giornalmente, la mercede di un carlino, che sembrava eccessiva. All’assemblea sono presenti anche gli Anziani, fra i quali Deifobo Cerichelli, il quale, con il consenso dei colleghi, apre la seduta con una frase evangelica:

“Messes multa et operarij pauci jnveniuntur” la messe è grande, ma pochi sono gli operai che si trovano “et qui reperiuntur mercedem grandem et insolitam efflagitant” e costoro richiedono una mercede notevole ed inconsueta. Se ne deduce che i provvedimenti da prendersi debbano essere diretti a calmierare e limitare le pretese degli operai e non certamente a loro favore, come risulta evidente anche dal compito assegnato ai sei eletti: “super limitationem mercedis operariorum”, cioè per limitare le loro mercedi.

Al che Dardano Sandri, uno dei sei eletti, propone che “Capitula olim super dicta causa sancita et promulgata et in libro Ser Antonij de Malliano in sabinis tunc tempestatis Cancellarij descripta ad cartas 62 in omnibus et per omnia conserventur et ex nunc pro confirmatis habeantur” i Capitoli approvati sulla stessa materia e conservati e descritti nei registri delle riformanze ... dall’allora Cancelliere Ser Antonio di Magliano in Sabina vengano riconfermati e tali restino. “Quibus tamen addantur infrascripta capitula, scilicet”: E, tuttavia, vi si aggiungano i capitoli seguenti, cioè:

“Jn prima, che qualunche vorrà andare ad opera debbia havere le spese et la metà del salario ordinato in dicti capitoli et ciaschuno il quale non vorrà decte spese habbia lo jntero salario ad suo libito, secondo però (quello che) se contene in ditti (sic) capitoli.

“Jtem che li moderni (attuali) S.ri Antiani et che per li tempi (futuri) seranno (in carica) siano tenuti et obligati una volta per ciaschun mese farne diligente jnquisitione, tanto esaminando li decti operari, quanto li conducturi (assuntori) de essi, a la pena de uno ducato de Carlinj per ciaschuno Antiano che contrafarà, da descriverse (apporsi) da li loro successori al libro deli specchi, altramente loro et il Cancelliero incorrano (in) decta pena.

“Jtem che qualunque non observarà li sopra et infrascripti Capitoli incorra in la pena de quattro Carlinj per ciaschuno et ciaschuna volta, oltre la pena (che) jn decti Capitoli se contiene, in la quale tanto incorrano li operarij, quanto quelli (che) li condurranno, non osservandosi da loro le sopra et infradecte cose, da applicarse per la metà ala Camera de Ameria, uno quarto ala mensa deli S.ri (Anziani) et l’altro (quarto) al esequtore, che de ciò ne farà effectuale esequtione.

“Jtem che a ciaschuno sia leceto accusare et che al accusatore  col suo juramento sensa testimonio se gli presti fede per la metà de decta pena, et col juramento et uno testimonio dignio de fede sia creso (creduto) per tutta la pena et guadagni la metà de la pena applicata alla Communità et sia tenuto in credenza.

“Jtem che decte accuse se debbano fare in mano del Cancelliero.

“Jtem che qualunche (operaio) dimandasse più de decta mercede ordinata et constituta (stabilita) in decti Capitoli, over alcuno per alcuno questito colore promettesse, incorra per ciaschuna volta in la pena di quatro Carlinj, da applicarse como de sopra.

“Jtem che qualunche operario promettesse et di po (dopo) facta la promessione non andasse (al lavoro), caschi per ciaschuna volta in la pena de dicti quatro Carlinj, como de sopra ipso facto da applicarse.

“Jtem che de decta pena ne possino far gratia li Magnifici S.ri (Anziani i) quali saranno per i tempi (al tempo), assieme col Consiglio xvirale (decemvirale).

“Jtem a ciò nisciuno possa pretendere et allegare ignoranza desse (di esse), che de le predecte cose se ne faccia per li luoghi soliti della Città di Ameria publico bannimento”.

Tutto quanto sopra viene approvato “per legitima suffragia” con una valida votazione, senza specificare né il numero dei voti favorevoli, né quello dei contrari, che forse non dovevano essere tanto pochi!

Segue la relazione dell’avvenuto bando, da parte del “trombetta” Gian Francesco. (2012)


21 - Il 21 Marzo 1963, il Comune di Amelia vendette all’allora Cassa di Risparmio di Terni l’immobile sito in Piazza Vera n.9, da adibire a nuova sede della locale Agenzia.

Gli ambienti necessari vennero ricavati adattando un fabbricato di chiara fattura quattrocentesca.

Sulla parte inferiore dello stipite destro del portale, già da tempo modificato nelle sue linee originali, figura tutt’oggi riutilizzato il frammento di una cornice in travertino, sul quale leggesi chiaramente l’iscrizione: “..AURI SACRA FAMES”, derivata quasi certamente dal libro III (vv.56-57) dell’Eneide virgiliana che, nella sua versione integra, recita: “QUID NON HUMANA PECTORA COGIS, AURI SACRA FAMES?” (a cosa non spingi gli umani petti, o esecranda fame dell’oro?).

Non si sa da dove, né quando, né da chi quel frammento lapideo venne tratto e reimpiegato nell’attuale uso, ma non può non destare meraviglia che, per una coincidenza veramente singolare, tale iscrizione sia finita sulla porta d’entrata di un istituto bancario! (1998)


21 - Viene trascritto nelle riformanze il breve di Alessandro VI in data 21 Marzo 1499, indirizzato al suo Luogotenente Pietro Perez, perché si adoperi "ut ortanos omnes in immissione per Amerinos in agrum ortanum facta captos et in carcerem detentos liberari faceret" affinché gli ortani catturati dagli amerini in territorio di Orte -si riferisce alla scorreria del 31 Ottobre 1498- e detenuti in carcere, vengano liberati. Fra questi, v'è anche un cuoco, tenuto prigioniero nel campanile, che vorrebbe tornarsene ad Orte per riprendere il suo lavoro ed offre "loco sui ponere in ostagios eius filios" di lasciare come ostaggi i suoi figli al posto suo. Gli si concede, anche se ciò non sembra costituire un fulgido esempio di amore paterno.

Il breve papale di cui sopra propone che i prigionieri ortani "ubicumque detentos" dagli Amerini "ne in carcere marcescentur, mictere cogantur ad arcem Narniensem" per non farli marcire nelle carceri di Amelia, vengano trasferiti nel Castello di Narni.

In consiglio generale si discute di quanto contenuto nel breve apostolico e si accetta che la pace con gli ortani venga trattata dal Commissario papale "cum plenissima auctoritate", a condizione che, in detta pace, "includantur Lugnanenses ac omnes et singuli adherentes complices et confederati Communis Civitatis Amerie" e che i prigionieri ortani "non relapsentur, nisi pace facta" non si liberino se non dopo stipulata la pace, la quale non deve trattarsi a Narni, "ne hac de causa aliquis error in dicta civitate oriri possit in futurum" perché non possa in futuro derivarne qualche screzio con detta città, già sospetta agli Amerini, a causa di precedenti rapporti non proprio idilliaci avuti con essa. (2004)


21 - Nel consiglio decemvirale del 21 Marzo 1610, si propone di aggiungere “ne li capitoli del Macello, un capitolo che li Macellari non possino dar per giunta le teste d’agnelli et castrati, ma le vendino intiere”.

Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, si propone l’approvazione “de la deliberatione fatta de la vendita de la legna  de la bandita di Montepiglio a candela (cioè fatta col sistema della candela vergine) hoggi ad Honofrio Armilleo per prezzo di 170 scudi in denari, et un boccale et un baccile d’argento di prezzo de Cento ducati, con segurtà di Messer Pietro Corrado de Quattrocchi, con li capitoli da lui dati et si faccino tutte le scritture che bisogna”. (2008)


21  -   Gli Anziani, gelosi custodi dei poteri giurisdizionali spettanti al podestà cittadino, il 21 Marzo 1429 scrivono a Bartolo di Tommaso da San Gemini la seguente lettera:

“Avemo inteso como Voj accusaste Lica da Foce o Joanni de Lica al Judece del Patrimonio de turbata possexione. Et perché nelle casciunj (cause) Civili et Criminali luominj nostri non degono essere tracti ad Judicio de fore de la corte damelia, la vostra accusa è reducta ala corte damelia. Et pertanto ve advisamo che si cosa veruna avete affare colo decto Joanne o Lica, facciate la vostra domanda denantj al nostro podestà et nuj ve sirimo in nela rascione favorevilj como fossete nostro proprio Ciptadino. Parati ad grata vobis. Amelie die xxj. mensis martij. Jndictione vij”. (2009)


21  -  Il 21 Marzo 1520, con atto del notaio Tommaso de’ Pretoribus, il Vescovo Giustiniano Moriconi detta il suo testamento, previa autorizzazione avutane dal papa Innocenzo VIII (forse di disporre dei proventi ecclesiastici?). Premettendo che “nil certius morte” nulla è più certo della morte, “iussit corpus suum seppeliri in Cappella S. Blaxij” dispone che il suo corpo venga sepolto nella Cappella di S. Biagio. Lascia un ducato ciascuno alle singole cappelle di S. Fermina, a S. Agostino, a S. Francesco, ad ogni Monastero, all’Ospedale dei Laici, all’Annunziata, alla Chiesa di S. Giovanni Battista “extra muros”, alla Cappella del Sacramento in Cattedrale  e al Monte di Pietà. Alle nipoti Santina, Teodorina, Matalia ed Anastasia, se rimanessero vedove, lascia l’abitazione, vitto e vestito in casa sua, purché mettano le loro doti in comune con suo fratello Giambattista, che nomina erede universale, insieme all’altro fratello Giovanni Nicolò, che, parimenti, nomina usufruttuario e capo famiglia, con diritto di venir ubbidito; se prenderà moglie e ne avrà figli, ordina che questi siano coeredi con i figli di Giambattista. Esclude dall’eredità le femmine, che dovranno accontentarsi -come di consueto- della dote. Il 19 Dicembre del 1521 il testatore aggiunge un codicillo: i suoi eredi siano tenuti a fargli celebrare una messa di esequie nella Cappella di S. Biagio il giorno della festa del Santo e dispensare (ai poveri) una soma di farina. Se mancassero di farlo, lascia l’incarico al capitolo, cui lega, all’uopo, un campo in contrada Vattano a Montecampano; se anche il Capitolo “deficeret” omettesse di farlo, il legato passi all’Ospedale di S. Maria dei Laici. (Mons. Angelo Di Tommaso commenta: “Povero Vescovo! il pensiero della famiglia gli aveva fatto dimenticare gl’interessi dell’anima sua!”). (2014)


22 - Con l'elezione a pontefice del Cardinale Oddone Colonna -che prese il nome di Martino V- avvenuta nel Concilio di Costanza l'11 Novembre 1417, terminava il lungo scisma d'occidente, iniziato 39 anni prima, nel 1378, dopo la morte di Gregorio XI. 

Il Comune di Amelia, oltre a far eseguire l'abituale pittura delle armi del nuovo papa e della Chiesa "in locis publicis et consuetis" -per la modica spesa di 6 fiorini- nominò ambasciatori al pontefice i "nobiles et circumspecti viri Hermannus Petri et Arcangelus Pellegrini" i quali, "cum duobus familiaribus et quatuor equis" con due famigli e quattro cavalli, "in eundo, stando et redeundo" tra andata, sosta e ritorno, impiegarono nel viaggio a Costanza "tres menses et decemseptem dies" tre mesi e 17 giorni, facendo rientro ad Amelia il 22 Marzo 1418 ("deo laus repatriati fuerint"). Nel consiglio speciale convocato il giorno stesso, gli ambasciatori fanno il resoconto delle spese affrontate, dicendo candidamente che "fecerunt quamplures varias et diversas expensas, tam pro nutrimento et victu ipsorum et eorum familiarium et equorum quam etiam pro scortis habitis et donis factis in curia Romana et alijs de causis" affrontarono molte e diverse spese, tanto per il vitto loro, dei famigli e dei cavalli, quanto per le scorte loro concesse e per i donativi fatti per la curia romana, nonché per altre cause, fra le quali i buoni ambasciatori enumerano la bolla di conferma dei privilegi sul Castello di Foce "ac etiam pro bulla confirmationis privilegiorum indulctorum exemptionum et Jurium dicti Communis Amelie" e, sopratutto, per la conferma dei privilegi, indulti, esenzioni e diritti a favore del Comune di Amelia. Per fronteggiare tali ingenti esborsi, essi "acceperunt mutuo certas pecuniarum quantitatem" presero in prestito una certa quantità di denaro "a quibusdam amicis quas dictis mutuantibus statim post eorum repatriationem restituere promiserunt" da alcuni loro amici, ai quali promisero restituirla dopo il loro rimpatrio. "Que quantitates omnes asseruerunt ascendere in totum ad quantitatem centumquinqueginta florenorum ultra octuaginta quos prius habuerunt quando accesserunt Constantiam" affermano che il denaro avuto in prestito assomma alla bella quantità di 150 fiorini, oltre gli 80 avuti (dal Comune) prima di partire per Costanza. Poiché -manco a dirlo- "penes Camerarium dicti communis pecunia non existat ex qua possint dicte expense fieri" nelle casse comunali non vi è denaro bastante a coprire dette spese e occorre provvedere anche al pagamento del salario degli ambasciatori ed a restituire quanto avuto da essi in prestito, "Xpi nomine consulatur" ci si consulti, in nome di Dio, "unde et qualiter pecunia veniat in communi" da dove ed in che modo il Comune trovi i soldi.

Nella seduta consiliare del successivo 28 Marzo, si delibera di reperire i fondi necessari alla urgente bisogna, ponendo all'asta, per un anno, la gabella generale e quella del pascolo.

Cara è costata la "gita" a Costanza! (2006)


22 - Il pericolo della peste è sempre in agguato. Il 22 Marzo 1525, “vir accuratissimus Aurelius Bocharinus” Aurelio Boccarini, uomo di grande scrupolo, nel maggior consiglio, “divino favore petito”, invocato il favore divino, “animadvertens periculum” avvertendo il pericolo (del contagio) e consapevole della esperienza e “bona opera Magistri Jlisberti phisicj teutonicj” del bene operare di Maestro Gisberto, medico di origine tedesca, propone “quod conducatur dictus Magister Gisbertus cum salario centum ducatorum de carlenis et medeat pestem” l’assunzione del detto Maestro Gisberto per curare la peste, con il salario di cento ducati di carlini “et quando intraverit in aliquam domum infectam habeat unum carlenum et pro qualibet domo in qua intraverit et reduxerit aliquem ad sanitatem habeat quinque carlenos” ed ogni volta che entrerà in una casa contagiata, abbia un carlino e per ogni abitazione nella quale sarà entrato e vi abbia risanato qualcuno, gli siano corrisposti cinque carlini “et sit etiam obligatus si non fuerit morbus” ed anche se non vi sarà la peste, sia tenuto ad operare “et alia necessaria facienda” ed a fare quanto necessario e richiesto alla sua professione di medico chirurgo. (2008)


22  -   Il 22 Marzo 1466 il macellaio Giovanni di Cecco Petrucci, al cospetto degli Anziani, espone che, se gli fosse permesso  di non macellare carni “in primo pascate”, si sarebbe obbligato a “dare et vendere carnes castratinas pro duobus denarijs minus quam dentur narnee a medio mensis maij proxime futurj usque ad medium mensis Augusti” vendere le carni di castrato a due denari di meno di quel che si vendono a Narni dalla metà di maggio alla metà di agosto.

Lo stesso giorno, vengono ascoltate alcune suppliche.

La prima è presentata “per parte della vostra fidelissima servitrice poverissima et miserabile persona donna fiore moglie de Jacovo de Jlio della dicta Ciptà che conciosia cosa che de po (dopo) labsentia del suo marito del quale non se sa niente et credese più presto (tosto) sia morto che vivo, essa povera donna è stata sempre costretta ad pagare le date corse in comune (imposte dal Comune) et hale pagate pur de suo sudore et sue fatighe; hora è constrecta da tanta povertà et necessità che non vede potere resistare più ad pagare le date et graveze che corrono in comune, imperocché non ha cosa alcuna et non che altro ma (neppure) la sua dota (che) li è bisognato alienare, per la qualcosa supplica ad le V. M. S. che mai non recusarono far gratia alle miserabili persone, se degnino per intuitu de pietà et de misericordia et per lamore dedio farli gratia et immunità per dodici annj proximi da venire de tucte le date et graveze che correranno et imponerannose in comune quantunque le date predicte dicano in nome (vengano a nome) de dicto Jacovo suo marito stante la sua absentia come è decto de supra et più et meno secondo parerà et piacerà ad V. M. S. et questo quantunque far se soglia alle povere et miserabili persone, nientedemeno dicta donna fiore supplicante lo reputarà ad spetial gratia da V. M. S. lequali laltissimo dio longamente conservj in felicissimo stato”.

Un’altra supplica è presentata “per parte del vostro minimo servitore Rapedale povera et miserabile persona agravato de famiglia de figlie femine che el più del tempo sta senza pane et è incorso in grande debiti sì col comune delle dative imposte et anche con spetiali Ciptadini, per modo che si la vostra benignità non lo soccurre, li è necessario jre sperso per le altruj terre. Recurre adunque alla V.ra S. quale mai non habandonano le miserabili persone, che ve piaccia darli qualche dono et farli gratia delle dative incurse nel nostro comune, che laltissimo ve preservi et feliciti come le V. S. desidera allequali devotamente me racomando”.

Nel maggior consiglio del dì seguente, il macellaio Giovanni di Cecco viene autorizzato a fare come proposto, purché ciò non rechi pregiudizio ai gabellieri del macello e tanto donna Fiore, che Rapedale ottengono quanto richiesto. (2009)


22  -  Il 22 Marzo 1528 nel consiglio decemvirale, fra l’altro, si prende in considerazione la supplica di un tal Matteo de Mischiri -altrove nominato Prospero- il quale espone “che havendo da exigere certo grano per danno dato da Andrea di Alexio et Palumbo de la penna per summa de quattro some di grano vel circa, più volte la communità de la penna è stata ricerchata per lettere de la communità de Amelia et con le ultime minatorie  di (che minacciavano) represaglie, li volesse far satisfare. Al che oltra che la communità de la penna non ce habia mai provisto (provveduto), ma etiam (addirittura) non ha risposto mai. Per il che dimanda li sui rimedij opportunj li se concedano le represaglie contra li bienj (sic) et hominj de dicto loco, ogni cosa in contrario disponente non obstante”.

Nel consiglio generale dello stesso giorno si decide che “dicto Mattheo concedantur represalie et pro concessis habeantur” a detto Matteo si concedano e si confermino le richieste rappresaglie. (2011)


22  -  Donna Risabetta, parente di un Cerichelli, il 22 Marzo 1526 lascia un casale e due case alla chiesa di S. Giovannni Battista “extra muros”. (2014)


23 - Il 23 Marzo 1816, il Cardinale Saluzzo scrive al Governatore di Amelia, rallegrandosi, a nome della Sacra Congregazione del Buon Governo, che il Consiglio Comunale, “in una stagione di tanta penuria”, ha deliberato l’elargizione di 400 scudi a favore dei poveri e di destinare altri 200 scudi “in pubblici lavori, onde occupare gli accattoni abili alla fatica”.

E’ un lodevole esempio questo che i nostri antenati ci hanno lasciato, di andare incontro, in tempi calamitosi, alle classi più indigenti.

Vi è la speranza che possa venir seguito anche ai nostri giorni? (1998) 


23 - Un atto del tutto singolare è quello redatto dal notaio Paolo Paulelli sotto la data del 23 Marzo 1449.

Con esso, Graziano di Antonio Angeluzi e l’eremitano fra Gregorio di Antonio, suo fratello, entrambi di Collicello, quest’ultimo con il consenso del suo Priore ed il primo di sua spontanea volontà, promettono e giurano sul santo vangelo di fare tutto il possibile -salvo che esistano impedimenti canonici- affinché la loro sorella Giacoma sposi Filippo Jacobucci Herculani.

L’atto fu rogato “in dormitorio fratrum et conventus Ecclesie S. Augustini” e c’è da dubutare che fossero tutti alquanto assonnati, compreso il notaio, trattandosi di un atto che, almeno al giorno d’oggi, sarebbe vietato dalla legge, perché diretto a condizionare la libera scelta di una persona. (2000)


23 - E' l'anno 1798. Dalla "Cronistoria Amerina" lasciataci dal Conte Carlo Cansacchi, apprendiamo che "le idee della rivoluzione francese si propagano nelle provincie" e, nel Febbraio, arrivano dei distaccamenti francesi, al comando del generale Berthier, con conseguenti enormi spese per gli approvvigionamenti. Amelia, in quel periodo, fa parte del circondario di Todi, con Prefettura dipendente da Spoleto. I nuovi conquistatori si preoccupano di venire bene accettati dalla popolazione ma, sopratutto, dal clero locale, dal quale cercano collaborazione e complicità, magari predisponendo dei proclami sul tipo di quello pervenutoci, dal quale stralciamo quanto segue:

"LIBERTA'  RELIGIONE  EGUAGLIANZA

A L L O C U Z I O N E

DEL CITTADINO VESCOVO D' AMELIA

AL   POPOLO

Voi, Miei Diletti, siete per vostra sorte fedelmente attaccati a Gesù Cristo, ma un vero attaccamento consiste nella piena uniformità a quanto Egli providamente dispone. Tutte le Potestà, ed Autorità, che sono nella Terra costituite, esiggono da noi quella subordinazione, che distingue il suddito fedele, e Cristiano dall'Uomo indipendente, e senza fede. Molto più voi dovete professare amore, ubbidienza, e rispetto all'attuale governo Repubblicano, che formalmente ha protestato in Roma di venerare, di proteggere, di sostenere la Cattolica Religione, il suo culto, ed i suoi Ministri. Siate dunque docili, ubbidienti, e tranquilli. Persuadetevi che Noi mai potremo essere quieti, se non lo sarete di continuo anche Voi, che formate l'oggetto delle tenere nostre cure, e l'unica delizia, che abbiamo sulla Terra. Il nuovo Repubblicano Governo promette di rendervi felici, ma per assicurarvi la felicità, badate di non fare abuso de' nomi di libertà, e di eguaglianza, non date follemente ad intendere a Voi stessi, che l'Uomo libero, ed eguale sia quello, che disprezza le leggi, ed i Legislatori, che si fa lecito d'operare tutto ciò che a lui è utile e secondo le proprie passioni. Ah! Miei Figli, una libertà, ed eguaglianza così intesa non è che licenza, e libertinaggio, atta solo a distruggere sulla Terra la vera felicità! L'eguaglianza, e la libertà, che Voi avete dal nuovo Governo è quella che vi permette di far tutto, che non sia vietato dalle leggi divine, ed umane, voglio dire è l'eguaglianza evangelica"

Conclude dicendo: "Ubbidite con prontezza, e di buon animo alle Autorità costituite. Altra volta ripeto, con quanto ho di spirito, amate il nuovo Governo, rispettate le sue leggi, colla democratica libertà, ed eguaglianza siate sicuri di ottenere la felicità nel tempo, e nell'eternità".

A quel tempo, Vescovo di Amelia era Mons. Carlo Maria Fabi, che si ha ragione di ritenere non se la sia sentita di avallare e sottoscrivere il proclama sopra riportato, se -e qui riprendiamo la Cronistoria del Cansacchi- "la notte del 23 Marzo 1798, un gruppo di soldati francesi irrompe nell'Episcopio, arresta il Vescovo che, senza nessun rispetto alla sua dignità ed alla grave età, viene condotto a Roma e rinchiuso in un convento, trasformato in prigione, dove il Presule, caduto infermo per i disagi, muore il 31 Marzo". (2004)


23  -   Il 23 Marzo 1475 nelle riformanze risulta registrata dal solerte -e forse anche un poco malizioso- cancelliere Barnaba da Sarnano, una curiosa notizia: il giudice del podestà Auriano de Cuppis da Montefalco “ad contemplandam uxorem adolescentulam formosissimam” per poter “contemplare” la sua giovane e bellissima moglie, “ut aiebat ipse” come lo stesso affermava, “cum venia undecim proximorum dierum a prenominatis dominis Antianis tantum habita sed concorditer” avendo avuto dagli Anziani un permesso di undici giorni soltanto, ma unanimemente formulato, “ex urbe migravit ac ex officio abijt”, lasciò la Città e si allontanò dall’ufficio. Ma gli saranno bastati per un’approfondita “contemplazione”?

Lo stesso giorno, viene stipulato un atto di quietanza fra gli Anziani e Mastro Vincenzo Giovanni da Viterbo, con il quale quest’ultimo dichiara di essere contento e soddisfatto “habuisse et recepisse a Jacomo Tornana Sindico communis Amerie nomine dicti communis” di aver avuto e ricevuto da Giacomo Tornana, Sindaco del Comune di Amelia, per conto dello stesso Comune, “de summa duodecim ducatorum causa horologij” la somma di 12  ducati per la costruzione dell’orologio “et etiam causa spe(re) solis et lune”  e della sfera del sole e della luna, il tutto secondo quanto si era impegnato a fare Mastro Vincenzo con il contratto stipulato il 19 Gennaio dello stesso anno.

Il ducato che, all’epoca dell’impegno firmato il 19 Gennaio, valeva 72 bolognini, in poco più di due mesi -come risulta dal contesto dell’atto-era cresciuto a 75: era aumentato il valore del ducato o era diminuito quello del bolognino? (2009)


23  -   Con breve del 23 Marzo 1491, indirizzato al Vicario del Vescovo di Amelia, papa Innocenzo VIII, in risposta ad una istanza rivoltagli dagli Anziani circa le censure ecclesiastiche previste per l’inosservanza dei “Capituli seu Constitutiones ad moderandos sumptus muliebres” provvedimenti emessi per moderare le spese che si eseguono per le donne, tanto per ornamenti e vesti, quanto in occasione di doti e matrimoni -adottati dagli stessi Anziani il 7 gennaio dell’anno precedente e confermati dal papa il 23 successivo- poiché molti amerini temono di essere incorsi nelle sanzioni ecclesiastiche previste -compresa la scomunica- per inosservanza dei detti provvedimenti, conferisce mandato ed autorità al Vescovo -o suo Vicario- affinché “omnes et singulas utriusque sexus personas id ad te humiliter petentes ab omnibus ecclesiasticis sententijs censuris et penis quas dicta occasione quomodolibet incurrissent pro hac vice dumtaxat absolvas” possa assolvere tutte le persone, di entrambi i sessi, che si rivolgessero a lui con umiltà, da tutte le sanzioni, censure e pene ecclesiastiche, nelle quali fossero in qualche modo incorse in violazione di tali disposizioni, ma soltanto per una sola volta e “iniuncta illis pro modo culpe penitentia salutaris” con facoltà, peraltro, di infliggere loro una salutare penitenza. Poiché, poi, gli Anziani hanno manifestato desiderio di mitigare il rigore circa le disposizioni relative ai convivi nuziali, il papa concede la facoltà che la durata degli stessi “aliquantulum amplietur” venga moderatamente ampliata e dà potestà al Vescovo “ut nuptias celebraturis licentiam des ut per tres dies tantum possint nuptias ipsas cum viginti convivis et non pluribus celebrare absque aliquo incursu censurarum” che per coloro che in futuro vorranno contrarre matrimonio, i relativi festeggiamenti possano durare fino a tre giorni ed i convitati debbano essere non più di venti; e ciò per non incorrere in qualche censura. (2010)


23  -  L’Illustrissimo Conte Marzio Colonna nomina un suo procuratore per trattare alcune cause che lo interessano a Napoli. L’atto è rogato dal notaio Panuzio Cerichelli, il 23 Marzo 1534, in Roma, nel Palazzo Apostolico, alla presenza  degli amerini Capitano Battista Archileggio, Battista Geraldini, Censorio Boccarino e Luca de’ Sandri. Ma che ci stavano a fare? Forse a tenere compagnia al concittadino notaio? (2014)

Dieci anni dopo, Piacente Farrattini era entrata nel Monastero di S. Stefano, per seguire vita religiosa. Il 23 Marzo 1544 il notaio Francesco Fariselli redige l’atto con il quale Marchesino, Ottavio e Paolo del fu Giacomo Farrattini, fratelli della monacanda, provvedono al pagamento della sua dote. (2015)


24 - Nel consiglio speciale del 24 Marzo 1445, viene letta la supplica rivolta agli Anziani da "Johannis de Macthiolo alias Mogliera" (che avesse avuto qualche strana tendenza?) "de la ciptà damelia", dalla quale risulta "come del presente mese de Marzo et del presente anno 1445 fò (fu) et è stato condempnato per (da) lo presente messer lo podestà de la ciptà predicta et sua corte (curia) in libre centonovantatre et meza da doverse dare et pagare al generale Camerlengo del comune damelia in pecunia numerata (in contanti) infra dece dì dal dì de la data sentenza comensarle (entro dieci giorni dalla sentenza) et si non pagasse con effecto tral (dal) dicto termene che pagi (paghi) el doppio, per cagione se diceva che (in quanto risultava che) del (nel) presente anno del mese di febbraio del dicto anno venendo a certe parole con Johannj de Menecuccio de Cristofano dela dicta ciptà et armato duna coltellessa de ferro la quale haveva nelle mani irato animo et malo modo con la dicta coltellessa assaltò Johanni predicto movendose da luoco a luoco con animo de percuotarlo ma non lo percosse dicendo per lo maladicto Santo A.... che me vene voglia darte con questa coltellessa dentro en corpo... Et non contento ale (delle) predicte cose biastimò lonnipotente dio et la Vergene Maria come cossì per queste parole et altre più pienamente (meglio) se contene (risulta) nellibri de maleficij (nel libro degli atti criminali) de dicto messer lo potestà per le mani de (redatto da) Ser Ladolfo da Magliano notaro de maleficij desso (di esso) messer lo podestà a qual se referisce (al quale verbale si fa riferimento). Et pertanto considerato lui (l'imputato) essere poverissima persona et che è pocho tempo fo in pregione a Bolmarzo (sic) et folli (gli fu) necessario pagare una bona quantità de fiorini per li quali anchora nè (ne è) debitore d'altrui (Mogliera non era proprio uno stinco di santo!) et habia la sua famigliola piccola et desutele (con quel padre esemplare!) in tanto che (di conseguenza) li siria impossibile pagare la dicta condempnagione". Per quanto detto sopra, "supplica alle V(ostre) M(agnifiche) S(ignorie) ve piaccia ordenare reformare et a lui gratia fare sì et in tal modo che lui non pagi (paghi) de la dicta quantità più che la quarta parte la quale quarta parte se offerisce presto con gravarce amici et tollarli in prestanza (cioè chiedendoli in prestito ad amici -ma ne avrà avuti?-)". 

Chiede che, dopo il pagamento, ogni condanna venga meno e cessi l'azione contro di lui. E questo supplica gli sia concesso "per lamore de dio et de vostra benignità et gratia spetiale dale V.M.S. le quale dio prosperi come desiderate".

L'affare del Mogliera viene dibattuto nel consiglio generale riunitosi tre giorni dopo e quivi il consigliere Giovanni Nicolaj propone di accettare l'offerta dello stesso, di pagare la sola quarta parte della condanna, "hac tamen addita conditione", con l'aggiunta però della seguente condizione "quod existente in Amelia predicatore observantie Sancti Francisci" che, essendo presente in Amelia un predicatore francescano degli Osservanti "ipse Mogliera die crastino vel die lune vel die martis vel die dominice proxime deinde sequentis" l'indomani o i giorni seguenti o la domenica successiva "stet cum corrigia ad gulam apud hostium Sancti Francisci ab ortu solis usque ad perfectionem offitij divini quod dicitur de mane" stia con una cinghia stretta alla gola davanti alla porta di San Francesco, dal sorgere del sole, fino al compimento dell'ufficio divino che si recita al mattino, "petendo ab intrantibus quod supplicent et postulent veniam a deo pro ipso Mogliera, et si dictus predicator abesset fiat actus iste apud Ecclesiam Sancti Augustini", cioè chiedendo ai fedeli che entrano in chiesa che facciano suppliche e impetrino per lui il perdono da Dio. Se il predicatore non fosse presente in San Francesco, la "rappresentazione" dovrà svolgersi dinanzi alla porta di S. Agostino.

La proposta viene approvata dal Consiglio con 31 voti favorevoli e 5 contrari. (2005)


24  - Nel consiglio decemvirale ed in quello generale, tenutisi lo stesso giorno 24 Marzo 1538,  fra gli altri argomenti trattati, si propone “ordinare, pro multis jnconvenientibus evitandis, ne futuris temporibus fiant tripudia, tempore quadragesime” che, per evitare che, in futuro, si verifichino numerosi inconvenienti, venga ordinato che, in tutto il periodo quaresimale, ci si astenga dalle danze. Dardano Sandri “ornatissimus vir” propone che “ad hoc ut honorabilibus diebus ab Ecclesia ordinatis fruamur in bonum” per far sì che i venerabili giorni che la Chiesa prescrive vengano da noi usufruiti per volgerli al bene, “nemo audeat vel presumat dicto tempore tripudia facere domi vel extra, sub pena scutorum decem pro quolibet tam tripudiante et citaredo, quam etiam domino domus ubi huiusmodi tripudia tempore supra prohibito permitterentur tenere scribendo in libro speculorum”, nessuno ardisca o presuma in detto periodo ballare in casa o fuori, alla pena di dieci scudi tanto per ciascun danzatore o suonatore, quanto per ogni proprietario della casa dove, nel tempo proibito, abbia permesso, pur senza intenzione, che vengano effettuate dette danze, con annotazione dei loro nomi nel libro degli specchi (cioè dei pubblici debitori), “jn quo si Domini Antiani fuerint  negligentes in scribendo, scribantur ipsi pro dicta pena quae stanti exequatur per Dominum Potestatem, qui, si etiam fuerit negligens in exequendo, retineantur de suo salario scuti decem” e se gli Anziani saranno stati negligenti nel registrare i contravventori in detto libro, vi vengano iscritti loro stessi per la detta pena, da eseguirsi immediatamente dal Podestà, il quale, se a sua volta sarà stato negligente nell’eseguirla, dal suo salario gli vengano trattenuti dieci scudi e contro coloro che contravvenissero potrà procedersi “per jnquisitionem, jnventionem et Accusam” per investigazione, per scoperta e su denunzia. La proposta viene approvata con ventuno voti favorevoli e quattro contrari, verosimilmente appartenenti a ballerini irriducibili.

Si esamina, da ultimo, la supplica presentata da Filippo di Cristoforo di “Carmagnola”, condannato a pagare otto scudi per detenzione abusiva di armi. Si propone che gli Anziani, insieme a due cittadini, abbiano autorità di decidere se concedere una riduzione della pena.

A distanza di due anni, il 24 Marzo 1540 nel consiglio dei X “probus Zacchias Herculis prior” l’Anziano Zacchia di Ercole -onestuomo- come primo argomento di interesse pubblico da trattare espone: “maxima in Civitate viget fames, quid consilij capiundum, cum nesciat (meglio “nequeat”) plebs ieiuna timere” in Città vi è grande fame: che decisione prendere, affinché il popolo non possa temere di restare a digiuno. Nel maggior consiglio tenutosi lo stesso giorno, Ser Girolamo Nacci -“vir pijssimus et prudentissimus”- propone che, “ut pauperes fame non pereant” affinché i poveri non muoiano di fame, “accipiantur (si extant) pecunie hospitalis de quibus emi debeat frumentum quo panis fiat” si prendano (se ve ne sono: qui ti volevo!) dei denari dall’ospedale, con cui acquistare il grano, per confezionarci pane “et pauperibus seu famem patientibus amore dei detur” e si dia -per l’amore di Dio- ai poveri ed agli affamati “videlicet in die lunae, mercurij et veneris, pro quolibet die predictorum quartus unus cum dimidio” con quest’ordine: ogni lunedì, mercoledì e venerdì si distribuisca un quarto e mezzo (di grano), sotto la supervisione di sei cittadini, da eleggersi dagli Anziani “et si forte pecuniae non adessent vel ad sufficientiam, quod tunc m.ci d.ni, una cum dictis sex civibus eligendi, auctoritate universi instantis senatus, possint et valeant pro dicta elemosina facienda, vendere et alienare de bonis hospitalis prefati prout sat(is) erit et non plus” e, nel caso (assai probabile!) che non vi siano denari o non siano sufficienti, gli Anziani, insieme ai detti sei cittadini da eleggere, con tutta l’autorità loro conferita dall’intero presente consiglio, per poter effettuare la suddetta elemosina, abbiano facoltà di vendere alcuni beni del detto ospedale per quanto sarà necessario, ma non oltre; “quae caritas duce Deo optimo maximo exordiri debeat in Kalendis Aprilis proximi et durare ad recollectionem alterius grani” la qual elemosina, sotto l’auspicio del Sommo Dio, abbia inizio dal primo Aprile prossimo e duri fino al futuro raccolto del grano. “Quae sententia pijssima et deo longe gratissima placuit et prevaluit, nullo voto reperto in contrarium faciente”. Tale proposta, formulata con grande pietà e certamente assai gradita a Dio, viene approvata all’unanimità, senza alcun voto contrario e, “ad dandam elemosinam”, vengono eletti: Onofrio Geraldini e Simon Pietro Farrattini per i Lunedì; Bartolomeo Petrignani e Pannunzio Cerichelli per i Mercoledì; Giovan Battista Moriconi e Nicola Geraldini per i Venerdì.

Altro argomento trattato: “sartores, sutores et barbitonsores” i sarti, i calzolai ed i barbieri hanno presentato alcuni capitoli delle rispettive “arti” per la loro approvazione. Eccone il testo:

“Jmprima ordinamo che nisciuno de dette arte possa mettere pontica (bottega) che non giuri all’arte et paghi uno ducato all’arte il foristero, il Terrazzano mezo, et che il foristero habbia a dare la securtà de cinquanta ducati, et di questo ducato ne paghi la mità innanzi che metta Pontica et della laltra (sic) mità habbia tempo sei mesi tanto il foristero, quanto il terrazano et chi contra facesse caschi in pena de vinti carlini per ciasche volta, da applicarse per la mietà (sic) alli sig.ri (Anziani) et laltra all’arte.

“Jtem ordinamo che nisciuno de decte arte possa fare lavoro, che non lhabbia tagliato et non possa areconciare lavoro ch’habbia fatto altri, sensa licentia de chi lha facto, alla pena de doi carlini per volta, da applicarse come di sopra.

“Jtem ordinamo che s’habbiano da cavare doi Rectori de decte arte et uno Camorlengho, li quali habbiano da fare l’officio uno anno et quando se cavano, debbiano li rettori vecchi ragunare l’arte otto dì nanzi S.ta Firmina et cavare li altri in presentia de tutta l’arte, et li rittori vecchi habbino da rendere conto alli novi, et habbino da aver per lor salario una libra de Cera, la quale debbano portare alla luminaria la sera di S.ta Firmina et S.ta maria di Augusto et se non ce fossero denari in mano debbano gittare (cavar fuori) la data (imposizione) tanto per ciaschuno Et chi recusasse pagare decta data dalli recturi imposta il debbiano dare allo esequtore Et li Ritturi se non scotono (riscuotono) nel tempo de loro officio, sia lor danno, et non possano riscotere più.

“Jtem ordinamo che tutti (i) capi de arte se debbano trovarse alle luminarie, nella piaza del Palazo la vigilia di S.ta Firmina et di S.ta Maria di Augusto con il lume in mano et andare ad S.ta Firmina, et (il) lume sia una facola da uno baioccho al manco (almeno) et chi contra facesse caschi in pena de uno Carlino, da applicarse come de sopra.

“Jtem ordinamo che li ritturi habbino a far la richesta nella piaza del palazo et chi non se ritrova alla richiesta caschi in pena de uno Carlino, et se li ritturi non facessoro la rechesta caschino in pena de Carlini doi, da applicarse come de sopra.

“Jtem ordinamo che li lavoranti habbino da pagare per la mità et li garzoni il terzo et sia obligato a pagare il patrone pel garzone, a conto del suo salario; questo se intenda per garzoni che hanno salario; questo pagare se intende della data imposta dalli rettori, et chi contra facesse caschi in pena di mezo Carlino, da applicarse come di sopra.

“Jtem ordinamo che nisciuno de decta arte possa tagliare (stoffa o capelli, secondo le varie arti) se prima non giura all’arte et tagliando (senza giurare) caschi in pena de cinqui Carlini per ciasche volta il foristiero, il Terrazano la mità, da applicarse come di sopra.

“Jtem ordinamo che nisciuno che habbia da fare con laltro de decte arte non possa fare citare sensa licentia delli ritturi, et chi contra facesse caschi in pena de doi Carlini, da applicarse come di sopra.

“Jtem ordinamo che li ritturi habbino da riscotere tutte le pene che accadessoro nel tempo del loro officio, et non rescotendo caschino loro nella medesima pena et li ritturi da venire li possano fare pagare a loro quel tanto che ce era da riscotere.

“Jtem ordinamo che li ritturi possino far pignorare tutti quelli che non volessoro pagare et detto pegnio lhabbia da tenere quindici dì, non rescotendolo (riscattandolo) lo possano vendere et se il pegno se vendesse più che quanto havesse da pagare, se debba quel più rendere al patrone, et chi comperà (comprerà) decto pegno il debba tenere dece dì, ad instantia del patrone, et non rescotendolo sia suo danno et questo habbia a fare intendere il rectore a chi compera.

“Jtem ordinamo che li ritturi volendo ragunare l’arte debbano fare intendere a tutti capi d’arte che vadino al consiglio et chi sarà chiamato et non andarà caschi in pena de doi baiocchi per ciasche volta, da applicarse come di sopra”. 

I capitoli vengono confermati dal successivo consiglio generale.

Infine, v’è da decidere circa la richiesta fatta da parte di un tal Manucello, “pententis (sic) sibi concedi represalias contra bona res et personas hominum et personarum Terre sancti Gemini” che chiede gli venga concesso diritto di rappresaglia contro le proprietà e gli uomini della Terra di Sangemini, poiché, sia in giudizio che fuori, “per multas litteras Communis requisierit suos debitores et etiam escusatorias ad Gubernatorem et Priores dicte Terre et nihilominus nullum fructum fecerunt” con molte lettere fatte scrivere dal Comune aveva sollecitato i suoi debitori, scrivendo anche al Governatore ed ai Priori di detta Terra, che, però, non produssero alcun risultato positivo. Il maggior consiglio decide in forma sibillina: “si represalie ab eo petite possunt concedi, concedantur in forma, aliter non” se le rappresaglie richieste si possono concedere secondo la legge, si concedano, altrimenti no. Che ne avrà dedotto il povero Manucello? (2012)


25 - Il 25 Marzo 1469 Jonne di Menico Romano, cittadino amerino, che si autodefinisce servitore della Comunità e povera persona, presenta la seguente supplica agli Anziani ed al consiglio decemvirale, stilata in un approssimativo volgare: 

“dice et expone como nelli dì passati stando ad lavorare lui et Tomasso suo figluolo in la sua possessione posta in la contrada de Asingnano, soprevennaro lì donna Firmina della Gacciula et donna Perna sua nora con quattro homini de Porchiano armati con partisciane et roncole per turbarlo et molestarlo et spoliarlo de dicta sua possessione in laquale comensaro ad tagliare vite et arbori de dicta possessione el quale Jonne per non lassare spoliare et captiare (cacciare)  de dicta sua possessione comensò a dire alle prenominate donne et homini che se volessaro partire et non li volessaro dare molestia, le quali donne et homini de continuo insestiriano in nel tagliare vite et altri arbori del que al dicto Jonne per non lassarse spogliare et arobbare li fo necessario defendarse meglio li fo possibile ma prima aspectò (ricevette) una botta in la spalla con uno  bedente da uno del dicti homini de (sulla) dextra, dicto Jonne se revoltò con una partisciana (che) haveva in mano et ferì Anthonio de Capoceciara da Porchiano in nel reni (il) quale era uno de quelli quattro che vennaro con Firmina predicta et in nello rimore che se faceva in dicta possessione trassero ad rimore Luca de Coltrellaio Quatranello et Evangelista de Gnenuello parenti distritti (stretti) de dicto Jonne al quali tucti li è stato formato el processo et condendati, cio(è) Jonne in fi(o)rini trenta libre xvj. et soldi xj. et li altri quattro prenominati in fi(o)rini quindeci libre viij e solidi dece per uno de ausilio et favore et questo contra omne debito de rascione perché ad omne uno è licito defendarse da chi el volesse arobbare, le quali rascioni non li sonno valute per laqual cosa supplica humilmente alle V.M.S. attento le predette cose che omne uno se ponga in loco suo, li piaccia de farli gratia de dicte condempnascioni ad ipso et a dicti suo(i) parenti perché dicte pene tutte besongnaria de pagare ad ipso qual gratia reciuta ad singulare gratia et piacere advegna sia de rascione (pur spettandogli di diritto), puro lo reciverà in dono et singulare gratia et piacere dalle V.M.S. quali dio conservi in felice et prospero stato como questa Magnifica Communità desidera”.

Riunitosi lo stesso giorno il maggior consiglio, si delibera “quod fieret gratia dicto Jonni de tribus partibus ex quatuor” che al povero Jonne si riduca la condanna di tre quarti; il residuo, pari a cinque ducati, dovrà essere pagato durante l’Anzianato in carica. (2008)


26 - Nel consiglio decemvirale del 26 Marzo 1401 viene presentata la supplica "pro parte fidelissimi servitoris" da parte del fedelissimo servitore "Stefanj Bonfantis de Amelia servitialis et agricole monialium monasterij S.ti Mannj" Stefano Bonfanti amerino, famiglio e contadino delle monache del monastero di S. Magno, il quale espone che "cum ipse sit ad servitia dicti monasterij et ad custodiam turris S.ti Jacobi" essendo egli al servizio del monastero e custode della torre di S. Giacomo "et gravetur pro commune Amelia de custodia civitatis ob quam causam predictam adesse non valeat" e sia stato gravato dal Comune della custodia della Città e per la detta ragione non può esservi presente (cioè non può soddisfarla) "et intendat ipso monasterio servire ac in dicto tantum morari et residere maxime noctis tempore" ed è suo intendimento servire in detto monastero ed in quello soltanto abitare e risiedere, soprattutto durante la notte. Chiede, pertanto, "quod ad ipsam custodiam dicte civitatis faciendam non gravetur durante  tempore quo ad predicta servitia permanebit et hoc quia sit justum et equum" che non venga gravato dell'onere della custodia cittadina, finché resterà a servire nel monastero e questo gli venga concesso in quanto risponde a giustizia.

La delibera lo esenta dal prestare custodia. (2007)


26 - Il 26 Marzo 1472 gli Anziani ed i membri del consiglio decemvirale diedero mandato al podestà, pure presente, “ut amore dei et intuitu sacratissime paxionis d.ni n.ri Yhu Xti, cuius memoria cras celebrabitur” affinché, per l’amor di Dio e in considerazione della sacratissima passione di Gesù Cristo, la cui memoria verrà celebrata l’indomani, “liberaret, dimitteret et relapsaret quemdam miserabilem hominem vagabundum querentem victum hostiatim” liberi e rilasci un uomo miserabile e vagabondo, mendicante il cibo di porta in porta,  di nome ... “carceri mancipatus occasione mallefitij per eum commissi contra ...” associato alle carceri a causa di un reato da lui commesso nei confronti di ... con la promessa, da parte di tutti, di “preservare indempnem” lasciarlo libero e indenne. “Qui d.nus potestas, visis et auditis predictis, obtulit se paratum lubentissime parere mandatis” Il podestà, udito e considerato quanto sopra, si dichiarò, con grande disponibilità, pronto ad obbedire a quanto richiestogli.

E, così, i nostri buoni e bravi amministratori di oltre cinque secoli fa intesero celebrare la vigilia del venerdì santo con un  lodevole atto di misericordiosa clemenza. (2008)


26  -   Con lettera inviata da Viterbo il 26 Marzo 1397 agli Anziani da parte di Giovannello Tomacelli, fratllo del papa Bonifacio IX (il napoletano Giovanni Tomacelli) e Rettore del Patrimonio, questi, dopo averli giustificati (“habemus vos excusatos”) per non avergli inviato alcuni Cittadini dei quali il Tomacelli aveva chiesto l’invio (“ut illos Cives de quibus scripsimus non misistis”) a causa delle strade malsicure (“propter viarum pericula”), espone di aver pensato di venire personalmente (“et credidi ad vos venire”) ma, a causa delle soldataglie bretoni infestanti la zona, non ha creduto di porsi in viaggio (“set propter istos britones noviter in partibus decursos, non possumus de presenti venire”). Le truppe bretoni di cui parla il Tomacelli dovevano essere quelle al soldo dell’antipapa Benedetto XIII, poiché durava ancora lo scisma di occidente, che papa Tomacelli non si curò minimamente di cercar di sanare. Il Rettore passa poi ad inviare agli Anziani i nomi dei loro successori per i due mesi prossimi di Aprile e Maggio. I nominativi sono i seguenti: Ser Lello Dominici, Francesco di Ser Salvato, Vico Vatelli, Cola Marzelle, Ser Giovanni di Roberto e Poliuzio di Ser Giacomo. Inoltre, Giovannello scrive di aver saputo, non senza trepidazione, “qualiter nonnulli vestri Cives fuerint et sunt in occupatione castrj portarie” che alcuni Amerini hanno occupato e tengono attualmente il castello di Portaria; invita, pertanto, gli Anziani a scriver loro di non disporre nulla per detto castello, “set illud servarent pro romana Ecclesia ut est decens” ma di conservarlo sotto la giurisdizione della Chiesa di Roma, com’è giusto che sia e di adoperarsi “ne ad emulorum aliorum manus perveniat” per non farlo cadere in mano alle forze avverse. (2009)  


26  -  Il 26 Marzo 1400 Stefano Bonfantis, contadino delle Monache di S. Manno e guardiano della torre di S. Giacomo, dove specialmente di notte risiede per ricevere e dare eventuali segnali, chiede di venir dispensato da altri oneri di guardia. (2014)


27 - Il 27 Marzo 1434, “in campo prope Mignonum”, vengono firmati, fra “lo  illustre et excelso Signore Francesco Sforza Visconte, Conte de Cotignola et de Ariano, de la Marcha de Anchona etc., Victorioso Capitaneo de gente d’arme et Signore de la ciptà de Amelia, et lo Magnifico Comune de la dicta ciptà de Amelia et homini et universita de ipsa”, i  capitoli nei quali, fra l’altro, si stabiliva quanto segue:

- Il dominio e governo della città non deve essere né alienato, né sottomesso “ad altro spetiale signore, né governatore, ma solo regerlo et governarlo la sua Excelsa Signoria o suo spetiale locotenente”.

- La comunità di Amelia possa eleggere tutti gli ufficiali, “senza altra confermatione” , come pure avere piena giurisdizione nelle cause civili e criminali in prima ed in seconda istanza.

- Che il “decto Signore se digni conservare la ciptà de Amelia et suo contado et destrecto in quello stato honuri exentioni et immunità che al presente la trova: et niente ce debia innovare”. La comunità corrisponderà allo Sforza lo stesso sussidio annuale che pagava alla Chiesa; e, cioè 430 fiorini, a ragione di 55 bajocchi per fiorino.

- La Città possa conservare statuti, riformanze ed ordinamenti e tutti  gli atti, i processi e le sentenze precedentemente emanati.

- Che “detta Ex.sa S.ria se digni concedere gratia ala Comunità de Amelia de tucte et singole cavalcate facte, tanto per tollere castella et fortezze, quanto per scarchare et abrusciare, come è usanza nel tempo de la guerra. Et similmente d’ogne altro delicto et maleficio da fore el destrecto de Amelia comesso, quale non fosse conosciuto fino in mò”.

- “Et più ancora se digni la sua Ex.sa S.ria defendere et conservare la decta ciptà a suo honore et reverentia et stato et triumpho dela captolica parte gebellina”.

- “Item che la Ex.sa S.ria se digni sempre favorire l’ordene ecclesiastico, Vescovato, Chiesie et altri luochi pii de la decta ciptà etiam ad requisitionem de messer el Vescovo”.

La dominazione dello Sforza cessò col nuovo plebiscito degli Amerini, che decisero di tornare sotto la S. Sede l’11 Aprile 1435. (1999)


27 - Il medico condotto Dottor Gio. Ma. Massa, il 27 Marzo 1805 espone agli Anziani ed al Governatore: “esser tale l’influenza e numero de’ malati, che non può egli riuscire alla cura e visita di tutti” e fa istanza per un ausiliare.

“Gli Ill.mi Sig. Governatore ed Anziani, riflettendo alla difficoltà di poter trovare un Professore bravo, ed all’aggravio della Comunità, siccome il Sig. Dottor Massa trovasi un figlio sufficientemente istruito nell’arte medica, quando piaccia al Consiglio Nobile di cui ordinarono la convocazione, destinare per medico ausiliare il medesimo di lui figlio Sig. Stefano Massa, sotto la direzione del proprio genitore, tanto più che il sistema da essi tenuto nella Medicatura riesce profiquo (sic) alla salute de’ poveri pazienti, colla provisione di scudi sette il mese, perfino a tanto lo richiederà il bisogno”. (2000)


27 - Nella seduta del Consiglio Generale del 27 Marzo 1445, venne decretato, con sorprendente promiscuità d'argomenti, quanto segue:

-divieto, il giorno di domenica, di tutti gli atti di commercio, eccettuata la vendita di medicine per gli ammalati e della cera per i defunti; analogo divieto per i notai di rogar atti pubblici, ad eccezione dei testamenti, sotto pena di mezzo ducato d'oro;

-divieto di infastidire i disciplinati o fustigati (mentre compiono tale atto di mortificazione) "qui similem actum faciunt ob devotionem et sub regula fraternitatis", pena 10 soldi;

-divieto di ballare nelle chiese amerine (si vede che era in voga questo uso!): "nulla persona  cuiuscumque status vel sexus audeat aliquo tempore corizare sive ballare vel ad coream idest ballum in aliqua ecclesia civitatis predicte, neque corizantes huiusmodi assotiare", sotto pena di 10 soldi. Né era lecito dovunque ed in ogni tempo, ballare con veli: "et nullus audeat aliquo tempore vel in aliquo loco ballare velatus", sotto pena di mezzo ducato d'oro;

-nessuno entri in qualche monastero di monache, senza licenza del vescovo, pena mezzo ducato. (2001)


27 - L' "Egregius Juris utriusque doctor dominus Michael de Lantis de Pisis", podestà di Amelia nel semestre agosto 1444-gennaio 1445, sottoposto al debito sindacato dell'attività svolta in detto periodo da lui e suoi officiali, venne riconosciuto colpevole di atti passibili di condanna e quindi posto in carcere ed ivi tenuto addirittura ai ferri. Poiché l'ex-podestà ha appellato la sentenza di condanna, il Cardinale Firmano, Legato dela Sede Apostolica intercede per lui da Perugia, dicendolo pronto a rinunziare all'appello e perora affinché "comodius negotia sua expediri possint" si possano sistemare le sue cose in modo per lui meno gravoso.

 Nel consiglio generale del 27 Marzo 1445, considerato che il de Lantis è disposto non solo a rinunziare all'appello della sentenza di condanna ma anche a riconoscerla giusta ("confermando condempnationem iuste latam"), tenendo anche presente che è prossima la Pasqua, "quod erit die crastino", che sarà domani (cioè che si è al sabato santo) "in quo tempore laudabile est esse pium", considerato altresì che il de Lantis "aliquod pene substinuit, in longa eius captivitate et in compedibus" ha già scontato parte della pena, con una lunga carcerazione ed ai ferri, "amore Dei et intuitu pietatis et misericordie", si stabilisce che, con apposito atto, contestualmente stipulato, Michele de Lantis rinunci a qualsiasi diritto ed azione contro il Comune di Amelia ed i suoi sindacatori e che dell'ultima terzeria del salario a lui ancora dovuta dal Comune, "persolvatur sibi quarta pars et relique tres partes intelligantur solute dicto Communi pro pena sue condempnationis", gli sia pagata soltanto la quarta parte e le altre tre si intendano trattenute dal Comune a titolo di pagamento della pena a lui comminata.

In particolare, come specificato nell'atto solennemente stipulato, Michele de Lantis "fecit finem, refutationem, remissionem, quietationem, absolutionem, transactionem et pactum perpetuum de ulterius non petendo" -in parole povere fece quietanza- dell'intero salario a lui e suoi dipendenti -cavalli compresi- dovuto per i sei mesi di Podestaria, ammontante a 250 fiorini d'oro, in ragione di 50 bolognini per ogni fiorino, dalla qual somma venne trattenuto quanto da lui dovuto in seguito alla suddetta condanna. (2005)


27 - Una lettera patente scritta da Roma il 27 Marzo 1518 (trascritta nelle riformanze nell'Ottobre 1519) da Bernardo, Diacono di S. Maria in Porticu,  Cardinale Vicelegato di Perugia ed indirizzata a tal Francesco Manzi ha per oggetto la vicenda giudiziaria della quale fu protagonista lo stesso Manzi, indicato quale "laico amerino". Ne stralciamo alcune parti.

"Cum alias haberes uxorem quamdam mulierem nomine Felicitam et ea impudice viveret illam pugione pluribus percussionibus vulnerasti sperans quod huiusmodi percussionum timore illa in posterum ab adulterio se abstineret" Poiché avevi in moglie una donna di nome Felicita, che viveva in modo impudico, la percuotesti molte volte a sangue con pugni, sperando che lei, per paura delle percosse, si astenesse per l'avvenire dal commettere adulterio. "Nihilominus quia postea evenit quod te absente ipsa Felicita filiam peperit ob quod quia tu equo animo iniuriam hanc sufferre ulterius non patueris illam occidisti". Cionondimeno, poiché avvenne in seguito che, in tua assenza, la stessa Felicita partorì una figlia, per la qual cosa, ritenendo giusto di non poter ulteriormente sopportare l'ingiuria sofferta, la uccidesti. "Quare pro vulneribus prius ut premittitur dicte tue uxori per te illatis in florenos octuaginta camere Comuni Amerie solvendos et pro morte qua postea eam affecisti in pena capitis ac forte confiscationis bonorum omnium (licet nihil possideas) condendatus (sic) fuisti". Per il che, fosti condannato per le ferite come sopra prima inferte a tua moglie, al pagamento di 80 fiorini di camera, da pagarsi al Comune di Amelia e, per la morte che le procurasti poi, alla pena capitale ed alla confisca di tutti i tuoi beni (anche se non possiedi nulla). "Cum autem ... tu postea a proximioribus dicte Felicite interfecte pacem obtinueris et attento quod ipsa in publicam infamiam delapsa erat" Poiché tu, successivamente, ti pacificasti con i parenti più prossimi di detta Felicita uccisa e considerato che essa era caduta in pubblica infamia "et quod iusto dolore motus ad tollendum dedecus talia commiseris" e che tu, mosso da giustificabile dolore, commettesti ciò per togliere tanta vergogna "pro parte tua fuit nobis humiliter supplicatum ut te ab huiusmodi delictis condendationibus et penis absolvere et liberare ... oportune providere dignaremur" da parte tua fummo umilmente supplicati di provvedere ad opportunamente assolverti e liberarti da ogni delitto, condanna e pena. "Nos igitur S.te Matris Ecclesie que gremium pietatis ad se redeuntibus post erratum cum humilitate filijs claudere non consuevit" Pertanto noi, considerando che la Santa Madre Chiesa non è avvezza a chiudere il pietoso suo seno ai figli che a lei umilmente tornano dopo aver errato ... "te ab huiusmodi delictis condendationibus et penis absolvimus et liberamus ... supportato  per biennium exilio ..." ti assolviamo da tutti i delitti e liberiamo da ogni condanna e pena ... trascorsi due anni in esilio... (2007)


27  -   Il 27 Marzo 1475 il maggior consiglio deve decidere in merito ad un nefasto evento, che ha duramente colpito la popolazione di “schiavoni” da poco insediatisi nel Castello di Sambucetole, come risulta da quanto esposto nel consiglio decemvirale del giorno precedente 26, nel quale è stato proposto: “placeat consulere et providere ut subveniatur accolis S.cti Focetuli comitatus huius praeclare civitatis, ne locus ille refectus tanto communis impendio et habitari ceptus deseratur” piaccia discutere e provvedere che si presti soccorso agli abitanti di Sambucetole, facente parte del contado di questa illustre Città, affinché quel luogo, restaurato e ridivenuto abitabile con tanto grande dispendio da parte del Comune, non torni ad essere abbandonato “sicut timetur cum illi habitatores nuper fortuito incendio res omnes quas solas licet minimas habebant perdiderint” come si teme, poiché quegli abitanti, a causa di un recente fortuito incendio, persero tutte quelle poche, povere ed uniche cose che avevano. Occorre, quindi provvedere alle necessità di quella misera popolazione. Quindi, poichè “redundat communitati non mediocris utilitas” è di grande utilità per l’intera comunità “et phama quaedam excellens cum ubique feratur Amerinos veluti providos et magnanimos homines” ed anche di ottima reputazione che si possa dire che gli Amerini sono uomini provvidi e magnanini,  è necessario “ut ille locus frequentetur” che quel luogo  resti abitato.

Nel maggior consiglio si propone, quindi, che, “pro negotio sclavorum deducantur ducati centum de gabella macelli convertendi ad edificandis viginti, aut vigintiduas  domos” in aiuto degli “schiavoni”, si prelevino cento ducati dalla gabella del macello, da impiegarsi nella costruzione di 20 o 22 case, da destinare ad abitazioni di quelle famiglie “quae ibidem in dicto Castello habitant” che risiedono nel detto Castello. Si propone, altresì, che “si aliquis ipsorum habitatorum aliquo tempore ex dicto Castello migraverit, domus quam incoluerit remaneat communi et ad ipsum commune devoluta intelligatur” se alcuno degli abitanti del Castello volesse in un certo momento migrare ed abbandonarlo, la casa in cui abita resti in proprietà del Comune e s’intenda ad esso devoluta. Ed infine, “ut res facilius procedat” perché la cosa proceda con maggior facilità, si nominino, da parte degli Anziani, due persone che si prendano cura delle dette operazioni di costruzione e di sorvegliare in merito, senza però avere in mano alcun movimento di denaro, che dovrà avvenire tramite il Camerario, “ne ... fraus et omnis suspitio eripiatur” per evitare frodi o alcun sospetto che posano accadere. I nostri amministratori di un tempo erano, forse, più previdenti e diligenti di oggi! (2009)


27  -  Nel consiglio decemvirale del 27 Marzo 1479, fra gli altri argomenti all’ordine del giorno, vi è da provvedere ad un problema di sicurezza: “cum turris castri nostri collicellj sit readaptanda ad hoc ut custodes ipsius illam valeant tutissime custodire in omnibus occurrentijs” poiché la torre del castello di Collicello dev’essere risistemata, per permettere ai suoi custodi di poterla gestire nella massima sicurezza in tutte le sue occorrenze, “quod necessarium esse videtur pluribus de causis, sed potissime ob novissima prelia et cohadunationes armorum gentium vigentia contra perusinos” il che sembra apparire necessario per diversi motivi, ma massimamente a causa delle recentissime vicende militari e della presenza di assembramenti di truppe armate contro Perugia, si chiede come provvedervi. Nel maggior consiglio del dì seguente, si adotta quanto suggerito dal consigliere Nicolò Carlo Boccarini, il quale, in considerazione che gli uomini di Collicello traggano massima utilità e comodità dai boschi di proprietà pubblica esistenti in loco, che, “eorum sumptibus” a loro spese, facciano e trasportino il legname necessario “pro dicto laborerio”, cioè per il restauro della torre; le altre spese verranno sostenute dal Comune, con denari che gli Anziani in carica e quelli che succederanno loro cercheranno di trovare “ubicumque”, a loro giudizio.

Nello stesso consiglio, vengono lette alcune suppliche.

La prima è presentata “per parte deli vostri fidelissimi servitori et poverissime persone et oratori de dio per le V. M. S. et stato de questa M.ca Comunità, Priori, fratri, capitolo e convento (degli) heremitanij de Sancto Augustino de Amelia, liqualj dicono narrano et expongono como ipsi fratri et Capitolo per la longa et grande fabrica quale hanno facta jn la dicta chiesia et ornamento de ipsa como atucti è noto et manifesto, sonno devenuti jn grandissima povertà et miseria Et sonno jnvoluppati jnpiù et più debiti Et per la grande povertà et miseria che è nel dicto capitolo et convento non possono quilli satisfare et al presente quello che è necessario reparare al tecto del dormitorio, quale mena roina per defecto de quattro canallj del dito tecto, qualj sonno vecchissimi et marci et per lo tecto dela Sacrestia, quale similmente mena ruina per uno canallo marcio et vecchio, quali de continuo dubitamo non cascheno et caschando incurreremmo jnmolte magior spese che non serà possendose reparare nanti al tempo. Al quale reparo jpsi fratri, capitolo et convento non hanno el modo ne possanza senza adiuto et subsidio de le V. M. S. perlaqualcosa humelemente recorrono alle prefate V. S. che jntuitu de pietà et de misericordia se vogliano dignare de farlj qualche elimosina et de avere qualche modo possino reparare alle dicte cose, quale forono facte et ordinate per li vostri antiqui et antecessori et per questa M.ca comunità. Con quello meglior modo parerà alle prefate V. M. S., quale dio et Sancto Augustino conserveno et exaltino come quelle dexiderano”.

Altra supplica viene presentata da “lo vostro humile et fidele servitore Johannj Fassio dela vostra Cipta de ameria, homo vecchio et cecho et jndecrepita età constituto. Et supplicando expone che conciosia cosa che perle caxione predicte ipso non po substentare la sua vita et la sua fameglia. Et del continuo essendo molestato al pagare dele dative, che omne dì occorre, lequale vivente Credio suo figliolo, loquale sfortunatamente fo morto, le pagaria benignamente perche lo dicto Credio gubernava sé et tucta sua fameglia, nella quale non ce son remasti altro che doj figliolj maschi et una femmina assai piccoli, liquali non senza grandissima fatiga vivono. Per tanto recorre a V. prefate M. S. lequale se degnieno per jntuitu de pieta et de misericordia farlj gratia dele dative jncorse fino nel presente dì et de quelle che se jmponeranno per ladvenire, perfino a qualche tempo conveniente che li dicti soi figlioli piccolj se porranno gubernare et substentare. Et più et meno, secondo piacerà a V. S. et alli vostri opportunj consigli dali qualj quel tanto serà deteminato receverà a gratia singularissima”.

Nel consiglio generale si decide di elargire al Convento e Chiesa di S. Agostino 15 ducati, in ragione di baiocchi 72 per ducato, per reperire i quali, si debbano impiegare le rimesse dei porchianesi, da soddisfare ogni quattro mesi, con l’aggiunta che, dei detti 15 ducati, sia nominato un depositario, per impedire che vengano impiegati in scopi diversi da quelli cui sono destiati.

Al povero Giovanni Fassio si concede la remissione di tutte le dative pregresse e l’esenzione da quelle future per i successivi dieci anni. (2010)


27  -  In data 27 Marzo 1529, da Roma, papa Clemente VII emette il seguente bando, che il solerte “Johan Francesco Trombecta”, nelle riformanze, attesta aver “bannito” il 14 Aprile successivo:

“Consideranno la sanctità de N. S.re papa clemente per divina providentia papa septimo de quanto scandolo danno et periculo potrebbe essere dello stato Ecclesiastico che li homini di quello andassero al soldo de altri, et volendo provvedere come se appertene (spetta) a bon superiore che per la absentia del homini cui lo stato ecclesiastico non patisca et anchora per non limplicare (coinvolgerlo) se non per extrema necessità in guerre et latrocinij et altri inconvenienti che ordinariamente porta seco la guerra: Ordina et commanda che nisciuno  de qualunche  grado stato o conditione se sia ardisca o presuma in modo alcuno andare al soldo con qualunche si voglia Principe o s.re sensa espressa licentia da sua s.tà o sui commissarij sopto pena de scommunicatione maiore late sententie del capo confiscatione di bieni et ruina delle case et adcio che (affinché) più exactamente se observj il presente suo bannimento, vole et ordina che le communità et università delle ciptà et Terre sue siano anchor loro tenute alla pena della sopradicta scommunicatione et della perdita de lor privilegij et indulti; et se serrà cipta con vescovado, de xx milia ducati d’oro; se è Terra, de diece milia, da applicarse al Fisco le tre parti et la quarta ali executori, se permecteranno che li hominj loro andassino contra questi bannimentj ala guerra et soldo daltri, sensa sua licentia o de commissarij suj; le quali communità se jntendano essere incurse nelle sopradicte pene ogni volta che cinquanta hominj della cipta et suo contado, o vinticinque de una Terra et suo contado seranno trovati contra ad questo suo bannimento militare; et a legati, vicelegati, governatori, vicarij della s.ta ro(mana) Ecclesia, sopto pena della sua disgratia et della perdita del salario de uno anno ordina et commanda che ne facciano publico bannimento in lochi della loro iurisditione et adtacharne copia transumpta (trascritta) di mano di notaro, o stampata iqui (qui) in roma, signata col segno de un prelato ecclesiastico, alla qual se dia fede come al proprio originale; et più sua s.tà ordina et commanda sopto dicte pene della disgratia sua et di perdita del salario, che se ne facci diligente inquisitione contra a delinquenti et concede loro auctorità et facultà de potere promectere anchor per publico bannimento et dar premij secondo larbitrio loro de benj de trasgressori a chi li manifestassi o rivelassi et quelli trovassino incorsi nelle sopradicte pene, le dechiarino et procedino contra di loro alla executione della quale vole et ordina ne habino per loro la quarta parte di quello (che) sarrà per loro riscosso et messo ad intrata del libro de Thesaureri. Data in roma in palatio Apostolico de sua S.tà ad xxvij de martij M.D.XXIX”. (2011)


27  -  Il 27 Marzo 1391 viene presentata in consiglio una supplica da parte di Giacomo di Simone, Spoppolone (sic) di Ceccuzio Farrata di Amelia, nonché di altri possessori di greggi di pecore, i quali chiedono che, da parte dell’ufficiale addetto a rilevare danneggiamenti, non vengano sottoposti ad alcuna contravvenzione, a meno che le loro greggi non siano rinvenute a dar danno “in poxessionibus bladatis et in vineis et in cultis signatis” in campi coltivati a cereali, in vigne o in culture particolari e non in altri casi, poiché, con le loro greggi, “non possunt se cum dictis bestiis pecudinis multum elongare, absque timore et periculo propter guerrarum discrimina” non si possano allontanare troppo dalla città, a causa del timore e del pericolo dovuti al rischio di guerre che minacciano il territorio. Il consigliere Ser Berardino Andreucoli propone che se l’ufficiale dei danni dati trovasse delle greggi a pascolare nei terreni altrui, non possa procedere “nisi per accusationem seu denumptiationem et reclamum domini poxessionum” se non per denunzia e reclamo dei proprietari dei terreni e possa, invece, procedere d’ufficio se le greggi siano sorprese a dar danno “in arboribus domesticis, bladis, vitibus et pergulis” ad alberi da frutto, a grano, a viti o a pergolati. (2014)


28 - Il 28 Marzo 1602, gli Anziani si riuniscono per dare esecuzione ad un provvedimento deliberato quattro giorni prima, avente ad oggetto "super impositione penarum contra inhobedientes restaurationi et reaptationi viarum" di stabilire le pene da comminarsi contro coloro che, pur richiesti e precettati, si rifiutarono di prestare la loro opera per il rifacimento e la riattazione delle strade pubbliche. Le pene stabilite furono "juliorum trium qualibet persona preceptata sine bestijs et vice qualibet et juliorum quinque pro qualibet persona preceptata cum bestijs et vice qualibet" di 3 giuli per ogni persona precettata da sola e per ogni volta che non si presentò e di 5 giuli, se la persona precettata e non presentatasi doveva portare con sé anche delle bestie, per eseguire il lavoro assegnatole e per ogni singolo rifiuto opposto. (2007)


28  -   Dal periodico “AMERIA” del 28 Marzo 1897 riportiamo la seguente notizia, sotto il titolo “Pubblica illuminazione”:

“Ci giungono vive lagnanze relative al servizio d’illuminazione e ci si chiede se può ritenersi ragionevole e giusto che in alcune sere non vengano accesi i lampioni in attesa dell’apparire della luna sul nostro orizzonte. Rispondiamo negativamente a tale quesito, e nel far conoscere tali giuste lagnanze alla competente Autorità, invochiamo gli opportuni provvedimenti”. (2009)


28  - La nostra Città è stata preservata dal flagello della peste, ma necessita prendere provvedimenti per la salvaguardia della salute. A tal fine (cioè “ad conservandam sanitatem”) il 28 Marzo 1524 gli otto cittadini eletti fin dal precedente giorno 19, precisamente: Davide Cansacchi, Pierpaolo Cerichelli, Aurelio Boccarini, Pompilio Geraldini, Bernardino detto Carta, Vincenzo Crisolini, Giovanni Zaffino (Farrattini) e Bartolomeo Pielli, di concerto con gli Anziani, formulano i seguenti Capitoli:

“Primo. Se significhi ali Cortescianj de Roma tornino infra termine de x dì, altrimenti venendo de po (dopo) el dicto termine non potranno jntrare si prima non sirranno statj vintj dì da fora.

“Secondo. Li Molattierj nostrj che vanno ad Roma non possono intrare nella Terra ma nelli loro casalj et possono stare tre Mulattierj jn uno casale et non si li possa portare robe sensa un testimonio mandato da pagarse da Essi; non possano conversare coli suj né con alcuno altro de Amelia né habitare jn Amelia; jtem non possano decti Mulattierj mettere alcune robbe jn la Ciptà sensa licensia de li Electj.

“Jtem con quelli che vengono da Roma non se possa praticare, né magnare per quelli xx dì che starranno de fora et si alcuno ce magnasse et praticasse non possa arrentrare per termino de xx giornj.

“Jtem, che nesuno possa recevere alcuno for de la ciptà jn li casalj, venendo da lochj suspectj, sensa licentia de li Electi.

“Chi farrà contra li dectj Capitolj caschj jn pena de dece ducatj, da metterse ad libro de li spechj (specchi, cioè fra i debitori)”.

Ai suddetti, figurano aggiunti i seguenti.

“Jtem si el Chiericho prete o Relegioso facesse contra li sopradectj Capitoli, sia tenuto el patre o fratello o Tio (zio) o altro coniunto che habitasse jnseme per la pena de x ducatj.

“Jtem, chj jntrasse contra el commandamento del Portinaro, caschj in pena del doppio de la predecta pena e tamen (tuttavia) sia cacciato de fora”. (2012) 


28  -   Il 28 Marzo 1743, gli Anziani, “continuando antiquam et laudabilem consuetudinem”, procedettero all’elezione delle “Paciere” e dei “Pacieri”, nelle rispettive persone di:

“Sig.ra Maria Ancaiani ne’ Cerasoli

“Sig.ra Margherita Ghezzi ne’ Franchi

“Sig.ra Maria Alberti ne’ Venturelli

“Sig.ra Paola Farratini ne’ Sandri

 Quanto alle prime; e

“Sig. Bartolomeo Cansacchi

“Sig. Marcello Franchi Clementini

“Sig. Francesco Venturelli

“Sig. Gaetano Sandri

Quanto ai secondi.

E buon lavoro!

(2014)


29 - “Quoniam dom. noster ihesus christus indulgentiam omnibus penitentibus promisit”: poiché N.S.G.C. ha promesso indulgenza ai peccatori pentiti ... Così inizia l’atto con il quale Beraldus Ameline civitatis notarius, il 29 Marzo 1156 stipulò in Amelia, “ante ecclesiam Sancti Andree, la donazione fatta da Rainerius de Bernardo, Rolandus et Quintavalle de Dono dei, Paganus de mendica, Rainaldus de Guido, Oliverius et Offridus de Rodolfo, Tinnosus et Rainerius de amerino, Bonus in casa de Trisso, Amicus, Petrus et Beraldus de Iohanne de amico, Guido de unilia, Tancredus de Trisso mancio, Tebaldus de Iohanne de amerino, Girardus, Ruscticus, Petrus et Nicolaus de amerino de pagano” che si dichiarano “infelices et in multis criminibus nexi” infelici e coinvolti in molti misfatti, affinché venga concessa loro l’indulgenza e la gloria dell’eterna felicità, di loro spontanea volontà, offrirono a Dio e alla Beata Vergine Maria e al Beato Apostolo Giacomo, un terreno “quem habemus in loco ubi nominatur redere, amelino territorio”, con i confini come appresso indicati: “ab uno latere, canne centum, ab alio latere triginta et octo, a tertio latere septuaginta et duo, a quarto latere sunt decem”.

La donazione viene accettata da Petro bono et Petro de benedicto et presbitero Petro de franco et Pagano deretrone, per sé e per coloro che succederanno loro nel detto luogo, che dovrà essere impiegato “ad ospitalem faciendum et ospitio egentium et peregrinorum”, cioè alla costruzione di un ospedale ed un ospizio per poveri e pellegrini.

 I suoi venti fondatori, in caso di inosservanza dei patti stipulati, invocano su di sé e successori ogni maledizione del cielo e della terra, oltre alla multa di “centum solidos denariorum papie”, cioè cento soldi di denari pavesi, che era la moneta circolante a quel tempo.

Era nato il primo nucleo del complesso di S. Giacomo in (o de) Redere e questo fu il primo atto di donazione -cui numerosi ne seguirono- che costituì la base su cui si impiantarono l’ospedale e ricovero per indigenti e pellegrini, attualmente riconoscibile nel luogo occupato dal convento francescano dei Cappuccini, sulla strada omonima, a nord-est di Amelia. (2000)


29 - Il Cardinale Aldobrandini, per ordine della Sagra Consulta, trasmette al Podestà di Amelia, in data 29 Marzo 1595, la seguente lettera:

"Magnifico mio amatissimo, alla Consulta, dopo aver considerato quanto è stato scritto da Mons. Vescovo e da voi, intorno alla proibizione di pigliar sportule, è parso che vi si conceda di poter pigliar solamente la metà di quello che dispongono le tasse della B.M. del Cardinale d'Urbino, già Legato dell'Umbria, però potrete governarvi in ciò, secondo quest'ordine, e non trasgredirlo in modo alcuno, e state sano". 

Insieme alla lettera, viene trasmesso l'elenco delle "tasse" che il Bargello e gli esecutori di giustizia possono percepire per le loro prestazioni. E' interessante riportarne il tenore:

"Il Barigello, Esecutori, et altri Officiali non possino ricevere, né domandare per la loro esecuzione, oltre la sottoscritta tavola, e tassa; cioè:

-sino a mezzo ducato, scudi  01; da mezzo ducato sino a dieci ducati, scudi 03; da dieci ducati sino a venticinque ducati, sc. 05; da venticinque sino a cinquanta ducati, sc.07; da cinquanta ducati sino a qualsiasi somma, sc.15. La qual tavola abbia luogo (valore) tanto nel contado e distretto d'Amelia, quanto nella Città, e si operi in tutte le esazzioni (sic) civili, ma non criminali, nelle (per le) quali non abbiano esecuzione acuna.

“Che il Barigello e suoi esecutori non possino fare esecuzione ad alcuna persona senza la presenza del Balio, e non possino entrar nelle case senza (detta presenza).

“Che detto Barigello e suoi esecutori non possino far cattura senza mandato del Sig.Governatore, eccetto la cattura del reo in fragranti.

“Per inventario fuori della Città, giulj cinque, e se sarà dentro la Città, baiocchi venticinque.

“Per accompagnare il Notaio Criminale à pigliar possesso de' beni confiscati, abbia la medesima mercede che avrebbe dell'inventario rispettivamente.

“Per cattura criminale fuori  della Città distante un miglio, uno scudo, e dentro la Città mezzo scudo.

“Tenendo carcerato alcuno per causa civile non paghi cosa alcuna di prigionia.

“Per qualsivoglia mandato di metter in possesso de beni stabili, se sarà dentro la Città e la somma sarà sino a cento scudi, possa pigliare tre giulj, e fuori sino a cento scudi, giulj cinque, e da quello in su, dentro la Città per qualsivoglia somma giulj quattro, e se sarà di maggior somma, se gli paghi sei giulj al più fuori Città.

“Per sospetto di fuga dentro la Città da cinque scudi in su abbia due giulj, e da cinque scudi in giù, un giulio.

“Per prigionia in cause criminali abbia due giulj e non più.

“Se dal giudice o cancelliere gli fosse consegnato un prigione in Palazzo, abbia un quarto di quello (che) gli venisse dalla cattura ordinaria.

“Occorrendo di dare à mangiare ad un prigione in segreta e in publica non gli possa far pagare più di un carlino il pasto, dandogli buon pane, buon vino e companatico onestamente, ma volendosi (dal prigioniero) fare le spese da sé, non possa esser impedito". (2001)


29  -  Il 29 Marzo 1531 il consiglio, convocato a mezzo di pubblico messo in seduta penale, su richiesta degli Anziani, è portato a deliberare circa la condanna al pagamento di pene pecuniarie pronunziata a carico di alcuni imputati di reati di lieve entità, che il Cancelliere verbalizzante non specifica.

Uno di essi, dal singolare nome di “Primusamor Francisci de Focio” Primamore di Francesco, da Foce, era stato condannato “in libris denariorum vigintiocto” a pagare 28 libre di denari, “defalcata quarta parte propter beneficium confessionis”  con il beneficio della riduzione della quarta parte della pena, per aver confessato il reato commesso.

Altro imputato è “Joannes Ser Dardani” Giovanni di Ser Dardano (Sandri?), condannato, con una prima sentenza, al pagamento di 37,5 fiorini d’oro  e, con una successiva sentenza, a pagarne 7,5; entrambe le pene diminuite di un quarto, per l’applicazione del beneficio della confessione.

Il consigliere Pompilio Geraldini -”vir maxima probitate”- prende la parola e, “visa et lecta prefati Primamoris condendatione” preso atto e letta la condanna di Primamore, “actenta jpsius paupertas ac levitate delicti” in considerazione della sua povertà e della levità del reato, propone che “solutis bononenis quadraginta, de reliquo absolvatur” dopo aver pagato quaranta bolognini, gli si condoni il resto della pena.

Un altro consigliere, Laurelio de’ Laureliis, -”vir bonitate ac virtute praeclarus”- propone che, da entrambe le somme delle due condanne riportate da Giovanni di Ser Dardano, costui paghi subito tre fiorini ed il residuo, detratta la quarta parte dall’intero importo delle due condanne, si sconti nel restauro del Castello di Mimoia, “jn terirtorio amerino”, e “habita pace” dopo essersi riappacificato con le rispettive parti lese, “de reliquo fiat sibi gratia et pro absoluto habeatur” si consideri assolto.

Le due proposte vengono approvate all’unanimità. (2011)


29  -  Il 29 Marzo 1507, nella Chiesa di S. Agostino, alla presenza del Superiore Guardiano Sinsino e di un altro frate, il notaio Vincenzo Artemisi è chiamato a redigere niente di meno che un atto di divorzio!

Paolo Pietro di Giovan Pietro di Luca, di Montefiascone, marito di Donna Francesca, figlia di Giacomo Baldacchini di Parma, concordemente e spontaneamente “fecerunt inter sese divortium et disiunctionem, dissolvendo, disiungendo ac disgregando matrimonium inter ipsas partes contractum” fecero fra di loro atto di divorzio e scioglimento, disgiungendo e dissolvendo il matrimonio fra di essi contratto “et hoc fecerunt per extraxtionem anuli per eumdem Paulum Petrum factam ex digito dicte domine Francisce, ipsa consentiente et petente” e ciò fecero con l’estrazione, da parte di Paolo Pietro, dell’anello dal dito di essa Donna Francesca, consenziente ed a sua richiesta; e, ciò, per molte ragioni, ma, in particolare, “quia ipsa domina Francisca religionem ingredi curat exoptat quod simul ac promisit festinans se in moniali collegio detrudere et religiosam vitam trahere” perché essa Donna Francesca desidera e dichiara fin d’ora, di chiudersi quanto prima in un monastero, per condurvi vita religiosa “et propterea inter se dictum divortium fecerunt, absolvendo et liberando sese ad invicem” e, quindi, stipularono fra loro atto di divorzio, sciogliendosi e liberandosi reciprocamente e reintegrandosi “in pristinum statum libertatis” nel pristino stato libero, con la scambievole restituzione, altresì, di quanto avevano avuto l’uno dall’altra ed al patto -e qui viene il bello!- “quod Ipomeneus domini Ippoliti de Amelia, suis expensis, suppleat et octineat dispensationem a Summo Pontifice quod ipse Paulus Petrus aliam possit in uxorem ducere” che Ipomeneo di Ippolito (Nacci), di Amelia, sopperisca e faccia fronte a tutte sue spese e riesca ad ottenere dal papa la dispensa, a favore di Paolo Pietro, a prendersi un’altra moglie; cosa che Ipomeneo promette di fare! Ma che interesse poteva avere il Nacci per dimostrare tanta generosità?  (20149


30 - In Consiglio, il 30 Marzo 1589 vengono fissati i seguenti prezzi per la vendita delle carni: 

“L’agnello, dal principio di Pasqua, per tutto il futuro mese di aprile, si venda a libra per quatrini undici.

“L”agnello, dopo il fine di Aprile, fin tanto che sia solito farsi, si venda quatrini diece.

“Il castrato, ai suoi soliti ed debiti tempi, quatrini tredici.

“Le vitelle da latte si vendano quanto il castrato e la vitella scusi (cioè si venda per) il castrato.

“Le vaccine grasse, per il maggior peso, quatrini diece et si pongano secondo il solito.

“Il porcho maschio quatrini diece.

“La scrofa quatrini nove.

“Il castrabeccho (il castrato di capra) quatrini otto.

“La capra quatrini sette”.

Il Consiglio approva con 11 voti favorevoli e nessuno contrario. (2000)


30  -  Il 30 Marzo 1553 Don Flavio Crisolini “qui in romana curia cum odore bone fame perplures annos versatus fuit” che, per molti anni, aveva risieduto ed operato nella Curia Romana, lasciando di sé buon ricordo, fa testamento. Dopo aver raccomandata l’anima all’infinita misericordia divina ed ordinata la sua sepoltura “in sepulcro quod sibi struere cogitat” nel sepolcro che pensa di farsi costruire in Cattedrale (sarà il primo nella Cappella di S. Marco), lascia un ducato ciascuno alle chiese di S. Fermina, S. Agostino, S. Francesco, S. Giovanni Battista, S. M. Annunziata di Michignano, S. Maria in Monticelli, all’Ospedale dei Laici, ai Monasteri di S. Stefano, di S. Manno e di S. Monica, dieci ducati a S. Caterina “et decem similes quos espendi  voluit per heredem suum in maritando aliqua puella pauperi et virgini bone fame” ed altri dieci che il suo erede spenderà per dotare una fanciulla povera, vergine e di buona fama; lascia anche cinquanta ducati al suo famiglio Nicolò, insieme ad un vestito e ad un cavallo ed un ducato ciascuno agli altri servi e serve (ma quanti ce ne aveva?!). Erede universale istituisce Giovanni Crisolini di Vincenzo, suo nipote. (2014)


31 - Con un'ordinanza in data 31 Marzo 1449, Papa Niccolò V stabilisce l'unità dei pesi e delle misure per tutti gli Stati della Chiesa.

Ne viene portata a conoscenza tutta la comunità con una lettera patente del Cardinale di Aquileia Joannes Sardus, Presbitero di S. Lorenzo in Damaso e Luogotenente del Camerario papale, trascritta nel libro delle Riformanze il 6 maggio successivo. Ne riportiamo alcuni stralci.

"..ad recte vivendum necessaria fare conspicimus tam in hac alma Urbe, in qua primum leges sumpsere principium, quam in aliis civitatibus terris et locis S. D. N. et Romane Ecclesie mediate vel immediate subiectis" per una giusta regola di vita, abbiamo ritenuto fare quanto necessario, tanto in questa alma Città , nella quale per la prima volta le leggi iniziarono a trovar il loro fondamento, quanto nelle altre terre mediatamente o immediatamente soggette alla Santità di N.S. e alla Chiesa Romana, "cum equitas et paritas mensurarum et ponderum ut omnes et ementes atque vendentes pari earum norma utentur ubique" affinché sia coloro che comprano  tanto quelli che vendono possano servirsi di un'egual norma, mediante l'uguaglianza e la parità delle misure e dei pes, "ut etiam multitudo innumera peregrinorum viatorumque futuro anno pro peccatorum remissione suscipienda ad hanc almam urbem ... sacro jubileo adveniente undique confluet sese ipsorum mensurarum et ponderum una justitia letari possit" e che anche la stessa innumerevole quantità di pellegrini e viandanti che, nel prossimo anno giubilare (1450) da ogni parte confluiranno in questa alma Città, possano giustamente giovarsi dei medesimi pesi e misure.

Entro 15 giorni dalla notificazione, tutti i pesi e le misure in uso "dictas mensuras et pondera" dovranno essere esibiti ad un apposito incaricato, perché vengano approvati, con l'impressione di un contrassegno, che ne garantisca la legittimità e da quel momento in avanti "nullis aliis ponderibus et mensuris uti debeatis" non si possano usarne altri, che non siano stati contrassegnati, pena 25 fiorini d'oro. (2001)


31 - Nella seduta consiliare del 18 Aprile dell'infrascritto anno, "comparuit Ill. Dom. Simon Petrus Farrattinus Amerinus" comparve l’Ill,mo Signore Simon Pietro farrattini, il quale "exhibuit et presentavit quamdam litteram Ill.mi et Rev.ssimi D.ni Cardinalis Aldobrandini", esibì e presentò una lettera del Cardinale Aldobrandini, datata 31 Marzo 1601, indirizzata al Podestà d'Amelia, del seguente tenore:

"Magnifico mio carissimo, dalla bolla di N.S. (il Papa) super bono regimine non sono revocate l'esemptioni concesse per il numero di dodici figluoli (sic), essendo queste dovute de giusto. Et però l'esemptione che dice havere il Sig. Farratini per detto capo se gli dovrà far buona secondo il tenor d'essa, et tanto farete che sia osservato da cotesta Comunità quando non ci sia altro in contrario, nel qual caso mi darete avviso per risolvere quel che conviene. State sano. Da Roma, l'ultimo di Marzo 1601".

Da quanto sopra si deduce che -salv'ognuno!- l'Illustrissimo Signor Simon Pietro Farrattini ebbe la bellezza di dodici figli viventi! (2005)


31 - Il 31 Marzo 1410 viene letta in Consiglio una missiva inviata in Comune "pro parte Magnifici Viri et Strenui Capitanei Sfortie de Actendolis de Codugnola" cioè dal Capitano Attendolo Sforza di Cotignola, Capitano al soldo del pontefice, con l'ordine che, da parte dello stesso Comune, "mictantur ad collem valentiam triginta famuli" siano inviati a Collevalenza trenta uomini armati. Si decide, "pro bono statu sancte matris Ecclesie et huius civitatis quod obedientia magnifici capitanei", cioè per la conservazione di Santa Madre Chiesa e di questa Città che, in obbedienza a quanto richiesto dal magnifico Capitano Sforza, gli si inviino venti uomini (gli Amerini giocano al ribasso!), di cui si fanno i nomi: Giovanni Pelleghrini, alias Giecco e Cecco Giovanni Rubei, quali connestabili dei "famuli", Giovanni de la Rosa, Angelello alias Casciolo, Capocciola, Marco Andreucoli, Mazzoncello, Giacomo da Narni, Arcangelo Mannuccini, Rubeo Pagani, Frizza Teotonico, Gezzio Paoli, Angliano Teotonico, Becco della contrada Valle, Menechello del prete, Angelello Carrelle, Giovanni Viti, Pietro Filippi, Giovanni Gnocci e Giacomo Angelelli. I quali tutti convennero che la loro retribuzione non dovesse essere inferiore a 12 bolognini al giorno per ciascuno di loro. Il Consiglio, all'unanimità, li accontenta.

In calce al verbale, è riportata l'annotazione: "Die iij mensis Aprilis supradicti Johannes Pellegrini et Cicchus cum dictis eorum omnibus sotijs reversi fuerunt" cioè che tutti fecero ritorno il 3 Aprile successivo. (2006)


31 - Sotto la data del 31 Marzo 1681, nelle riformanze risultano trascritti i “Capitoli del Sac. Monte della Pietà d’Amelia, detto di S. Maria de Laici, riformati alla presenza di Monsig. Ill.mo e Rev.mo Gioseppe Salustio Fadulfi Vescovo d’Amelia, con l’intervento del M.to R.do P. Angelo da Trievi, al presente Guardiano del V.le Convento di S. Gio. Battista d’Amelia, dell’Ill.mi Sig.ri Aloigi Archileggi, al presente Priore del Ven.le Ospedale di decta S. Maria de Laici, Sig. Dott. Marco Aurelio Mandosio, Sig. Ascanio Clementini, Sig. Gio. Antonio Vulpij e Sig. Gerolamo Assettati, tutti nobili d’Amelia, a ciò specialmente deputati dall’Ill.mi Sig.ri Antiani in virtù dell’ordine dato dal Conseglio Nobile de Dieci sotto li 10 Aprile 1679”.

Seguono i Capitoli, ordinati in venti articoli. Se ne trascrivono alcuni:

“Quinto - Che non si possino imprestare per l’avenire più di scudi quattro per pegno e questi non ad altre persone che all’Amerini, e suo Contado”.

“Nono - Che li Montisti non piglino per pegno altro che oro, argento, ottone, stagno, rame, ferro, o cose lavorate di detti metalli, perle, gioie, seta, e panni di seta, tela, e cose di tela; et in quanto alle sete et altre cose che possono patire, occorrendo di rinfrescare (rinnovare) i pegni, se li cali il prezzo (valore)”.

(N.B. i Montisti, in numero di due, erano: uno incaricato della conservazione dei pegni e l’altro responsabile delle somme di denaro).

“Decimo - Che l’oro e l’argento, quantunque vi siano gemme ligate (incastonate) si piglino a peso d’oro e d’argento respettivamente, senza haver riguardo alle gemme e manifattura e debbano valere un terzo di più del denaro che se le presta, e le altre robe sudette inclusevi perle, coralli, granati, et altre cose, benche pretiose, vaglino il doppio; e non valendo, sia tenuto de proprio il depositario de pegni in caso di perdita del Monte”.

“Undecimo - Che li pegni si debbano vendere passato due anni irremisibilmente, e la vendita si debba fare ogni seconda domenica del mese, le due ultime feste della Pentecoste, tutte le feste d’Agosto e settembre, et in ogni altro tempo che resterà determinato da decto Mons. Ill.mo Vescovo, e dall’Ill.mi Sig.ri Antiani”.

“Decimoterzo - Che nel vendere i pegni li Montisti faccino fare un steccato capace avanti la Casa del Monte, e vicino alla porta mettino le tavole, acciò si possino vedere i pegni, e la vendita si facci dal trombetta della Comunità conforme al solito, et habia per mercede un baiocco per pegno dal compratore, e la subhastatione e deliberatione si debba fare alla presenza di Mons. Ill.mo Vescovo, o suo Vicario Generale et alla presenza dell’Ill.mi Sig.ri Antiani del Popolo, e delli Sig.ri Montisti, e fatta la decta diligenza dal trombetta à voce, si deliberi al più offerente, quale dovrà pagare in contanti subito senza potersi pentire tutto quello (che) haverà offerto. Fatta poi detta deliberatione, il padrone del pegno non possa più ricuperarlo, intendendosi la vendita libera”.

“Decimo quinto - Che l’utile de i pegni per l’havenire che s’impegnaranno dal primo gennaro 1681 e come segue debba essere solo scudi due per cento, e non più”.

“Decimo octavo - Che il depositario de pegni per quanto si può facci che li pegni non patischino per sua colpa, e siano ben custoditi, e sia obligato di quando in quando rivederli e quando spira tramontana aprirle la finestra della stanza ove si conservano detti pegni”. (2008)


31  -   Nel maggior consiglio del 31 Marzo 1413 il podestà Antonio de Calvis, romano, espone che “cum per nobilem virum Bindaccium de Ricasolis civem florentinum” poiché da parte del nobil uomo Bindaccio de Ricasoli, cittadino fiorentino, fu richiesto, con lettere credenziali del papa, “quod homines et persone ac tota comunitas Amelie cum comitatu bellum moveat et guerram contra illos de Canali” che gli uomini e tutta la Comunità di Amelia e suo distretto muovano guerra a quelli di Canale, cioè i Chiaravallesi, chiede cosa debba decidersi in proposito.

Il consigliere Uffreduccio di Ser Pietro, animato da profondo buon senso, “pedibus surgens et accedens ad locum arrengherie consuetum, animo et intentione bene consulendi” sorgendo in piedi e recandosi nel luogo deputato per parlare, con il proposito e l’intenzione di esporre utili suggerimenti, dice “quod cum omnes Cives sola industria et exercitio se nutriant ob quam rem si guerra moveretur omnes reddirent ad magnam inopiam ac etiam ex guerra plurima obveniant mala” che, poiché i Cittadini di Amelia traggono il loro sostentamento dalla propria industre attività, per cui, se venisse dichiarata la guerra, tutti si ritroverebbero in grande povertà e, inoltre, che dalla guerra non possono che derivare grandi calamità, di conseguenza propone che gli Anziani, secondo il loro giudizio, nominino un ambasciatore “ad dominum nostrum papam supplicando sanctitati sue ut dictam guerram non permictat” che si rechi dal papa, per supplicarlo di non voler permettere che detta guerra abbia luogo. 

La saggia proposta di Uffreduccio viene appovata a larghissima maggioranza. (2009)


31  -  Nel consiglio dei X del 31 Marzo 1487 vi sono molte decisioni da prendere. Fra le altre, viene formulata la proposta di cambiare il sistema della votazione, secondo quanto già adottato da altre comunità, sostituendo il vecchio metodo delle due urne, nelle quali porre le pallotte bianche o nere, con un’unica urna, nella quale porre i lupini (bianchi) o le fave (nere), secondo la volontà di approvare o respingere la proposta da votare. Ciò sarebbe giustificato, in quanto “est quidem ritus tam honoratior quam occultior nam unum suffragium per singulos in qualibet optione reddatur” tale nuovo metodo risulterebbe tanto più onorevole, quanto maggiormente segreto; infatti, per ogni votazione, verrebbe espresso un solo voto. In buona sostanza, nessuno vedrebbe come ciascuno vota, immettendo il proprio suffragio in un’unica urna, anziché in urne separate, contrassegnate dal sì o dal no. Tale nuovo sistema viene approvato con 30 voti favorevoli e 19 contrari.

Vengono, inoltre, presentante numerose suppliche. Vediamone alcune.

Una è esibita da Fra Francesco di Ser Matteo da Foligno, attuale predicatore nella Chiesa di S. Francesco di Amelia e alloggiato nel relativo convento, il quale espone “quod cum in ipso conventu multi sint  in diversis facultatibus libri ex quibus nulla utilitas legentium haberi possit cum in cassis clausi teneantur  iam multos  annos” che in detto convento si trovano molti libri di varie materie, dai quali non può ricavarsi alcuna utilità di lettura, per essere tenuti già da molti anni chiusi in casse, nelle quali v’è rischio che “pereant et marcescant” marciscano e periscano. E ciò fece presente nelle sue prediche. I frati pensarono, quindi, “ipsos libros suis congruis ornamentibus reparare” di recuperare i detti libri con congruo decoro “et communem locum expeditum et accomodatum tantum vestris juvenibus licteris incumbentibus quam religiosis extruere” e costruire un locale pubblico allestito ed appropriato tanto per i giovani laici che si applicano alle lettere, quanto per i religiosi, “ubi cum cathenis sedilibus et alijs congruentibus componi possint sicut blbliotheca videtur exposcere” dove, con catenelle, sedili ed altri idonei materiali, possano venir ordinati e conservati, come richiede una biblioteca. “Cum autem rei magnitudine et conventus pecunia eiusque exili provenctu talem impensam nequaquam facere possit” poiché, poi, sia per la grandezza del progetto, che per le esigue finanze del convento ed i suoi ridotti proventi, non possa venir affrontata una simile spesa, “supplicat et recurrit ad V. M. dictus orator et predicator tamquam philius (sic) et devotus Comunitatis vestre ut huic tam honorifico operi et necessario ac laudabili dignentur opere ferre et manus ponere adiutrices secundum quod  V. M.cis D. videbitur  expedire” supplica e ricorre agli Anziani detto oratore e predicatore, come figlio e devoto della  Comunità, affinché si degnino porre le loro mani soccorritrici per l’esecuzione di quest’opera tanto onorifica e necessaria, secondo quel che alle V. M. sembrerà opportuno compiere. “Erit profecto non modum gratum et utile fratribus et Civibus sed quoddam Civitatis vestre decus et ornamentum” tutto ciò sarà certamente non solo gradito ed utile ai frati ed ai cittadini, ma costituirà un notevole onore ed un ornamento per tutta la Città. “Pius Deus conservet hanc civitatem  in ea qua cupitis felicitate et futurorum malorum revocationis gratiam concedat” il pietoso Dio conservi questa Città in quella felicità che desidera e le conceda la grazia di tener lontano in futuro ogni male. Considerato che, nella futura biblioteca, saranno diponibili per la consultazione non meno di trecento volumi, nel successivo consiglio generale si decide che “prompto animo et sine cunctatione” con decisione immediata e senza indugi, si donino ai frati per il suo allestimento 50 ducati. Si nominino, da parte degli Anziani, quattro cittadini che siano depositari di detta somma e la adoperino per pagar le spese necessarie per l’allestimento della futura biblioteca, restando in carica “donec opus efficietur” fin quando il lavoro non sarà stato ultimato.

Altra supplica viene presentata da “Blasio et Melone Sclavonj et habitatori in lo vostro Castello de Sancto focetulo quali dicono essere condennati per la corte del presente potestà de Amelia cio è Blasio in libre ducento cinque et Melone in libre ducento vinticinque et anchor nel quarto più per casione de certa rixia fra de loro facta senza ferro essendo repienj de vino, como spesso accade et se havessero possuto respondere, serriano stati absoluti, ma per non havere trovato chi le facesse la sicurtà, non possectero comparire, et cusì in contumacia sonno stati condennati, del che recorrono ipsi supplicanti ala benignità de le V. M. S. quale pregano che, attencta loro conditione et povertà et lo caso de poca importantia et che tra ipsi è bonissima pace et perche loro mecteriano del continuo la vita per stato de la vostra Comunità, como hanno facto sempre, vogliano remecterli de quella condennatione et pene et farline gratia et dono, comandando ad chi specta che li casse el processo et condennationj, ad cio non siano necessitati partire de dicto vostro Castello et andare in altrj pagesi”. Nel maggior consiglio seguente ai due rissosi schiavoni si riduce la pena ad otto libre ciascuno, da pagarsi nel successivo mese di Aprile e, del residuo della originaria pena, la quarta parte sia soddisfatta con opere da eseguire per il Comune “quando construetur ac reficietur Castellum Luchianj in agro Amerino” quando si costruirà e rifarà il Castello di Luchiano, nell’agro amerino; del resto, si faccia loro grazia.

Segue la supplica di Matteo di Angelo, da Foce, alias Fociano, “exponente che, al tempo de la Potestaria de Baldassarj passarino de Norsia ja potesta de Amelia (nel 1485) fo condennato in contumacia in ducati doro centosexantacinque et in libre de denarj centosexantasej et in lo quarto più non pagando fra el termine secundo la forma deli statuti per casione del maleficio asserto essere commesso per luj contra Ser Vincentio da Collescipuli alhora Cavalerj de Meser Vincente da Teranj, alhora potesta in Amelia como in librj de malefitij et condennationj del dicto Baldassare potesta antedicto più latamente se contene ali quali per brevita se fa relatione. Et perche la dicta condennatione è grande et la poverta del dicto supplicante è nota ale V. M. S. essendo più tempi andato de fora de Amelia et suo contado, per tale respecto recorre ad quelle se digneno in li vostrj oportunj consegli farli gratia et remissione liberale de dicte condennationj et farli cassare dicti processi et condennationj et luj receperlo in gratia de la dicta Comunità et reducere et taxare le dicte pene secondo la sua piccola facultate et la poverta sua, statuti, reformantie et omne altro ordine et cosa che in contrario facesse non obstanti, le quali cose el decto supplicante el receperà de gratia speciale da le V. M. S. le quale Dio conserve et exalte”. Nel consiglio generale seguente si decide che, pagati 12 ducati, in ragione di 72 bolognini per ducato, la quarta parte della pena venga soddisfatta in opere da impiegare nel restauro del Castello di Luchiano e del residuo gli venga fatta grazia.

Altra supplica viene presentata da  Pierpaolo e Mariotto di Donna, che espongono che, essendo “stati absenti più anni dala vostra cipta et al presente lo amore dela patria et parenti li movono ad retornare con animo de bene vivere et familiarmente et poiche sonno gravati de alcuna summa  de dative occorse et questo per poverta, per misericordia recorre ale V. M. S.  da le quale demandano li se faccia gratia de epse date tucte fino al presente  incurse, che etiam ali strani (stranieri) alcuna volta hanno facto et noi siamo pure figlioli et servitorj de quelle (M. S.) sopto umbra de quali intendono per lo advenire vivere et morire et cusì del continuo se ricommendano in questa cosa ale vostre Mag. Signorie le quale Dio sempre in pace et bono stato mantenga et augmente in perpetuo”. Si concede loro quanto richiesto.

La supplica succesiva è presetata “per parte de Simone de Johanni Todesco habitatore in Amelia, dicente che con cio sia cosa che sia condennato per la corte de meser el potesta in summa de quindici ducati vel circa, como ne la condennatione più largamente se contene, per la percussione facta in persona de Rinaldo de Johanni Brodo de Amelia, perche è pentuto del dicto delicto, se recommenda ale V. M. S.  lo vogliano  havere per recommendato et farli gratia de tucto o de parte, et comandare li sia casso el processo de gratia speciale et amore Dei cum sit pauperrima persona (essendo poverissimo)”. Si decide che paghi la quarta parte della pena, di cui otto libre entro il mese di Aprile ed il residuo “in refectione Castelli Luchianj” in opere da destinare alla ricostruzione del Castello di Luchiano.

Anche da parte di Mattia di Tenzio, amerino, si presenta una supplica, con cui espone “como per la corte del potesta passato ipso fo condennato in libre de denari centocinquanta et lo quarto più, passato el termine, per casione che sentendo rumore nel palatio Antianale et questione fra Meser francesco de Paulello et Simone de Tomaso, ipso supplicante concorse et dixe alcune parole contro el dicto Simone quale non era presente, non ja che altro commectesse. Et al tempo del presente potesta è stato condennato in libre deceetotto et in lo quarto più per la rixa havuta con Juliano del Bruno, quale denegava renderli el terratico de una possessione de che Anna sua sorella è usufructuaria; unde recorre ala benignita de le V. M. S. quale prega se digneno farli gratia de dicta quantita attenta la casione per la quale ad omneuno simile caso serria occorso, et commectere li sia casso el processo; el che domanda de spetiale gratia da le V. M. S. quale Dio continuo prospere, pregando li se habia annullare tucto quello in che fine inhora per dicte et altre cagione fosse condennato de gratia speciale”. Gli si riduce la pena ad un quarto.

L’ultima supplica è presentata da Luca di Faustino, di Amelia, il quale “expone che, essendo vechio infirmo et poverissimo, senza robbe et figlioli che lo adiut(in)o perche sta da sé partito, non ha modo sustentarse, salvo de elemosine, perche el suo poco ha diviso per le doti delle figliole, et non ce è bastato, pur non po praticare per timore de li officiali de non essere messo pregione et morire in epsa per le gravezze et dative per le quali è debitore, et non po pagarle, de che refuge (ricorre) ale V. M. S. et prega che per amore de Dio et per misericordia li sia facta liberale gratia et lassate et casse tutte le dative che per lo passato tochano ala Comunità et per lo advenire sia libero et exempto da epse, et non possa per elle nel futuro essere molestato da alcuno, che non poteria in alcuno modo satisfare, el che demanda per gratia de le V. M. S. quale ipso Dio conserve in bono stato”. Il maggior consiglio, in considerazione che “illius probitas et inopia nota sit, qui ob senium lucrarj nequit” sono note sia la sua probità, che la sua indigenza ed, a causa della vecchiaia, non può procacciarsi alcun guadagno, “liber sit et immunis”, sia libero ed affrancato da ogni imposizione fiscale, sia passata che futura.

Il successivo 3 Aprile viene rogato, dal solerte Cancelliere e Notaio Barnaba Moro da Sarnano, l’atto pubblico con il quale tutti i supplicanti che, dal maggior consiglio, erano stati condannati a pagare pene pecuniarie, si impegnano formalmente ad effettuare i relativi versamenti nelle casse del Comune, a richiesta e nei tempi dallo stesso previsti, da destinare alla ricostruzione del Castello di Luchiano. (2010)


31  -  Il nobile e magnifico uomo Francesco del fu Ugolino dei Signori di Alviano, trovandosi nella Rocca del Castello del Poggio di Guardea (diocesi di Todi), sua residenza, nella sala maggiore di detta Rocca, il 31 Marzo 1409, con atto del notaio Paolo Pauluzzi, nella sua qualità di patrono del beneficio di S. Salvatore dell’eremo di Fogliano (?), a nome anche dei suoi consoci, delega Manno Jacobucci di Amelia, giurisperito e canonico tudertino e Antonio Franceschini, cappellano della chiesa tuderte, perché, in caso di vacanza del detto beneficio per rinuncia od altro, fuorché per morte del titolare Tomaso Zuccanti di Amelia, -dottore in entrambe le leggi e uditor del sacro palazzo- passino alla nomina del successore, in persona dell’onesto chierico amerino Antonio.

Lo stesso giorno, uguale delega fecero, nella Rocca del Castello di Alviano (diocesi di Amelia), i nobili e magnifici Signori Ugolino, Pilao, Luigi e Pandolfo del fu Corrado, dei Signori di Alviano, nella camera maggiore della detta Rocca, loro solita residenza. (2014)


31  -  Il 31 Marzo 1456 Angelo di Matteo Geraldini, esibendo la bolla pontificia di Callisto III del 28 Maggio 1455, in virtù della quale è creato Conte del Sacro Palazzo Lateranense, titolo trasmissibile ai discendenti maschi, in linea retta, purché letterati, con facoltà di legittimare bastardi, rilascia atto di legittimazione ad Antonio e Stefano ed all’onesta donna Antonia. (2014)


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