S E T T E M B R E


1 - I continui attriti fra i nobili di Lacuscello e loro dipendenti da una parte ed Amelia dall'altra, per le angherie alle quali sottopongono i cittadini di quest’ultima, portano ad una drastica risoluzione. Il 1° Settembre 1459, gli Anzioni, "convenientes in unum" solidalmente riunitisi con dieci cittadini eletti per discutere e decidere circa il cennato problema, "unanimiter et concorditer decreverunt et ordinaverunt quod quicumque caperet aliquem de massarijs et hominibus castri Lacuscelli" in piena unanimità d'intenti, decretarono che chiunque catturasse uno dei massari ed uomini del castello "et sic captum poneret in fortiam Communis Amelie, lucretur et habere debeat de pecunia et havere dicti Communis florenos decem auri" e, dopo averlo catturato, lo consegnerà all'esecutore di giustizia del Comune, avrà come premio da quest'ultimo dieci fiorini d'oro. Ma non basta: "quicumque in dictis locis occideret aliquem de nobilibus dicti castri lacuscelli seu caperet et captum daret in fortiam dicti communis, lucretur vigintiquinque florenos auri" chiunque ucciderà uno dei nobili del Castello o lo catturerà, consegnandolo nelle mani del Comune di Amelia, avrà come premio ben 25 fiorini d'oro. Tale drastico provvedimento dovrà essere bandito nelle forme consuete, "ad hoc ut omnibus sit notum", affinché venga portato a conoscenza di tutti. (2005)


1 - Il 1° Settembre 1445 viene stipulato l'atto di quietanza del corrispettivo pagato all'armaiolo mastro Fioravante di Giovanni, di Visso, per aver confezionato 150 "scupplectos" di ferro, commissionatigli dal Comune di Amelia, rappresentato a suo tempo dal Sindaco Cecco Stradelle, in ragione di 60 (v'è cancellata la cifra 70) bolognini ciascuno, "qui faciunt in summa floreni centumquinquaginta" cioè per un totale di 150 fiorini, considerati, all'epoca, equivalenti a 60 bolognini a fiorino; il tutto come risultante dall'atto rogato dal notaio Ser Antonio di Roma, allora Cancelliere del Comune di Amelia. Dei detti 150 fiorini, mastro Fioravante dispone che il Comune  ne paghi 30, per suo conto, "egregio doctori domino Petro Jacobi de Amelia" al dottor Pietro Jacobi di Amelia, probabilmente per un suo precedente debito verso di lui e, degli altri 120 fiorini, dichiara di essere stato contestualmente soddisfatto dal Comune, facendo, quindi, dell'intera somma, ampia e definitiva quietanza nella forma sacramentale tanto cara ai notai medievali, della quale ecco una parte del fiorito eloquio, con cui mastro Fioravante si dichiara soddisfatto di ogni suo avere: "Sponte et ex certa scientia non per errorem, non vi, non dolo nec metu ductus, sed sua libera et bona voluntate per se, suosque heredes et successores fecit finem, quietationem, remissionem, absolutionem et pactum perpetuum de ulterius non petendo et aliquid non dicendo per se vel alium dicto comuni Amelie suisque omnibus et particularibus personis" e così di seguito, per un'altra buona pagina e mezza.

Con 150 "scupplectos" nuovi, chi potrà mai resistere agli Amerini?

Ad onor del vero, lo "scoppietto" non era, a quel tempo, un fucile come potrebbe intendersi oggi. Esso costituì il primo tipo di arma da fuoco individuale portatile, comparso sul finire del 1200. Era strutturato in modo abbastanza semplice: formato da un tubo di ferro o di rame, fissato ad asta su una sorta di manico di legno o di ferro, con accensione a miccia; utilizzava come proiettili prima dardi, poi palle di piombo, il cui tiro risultava spesso assai impreciso, a causa del calibro, eccessivo rispetto alla brevità della canna. (2006)


1 - Il 1° Settembre 1516, in occasione dell'insediamento dei nuovi Anziani, il Cancelliere Antonio Sabini di Magliano dichiara, in prima persona, "brevem habui oratiuncolam" di aver pronunziato una piccola e breve orazione, che però tanto breve non sembra, occupando ben cinque minute pagine delle riformanze. In essa, con ampollose parole, vanta l'antichità e la nobiltà di Amelia "qua nulla alia ... totius Italie ... civitas habetur illustrior, nulla preclarior, nulla insignior" della quale null'altra città d'Italia si considera più illustre, più egregia, più insigne. Torna a vantare l'origine ed il nome da Amero "ab Amero et condita et appellata", riportando altresì quanto attestato nella "Naturalis Historia" di Plinio il Vecchio, nella quale è citata l'opinione di Catone il Censore che afferma la nostra Città essere stata fondata 964 anni prima della guerra contro Perseo "quam Cato ante bellum perseum annis noningentis sexaginta quatuor conditam testatur", anche se il testo letterale della "Naturalis Historia" cita 963. Il Sabini s'indugia anche in sperticate lodi alla nostra Città: "O felicissimam Civitatem, que tot annorum saecula, tot reges, tot imperia tot rerum mutationes reminisceris, tot Civitatum principia, tot fundamenta oppidorum, Tu illud tenus urbis romane principium vidisti, etc." O felicissima Città, che ricordi il trascorrere di tanti secoli, tanti re, tanti imperi, tanti rivolgimenti, l'inizio e la fondazione di tante città e vedesti finanche il principio della  stessa Roma, ecc. (2007)


1  -  Il 1° Settembre 1507 Tommaso Geraldini rinuncia al canonicato di S. Secondo a favore del fratello Andrea, accolto “in canonico osculo pacis” con il bacio della pace canonica dai Canonici Agapito e Luciano Geraldini, l’ultimo dei quali  è abate di S. Secondo ed accetta Andrea. Tommaso, per suo conto, giura non essere intervenuta simonia nella sua rinuncia. E’ una vera e propria girandola mossa da membri della stessa famiglia che, a quanto risulta, in Amelia doveva essere la più potente nei secoli passati. (2014)


1  -  La “Para” del Lago Vecchio, quella fabbrica “tante admirationis” di tanta ammirazione, è guasta e rovinata. I “consorti” dei mulini, in numero di quattordici, tutti nobili amerini, per evitare alla Città di Amelia la vergogna e il danno, il 1° Settembre 1561 conferiscono ad Anchise Cansacchi e Lionello Mandosi l’incarico di ricostruirla, stabilendo alcuni patti e condizioni, tra cui che la para, dopo essere stata restaurata, per venti anni non si riaprirà e che i “consorti” del mulino del Ponte potranno prendere l’acqua dalle cannelle che azioneranno le macine sotto i molini dal “laco” in giù. Fra i “consorti”, vi sono anche i frati di S. Francesco e di S. Agostino, le monache di S. Caterina e la Precettoria di S. Antonio. (2014)


2 - Il 2 Settembre 1803 viene reso noto, tramite editto, che, durante il periodo della fiera, dal 3 al 10 dello stesso mese, “tutti e singoli venditori, tanto delle merci, che de’ commestibili” siano obbligati, “prima di porre mano allo smercio de’ rispettivi generi, far nella nostra soprastanteria, la solita bolletta, sotto la pena di fraude; come pure ne’ dì festivi, e segnatamente la mattina dell’8, Festa della Natività di Maria Vergine, vogliamo et ordiniamo sotto la stessa pena, che veruno possa procedere alla vendita delle sue merci, se non dopo i Divini Uffici”.

Anche per provare di aver soddisfatto a queste ultime prescrizioni verrà rilasciata “la solita bolletta”? (1998)


2 - Il 2 Settembre 1405, con atto rogato "ante fundicum seu apothecam Pauli Mathiacj, sita in platea porte sancte Marie" davanti alla bottega di Paolo Mattiacci, posta in piazza della porta di S. Maria (oggi Piazza Marconi), "Vitaluccius Guglielmi hebreus habitator Amelie, per se et suos heredes" l'ebreo Vitaluccio di Guglielmo, abitante in Amelia, per sé e suoi eredi "fecit finem et refutationem et pactum de ulterius non petendo" fece, in parole povere, quietanza a Ser Ugolino Jacobuzzi, Camerario del Comune di Amelia, stipulante a nome e per conto di quest'ultimo, del credito da esso Vitaluccio vantato di 80 fiorini d'oro, per mutuo concesso al detto Comune "pro necessitatibus dicti communis et maxime pro perfectione Rocche Collicelli comitatus Amelie et pro solutione stipendij famulorum destinatorum Romam ad custodiam nostri pape" per le spese di necessità affrontate dal Comune, in particolare per l'ultimazione della rocca di Collicello e per stipendi dovuti a uomini inviati a Roma per la custodia del papa, cioè come guardie pontificie. Dà anche quietanza di altri 4 fiorini che Angelo di Pietro di Giovanni, già Vicario della Città, doveva avere dal Comune per il suo stipendio "et etiam de provisione seu usura eidem Vitaluccio debenda" ed infine per gl'interessi dovutigli per "omne id et totum quod recipere tenebatur" tutto quanto doveva ricevere "usque in hodiernum diem" a tutt'oggi.

Dopo di che, i bravi quanto poveri amministratori amerini sono pronti, nella loro perenne ricerca di fondi, a voltare pagina e a... ricominciare a ricorrere agli usurai! (2007)


2  -  Quando gli Anziani cessavano dal loro incarico per lo scadere del termine di durata del mandato, era d’uso fare la consegna ai nuovi subentranti delle suppellettili esistenti nel palazzo anzianale e di proprietà della Comunità. Così avvenne anche il 2 Settembre 1484 ed il solerte cancelliere non mancò di farne l’elenco dettagliato, che qui di seguito si riporta:

“Scatulam cum sigillis et clavibus

“Vexillum Communis cum targa

“Unum bracchium et tertium panni rosati pro coperta cassecte

“Vigintitres crateres argenti

“Unam salectam duplam argenti

“Decem Cocchiares argenti

“Forchettas tres argenti

“Unam Cultelleriam cum xij cultellis

“Cultellos duos magnos

“Tovagliectas parvas de lenza xviij

“Unam tovagliam magnam de lenza

“Sigilla duo magnum unum et alterum parvum de argento

“Claves septem videlicet unam casse magne pro conservatione suppellectilium. Duas parvas archivij. Quatuor de diversis clausuris”.

(Scatola con sigilli e chiavi - Gonfalone del Comune con targa - Panno rosa lungo un braccio ed un terzo per coprire la cassetta - Ventitre tazze d’argento - Una saliera doppia d’argento - Dieci cucchiai d’argento - Tre forchette d’argento - Una coltelliera con dodici coltelli - Due coltelli grandi - Diciotto tovaglioli di lino - Una tovaglia grande di lino - Due sigilli d’argento, di cui uno grande ed uno piccolo - Sette chiavi, di cui una della cassa grande dove si conservano le suppellettili, due piccole dell’archivio e quattro di serrature diverse). (2010)


2  - Il 2 Settembre 1553 occorre sopperire ad un’urgenza finanziaria di particolare natura: “quid sit agendum super asserto debito sexagintaquatuor scutorum pro fabrica pontis Chiasci et Citadelle perusie” ci si chiede cosa fare circa un preteso debito di 64 scudi che Amelia avrebbe nei confronti di Perugia per la fabbrica di un ponte sul fiume Chiascio e per lavori nella Rocca. Trattasi, con molta probabilità, di manodopera richiesta dal papa alla nostra Città, nel quadro delle ristrutturazioni edilizie nella città perugina, iniziate da Paolo III nel 1540. Si propone che gli Anziani nominino alcuni cittadini “qui habeant auctoritatem mittendi oratorem” che abbiano facoltà di inviare un oratore a Perugia “et pro expensis fiendis” e, per le spese occorrenti, “accipiantur pecunie Hebrei” si ricorra ad un prestito da parte dell’ebreo presente in Amelia. Lo stesso giorno, si delibera che “Cancellarius accedat Perusium pro indagandis scripturis” il Cancelliere vada a Perugia a controllare le scritture contabili. Si vede che i buoni Amerini, prima di metter mano alla borsa, volevano vederci chiaro! (2012)


3 - Dal “Liber Criminalium” di Giove, il giorno 3 Settembre 1594 Bernardino R. sporge querela nel modo che segue:

“Io dò querela a V.S. qualmente Martio M., pesatore del grano che và al molino a macinare, mi son accorto più volte che lui non mi pesa giustamente et fra l’altre ci portai un sacco di farina li giorni passati et quando lui me lo pesò, fu il peso di sei libre più del dovere et quando lo ripesai io medesimo pesava sei libre manco, et io li dissi “ben, Martio, che te ne pare?” et lui rispose “venga il cancaro alla stadera et chi l’ha fatta” et sopra ciò V.S. potrà essaminare Lisandro di Sabello et Matia T., et credo che faccia questo per qualche malevolenza che mi porta”. (2000)


3 - Per uno svolgimento privo di rischi e pacifico della ricorrenza dell'8 Settembre, festa di S. Maria, gli Anziani, sotto la data del 3 Settembre 1455, "adducentes qualiter in die festi" considerando che, in detta festività, "consuetum est venire quamplures personas a pluribus diversis locis et terris" è consuetudine che convengano in Amelia una notevole quantità di persone da luoghi e terre diversi, si inviino, da parte del Cancelliere del Comune lettere ai Castelli, "ut dicta (castra) mictant famulos" affinché forniscano guardie armate "pro meliori custodia dicte Civitatis" per assicurare una più efficiente custodia della Città. In particolare, Porchiano invii 20 guardie armate, Collicello ne  mandi 6, Montecampano 6, Fornole, Foce, Frattuccia e Macchie ne inviino quattro ciascuno. (2006)


3  -  Con atto rogato dal Notaio Francesco Celluzzi del 3 Settembre 1409,  si  attesta che Giovanni Nenni, detto Cinquini, si è presentato “flexis genibus” genuflesso davanti all’Abate di S. Secondo, Padre Pellegrino, confessando di aver bestemmiato la Madonna SS.ma, come risulta anche in atti del Podestà di Amelia. Dichiara di esserne immensamente pentito ed implora l’assoluzione da tal delitto. L’Abate, dopo avergli imposta la penitenza, lo manda assolto. Sono presenti, oltre al Notaio, Padre Cristoforo Nenni di Fazio (parente del bestemmiatore?) e Ser Giovanni Andreucoli di Amelia. (2014)


4 - Il Vescovo Stefano Bordoni, napoletano, nominato nella sede amerina fin dal 7 Maggio 1392 dal papa Bonifacio IX, anch'esso napoletano, per il suo modo di fare e per cattiva amministrazione, cadde dalle grazie del popolo amerino. Nelle riformanze, sotto la data del 4 Settembre 1399, a seguito di consiglio generale, viene manifestata l'aperta ostilità al presule e tutti, "unanimiter et concorditer ipsorum nemine non volente, providerunt, ordinaverunt, deliberaverunt et reformaverunt" unanimemente e concordemente, senza alcun voto contrario, deliberarono "ad hoc ut commune Amelie et eius cives detestabilia et enormia scellera Episcopi Amelie valeant evitare" affinché il Comune di Amelia ed i suoi i cittadini siano messi in grado di evitare gli immani e detestabili misfatti del loro vescovo (ma non ci sarà stata un po' di esagerazione?) "recurrant ad sanctissimum d.num n.rum papam Bonefatium nonum" ricorrano al papa Bonifacio IX "ad cuius sanctitatem domini Antiani de celleri mictant unum vel plures ambaxiatores" alla cui santità gli Anziani inviino uno o più ambasciatori "ut sua sanctitas dignetur ... de salutari remedio providere" affinché si degni provvedere con un salutare rimedio alla situazione conflittuale venutasi a creare con il Vescovo. "Et quod pro dictis ambaxiatoribus mictendis ... prefati d.ni Antiani auctoritatem habeant inveniendi pecuniam expensis communis quomodocumque et qualitercumque poterunt tam super gabella musti quam super alijs introytibus dicti communis" e che, per inviare detti ambasciatori, gli Anziani abbiano autorità di rinvenire i denari necessari in qualsiasi modo e comunque possano, sia traendoli dalla gabella del mosto, sia con qualsiasi altra entrata comunale.

Gli Anziani, in una riunione tenutasi tre giorni più tardi, "unanimiter ipsorum nemine non volente eligerunt in ambaxiatorem ad d.num n.rum papam Bonifatium nonum cum salario consueto et cum uno famulo Ser Lellum Dominici". alla unanimità e senza dissenzienti, elessero ambasciatore al papa Ser Lello Dominici, accompgnato da un famiglio e con il  consueto compenso.

C'è da pensare che gli Amerini volessero a tutti i costi liberarsi del Vescovo Bordoni! (2007)


4  -  Nel consiglio generale del 4 Settembre 1519 si delibera “quid agendum” circa la seguente supplica presentata da un tal Marinangelo e dal figlio di Peo:

“Se supplica ad V. S. et ad questo generoso consiglio per parte delli devoti oratori et servj de quelle Marinangelo de Ieramacha (?) et lo figliolo de Peo (i quali) expongono esser constrecti ad pagare la pena per cortellj che portavano secondo li bannjmentj delle arme Et perché Magnifici Signori le arme non sono malitiose non excedendo la mesura, domandano da V. S. gratia liberale et ad V. S. de continuo serecommanda”.

“Vir solertissimus Petrus Gentiles D.ni Pacis alter ex senatorum numero” il consigliere Pietro Gentile di Pace, uomo fra gli Anziani di grande solerzia, “ubj solitum orandj locum conscendit” sale sul pulpito dove è consueto pronunziare le arringhe e, “divino favore petito super supplicatione Marinangeli et filij Pej” dopo aver richiesto l’ausilio divino circa la supplica di Marinangelo e del figlio di Peo, “consuluit delictum occasione portatj cultellj esse recognoscendum per numerum xiiij” è del parere che il reato commesso circa il porto illegale del coltello sia da riesaminare da parte della Commissione dei Quattordici. E così se ne lava le mani. (2011)


5 - Mentre, fra un mese ed una settimana, Cristoforo Colombo scoprirà l'America, in Amelia, il 5 Settembre 1492, tal Nicolò di Andrea, detto Roscetto, già condannato dalla Curia ecclesiastica per un delitto commesso contro prete Pietro Sciucchi di Amelia, ad una pena pecuniaria ed alla scomunica, dalla quale venne assolto dopo la sua riappacificazione con la parte lesa, venne nuovamente sottoposto a condanna dalla Curia del Podestà per lo stesso delitto. Da parte del vicario generale del Vescovo Cesare Nacci, Canonico Paolo di Andrea, viene lanciata la scomunica contro Anziani, Podestà e loro ufficiali, oltre alla pena pecuniaria di 100 ducati, se la nuova sentenza di condanna non verrà cassata entro tre giorni . D'altronde, "ratione delicti", Nicolò era soggetto ad essere giudicato soltanto dal Tribunale ecclesiastico. (2001)


5 -  Viene trascritta nelle riformanze la lettera-ingiunzione inviata agli Anziani da parte del Vice-Rettore del Patrimonio Francesco de Pizolpassis, scritta da Narni il 5 Settembre 1420, della quale si riporta il contenuto:

"Como simo certi devete sapere la S. de N.S. (Martino V) ali ultimi de questo (mese) deverse partire da Fiorenza et venire a Viterbo dove nui intendemo dèssare. Et perciò date ordene de mandare la ad noy de vostri che possiamo loro et nuy visitare come se deve la sua Santità en quello modo che potete secondo la vostra possibilitate et che ciaschuno è tenuto de fare et sopra de cio aviatece bona dili(g)entia. Valete".

Si delibera di discutere il da farsi ("Quid igitur?) al Consiglio Generale, riunitosi il 9 successivo, nel quale Ormandus Petri propone: "Insenium fiat usque ad quinqueginta florenos, ad rationem L. bononenorum pro quolibet floreno" l'omaggio al papa sia del valore massimo di 50 fiorini, in ragione di 50 bolognini per fiorino e sia composto da "bladis, pullis, carnibus insalatis, in vino et in hijs de illis rebus ut videbitur dominis Antianis", cioè da biade, polli, carni salate e vino e da quant'altro sembrerà opportuno agli Anziani. Per trovare i soldi necessari, "obligata sit gabella musti proximi venturi usque ad integram satisfactionem" si provveda con il ricavo della gabella del mosto della prossima vendemmia. E così sia. (2004)


5 - Alla fine dell'800 anche in Amelia si verificarono diversi episodi di brigantaggio. Il periodico AMERIA del 5 Settembre 1897 riferisce la seguente notizia:

"Il 2 corrente, il noto negoziante Adolfo Spernanzoni, mentre in biga recavasi alla fiera che aveva luogo in Orte, venne aggredito, a circa un chilometro oltre il confine nella strada in costruzione Amerina-Ortana, da uno sconosciuto con il viso coperto a metà da un fazzoletto, che, facendoglisi avanti a tre metri di distanza col fucile spianato, gli intimò di scendere e di gettare il portafoglio. Lo Spernanzoni senza ritardo scese ed oltre il denaro (circa £.116) dové depositare in terra l'orologio con catena d'oro. Dopo ciò il malandrino gli ordinò di montare e tornare indietro, con minaccia di morte, malgrado che lo Spernanzoni insistesse per proseguire il viaggio.

“Appena sparsasi la notizia per la città, il sig. Berti R. Commissario con zelo unico e lodevolissimo, messosi alla testa dei Guarda-Boschi (sic) Comunali, insieme ai R. Carabinieri, fece fino a tardi delle minute ricerche, riuscite però disgraziatamente infruttuose.

“Abbiamo fede che non si arresti qui l'opera intelligente del medesimo, affinché il reo cada quanto prima nelle mani della giustizia, a tranquillità di queste popolazioni".

Non era ancora trascorso un anno da quando, il 23 Ottobre 1896, presso Capalbio, era stato ucciso Domenico Tiburzi, il più noto brigante del viterbese, evaso dal bagno penale esistente presso le saline di Porto Clementino di Corneto (oggi Tarquinia) il 1° Giugno 1872, insieme ad altri due detenuti, fra i quali tale Antonio Nati, successivamente tratto in arresto in Amelia.

Si ha notizia anche di altri episodi consimili, dei quali uno a pochi giorni da quello descritto sopra, avvenuto il 12 Settembre, in prossimità del podere denominato Pieralle, ai danni di Soli Egisto, da parte di un individuo armato di fucile a due canne ed un altro ancora, l'8 novembre 1899, presso Camartano, ai danni del vetturale Chierichini David, proveniente da Terni, per opera di "tre sconosciuti armati di fucile e con visi tinti". (2006)


5 - Nel periodico “Ameria” del 5 Settembre 1897 si fa il resoconto dei festeggiamenti ferragostani, svoltisi con alterne vicende, nel modo che segue:

“Quest’anno le feste d’agosto sono state contrariate dal cattivo tempo, tanto che gran parte dei divertimenti non ebbe luogo. 

“La Domenica si celebrarono le consuete cerimonie religiose con la tradizionale processione e illuminazione della Cattedrale; indi a sera fu incendiato un fuoco d’artificio.

“La mattina seguente doveva aver luogo la corsa con cavalli a vuoto, ma a causa di questione sorta tra i proprietari di essi, la corsa andò tanto a vuoto che non fu eseguita affatto.

“Nel pomeriggio, la prima corsa fu funestata da un grave incidente, la caduta cioè di un fantino, che rimasto tramortito per la violenza del colpo, fu adagiato in una vettura e portato all’Ospedale.

“Alla seconda corsa, il cielo che si era mantenuto fino allora minaccioso scaricò tutta la furia dei suoi elementi. Tuoni, lampi e un’acqua sì violenta che la popolazione rifugiatasi nei luoghi vicini rimase sequestrata fino a tarda ora, in cui rallentò la pioggia.

“In tal modo non ebbero luogo né corsa, né tombola, né fuochi d’artificio, ma solo il festival che, a causa dei molti forestieri, riescì discretamente animato.

“Il martedì a mattina si sparse per la città la notizia che avrebbe avuto luogo la corsa col fantino non eseguita il giorno innanzi ed infatti molta gente, insieme al Concerto municipale, si recarono fuori porta romana. Ma erano le undici e Deputazione e fantini a cavallo passeggiavano sempre, senza che questi ultimi si decidessero a correre per nuovi puntigli sorti tra i loro padroni.

“La popolazione, nuovamente corbellata, cominciò ad agitarsi e parte di essa vedendo che la Deputazione e le Autorità non decidevano nulla, si recò alla rimessa del cavallo che non si voleva far correre, emettendo fischi e grida.

“Il proprietario, vista la mala parata, lo lasciò in mano del popolo, che lo condusse sul luogo destinato per le corse, che così ebbero luogo.

“In tal guisa passarono le feste di Agosto che, cominciate sotto lieti auspici, vennero poi guastate dalla perversità del tempo ed un poco dalla malignità delle persone”. (2008)


5  -  Dinanzi agli Anziani e ad un consesso di numerosi cittadini autorizzati dal maggior consiglio, il 5 Settembre 1484 vengono, fra l’altro, esaminate alcune suppliche.

Una è presentata da Andrea di Gregorio, del seguente tenore:

“Denanti ad voi M. S. Antianj et Spectabilissinj Cittadinj del popolo dela citta de Amelia posti et deputati ad reformare ordinare et deliberare tucte lecose expediente (adatte) et oportune alquieto vivere de questa Città Comparisce Andrea degregorio homelmente supplicando dice et expone che concessa cosa (con ciò sia cosa) che venisse ad rixa et parole altercatorie con Giorgio albanese et jstigato dallira decto Andrea con una pietra quale haveva in mano percosse et firì aldicto Giorgio incapo (con) una percussione con sangue per la quale percossione el dicto Andrea fo condannato per la Corte delpresente misser lopotestà in fiorini doro trentasepte et mezzo, como più largamente appare allibro de mallefitij etc. perlaqual cosa havendo facta pace con dicto Giorgio como appare per mano de Ranierj de Jeronimo et essendo homo vagabundo et sensa proprio domicilio et senza alcuno subsidio de robba perche solo delafatiga et sudore dele sue braccia vive Et desiderando più presto inquesta vostra  Citta vivere et morire aliservitij de questo populu et dequesta Comunità che in altro locu, recurre ale V. S. et ala presente congregatione delarbitrio (di arbitrato) che attenta lasua devotione et fidelta (che) porta ad questa patria et ali homini di essa, se voglia degnare farli gratia liberale et remissione dela dicta sua condendascione (sic) promettendo mendarse da ogni malefare el que receverà ad gratia singolare dale V. S. et da questo popolo quale dio conserve in felice stato et exaltatione”.

Un’altra è presentata, in lingua latina, da Costantino Martinelli di Amelia, condannato in contumacia dalla Curia del podestà Lorenzo De Consulis di Visso ad 80 fiorini, aumentati di un quarto, per non aver pagato nei dieci giorni successivi, per aver, “armatus quadam squarscina de ferro quam habebat in manibus” armato di una scure di ferro che aveva in mano, percosso e ferito Pozio Piccinino “olim de lombardia et nunc de Ameria” di origine lombarda, “duabus percussionibus videlicet una in capite et alia in spatulis cum sanguine effusione” con due colpi, di cui uno in testa e l’altro sulle spalle, con fuoruscita di sangue; e questo avvenne in territorio di Narni e non di Amelia, come ampiamente documentati in atti. Essendo “pauperrima” e “miserabilis persona” ed “exul a propria patria et ad presens est cupiensque proprios lares repetere” attualmente lontano dalla propria patria e desideroso di tornarvi “actento quod fuit extra teritorium amerinum actecta etiam sua juvenili etate et summa paupertate” in considerazione che il reato fu commesso fuori di Amelia e della sua giovane età e grande povertà, chiede una riduzione della pena.

Si decide che Andrea di Gregorio dia la sua opera gratuita per 15 giorni a richiesta degli Anziani e la quarta parte dell’ammontare della condanna venga elargita a suo padre e a suo fratello, a causa della loro povertà.

Quanto a Costantino, che paghi quattro ducati “et habita pace cum adversario et refectis damnis et jnteresse” e, dopo essersi riconciliato con l’offeso ed aver risarcito il danno provocatogli, con tanto d’interessi, la quarta parte della pena pecuniaria sia devoluta ai propri figli ed il residuo gli venga abbonato. (2010)


5  - E’ stato deliberato che “electio preceptoris gramatice et rectorice (sic) facultatis ac etiam poetarum fierj debet Circumspecto Viro Grifonj Johannis de Amelia” l’elezione dell’insegnante di grammatica e retorica, nonché della scienza poetica debba avvenire nella persona del prudente uomo Grifone di Giovanni di Amelia “prout de ipsa electione patet manu Ser Garolfinj Jacobj tunc cancellarij Civitatis Amelie” come risulta per mano di Ser Garolfino di Giacomo, già Cancelliere della Città di Amelia; “sitque necesse providere de eius salario et mercede per collegium advocatorum et notariorum secundum formam Statutorum Civitatis Amelie” si rende, quindi, necessario provvedere circa il salario del precettore eletto da parte del collegio degli avvocati e notai, giusta quanto previsto e stabilito dagli statuti cittadini. E’ per sopperire a tale necessità che il 5 Settembre 1459 detto collegio è stato convocato e si è riunito per ordine “Eximij ll. doc. Domini Franciscj de comitibus de civitate Urbevetana Judicis et collateralis presentis dominj potestatis” dell’esimio Dottore in legge Signor Francesco dei Conti di Orvieto, Giudice e collaterale del presente Podestà “et eius locumtenentis” e suo luogotenente, “in sala superiorj palatij solite residentie Magnificorum dominorum Antianorum ubi talia fierj consuetum est” nella sala superiore del palazzo adibito a residenza degli Anziani, dove tali riunioni vengono solitamente tenute.

 Ser Giacomo di Ser Arcangelo, uno dei notai presenti, “animo et intentione bene consulendj dixit et consuluit quod electio magistrj gramatice fiat pro uno anno dicto Grifonj cum illo salario” con l’intenzione di agire coscienziosamente, propone che si conferisca l’incarico di precettore a detto Grifone per la durata di un anno, con quel salario che “aliquis alius preceptor” ogni altro precettore ha sempre avuto “a vigintiquinque annis et antea” da venticinque anni ed anche prima.

Ser Pirramo di Ser Arcangelo –altro notaio presente- propone “quod electio fiat dicto Grifonj pro tribus annis proxime futuris” che l’elezione di detto Grifone abbia la durata di tre anni.

Messe ai voti le proposte come sopra effettuate, il collegio delibera “quod electio fiat pro tribus annis cum salario quatraginta florenorum aurj pro primo anno et pro duobus alijs cum salario quinquaginta florenorum aurj et quod illud plus ultra salarium solvendum per commune Amelie Cives dividant inter se” che l’elezione di Maestro Grifone abbia la durata di tre anni con il salario da corrispondersi dal Comune di Amelia di quaranta fiorini d’oro per il primo anno e di cinquanta per gli altri due anni e che quanto verrà a percepire dagli scolari, oltre lo stipendio pagatogli dal Comune, venga ripartito fra i cittadini, intendendo fra i padri degli stessi scolari, ma, come narrato da Publio Francesco Laurelio, autore di una “Grifonis preceptoris Vita” (risultante da un unico manoscritto conservato presso la Biblioteca Augusta di Perugia), dello stesso è detto che “nulla nisi a ditioribus recepta mercede” non si faceva pagare se non dai più ricchi. Con ogni probabilità, Publio Francesco apparteneva alla stessa famiglia dei Laureli presente in Amelia fin dal XV secolo ed estintasi, secondo quanto tramandato da Edilberto Rosa -cultore di patrie memorie- nel 1640.

Dallo stesso Laurelio (come apprendiamo dal dotto studio del Prof. Edoardo D’Angelo “Maestro Grifone e i suoi allievi”, edito a cura della Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto) sappiamo che il Maestro Grifone si forma, a Roma, frequentando i corsi di Lorenzo Valla, Gaspare da Verona e Pietro Odo da Montopoli, imbevendosi di cultura umanistica, non disgiunta da un profondo senso di carità cristiana, derivatogli dalla frequentazione, in Amelia, con i frati francescani dell’Osservanza minoritica, che formerà, per Maestro Grifone, un costante rapporto tra vita attiva e vita contemplativa, dalla nascita, avvenuta in Amelia nel 1428 da famiglia di umili origini (il padre Giovanni era “praeco”, banditore), fino alla morte, nel 1476, causata dalla peste, contratta per aver amorevolmente soccorso un contagiato, trovato in abbandono lungo una strada. Fra i suoi allievi amerini più illustri, oltre al Laurelio, si annoverano Antonio, Alessandro e Agapito Geraldini. (2012)


6 - Nella seduta del 6 Settembre 1326, da parte degli Anziani ed in ossequio agli ordini del Capitano del Patrimonio, vengono eletti “super custodia civitatis et comitatus Amelie” per la custodia della Città e suo contado, i seguenti cittadini: Lutius d.ni Petri, Ursus Vati (de Internibilibus), D.nus Marchus, Cecchus Petri, M.r Dominicus, della Contrada Collis; D.nus Conte, M.r Paulus, Andrea d.ni Conradi, Herigus Petri, Angelus Gagliardi, Ugolinus d.ni Ufredutij, della Contrada Platee; D.nus Andreas Forni, M.r Bartholomeus, M.r Donadeus Buccj,  Cellus Bucciarelli, M.r Gregorius Bonegratie, M.r Salvatus Spaglie, della Contrada Vallis; D.nus Rugerius, M.r Cardinalis, M.r Angelus Massaruccoli, M.r Johannes M.i Bartholi, della Contrada Burgi; Jaronimus Teballoccj, Raspuncolus Centij, M.r Angelus Contis, M.r Angelus Stephanj, M.r Johannes Egidij, della Contrada Pusterole. (1999)


6 - Il 6 Settembre 1724 il problema della siccità è ormai diventato un’emergenza: “non solo nelle città circonvicine, ma anche le distanti e precipuamente Roma, si fanno orazioni e divozioni continue per implorar dalla pietà dell’Altissimo la pioggia tanto necessaria et avendo noi l’inestimabile tesoro della SS.ma Imaggine della Gloriosissima Vergine Assunta per intercession della quale abbiamo ricevute tante continuate grazie”, Bernardino Cerichelli è “di parere che anche in questo gran bisogno si ricorra al suo Padrocinio (sic), con far istanza per lo scoprimento per otto giorni da principiar venardì prossimo, con soministrar la solita cera, con far dal Popolo assistenza all’ore (di preghiera) conforme il solito, e nello scoprire si faccia il solito sparo”. (2008)


6  -   Nel consiglio decemvirale del 6 Settembre 1472 vengono esaminate alcune suppliche.

La prima è presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore et poverissimo jovene Paulo de Jacovo de Altemura habitatore de questa v. m. cipta, lo quale dice et expone come del mese di jennaro proximo passato in lo tempo chiaro et non ventoso per suo comodo et utilita mise focho in una sua possessione per poterla meglio lavorare, dapoi se levò elvento et transportò el focho in una vigna de Jo. de Tubiolo in laquale abruschò certe vite. Al presente per la corte del presente Messer lo potestà è stato condennato in libre duecento de denari et in la emendatione  del danno in nel doppio, sicomo (come se) havesse messo focho studiosamente (di proposito), del che sotto lo conseglio  de doctorj li è stato decto non essere tenuto alla decta pena perché fu caso fortuito et non con dolo, dalla quale condennatione si è appellato non per piatire con lo suo commune, ma per soctometterse ad quello et domandare gratia et misericordia. Per la qualcosa supplicha alle V. S. al decto supplicante farli gratia et dono della decta condennatione perché non serrìa possibele  mai quella pagarla, perché non possede tanto stabile che vaglia  decta quantità, overo silli faccia gratia che paghi la pena  secondo si contene nello statuto della pena de collui che abruscia la stopla in nel tempo concesso et fa danno alli vicini. Quali cose advegna siano juste et de ragione, nientedemeno lo receverà ad gratia singolare dalle V. S. quale dio conservi in felice stato”.

Un’altra supplica è di “Joannj alias decto Bezechara del vostro castello de porchiano el quale dice et expone come del mese de maio proximo passato in presentia delli M. S. Antianj quali erano in quel tempo, esso suplicante per publico instromento se obligò socto la pena de CC. ducati fino in terzo grado de non offendere ne far offendere Antonio de Pietro de Bartholomeo, sua moglie né soi parenti fino in dicto grado. Et depoi Pace suo figliolo se dice haver bactuta la moglie del decto Antonio, epso suplichante ignorantelo, del che per la decta obligatione et promissione de non offendere, epso suplicante al presente è retenuto in prescione con li cippi alli pedi per la corte del presente Messer lo potestà, al quale (supplicante) silli domandano decti CC. ducati in li quali se dice essere caduto in pena. Per la qualcosa con divotione se ricommanda se voglia liberare dalla decta detentione et pena, considerato che vole mettere et decto suo figliolo quale ha commesso el mallefitio in mano della corte del presente Messer lo potestà, (dalla) quale sia punito et gastigato secondo la forma della ragione et delli statuti della cipta de Amelia. Altramente li è necessario morire in prescione et anchi nolli pare conveniente per uno mallefitio pagare dui pene”.

Nel maggior consiglio riunitosi lo stesso giorno, per quanto riguarda la supplica di Paolo di Giacomo, questi dovrà pagare in contanti un ducato entro otto giorni e, per il residuo, non debba altre somme, ma contribuisca con opera manuale al restauro delle mura del Castello di Luchiano.

Quanto a Giovanni detto Bezzecara, gli si chiede che dia un’idonea cauzione, venga scarcerato e liberato dalla pena stabilita nel citato contratto e si sottoponga a giudizio il figlio Pace, ponendo a carico dello stesso la metà della condanna alla quale verrà assoggettato e l’altra metà a carico del padre, sotto condizione, però, che Bezzecara ottenga il perdono dalla parte offesa dal figlio e si obblighi a mantenere per l’avvenire la pace promessa. (2009)


6  - Il 6 Settembre 1538 viene tenuto il consiglio decemvirale in stile che potrebbe definirsi telegrafico. L’Anziano Fabrizio Cansacchi, con il consenso dei colleghi, legge le materie da trattare.

Vi è, innanzi tutto, da rispondere al Governatore “offerentis se Ameriam accedere si opus fuerit” che si offre di venire in Amelia se sarà necessario. Il consigliere Stefano Boccarini propone “quod respondeatur grate et quod non opportet adventus suus” di ringraziarlo, ma che non vi è alcuna necessità di una sua venuta (così si risparmieranno anche le relative spese!).

Sul secondo punto “De munere ficetularum Protectori faciendo” del dono da farsi al Protettore dei Sambucetolani: la stringata proposta del Boccarini è che “de munere fiat” si faccia.

Al terzo punto, si discute “super malefitijs committendis in nundinis an vacante Pretore cognoscantur per superstites nundinarum” se, in assenza del podestà (pretore), i reati commessi durante le fiere possano venir giudicati dai relativi sovrintendenti. L’ultra rapido Boccarini risponde che ci si attenga ai capitoli che trattano delle fiere e dei mercati.

Infine, il Cansacchi fa presente che “Jo. Franciscus Perini petit vindemiare viniam prope muros Communis” il pittore Gian Francesco Perini chiede di poter vendemmiare nella vigna che possiede presso le mura cittadine. Anche qui la risposta del Boccarini è esemplarmente rapida: “vindemia non fiat ante nundinas” la vendemmia non avvenga prima della fiera di settembre.

Tutte le proposte vengono approvate “viva voce”.

E, così, in appena una paginetta di ventidue righe di scrittura, impiegate per la sua verbalizzazione, il consiglio si è tenuto ed ha deliberato, senza neppure omettere la consueta notizia che il consigliere Boccarini, prima del suo intervento, sia sorto in piedi (“surgens in pedes”) e “nomine divino prius petito” abbia prima invocato il nome di Dio.

Ottimo esempio di stringatezza ed efficienza! (2012)


6  -  Con atto rogato dal Notaio Francesco Celluzzi del 3 Settembre 1409,  si  attesta che Giovanni Nenni, detto Cinquini, si è presentato “flexis genibus” genuflesso davanti all’Abate di S. Secondo, Padre Pellegrino, confessando di aver bestemmiato la Madonna SS.ma, come risulta anche in atti del Podestà di Amelia. Dichiara di esserne immensamente pentito ed implora l’assoluzione da tal delitto. L’Abate, dopo avergli imposta la penitenza, lo manda assolto. Sono presenti, oltre al Notaio, Padre Cristoforo Nenni di Fazio (parente del bestemmiatore?) e Ser Giovanni Andreucoli di Amelia. (2014)


7 - Il 7 Settembre 1754, nel Consiglio decemvirale, il Conte Giovanni Lorenzo Farrattini espone:

“Essendo io Sopraintendente Deputato della Fabrica di Ponte Alvario, rappresento essere già compita la fabrica del medesimo Ponte, e perché il corso dell’acqua consuma notabilmente il pilastro vecchio verso le grotti, stimo bene per riparare a danno maggiore che il muro, che dovea farsi per riparare e difendere il pilastro verso Montecimini si faccia nel pilastro verso le dette grotti, tanto più che il pilastro verso Montecimini viene riguardato e difeso da un grosso masso di muro caduto”.

Oggi la preoccupazione che l’acqua possa consumare i piloni del Ponte Alvario non esiste più, considerato che, nella prossima primavera, sotto il ponte potranno pascolare le pecore! (2008)


7  -   Nel consiglio decemvirale del 7 Settembre 1625 deve venir affrontato un argomento “pro bono publico”:

“Oltre le molte doglianze, et reclami fatti contro questo Cerusico, ce si aggiunge che, essendo stato chiamato dalli S.ri Antiani per dargli qualche avvertimento, invece di prenderlo in bona parte, se ne alterò di manera, che dette in parole molto esorbitanti, et si licentiò da questo servitio: si propone però che pare di fare a beneficio pubblico”.

Il consigliere Bartolomeo Casini formula la seguente proposta: “Al cerusico se dia bona licenza, si faccia altra elettione et si reporti al (consiglio) generale”. Quest’ultimo, convocato lo stesso giorno, delibera “che li Sig.ri Antiani facciano li deputati a trovare altro Cerusico, già che questo si è licentiato”.

E così ebbe termine la carriera amerina di un medico troppo suscettibile! (2009)


7  -  Il 7 Settembre 1505 la peste è un pericolo reale ed attuale e rende ancor più gravi le già precarie condizioni di vita. Se ne ha una testimoniamza quando viene congregato il Consiglio del Popolo, nel quale, fra l’altro, “Guglielmus Tubicin Communis” Guglielmo, araldo del Comune, rende noto “non posse vivere ex tam parvo salario” di non poter vivere con un salario tanto misero e chiede “aliquid plus sibi concedi stantibus temporibus penuriosis” qualcosa di più, a causa dei tempi di grande penuria. Il consigliere Angelo Antonio Geraldini propone che “Guglielmo Tubicini pro mensibus septembris et octubris, stante peste, omnibus computatis, habeat florenos septem ad quinquaginta pro suo salario”, al “trombetta” Guglielmo, in considerazione della peste, tutto calcolato, gli siano corrisposti, quale salario, sette fiorini, in ragione di 50 bolognini per fiorino. La proposta è approvata “una voce et unanimi voto” a voce univoca e voto unanime. (2010)


8 - Nascita di Maria SS.ma. La nascita della Vergine Maria rappresenta per il mondo cristiano il momento iniziale dell'attuazione del disegno di Dio ("termine fisso d'eterno consiglio") per l'Umana Redenzione.

Amelia, dedicata alla Vergine, ha da sempre celebrato tale ricorrenza con particolare solennità.

Mai nessun poeta ideò più elevate espressioni e concetti di una maggiore potenza di quelli che Dante Alighieri fa pronunciare a S. Bernardo nell'orazione rivolta alla Vergine all'inizio del XXXIII canto del Paradiso.

Ci è sembrato opportuno e particolarmente appropriato alla ricorrente festività sottoporre le rime dantesche, di sovrumana ispirazione, alla meditazione di quanti ci leggono, esortandoli -perché no?- a mandarle a mente, come una meravigliosa preghiera.

"Vergine madre, figlia del Tuo Figlio,

umile ed alta più che creatura,

termine fisso d'eterno consiglio.

Tu se' Colei che l'umana natura

nobilitasti sì, che il suo Fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre Tuo si raccese l'amore,

per lo cui caldo, nell'eterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui sei a noi meridiana face

di caritade, e giuso intra i mortali

se' di speranza fontana vivace.

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a Te non ricorre,

sua disianza vuol volar senz'ali.

La Tua benignità non pur soccorre

a chi dimanda, ma molte fiate

liberamente al dimandar precorre.

In Te misericordia, in Te pietate,

in Te magnificenza, in Te s'aduna

quantunque in creatura è di bontate".

(1997)


8 - Dal diario della Sig.ra Vicenzina Barcherini Spagnoli, sotto la data dell'8 Settembre 1943: "si è sparsa la notizia dell'armistizio con gli Angloamericani. Mi sono proprio inquietata quando ho inteso suonare le campane a festa (!!!). Alla radio si è intesa solo la voce d'America tremenda ed arrogante: la pace senza condizioni". Dallo stesso diario, il giorno successivo: "Quasi tutto il giorno si sono intese detonazioni: le notizie più o meno infondate si susseguono e accavallano: i tedeschi combattono contro gli italiani o contro gli inglesi sbarcati un po' dappertutto. Andirivieni di macchine militari, allarme e fuggi fuggi per i passaggio di tedeschi e perfino le note amene: ufficiali travestiti da preti!". E ancora l'11 Settembre: "Le tremende notizie dalle radio straniere riempono di desolazione. I tedeschi e gli italiani si combattono ovunque e in vari punti sbarcano gli angloamericani. Roma è in mano ai tedeschi. Sono venuti dei tedeschi a cercare i soldati italiani, erano armati ma non hanno fatto niente". Ancora il giorno successivo: "Si è intesa la radio tedesca e angloamericana: fanno drizzare i capelli nel sentire che cosa ci dovrà capitare: non resterà nulla in piedi". (2005)


8 - L'8 Settembre 1518 si fa il consuntivo delle scorte armate inviate dai castelli a presidiare il mercato ("nundine") tenuto in Amelia in tal giorno, in cui si verifica "maximo advenarum conventu" un maggior raduno  di forestieri. E' interessante ascoltare i commenti che il  cancelliere verbalizzante fa, analizzando i singoli invii: "De Castro Porchianj venerunt septuaginta armis coruscantibus armati" da Porchiano vennero 70 armati con armi scintillanti; "De S.to Focetulo et Foce propter castrorum tenuitatem sunt triginta pedites sed robustissimi" da Sambucetole e Foce, data la povertà dei castelli, ne vengono inviati 30, ma molto robusti; "De castro Montis Campani quinquaginta metuendi pedites" da Montecampano 50 temibili fanti; "De Colcello et Frattuccia quatraginta milites animosj" da Collicello e Frattuccia 40 armati coraggiosi; "A Fornulo viginti octo sed fortes" da Fornole 28, ma forti; "De castro Macchie quindecim. Quos omnes ita armatos Magnifici Domini benigne in eorum palatium receperunt omnesque epulati sunt deinde ad tutelam ac custodiam Civitatis et nundinarum se contulerunt" Da Macchie, 15. I quali tutti, così armati, furono benevolmente ricevuti dagli Anziani nel loro palazzo e rifocillati e, quindi, si recarono a svolgere il servizio di custodia e sorveglianza della Città e del mercato.  (2007)


8  -   L’8 Settembre 1473 il Cancelliere dà il resoconto della fiera svoltasi “legitimis diebus” nei giorni prescritti, nei quali “ne ob turbam ex omnibus et remotis et vicinis locis confluentium hominum seditio aut indignum facinus oriretur” affinché non sorgessero disordini o vergognosi misfatti per la moltitudine degli uomini affluenti dai luoghi vicini e lontani “per excellentes Dominos accurate provisum est” dagli eccellenti Signori (Anziani) venne accuratamente provveduto. Il Cancelliere passa, quindi, ad enumerare gli uomini armati inviati da ogni Castello per assicurare un pacifico svolgimento del mercato, soffermandosi a lodare particolarmente gli abitanti di Porchiano,  nel quale “nulla domus apud eos fuit unde non robustus armatusque miles accesserit” non vi fu casa da cui non venisse un uomo robusto ed armato. Nove ne fornì Foce, dodici Collicello, cinque Frattuccia, soltanto due ne vennero da Fornole, che però, nel giorno della fiera amerina, aveva necessità di restare munito; sei ne fornì Montecampano ed altrettanti  Macchie, diciotto arrivarono da Sambucetole, ma addirittura sessanta ne giunsero da Porchiano! (2009)


8  -  Il Legato per l’Umbria Giovanni Borgia, Cardinale Diacono di S. Maria in Via Lata, scrive da Terni una lettera in data 8 Settembre 1497, con la quale, pur considerando la severità del provvedimento (“etsi durum videri perpendimus”) limita drasticamente la facoltà di alienare i propri beni (“alienandi proprias facultates interdicere”), avendo potuto constatare, a causa della durezza dei tempi provocata da carestia e pestilenza, che in molti luoghi della provincia soggetti alla propria legazione, avutone testimonianza da molte persone degne di fede, tanto appartenenti al clero, che laiche (“fidedignorum testimonio tam religiosorum quam laicorum”) che, sia a causa delle guerre, che per una penuria senza precedenti (“tam propter guerras quam etiam propter penuriam inauditam”), si pongono in atto numerosissimi contratti e patti che rivelano la loro malvagia dipendenza dall’usura (“jnfiniti fiunt contractus et pacta usurariam pravitatem sentientes”), profondamente contrari tanto al diritto divino, che a quello comune (“tam iure divino quam positivo penitus reprobati”). Altri poi disperdono le proprie sostanze in diversi modi (“Alij vero substantiam ipsorum aliter dirimunt”) e, con violenze, vengono costretti a vendere ad un vil prezzo i beni messi insieme in un lungo periodo di tempo e con il massimo sudore proprio e dei propri familiari (“bona longo tempore et maximo cum sudore suo autorum quam suorum quesita et penitus pro vili quodam pretio coguntur alienare”). Volendo, quindi, porre un salutare rimedio a tale situazione, si prescrive che i contratti di vendita siani proibiti (“contractus et alienationes fiant prohibiti”), sotto pena di 500 ducati (“sub pena quingentorum ducatorum”, di cui la metà sia incamerata dalla Camera Apostolica e l’altra da chi effettua l’esecuzione (“cuius quidem pene medietas Camere Apostolice applicetur, alia vero executori”) e, se verrà fatto diversamente, l’atto posto in essere sarà nullo di diritto e di nessun effetto (“ipso iure sit nullus, nulliusque momenti”), a meno che, negli atti stessi, intervengano il podestà od altro equivalente ufficiale, nonché due consanguinei o affini più prossimi al venditore e se non fosse possibile reperire costoro, dovrà essere presente il padre spirituale della parrocchia di appartenenza dell’alienante. Tali disposizioni dovranno venir osservate tanto per le alienazioni, che per gli atti di assoggettamento a pegni od ipoteche.

A distanza di alcuni mesi -e precisamente il 10 Febbraio dell’anno seguente-Agapito Geraldini, referente degli Amerini e loro patrocinatore presso la corte pontificia, trasmette la revoca del decreto contenente tali drastici provvedimenti, effettuata dallo stesso Cardinale Legato Giovanni Borgia, con un successivo decreto, nel quale, giustificando il rigore delle decisioni  adottate a suo tempo “solo per obviare al illiciti et dannosi contracti” che “al tempo dela proxima (passata) peste et carestia erano in la vostra Ciptà”, precisa che “qualuncha vorrà in li casi expressi in dicto decreto contrahere, farlo possa, obmesse le altre sollemnità ... pur che habbeano expressa licentia dal vicario generale del vostro R.do vescovo ... né altramente fare se possa, socto la pena nel dicto decreto nostro expressa”. (2010)


8  -  In data 8 Settembre 1519, alla presenza e con l’intervento mediatore del Vescovo Giustiniano Moriconi per una parte e del Podestà Bartolomeo Ercolano di Fano per l’altra, viene solennemente firmato un atto di riappacificazione, con tanto di “osculo pacis jnterveniente” scambio del bacio della pace, stipulato dalle parti per sé, eredi e successori fino al terzo grado secondo il diritto canonico; e, ciò, in seguito ad una rissa, con tanto di ferimenti, intervenuta fra Mariotto Cansacchi, gli ufficiali del podestà, Aurelio Boccarini e Dardano Piccione Sandri e rispettivi spalleggiatori e complici. Nell’atto di pace vengono usati tutti i termini usuali e consueti in simili occasioni, “cum solemnibus stipulationibus ab utraque parte jntervenientibus” e l’oggetto del contratto viene dettagliatamente indicato: “pacem concordiam remissionem absolutionem perpetuam et bonam voluntatem” pace, concordia, remissione, assoluzione perpetua e buona volontà, “de omnibus et singulis jniurijs assaltis percussionibus et vulneribus ... usque in presentem diem illatis factis commissis et perpetratis” di tutte e singole ingiurie, aggressioni, percosse e ferite inferte, fatte, commesse e perpetrate fino al giorno presente. “Et presertim pro percussione et vulnere illato per Piccionem predictum (Dardano Sandri) jn personam Aurelij (Aurelio Boccarini) cum perpetua membrorum debilitatione”;  e, in particolare, per le percosse e le ferite inferte dal Sandri nei confronti di Aurelio Boccarini, che ne riportò permanente menomazione delle membra, per le quali si richede “quod Piccionus coram ipso Episcopo constitutus genuflexus petat pacem sub his verbis: ve domando perdono jmperocché cognosco haver facto male et sensa causa, et Piccionus exulet a dicta Civitate per annum” che Piccione, alla presenza del vescovo, in ginocchio chieda perdono con le citate parole ed il successivo allontanamento dello stesso dalla Città per un anno. (2011)


8  - L’8 Settembre 1470 si tiene un consiglio decemvirale particolarmente ricco di argomenti da trattare. Fra gli altri, “cum prope sit vendembiarum tempus, super quibus vendembijs exigi debet data musti sive uvarum, pro solutione subsidiorum camere apostolice” essendo vicino il tempo delle vendemmie, sulle quali deve venir assolta la dativa (gabella) del mosto o dell’uva, per far fronte al pagamento dei sussidi dovuti alla Camera Apostolica, “placeat igitur providere quando debeat vendembiari et quomodo et qualiter ac ad quam rationem dictam gabellam exigi debeat. Et quando ferie vendembiarum mictantur” si chiede di stabilire la data dell’inizio della vendemmia ed in che modo ed in quale misura debba essere applicata detta gabella; inoltre, quando siano proclamate le relative ferie (che avrebbero sospeso i termini di scadenza  delle esazioni e dei processi civili). Nel consiglio generale, seguìto il successivo giorno 9, si dispone “quod vendembie incipiantur et fiant in festo santi Michaelis  archangeli, jnfine presentis mensis, quo die festivitatis predicte ferie mictantur” che le vendemmie inizino il giorno di San Michele Arcangelo, (il 29 Settembre), e nello stesso giorno siano decretate le relative ferie e che la gabella dell’uva sia fissata  “pro qualibet salma uvarum bestie asinine in bolonenum unum et qualibet salma uvarum bestie cavalline vel muline in quatrenos quinque” in un bolognino per ogni salma caricata su bestia asinina ed in cinque quattrini se caricata su cavallo o mulo, “et pro qualibet salma musti quatrenos sex” mentre la gabella del mosto sia fissata in sei quattrini la salma. 

Altro argomento: occorre decidere “unde veniant pecunie in communi pro solutione vigintiduorum ducatorum vel circha, debitorum Cesario de Bandinis de Castro plebis, olim potestati Civitatis Amelie pro residuo sui salarij. Cum per suas licteras directas huic communitati multum se condolet et dicat iam obtinuisse licteras represaliarum contra homines et bona huius Civitatis” dove trovare i soldi per pagare circa ventidue ducati dovuti a Cesario de Bandinis di Città della Pieve, un tempo (nel 1467!) podestà della Città di Amelia, quale residuo insoluto del suo stipendio e, con una lettera inviata a questa Comunità ha manifestato tutto il suo rincrescimento per l’accaduto, facendo inoltre sapere di aver già ottenuto la concessione di rappresaglie contro gli uomini di Amelia ed i loro averi. V’è anche da provvedere al reperimento dei denari “pro solvendo cippum campane magne communis et quoddam travicellum mictendum in prima sala palatij residentie dominorum Antianorum et expensas factas in actamine fontis communis, videlicet delasanta” per pagare l’affusto della campana grande del Comune ed un travicello da sistemare nella prima sala del palazzo anzianale e per spese occorse nel riattamento della Fonte comunale detta “della Santa”. Si decide che, per le dette necessità finanziarie, si attinga “de datis veteribus” dalle dative già imposte, “cum in dictis datis veteribus est maxima summa denariorum exigenda”, delle quali dative è restata da esigere una rilevante quantità di denaro: è come dire si paghi un debito del Comune con i debiti dei cittadini!  

Occorre altresì far previsione “de novo sale futuri annj, jnponendo et conducendo, et quomodo et qualiter debeat solvi, ac etiam de centum viginti ducatis vel circha deficientibus in solutione salis veteris, videlicet presentis annj pro bucchis mortuis” del sale che dovrà essere fornito e trasportato per il prossimo anno e con quale sistema debba venir soddisfatto; inoltre occorre provvedere a pagare i circa centoventi ducati che sono restati insoluti per il sale fornito nell’anno in corso, considerando le persone che sono venute a mancare (“bucchis mortuis”!). Si decide “quod  pro dicto sale mictatur ad Salariam Urbis Rome quam citius poterit et quod qualibet buccha teneatur solvere pro dicto sale decem et octo bolenenos” che, per la fornitura del sale, si invii quanto prima possibile a farne rifornimento alla salara di Roma e che, per il suo pagamento, ogni bocca (cioè ogni individuo) debba dare diciotto bolognini. Così il sale diventerà sempre più … salato!

Ed inoltre: “petrus Capitonus de Santo Gemino et ser Nicolaus eius frater petunt per dictum consilium providere quod differentia que vertitur jnter commune Amelie et ipsos, occasione grani depositati et recollecti jn possessionibus Turris picchi, videatur et declaretur, cum ipsi intendant semper remanere boni filij et servitores huius communitatis” Pietro Capitone di Sangemini e ser Nicolò suo fratello chiedono che il consiglio provveda ad esaminare e risolvere la vertenza esistente fra loro ed il Comune di Amelia, avente ad oggetto il grano depositato e raccolto nella tenuta di Torre di Picchio, poiché essi hanno dichiarato di voler rimanere sempre buoni figli e servitori di questa Comunità. Nel consiglio generale si decide che si eleggano due o tre cittadini, cioè Ser Andrea di Pietro e Ser Nicolò di Carlo, che siano bene informati tanto dei fatti, quanto dei termini della vertenza ed abbiano autorità di trattare e ciò che loro decideranno  “valeat et teneat pleno jure” abbia piena efficacia giuridica.

Si esaminano, infine, alcune suppliche. Una è presentata dagli eredi di un tal Francia (forse un immigrato d’oltralpe), i quali “sint septem et pauperes et sint in maxima necessitate constituti” sono sette e tutti indigenti ed astretti da grandi necessità; chiedono, pertanto, che si faccia loro grazia delle dative imposte “quomodocumque et qualitercumque usque in presentem diem” di qualsiasi genere e natura e per qualsiasi motivo, fino al presente e “pro futuro intendant et velint solvere debitum ipsorum prout ipse date fuerint imposite in communi predicto” per l’avvenire si dichiarano pronti e disposti a pagare le dative che verranno applicate dal Comune. “Amore dei” per l’amore di Dio, si decide di accogliere la loro supplica.

Altra supplica è presentata da “Arcangelo de Antonio de Sognale de Amelia, elquale dice narra et expone come per lupresente misser lupodestà de questa Magnifica Cità et sua corte è stato condampnato in ducati cento doro in contumacia per casione de uno mallefitio dedui (di due) ferite sellioppone (di cui viene accusato) che ha facte nela persona de Hercule de Amelia suo cognato, alche dicto Arcangelo dice haverli facta solum (soltanto) una ferita et questo solo per sua defesa, et non con animo de ingiuriarlo eldicto Hercule, maperché eldicto hercule havea preso eldicto Arcangelo perlulabro colidenti, li fo (gli fu) necessario de defenderse. Per laquale cosa supplica ale V. M. S. che solo de una  ferita como è el vero sia punito et non dequello che non ha facto; et de questo che ha facto demanda misericordia (che) se li remectano (gli vengano riconosciuti) libenefitij concessi dala rasione (legge) et dali statuti de questa M.ca comunità, et la quarta parte (della pena) se offerisce de pagare in contanti. Altramente li serrìa necessario defenderse con quilli remedij (che) se concedono perla rasione (ma non certo a morsi, pugni e calci!), de che ne serria malcontento. Et questo quantunque sia iusto et consueto sempre farse per (da) le V. M. S. a chi (quelli che) scorrono (cadono) in simili errori, niente de meno loreceverà ad gratia singulare dale V. M. S. lequali dio conserve jnfelicissimo et prospero stato”. Il maggior consiglio ammette la credibilità della supplica di Arcangelo, “que suo videre est iustissima et in ea est narrata veritas” che, a suo giudizio, è più che giusta e risponde a verità “ac etiam atenta bonitate ipsius Arcangeli qui invero semper fuit fidelissimus huius communitatis” ed in considerazione della sua buona indole e della grande fedeltà sempre dimostrata a questa Comunità, gli concede quanto richiesto, “videlicet quod solvat duodecim ducatos cum dimidio Camerario communis amelie tempore offitij presentis Antianatus” cioè che paghi dodici ducati e mezzo al Camerario del Comune nel periodo in cui resta in carica l’attuale Anzianato, “pro uno vulnere facto in capite Herculis” per una sola ferita recata in testa a detto Ercole; per il residuo, “fiat sibi gratia liberalis” gli si faccia grazia, “Statutis et alijs incontrarium fatientibus non obstantibus” malgrado quanto previsto dagli statuti e da altre disposizioni che si pronunciassero in modo diverso. (2012)


8  -  Pietro Ciardi Racani l’8 Settembre 1502 stipula con i Mastri Vincenzo di Giovanni Collioni da Gallese e Marco di Otricoli la costruzione di un ospedale, da intitolarsi a S. Leonardo. Il corrispettivo viene stabilito in ragione di sei ducati e nove baiocchi per ogni pertica di muro, computato il vuoto per il pieno ed il pagamento verrà effettuato per due terzi in contanti ed il rimanente in generi: panni, grano, vino, pane, olio, ecc. Gli imprenditori assumono l’obbligo di consegnare l’edificio completo entro due anni dalla stipula del contratto.

La gestione dell’Ospedale -secondo quanto già disposto dal Ciardi in un suo testamento del 25 Agosto 1502 e riconfermato il 27 Maggio 1503 con altro testamento- lo stesso vuole sia affidata  alla Società del Corpo di Cristo, che dovrà deputare tre confratelli a tal fine, uno dei quali dovrà essere confermato  dal Guardiano degli Osservanti (del Convento di S. Giovanni Battista) e dovrà, ogni anno, render conto delle entrate e delle uscite.

Si riparla del Ciardi sotto la data del 12 Febbraio 1505, quando lo stesso effettua una copiosa donazione di tutti i suoi beni al Monastero ed Abate di S. Antonio di Vienne (Francia), per una erigenda Precettoria -salvi i lasciti già disposti- con l’obbligo di passare ogni anno dodici petitti (circa ventiquattro litri) d’olio al Convento di S. Giovanni Battista, oppure, mancando il raccolto, di cento bolognini.

Questo gran possidente -come annotato da Mons. Angelo Di Tommaso nei suoi appunti tratti dagli atti notarili dell’Archivio Mandamentale di Amelia- può considerarsi come il massimo benefattore di opere pie. (2014)


9 - Agli Anziani di Amelia il 9 Settembre 1816 viene notificato:

“Deve allestirsi con tutta celerità un locale per una Brigata di Carabinieri a Cavallo, che và a stabilirsi in questa Città, e munirsi degli utensili necessari come appresso.

“1: La scuderia capace di contenere otto cavalli, ed un magazzino sufficiente per foraggi, e biada necessari al consumo di un anno.

“2: Un locale per abitazione di sei individui, il quale deve essere composto di sei stanze per comodo di dormire, ed una per uso del Capo di Brigata, questa dovrà essere fornita d’un tavolino, due sedie ed una scanzia; le altre per dormire, doaranno, cadauna separatamente, essere fornite di camino, un tavolino, due sedie, un letto formato di banchi, tavole, pagliaccio, matarazzo, cuscino, capezzale, numero quattro lenzuoli, due federette, ed una coperta di lana.

“3: In ogni stanza vi saranno gl’utensili di cucina consistenti in una marmitta, un sgombarello, schiumarola, marraccio, una brocca, dieci piattini, ed una gamella.

“Sono avvertite le SS. Loro Ill.me, che l’importare della pigione del locale sarà bonificato dal Publico Errario per mezzo della Congregazione Militare.

“Raccomando alle SS. Loro Ill.me la prontezza e decenza, prevenendole, che quella responsabilità rigorosa, che il Governo pone sopra la mia persona, sarà sopra di loro sulle conseguenze, che potrebbero derivare per qualunque ritardo”.

Tanto valeva requisire l’albergo, ammesso che ve ne fosse uno! (2001)


9 - Al cospetto degli Anziani "collegialiter existentibus, congregatis in sala superiori palatij eorum residentie", il 9 Settembre 1471 si presentarono le infrascritte persone, di origine greca e slava, insediatesi nel Castello di Sambucetole a seguito degi accordi e capitolati stipulati fra il Comune di Amelia e Nicolao Cocle "de Peloponiso" il 20 Marzo (v.) dello stesso anno, per ripopolare detto "Castrum", devastato dalle soldatesche di Paolo Orsini nel 1413. Essi sono indicati con i seguenti dati anagrafici.

Oltre allo stesso Nicolao Cocle "de Peloponiso", troviamo: "Simon Giagim, Micchael Luce, Valentinus Petri, Parosinus, Pe(t)rus, Pe(t)rus Nicolai, Paulus Banicchius, Joannes, Paulus, Bartholomeus Gregorij, Tomas Tinnine, Lucas Radi, Zacobus Jo., Paulus Jacobi, Paulus Speronj, Paulus Micchaelis, Joannes Micchaelis, Gregorius Galiocti, Gregorius Micchaelis et Georgius Sutor, Tomas, Macteus". Alcuni, come si vede, sono indicati con il solo nome. Probabimente si trattava del primo scaglione delle 50 famiglie che detto Cocle si era impegnato a far venire per ripopolare il Castello di Sambucetole. Essi, come specificato in atto, erano "partim de partibus Grecie et partim de partibus Sclavonie" alcuni della Grecia ed altri slavi delle coste adriatiche, da poco insediatisi nel Castello. Gli stessi giurarono, con la mano sul vangelo "et jurando promiserunt in Castro predicto tam per se ipsos quam etiam vice, nomine eorum et cuiuscumq. ipsorum filiorum, heredum posterorumq. ac successorum se perpetuos daturos atque dederunt omagium, fidelitatem, observantiam, servitutem et devotionem" e con il giuramento si impegnarono per sé, eredi e successori, a prestare in perpetuo omaggio di fedeltà, sottomissione e sudditanza al Comune di Amelia ed ai suoi rappresentanti e ad osservare tutti i patti, clausole e condizioni come convenuto con il sopra citato accordo. Il tutto "ad honorem, pacem, quietem, felicitatemque perpetuam jncliti et victoriosi Communis Amelie" ad onore, pace, tranquillità e perpetua felicità dell’illustre e vittorioso (!) Comune di Amelia. 

Il resoconto dell'atto di giuramento, che può considerarsi come una vera e propria cerimonia di investitura, si conclude con un doveroso "et sic Deo placeat. Amen" e così piaccia a Dio. E così sia. (2004)


9  -   Il 9 Settembre 1473 si dà atto che “Ufridutio Petri Jacobi qui ob blasfemiam in centum et quinquaginta libras condemnatus erat bonis ex causis consensu Petri de Zanolinis honorabilis potestatis Amelie” ad Uffreduccio di Piergiacomo, che, a causa di blasfemia era stato condannato a pagare 150 libre, per buoni motivi, con il consenso di Pietro de Zanolinis, onorevole podestà di Amelia, “a Magnificis Dominis Antianis populi dicte Civitatis valiturus per totum presentem septembris mensis anni Millesimi quadringentesimi septuagesimi tertij in forma salvus conductus securitas data est” dagli Anziani del popolo di detta Città è stata concessa franchigia e sicurtà, da valere per tutto il mese di Settembre 1473. Non è stato comunque precisato quali siano stati i buoni motivi che hanno determinato un simile provvedimento. Forse Uffreduccio godeva di qualche buona conoscenza? (2009)


9  - Occorre assolutamente provvedere al reperimento del denaro necessario al pagamento dell’aumento del prezzo del sale imposto dalla Sede Apostolica ed il 9 Settembre 1540 gli otto cittadini, nominati per trovare una soluzione ad un tanto pressante problema, si riuniscono in una sala del Palazzo Anzianale. Grifeo, uno degli otto, -”gravissimus vir”- esordisce dicendo: “Pecuniae pro salis augumento persolvendae ni(si) celeriter repertae fuerint, ad urbemque translatae, sumus incursurj in periculum et iacturam Reipublicae nostrae non vulgarem”: se i soldi per pagare l’aumento del sale non saranno trovati celermente e recati a Roma, si incorrerà in grave pericolo e disgrazia per la nostra Comunità. Ludovico Nacci -”vir ultimae senectutis reipublicaeque boni amans” uomo di grande anzianità (e, quindi, saggezza) ed amante del bene comune- propone che gli Anziani quel giorno stesso o, al massimo, l’indomani, nominino un cittadino da inviare a Giove “ad Jll.mam Conterinam (sic) Farnesiam” all’illustrissima Caterina Farnese, che sia persona affidabile “ei imprimis familiarem” e, sopra tutto, a lei gradita, la quale, a nome della Comunità di Amelia, “expostulet ab ea mutuo scutos tercentum” le richieda la concessione di un mutuo di trecento scudi, fornendole la garanzia che “ei magis expediverit” le sarà più gradita ed, a titolo di interessi, le venga consegnata la terza parte dei proventi della gabella generale. La proposta, ritenuta “Reipublicae saluberrina” di grandissima convenienza per la Comunità, viene approvata a voti unanimi. Come se contrarre debiti potesse ritenersi opera meritoria! 

Seduta stante, viene nominato ambasciatore alla Farnese Ser Gerolamo Nacci, il quale, con la massima sollecitudine, si reca a Giove, dov’è accolto da Donna Caterina “hylari animo” con animo ben disposto (addirittura con allegria!) e, quindi, “ut brevi concludam” in parole povere, “audita et animadversa petitione oratoris nomine reipublice prolata” dopo aver lei ascoltato e considerato la richiesta dell’oratore, presentata in nome della Comunità amerina, “continuo, absque cunctatione aliqua, perque benigne, ut suus mos est” immediatamente, senza alcuna esitazione e con grandissima benevolenza, com’è suo costume, “respondit velle Communitati inservire” rispose di voler favorire la Comunità e che “crastina dies mictatur pro tercentum scutis” l’indomani si mandi a riscuotere i trecento scudi, “ad quos recipiendos” per la qual operazione, il Nacci propone si dia incarico a Dardano Sandri. Come riferito e deliberato, lo stesso Sandri “et ego Ptolemeus Cancellarius destinati fuimus” unitamente al Cancelliere verbalizzante Tolomeo (di Martinangelo de Cuppis di Montefalco) vengono designati ed inviati alla Farnese per la riscossione della somma concessa a mutuo, per la quale “gratias immortales nomine totius Amerinj Publicj egimus” rendono imperituri ringraziamenti a Donna Caterina, a nome di tutta la Comunità, “Ameriamque inde recedentes velocissimis pedibus repetuimus hylares et incolumes Dei optimj maximique gratia ac beneficio” e, quindi, con la massima velocità (“velocissimis pedibus”, tanto da far invidia al pié veloce Achille!), per grazia e bontà divina, ritornano ad Amelia, felici ed incolumi. Che faticata! (2012)


9  -  Il 9 Settembre 1408 viene stipulato, dal notaio Francesco Celluzzi, un  atto piuttosto singolare. I fratelli Arcangelo e Beraldo di Ser Pietro Mannucci sono titolari del diritto di enfiteusi su di una casa di proprietà della Chiesa di S. Paolo di Amelia. Volendo alienare i loro diritti e non potendolo fare senza il consenso del Rettore di detta chiesa, si recano presso di essa con testimoni e, in loro presenza, vi fanno richiesta del Rettore; ma, poiché la chiesa manca del Rettore, nessuno risponde e i due fratelli procedono ugualmente alla cessione dei loro diritti a Goro Mannucci, loro zio, “salvis juribus ipse Ecclesie” salvi i diritti della stessa chiesa. Lo zietto paga, come corrispettivo, cento libre. E chi si è visto, si è visto e chi non si è visto (come il Rettore) non si vedrà più. (2014)


9  -  Il 9 Settembre 1523, per i buoni uffici del Vescovo Giustiniano Moriconi e degli Anziani, si è concluso atto di pace fra Cesarina de’ Naccis e Fabrizio de’ Cansacchis; ed il notaio Francesco di Cristoforo è chiamato a redigere il relativo atto pubblico davanti al Podestà. Donna Cesarina era stata diffamata da Fabrizio, che, pubblicamente e solennemente, confessa il suo torto. Ed ecco le sue parole, trascritte letteralmente dal notaio: “Madonna Cesarina, la infamia de lo adulterio io ve ho data iniustamente, cum (col) dire che siete stata trovata cum Jo. Antonio. Confesso essere stato io et non altri che ve ho data simile infamia a torto: ve ne adomando perdonanza”.

C’è da immaginare come si sarà sentito Fabrizio in quell’occasione! (2014)


10 - Il 10 Settembre 1500 il Castello di Montecampano viene occupato dall’esercito di Vitellozzo de Castello e di Paolo Orsini e loro alleati e dato alle fiamme: “quod scelus omni etate Comunitati Amerine memorandum est”: tale crimine sarà sempre ricordato dalla Comunità Amerina e non resterà “sine ultione maxima”, senza aspra vendetta.

Non molti giorni innanzi, il 31 Agosto, anche il Castello di Macchie era stato devastato dall’incendio: “tanta fuit rabies Aloysi de Alviano et Blaxini de Actis de Tuderto ut, aspernata pace cum amerina civitate confecta, occupaverunt castrum Macchie et pene illud igne cremaverunt: licet postea terribili metu populi amerini e dicto castro turpiter aufugerunt”: tanta fu la rabbia con cui Luigi d’Alviano e Biasino degli Atti di Todi, violata la pace fatta con la città d’Amelia, occuparono il castello e lo incenerirono quasi completamente; quindi, con grande spavento della popolazione, se ne fuggirono obbrobriosamente dal medesimo. (2000)


10 - Il 10 Settembre 1329 si dibatte in consiglio di "providere super renovationem statutorum communis et populi Civitatis" provvedere circa il rinnovo (la revisione) degli statuti del Comune e del popolo. Viene formulata la proposta che "statutarij tam communis quam populi eligantur per dominos Antianos" per la modifica degli statuti, tanto del Comune quanto del popolo, vengano eletti i rispettivi statutari "qui dicta statuta renovent addant et detrahant ut eis videbitur convenire" i quali procedano al loro aggiornamento, apportandovi modifiche, aggiunte o soppressioni, come meglio loro sembrerà opportuno "et ipsa renovatio habeat locum per spatium unius mensis" e tale revisione abbia luogo nel giro di un mese, per fare in modo che detti statuti, così riveduti, possano poi venir approvati il primo (cioè quello comunale) nel maggior consiglio ed il secondo (del popolo) nel relativo consiglio “de populo”, tramite votazione da farsi a maggioranza dei presenti.

Dei due statuti -comunale e del popolo- è a noi pervenuto soltanto il secondo, che aveva comunque prevalenza sul primo, come recita la rubrica 9 del libro sesto del codice manoscritto del 1330: "Quod statutum comunis sit cassum ubi esset contrarium presenti statuto populi": lo statuto comunale sia nullo, se contrario a quello del popolo. (2007)


10  -   Il 10 Settembre 1473 il solerte Cancelliere comunale annota nelle riformanze che “quinque pondo funale ex anniversali voto Beatissimo  Nicole de Tolentino publice ac religiose oblatum est” con rito pubblico religioso, in occasione della ricorrenza della festa di S. Nicola da Tolentino (che cade, appunto, il 10 Settembre), venne offerto in voto un cero del peso di cinque (libbre) al detto Santo, “qui deum assidue precetur ne urbs Amerina grave unquam aliquid patiatur” affinché preghi assiduamente Dio che la Città di Amelia non abbia a patire qualche grave sciagura. (2009)


10  -  Poiché fin dal 4 Aprile era stato eletto nuovo pontefice Callisto III, il primo papa Borgia della storia della Chiesa, era necessario tributargli le dovute attenzioni. Se ne ha un’eco fra le spese straordinarie discusse ed approvate nel consiglio speciale del 10 Settembre 1455, fra le quali possiamo leggere:

“Magistro Mario Ser Nicolay pro pictura Armorum S.mi d. n. pape Calistj Tertij in duobus locis videlicet in pariete palatij solite residentie dominorum Antianorum a parte exteriori et in pariete Turracchij porte pusciolinj a parte exteriorj, pro suo salario et mercede florenos duos aurj” a Maestro Mario di Ser Nicolò, per aver dipinto l’arme del S.mo Signor Nostro il papa Callisto III in due diversi luoghi e, cioè, sulla parete esterna del palazzo residenziale degli Anziani e sulla parete esterna del torracchio della porta Busolina, per corrispettivo delle sue spettanze, 2 fiorini d’oro.

Con l’avvento al soglio di Pietro di detto papa, il nepotismo subì un incredibile incremento, sia fra le cariche ecclesiastiche e di Curia, che fra quelle civili e amministrative ed è a questo periodo che si fa risalire la prima pasquinata dei Romani, che recitava:

“Ai poveri suoi apostoli la Chiesa

avea lasciato Cristo;

preda dei ricchi suoi nipoti è resa

oggi dal buon Calisto”

Nello stesso consiglio si discute circa una prepotenza arrecata ad un abitante di Cascia in territorio amerino, da parte di un tal Beraldo figlio -o nepote-  di uno dei Chiaravallesi di Lacuscello, “dum ille veniebat cum uno suo sotio ad Civitatem Amelie” mentre stava venendo ad Amelia con un suo compagno ed al quale vennero sottratti “per vim vel violentiam” a forza e con violenza “tres libres zafferanj seu crocj vel circha et vigintiquatuor bononenos veteres” circa tre libre di zafferano (o croco) e 24  dei vecchi bolognini. Gli Anziani avevano, a più riprese, sollecitato quei nobili di Lacuscello per la restituzione di quanto asportato, senza ottenere la minima risposta. Nel maggior consiglio del giorno successivo si stabilisce che “ad hoc ut materia possit melius terminarj” affinché la cosa possa venir condotta nel modo migliore, “quod domini Antiani populi dicte Civitatis una cum tribus aut quatuor Civibus eligendis per ipsos donimos Antianos tractent concordiam cum illis de lacuscello tam de zafferano et denarijs ablatis illi de Casia quam de alijs deferentijs (differentijs) quas commune Amelie habet cum illis Nobilibus de Lacuscello” che gli Anziani, insieme a tre o quattro cittadini da loro eletti, cerchino di trovare un accordo con quelli di Lacuscello, sia per quanto riguarda lo zafferano ed i denari sottratti a quel di Cascia, quanto per tutte le altre questioni che il Comune ha in sospeso con i nobili Chiaravallesi. Da quanto sopra, trapela la volontà del Comune di Amelia di voler, malgrado tutto, mantenere con questi ultimi dei buoni rapporti. (2010)


10  -  Il 10 Settembre 1470 gli Anziani “commiserunt et mandaverunt Andree francisci publico preconi et banditori communis amelie quod vadat per loca publica et consueta dicte Civitatis Amelie ac etiam extra portam pusiolini” conferiscono e comandano ad Andrea di Francesco, banditore (trombetta) del Comune, di recarsi nei luoghi della Città preposti ai pubblici bandimenti ed anche oltre la porta Busolina “et ibidem publice palam et alta voce, sono tube premisso bandiat et preconizet” ed ivi, ad alta voce e premesso un suono di tromba, bandisca pubblicamente “nundinas pro sequenti anno proximo venturo liberas et securas, cum capitulis, pactis et modis actenus consuetis duraturas per sex dies, videlicet per duos dies ante festum sante Marie de mense Septembris et per tres dies post dictum festum videlicet ab omni solutione Gabelle” che i giorni della fiera settembrina per il prossimo anno siano liberi ed esenti dal pagamento delle gabelle comunali e che si debbano svolgere secondo i capitoli, i patti e le convenzioni fino ad oggi praticati e dovranno durare sei giorni, precisamente due prima e tre dopo la festa della Vergine Maria “et quicunque venerit ad dictas nundinas erunt liberi et securi, preterquam sbanditi Sante matris ecclesie et communis Amelie more solito” e chiunque verrà alla detta fiera lo farà, secondo il solito, in piena libertà e sicurezza, ad eccezione degli sbanditi da Santa Madre Chiesa e dal Comune. “Hoc addito et declarato quod Mercantie omnes mortue debeant retinere et vendere jn platea sante Marie in porta et a dicta porta sante Marie per stratam rectam versus palactium Residentie dominorum Antianorum  et potestatis” E nel bando si aggiunga e si dichiari che tutte le mercanzie cosiddette morte (cioè escluse le bestie vive) debbano tenersi e vendersi nella piazza di S. Maria di Porta e da questa lungo la strada che la collega ai palazzi residenziali degli Anziani e del podestà, “exceptis pignolis, vassellis, Cepis, aleis et similia rebus commestibilibus, que res vendi possint in Burgo et alibi, preterquam in supradictum locum, pena pro quolibet contrafacienti duorum ducatorum auri” ad eccezione di pinoli, baccelli (leguminose?), cipolle ed agli e simili generi commestibili, che possano vendersi nel Borgo ed altrove, ma non in detto luogo, sotto pena, per ogni contravventore, di due ducati d’oro. Cari verrebbero a costare, altrimenti, pignoli, agli, cipolle e simili! (2011)


10  - Nelle riformanze, sotto la data del 10 Settembre 1547, titolata: “MORS DUCIS PLACENTIE”, può leggersi la seguente notizia:

“Pieraloysius farnesius Dux placentie et existente Paulo Papa Tertio Perusie fuit a quodam Nobilj Cive Placentino jn Arce Placentie multis vulneribus effossus et truncatus capite et deide eius Corpus …” (lo scritto si interrompe) Pier Luigi Farnese, Duca di Piacenza, trovandosi Papa Paolo III a Perugia, nella Rocca di Piacenza, da un Nobile di detta città, venne trapassato da molte ferrite e, quindi, il suo capo mozzato ed il suo corpo …

E’ un chiaro, quanto laconico e mutilo riferimento alla tragedia che concluse la vita di Pier Luigi, figlio di Paolo III, il quale –secondo Claudio Rendina- “ripeté per lui i soprusi compiuti da Alessandro VI per il Valentino, ai danni dello Stato Pontificio”. Infatti, dopo aver creato per lui un piccolo ducato con capitale Castro, nel 1545 gli affidò le città di Parma e Piacenza, separando anche queste -e per sempre- dallo Stato pontificio. Cediamo ancora, a questo punto, la parola allo stesso Rendina, che viene ad integrare, nel modo che segue, la notizia riportata nelle riformanze:

“Ma Pier Luigi non aveva l’abilità machiavellica di un Cesare Borgia e il suo governo tirannico creò il malcontento tra i sudditi del ducato; nel 1547 egli restò vittima di una congiura giudata da Giovanni Anguissola, ma ordita dai Gonzaga e approvata dall’imperatore, considerando che Pier Luigi attuava una politica filofrancese. Crivellato di pugnalate, fu gettato dalla finestra del suo palazzo per aizzare il popolo alla rivolta; Piacenza sarebbe finita in mano ai Gonzaga, ma il figlio di Pier Luigi, Ottavio, accorso prontamente da Roma a Parma, sarebbe riuscito a mantenere il controllo di questa città.” (Claudio Rendina “I papi – Storia e segreti” 1983 Newton Compton editori s.r.l.). 

Sei anni dopo, il 10 Settembre 1553 leggiamo il resoconto –alquanto avventuroso- della estrazione dei candidati all’ufficio del Camerariato, in quanto Giuliano Racani, Camerario in carica, dovette rinunciare al suo ufficio prima della scadenza, per “legitimo impedimento”. D’ordine del Consiglio dei X, Ser Cecco Petrucci procede, quindi, all’estrazione, uno dopo l’altro, dei seguenti nominativi: Francesco Vatelli, che non è ritenuto idoneo “quia debitor”, perché risultante debitore nel libro “degli Specchi”; Fulvio Leli, non idoneo “quia absens” perché assente; altrettanto dicasi per il successivo estratto Nallo Vulpio; seguono: Mezzanello Cerichelli, Apollonio Farrattini, Marco Casini e Ladomio Ciocci, ma tutti i nominativi vengono “lacerati”, cioè annullati, perché riconosciuti debitori. Occorre metter mano ad un nuovo bussolo, da prelevarsi presso la Chiesa di S. Francesco; recata la relativa cassetta nella sala del Palazzo Anzianale. si riprendono le operazioni di estrazione: il primo è Giulio di Francesco Perini, che viene “laceratus quia debitor”; segue Angelo Casciotti, che viene anch’esso scartato perché “dicitur” si dice “obligatus de Bonifatio Sermoneta” abbia contratto obblighi (?) verso Bonifazio Sermoneta; seguono: Pierlorenzo Sandri, “laceratus quia debitor” e un tal “D. Prosperus” Signor Prospero, “laceratus quia infirmus” che viene scartato, perché malato. Lo stesso giorno si dà atto che la carica di Camerario risulta affidata a Giovanni Antonio Moriconi, che ha prestato il giuramento di rito. Ma che elezione movimentata!

Non sappiamo se Giulio Perini aveva seguito le orme artistiche del padre Gian Francesco, illustre pittore: certo è che, almeno dal punto di vista economico, ne aveva ben adottato l’esempio, se si considera che, nell’estrazione del 22 Giugno 1542, la stessa disavventura di venir “laceratus quia debitor” era capitata anche a lui! (2012)


11 - Viene trascritta nel volume delle riformanze, sotto la data dell'11 Settembre 1461, la ornata descrizione che, da buon umanista, il Cancelliere ser Ugolino di ser Nicolò de Cresciolinis fa della distruzione del Castello di Collicello da parte dei Chiaravallesi di Todi, compiuta quello stesso giorno. Vale la pena di riportarne alcuni brani.

"Ad perennem eternamque memoriam future posteritatis de Castri Collicelli oppidi Comunis Amerie combustione pariter et ruina per Claravallenses Comuni prefati hostes, sermo in presenti papiro penitus est habendus" (A perenne ed eterna memoria delle future generazioni, è altamente doveroso annotare nel presente libro la notizia dell'avvenuto incendio e della conseguente rovina del Castello di Collicello, rocca del Comune di Amelia, da parte dei Chiaravallesi, nemici del Comune medesimo). 

Il Cancelliere ricorda che, quando i Chiaravallesi furono espulsi dalla loro patria Todi, "noscant singuli... nullum ab aliquo suscepisse presidium nisi ab amerinis dumtaxat" si sappia da ognuno che nessun aiuto venne dato agli esuli se non dai soli Amerini.

Quel che è peggio, per far fronte alla guerra contro i Chiaravallesi, gli amerini dovettero sottoporsi ad un prestito di 500 ducati, per pagare le truppe necessarie ad opporre resistenza agli attacchi degli stessi Chiaravallesi, "qui quotidie contra Comune Amelia insidias moliuntur" che ogni giorno tramavano insidie contro il Comune.

Come se non bastasse, il successivo 25 novembre quei di Chiaravalle tornarono a dare il guasto al povero Castello di Collicello, bruciando e devastando quanto ne era scampato durante il primo incendio: "igni domus omnes que a primo incendio evaserant dedere et vix septem superfuere domus": si salvarono appena sette case! (2001)


11  -  L’11 Settembre 1503 nel Consiglio dei X viene letta -e trascritta- la seguente proposta:

"Uno habitante in Amelia offerisce di trovare nel tenimento di Amelia aqua abundantissima, sufficiente per mulina et per valchiere a tutte sue spese, per la qual cosa domanda alla Comunità questi patti et capitoli sotto scripti:

"In prima se domanda che la Comunità li faccia buono alloco (alloggio) se ha ad fare la cava, tanto se fusse  de (presso) persona particulare quanto se fusse del Comune, che me cavi d'onne danno et interesse.

"Item se domanda che trovata che fusse (l'acqua) me se dia aiuto per (dal) Comuno per condurla dove che meglio paresse a dicto inventore.

"Item se domanda che dicto inventore de la dicta aqua vole che sia suo el dominio cioè che mai a nisciuno sia lecito de fare mulino né valchiere si non al dicto inventore de la dicta aqua et a soi successori.

"Item se domanda ala Comunità che li conceda dui gabelle a sua electa (scelta) per dece anni per fare mulina et altre cose, dio concedendo.

"Item se domanda che la Comunità ce ponga la pena de quattrocento ducati, la mità applicata a la Camera Apostolica et laltra parte al dicto inventore et che sia lecito de impetrare scommunica papale (addirittura!) contra qualunque mai questi capitoli contrariasse.

"Item se domanda che li dicti capitoli, si la Comunità li concede, che me si degiano dare pubblicati gratis".

Lo stesso giorno nel Consiglio generale, con un solo voto contrario, vengono approvati i capitoli proposti da colui che si offrì "flumen invenire", cioè di trovare un fiume (!) d'acqua e che diede prova di grande abilità nel trattare i propri affari; ma come rabdomante si sarà poi dimostrato altrettanto abile? (err. sub 13/9 2004)


11  -  Con rogito del notaio Pietro di Dario dell’11 Settembre 1402, Donna Gaituccia del fu Grasso, vedova di Meneco, si rende oblata della Chiesa di S. Agostino. Sotto la stessa data, il Vescovo Stefano Bordoni spicca un mandato contro Gaituccia, intimandole di consegnare una sedia di legno a Paulello di Giovanni Cioli, su richiesta di costui. Donna Gaituccia, spalleggiata  dagli Agostiniani, appella al rettore del Patrimonio Giovannello Tomacelli ed alla sua Curia, perché si ritiene sottratta alla giurisdizione del Vescovo. Nemmeno se si fosse trattato di un trono tutto d’oro! 

Ottant’anni dopo, “Venerabilis frater Jacobus de Pedemontibus, Ordinis minorum Societatis fratris Clarini” il venerabile fra Giacomo piemontese, della Società dei Clareni dell’Ordine Minorita, Guardiano del Convento dell’Annunziata, rilascia quietanza di dieci ducati legati in eredità allo stesso, con atto ricevuto dal notaio Taddeo del fu Giovanni Artinisi l’11 Settembre 1482.

Il medesimo giorno, Antonio di Menecuccio di Mannuccio, di Foce, viene incarcerato dalla Curia del Podestà, a causa di una bestemmia.

Due entrate molto diverse!

Ad oltre cinquant’anni di distanza, l’11 Settembre 1536 fa testamento il proposto Antonino Mandosi. Il notaio inizia con la premessa: “quia dies mali sunt et nescimus quid vesper vehat” poiché sono giorni brutti e non sappiamo cosa ci rechi la sera... Prosegue ricevendo le ultime volontà del Mandosi, il quale dichiara di non volere pompe funebri né associazione di prefiche, “qua patrio more hac occasione procedat crinibus detectis et supervacuo cum gemitu” con cui, secondo l’uso, in tali occasioni, si procedeva da parte di quest’ultime, con i capelli discoperti e con vani gemiti. Il corpo sia sepolto nella cappella di S. Marco. 

Tre anni dopo, l’11 Settembre 1539, dalla Collegiata di S. Secondo, rappresentata dall’Abate  Nicolò Franco, “cum consensu Sedis Apostolice” con il consenso della S. Sede, per amor di Dio, della Beata Vergine e di S. Stefano, viene donata una campana alle monache e Monastero di S. Stefano, esistente “in contrada platee” nella contrada di Piazza (dove oggi trovasi l’ospedale), presenti i Canonici don Tolomeo Vulpio lugnanese e don Alessandro Geraldini, minore di anni 24 e maggiore di 14 e, quindi, con il consenso del padre Girolamo.

Dopo altri tre anni, l’11 Settembre 1542 il fratello del Priore Franco Pandolfo, che vive ed abita insieme a lui in una casa di Borgo, sulla Piazza S. Francesco, si obbliga a dare a Bernardina, figlia del loro servo Bentivenuto Sordoni, quindici ducati di dote. Bentivenuto godeva già, di un’annua mercede di dieci ducati. (2014)


11 - E' sempre stato di attualità il problema di come affrontare le spese straordinarie non previste in bilancio ("de quibus in tabula ordinaria nulla fit mentio") e, quindi, si presenta il problema dove reperire i fondi ("providere unde veniat pecunia in communi"). L'elenco delle spese cui occorre provvedere ci fornisce l'occasione di conoscere come la vita cittadina doveva inserirsi nel contesto storico del periodo in esame, con riferimenti a varie note personalità con le quali i nostri progenitori dovevano di volta in volta relazionarsi. L'11 Settembre 1417 troviamo annotato nelle riformanze qualche esempio di questo tipo di rapporti nei quali, nella maggioranza dei casi, il nostro Comune era chiamato a far la parte del "vaso di coccio". Vediamone qualcuno:

"Pro ensenio facto pro parte communis Magnifico Capitaneo Braccio, Baptiste de Sabellis, Jacobo de Colupna, Berardo de Camerino, domino Rogerio de Perusio" per dono fatto da parte del Comune al magnifico Capitano Braccio (Fortebracci da Montone) (1), nonché a Battista Savelli, Giacomo Colonna, Berardo da Camerino e Ruggero di Perugia e, cioè, "pro xxij vinoferis vitreis emptis a Lodovico Agnelli lib. den. xiiij, pro sex vinoferis emptis a Ser Telle libr. viginti quatuor, pro pullis flor. unum et lib. tres" per 22 contenitori per vino (damigiane?) di vetro acquistati da Ludovico Agnelli 14 libre di denari, e per altri sei acquistati da Ser Telle, 24 libre, (si vede che il vino di Ser Telle era molto meglio di quello fornito da Ludovico!) per polli, un fiorino e 3 libre; inoltre, "pro sexaginta petictis vini ad rationem xiiij libr. pro qualibet salma libr. den. xvj, sol. v" per 60 petitti di vino, in ragione di 14 libre per salma, 16 libre di denari e 5 soldi. "Item pro duabus bestijs asininis lib. xvj" e proseguendo: per due asini, 16 libre; e l'elenco continua.

"Item providere super expensibus factis in ensenio et ambaxiatoribus missis ad M. d. n. Tartaliam Capitaneum quando venit Ortum" Ancora, occorre provvedere alle spese per un dono e per gli ambasciatori inviati al magnifico Capitano Tartaglia (di Lavello) venuto ad Orte e, come se non bastasse, "cum ad presens per magnificum dominum Tartaliam petitur secundam tertiariam subsidij, videlicet flor. auri .CC. placeat providere" poiché dallo stesso magnifico signore Tartaglia si richiede il pagamento della seconda terzeria del sussidio, di ben 200 forini d'oro, ci si compiaccia provvedere al reperimento dei denari occorrenti. Nel consiglio generale del 12 successivo si propone di trovare i soldi con imposizioni "castris Porclani, Focis, Culcelli et Fractucie" ai castelli di Porchiano, Foce, Collicello e Frattuccia e, se non fosse sufficiente, si ricavi dalla gabella del mosto.

(1) Braccio Fortebracci da Montone (PG), nato da nobile famiglia perugina nel 1368, era stato, insieme a Muzio Attendolo Sforza, suo futuro antagonista, alla scuola d'armi di Alberico da Barbiano. Nel 1416 soppresse Paolo Orsini, un nemico subdolo e potente. Sottomise gran parte delle città dell'Umbria e, dal 16 giugno al 26 agosto 1417, dominò Roma, approfittando di una congiura ordita a favore dell'antipapa Benedetto XIII. (2007)


11 - Nelle riformanze dell'11 Settembre 1478 risuta annotato che un certo Lancilotto, alias Malvolto, "cum esset tortus a Domino Barigello", essendo stato sottoposto a tortura dal Bargello, in presenza del podestà e degli Anziani, "in tortura dixit quod furatus fuit de mense Septembris 1477 de nocte duas centuras argenteas" sotto i tormenti confessò di aver rubato, di notte, nel mese di Settembre dell'anno prima, due cinture d'argento del valore complessivo di due ducati, di proprietà di Pietro Alberti di Foce; inoltre, di aver rubato "tres anulos argenteos" tre anelli d'argento, del valore di mezzo ducato "quos vendidit cuidam aurifici in urbe" e di averli rivenduti ad un orefice romano, da lui sottratti "in una capsa parva quam desclavavit suis manibus" da una piccola cassetta "existenti in una camera inter eius domum" esistente in una camera della casa (di detto Pietro) e da lui stesso disserrata con le proprie mani "cum quodam clavo" con una certa chiave. La confessione prosegue. Malvolto dice, altresì, in detto periodo, "circha quatuor horas noctis" a quattr'ore di notte, "furatus fuit Menecutio Angeli Tutij" di aver rubato a Menicuccio di Angelo Tuzi, entrando in casa con l'ausilio di un suo compare ("socius") ed, insieme ad esso, "iverunt superius per scalas ligneas" di essere saliti al piano superiore per scale di legno "et in capite scalarum accenserunt candelam ex quodam parvo tizzone" e in capo alle scale, di aver acceso una candela da un tizzo, indi, girando per la casa, "invenierunt quamdam capsettam" di aver trovano una cassetta "clausam clavi quam aperuit Nicolaum cum rimaldellis" chiusa a chiave, che Nicola (presumibilmente il compare) aprì con un grimaldello "ex qua furati sunt pecunias" e di averne sottratto dei denari, quantificati in 60 ducati d'oro, oltre a quattrini e carlini "quas pecunias miserunt in una cuppella parvula dicti Lancilocti" che riposero in una sorta di piccola scodella di Lancillotto "quas pecunias predicti diviserunt inter se" e quindi di averli spartiti fra loro.

L'interrogatorio venne ripreso soltanto il successivo 25 Ottobre "intermisso tempore popter pestem egritudinem et mortem officialium" a causa della peste, malattia e morte degli ufficiali procedenti ed il nuovo magistrato decise che Malvolto "leviter torquendum esse" fosse sottoposto ad una moderata tortura, sotto la quale il malcapitato fece il nome del ricettatore, in persona di Arcangelo di Stefano. (2008)


11  -   L’11 Settembre 1473 si leggono alcune suppliche.

La prima è presentata “per parte de li vostri fidelissimi servitori et poverissimi homini Jovanni de Corrado, Georgio Justo Henrigo Stephano et Juvanni tudischi et tessituri de panni de lana in questa V. M. Ciptà, quali dicono et exponeno che ipsi sonno stati alcuni dì et al presente stanno constricti per la corte del presente  Messer el Potestà per cascione se dice hanno insultato Jovanni Piccino tessetore senza alcuna percussione et lesione. Et perché ipsi Todeschi sono furistieri et non possedono cosa alcuna ...” chiedono che “attento la loro misera conditione et qualità li se voglia far gratia che non pagheno cosa alcuna, altramenti li serria necessario partirse de questa Ciptà”. Nel seguente consiglio generale, in considerazione che “miserrimi sint ac plerumque ingurgitati vino furore quodam temerario ducuntur” sono miserrimi e, per di più, essendo ubriachi, siano stati spinti da temerario furore e, inoltre, che, se fossero costretti a pagare, se ne sarebbero andati via dalla Città, “cum incomodo lanificum” con detrimento della lavorazione della lana, vengono condannati a pagare, fra tutti, 50 soldi e, per il resto, si rimetta loro la pena.

Altra supplica viene presentata da Francesco Lelli di Amelia “pauperis adolescentis” povero adolescente, il quale espone di essere stato condannato in contumacia a cento ducati d’oro “occasione quod percussit Rosatum de Lugnano in capite cum fractura cranij cum uno lapide quem habebat in manum” per aver percosso sul capo Rosato di Lugnano, con frattura del cranio, con una pietra che teneva in mano. Poiché, a causa di tale condanna “fuit et est captus et carceratus” fu catturato e trovasi attualmente in carcere “sed cum ipse sit pauper filius familias et non habet quid solvere possit” ma essendo un povero figlio di famiglia e non avendo nulla con cui poter pagare, “possit tantum dare opus persone”, potrebbe soltanto  mettere a disposizione il lavoro personale. Nel maggior consiglio, seguito  il successivo giorno 12, si decide che Francesco “animadversa paupertate eius” in considerazione della sua povertà e, inoltre, “calamitosus est ut marcescere in vinculis” che sia dannoso per lui marcire in prigione, sia liberato entro il mese, “habita tamen prius ab adversario suo pace” dopo aver avuto il perdono dal suo avversario ed aver pagato al Comune otto ducati d’oro. Si vede che, malgrado tutto, Rosato doveva avere una testa a prova di sfondamento! (2009)


11  -  L’11 Settembre 1503 nel consiglio decemvirale si tratta un argomento di ordine pubblico:

“Quia nuper ex diversis locis numptiatum est Gentes Johannis pauli de ballionibus, Domini Lodovici de Actis de Tuderto, Domini Bartholomei de Alviano et aliorum ursinorum et partis ghelfe complicum et sequacium predictorum dominorum inimicorum nostre Civitatis Amerie, debellata Perusia et pulsis inde gebellinis, ad damna et ruinam urbis amerine recta properare” essendo recentemente giunta notizia che le genti di Giovan Paolo Baglioni, di Ludovico degli Atti di Todi, di Bartolomeo d’Alviano e degli altri Orsini, complici e seguaci di parte guelfa, nemici della Città di Amelia,  debellata Perugia ed ivi cacciati i ghibellini, si affrettano direttamente ai danni ed alla nostra rovina, ci si chiede come provvedere in merito.

Ser Ugolino Cresciolini, considerato “quod res est maximi ponderis” che la situazione è della massima gravità, propone di inviare immediatamente un’ambasceria a Luca Savelli “pro eius armigeris tam equitibua quam peditibus” per un invio di genti armate, sia a cavallo, che a piedi, “sumptibus publicis” da assoldare a spese della Comunità “et si forte dictus dominus Lucas non posset nobis opem ferre” e se il detto Savelli non potesse venire in nostro aiuto, si scriva al cittadino Gian Gerolamo Racani, “ut conferat se illico ad ill.mum Ducam Romandiole pro presidio et auxilio impetrando nomine rei publice nostre”, affinché si rechi immediatamente dal Duca Valentino (Cesare Borgia), per impetrarne l’aiuto a nome della Comunità, anche se, con la morte di Alessandro VI, avvenuta il 18 Agosto antecedente, l’autorità del Duca aveva ricevuto un fiero colpo, dal quale non si risolleverà più.

Intanto il tempo passa e il giorno 12 successivo, nel consiglio dei Dieci, si riafferma che, da diversi luoghi, giungono altre notizie che “gentes nobis inimicas properare ad nostra damna” genti nemiche di Amelia si affrettano a venirci a recar danno e “cum periculum sit in mora” poiché è pericoloso indugiare, si chiede di prendere idonei provvedimenti e si procede alla nomina di sei cittadini, conferendo loro i necessari poteri di agire per la difesa e la sicurezza della Città e dei castelli.

Ma soltanto il 23 Settembre l’assemblea, cui partecipano gli Anziani, i sei deputati ed i Banderari (Capitani) delle contrade, decide di fare qualcosa di concreto: i Capitani delle contrade “summa diligentia et celeritate curent fossa ante portam pisciolinam effodi, repagula in locis debilibus nostre civitatis Amerie confici” con la massima diligenza e celerità, facciano scavare fossati davanti alla posta Busolina e facciano allestire sbarramenti di difesa nei luoghi più deboli della Città; inoltre, far rinforzare le porte nel modo che sarà più idoneo, “una cum omnibus pertusis et foraminibus existentibus  in menibus publicis et domibus privatorum civium hoc tamen sumptibus dominorum domorum ubi illa repperiuntur” e far chiudere tutte le cavità ed i buchi che vi fossero sia nelle mura cittadine, che sulle abitazioni dei privati, queste ultime a spese dei relativi proprietari. (2010)


11  -  Con rogito del notaio Pietro di Dario dell’11 Settembre 1402, Donna Gaituccia del fu Grasso, vedova di Meneco, si rende oblata della Chiesa di S. Agostino. Sotto la stessa data, il Vescovo Stefano Bordoni spicca un mandato contro Gaituccia, intimandole di consegnare una sedia di legno a Paulello di Giovanni Cioli, su richiesta di costui. Donna Gaituccia, spalleggiata  dagli Agostiniani, appella al rettore del Patrimonio Giovannello Tomacelli ed alla sua Curia, perché si ritiene sottratta alla giurisdizione del Vescovo. Nemmeno se si fosse trattato di un trono tutto d’oro! 

Ottant’anni dopo, “Venerabilis frater Jacobus de Pedemontibus, Ordinis minorum Societatis fratris Clarini” il venerabile fra Giacomo piemontese, della Società dei Clareni dell’Ordine Minorita, Guardiano del Convento dell’Annunziata, rilascia quietanza di dieci ducati legati in eredità allo stesso, con atto ricevuto dal notaio Taddeo del fu Giovanni Artinisi l’11 Settembre 1482.

Il medesimo giorno, Antonio di Menecuccio di Mannuccio, di Foce, viene incarcerato dalla Curia del Podestà, a causa di una bestemmia.

Due entrate molto diverse! (2014)


11  -   L’11 Settembre 1536 fa testamento il proposto Antonino Mandosi. Il notaio inizia con la premessa: “quia dies mali sunt et nescimus quid vesper vehat” poiché sono giorni brutti e non sappiamo cosa ci rechi la sera... Prosegue ricevendo le ultime volontà del Mandosi, il quale dichiara di non volere pompe funebri né associazione di prefiche, “qua patrio more hac occasione procedat crinibus detectis et supervacuo cum gemitu” con cui, secondo l’uso, in tali occasioni, si procedeva da parte di quest’ultime, con i capelli discoperti e con vani gemiti. Il corpo sia sepolto nella cappella di S. Marco. 

Tre anni dopo, l’11 Settembre 1539, dalla Collegiata di S. Secondo, rappresentata dall’Abate  Nicolò Franco, “cum consensu Sedis Apostolice” con il consenso della S. Sede, per amor di Dio, della Beata Vergine e di S. Stefano, viene donata una campana alle monache e Monastero di S. Stefano, esistente “in contrada platee” nella contrada di Piazza (dove oggi trovasi l’ospedale), presenti i Canonici don Tolomeo Vulpio lugnanese e don Alessandro Geraldini, minore di anni 24 e maggiore di 14 e, quindi, con il consenso del padre Girolamo.

Dopo altri tre anni, l’11 Settembre 1542 il fratello del Priore Franco Pandolfo, che vive ed abita insieme a lui in una casa di Borgo, sulla Piazza S. Francesco, si obbliga a dare a Bernardina, figlia del loro servo Bentivenuto Sordoni, quindici ducati di dote. Bentivenuto godeva già, di un’annua mercede di dieci ducati. (2015)


12 - Il 12 Settembre 1618 in seduta consiliare si dibattono alcune questioni, fra le quali figura l’offerta presentata da “Menico Ceraso et Compagni”, i quali “s’offeriscono de trovare acqua viva per benefitio universale ogni volta che la Comunità prometta per istromento dargli doi mila scudi”, secondo un “memoriale” da lui presentato e del quale viene data lettura.

Inoltre, “Mastro Pietro Paolo scalpellino” espone che “dovendosegli dare da questa Comunità cinque scudi per sua mercede de fattura della bocca del pozzo dei quali ha bolletta diretta alli Camerlenghi, non pure (non solo) non gli (ha) mai potuti conseguire, ma quello (che) è peggio, essendo egli debitore de certi baiocchi per le dative currenti, gli è stato per esse fatto il pegno ad instanza de Messer Alessandro Crocoli hora Camerlengo, il quale recusa de compensare a detto Pietro Paolo nel sudetto suo credito” e pertanto “supplica ... che non resti dannificato”.

Si fa anche menzione di una pubblica necessità. “La Campana della nostra Comunità se trova in tanto mal termine, come è noto ad ognuno che non può più usarsi in questo stato”. A distanza di circa tre anni, il 16 Ottobre 1621 gli Amerini avranno la loro campana nuova. (2008)


12  -  Il 12 Settembre 1683 dinanzi agli Anziani ed al Governatore, dopo i consueti bandimenti effettuati nei soliti luoghi, “fuit accensa candela super deliberationem boschettorum Communitatis”, si procedette all’aggiudicazione dei boschetti da caccia di proprietà comunale, con il sistema della candela vergine.

“Et candela ardente super oblatione Joannis Augustini Boccardi, qui optulit videlicet:” Venne accesa la candela sull’offerta fatta da Giovanni Agostini Boccardi, come segue:

“Io offerisco a tutti li boschetti della Comunità, eccetto il Boschetto delli Casalini, per un anno scudi quattro e cinquanta, da pagarsi nel mese di Dicembre.

“Andreas Benedicti Corsi optulit (offrì) scutos quatuor et septuaginta (sc. 4.70)

“D. Nicolaus de Chierichellis scutos quatuor et octuginta (sc. 4.80)

“D. Antonius Roscinj optulit scutos quinque ut supra (sc. 5)

“Et restitit extincta” E la candela si spense.

Successivamente, sempre alla presenza dei suddetti Anziani e Governatore, secondo quanto deliberato dal Consiglio, si procedette all’aggiudicazione, con lo stesso metodo, “Per la pulitura delle selve riservate”.

Accesa la candela, il Capitano Maurizio Boccarini, per persona da nominare, fece l’offerta che segue: “Offerisco di far pulire la selva detta Vresco e Costa Grandinata con tutte le sue attinenze, secondo i suoi noti confini, cioè incominciando dalli confini di Lugnano, rivoltando per la radice della montagna sino alla Strada delle Cesoline, e di là per li beni de’ Signori Canonici, li beni del Sig. Mauritio Boccarini, le terre di Pomponio Pernazza, via piana, e li confini di Lugnano salvo altri”.

“Et nemine alio offerente, restitit extincta” E senza altre offerte, la candela si spense.

Ma il distratto verbalizzante dimenticò di scrivere l’entità dell’offerta!

Lo stesso giorno, operazioni ben più importanti si stavano svolgendo altrove. Il re di Polonia Giovanni Sobiesky metteva in fuga l’imponente esercito turco di Kara Mustafà, che aveva posto l’assedio alla Città di Vienna, considerata la Porta verso l’Occidente, liberando per sempre quest’ultimo dal pericolo della conquista ottomana.  (2009)


12  - Si ventila la notizia circa  l’arrivo in Amelia di papa Paolo III. Nel consiglio dei X del 12 Settembre 1535 Pompilio Geraldini “gravissimus vir” propone che si scriva in Curia ad Angelo e Nicolò Franchi, che sappiano dire “si S.mus D. N. est venturus vel non” se la Santità di N. S. (il papa) stia per giungere o no. In caso affermativo, si proceda all’elezione di “octo cives” otto cittadini “qui provideant cum auctoritate presentis Consilij de eo recipiendo” che provvedano, per autorità conferita loro dal Consiglio, a quanto occorra per la sua accoglienza. Il giorno 18 successivo, vengono eletti per sopperire a tale evento, Laurelio Laureli, Pompilio Geraldini, Francesco Racani, Bartolomeo Petrignani, Ludovico Cansacchi, Ser Ludovico Nacci, un non meglio identificato “Ciancha” e Pietro Farrattini. (2012)


12  -  L’Arciprete della parrocchiale di S. Simeone di Porchiano, Andrea de Clementinis, aveva rivolto una supplica ad Alessandro VI che venisse autorizzato a vendere o permutare certi terreni ed una casa colonica, perché distanti dall’abitato e minutamente frazionati, L’autorizzazione era stata concessa e l’Arciprete, il 12 Settembre 1498, pone mano alle vendite ed alle permute. Il notaio Ugolino di Nicolò stipula ben venti contratti, uno di seguito all’altro!

Ad oltre due secoli e mezzo di distanza, il 12 Settembre 1774 nelle riformanze si legge la seguente relazione di stima:

“Noi sottoscritto e crocesegnato respettivamente Periti Muratori, essendoci portati ad istanza degli Ill.mi S.ri Anziani dell’Ill.ma Città d’Amelia a riconoscere e stimare una casetta posta a Porta Posterola, sopra le Mura Castellane, consistente in una stanza coperta a solo tetto, ad uso di bottega ed un piccolo vacuo (vano) al disotto, spettante a questa Ill.ma Comunità d’Amelia, (la) quale da noi ben vista e considerata, a corpo e non a misura, giudichiamo ascendere il suo valore in tutto a scudi ventiquattro Romani, da giulj x per scudo; che è quanto possiamo riferire cola presente nostra perizia e coscienza, per la prattica che abbiamo di fare tali stime ed in causa di scienza (per render nota la valutazione). In fede. Dato in Amelia nella Segreteria Anzianale questo dì 12 7mbre 1774.

“Cro+ce di Gio. Battista Ortalli Perito Muratore per non saper scrivere.

“Io Giovanni Bedetti perito Muratore referischo come sopra manu propria”.

Meno male che almeno uno dei due periti non era analfabeta! (2014)


13 - Il 13 Settembre 1525 vengono stipulati i capitoli dell’arte dei calzolari (“calceolariorum”), composti da 25 articoli, dei quali se ne trascrivono alcuni, come segue:

“In primis, le cora (i cuoiami) che se conciarando (sic) se habino ad vedere nanti che se mettano ad mollo per li rectori delarte et doi Ciptadini da elegerse dalla Comunità, quali Rectori et homini electi habino ad notare el di (che) se metterando ad mollo dicte cora, le quali non se possano mettere nel concime (concia) che non siano prima stampate (marchiate) da dicti Rectorj et homini electi ... le quali cora non se possano cavare dal dicto concime per cinque mesi prossimi futuri incominciando dal dì (che) se mettono in concia ...”.

“Quarto - Che lo solo (cuoio)(che) se venderà ali Calsolari Amerini quali lavorano in Amelia se venda per bolegnini doi manco (meno) che se sole vendere alli forestieri”.

“Quinto - Che nisciun Calsolaro possa comprare solo in Amelia per revenderlo ad altri sotto pena de tre ducati per ciasche schina (pelle?) da applicarse per la mità alla Comunità de Amelia, la quarta parte allo accusatore e laltra quarta allo exequtore”.

“Sexto - Che in Amelia e suo districto non se possa lavorare solo marchisciano sotto pena de doi ducatj doro per pezo de solo, da applicarse come sopra”.

“Septimo - Trovandose un solo non fosse stampato, quello ad chi serrà trovato caschi in pena de doi ducatj doro per ciasche pezo, applicandose dicta pena come di sopra”.

“Octavo - El solo (che) se comperasse fora de Amelia non se possa tagliare che prima non sia stampato da lhomini sopradicti, quali habino ad approbarlo esser recipiente tanto el solo bianco quanto el solo menato per la stampatura del quale se paghi quattrino uno per pezo de solo ...”.

“9° - Le scarpe grosse non se possino vendere più de doi carlini el paro de nove ponti (punti) insino in unici (undici), da unici ponti in su se vendano bolegnini sedici”.

“X° - Le scarpe tonde da dece ponti in su bolegnini quattordici, da dece ponti in giù per manco (minor) prezo, secondo la grandeza”.

“XIJ° - Le scarpe de cordamo da homo non se possino vendere più de bolegnini tredici el paro de nove ponti e da quello in su”.

“XIIIJ° - Le scarpe de montone da homo de nove ponti e da quello in su bolegnini dodici el paro, da nove ponti in giù per manco prezo secondo la grandeza”.

“XV° - Le scarpe da donna de vitellino dei sei ponti e da quello in su se vendano bolegnini dece el paro, da sei ponti in giù se vendano per manco prezo, secondo la grandeza”.

“XX° - Le scarpe resolate de dece ponti e da quello in su bolegnini septe, da dece ponti in giù per manco, secondo la grandeza. Et lo recusire per ciasche paro bolegnino uno. Li quali prezi de scarpe e solo soprascripti se intendano tanto per li Amerini quanto per lo distrecto de Amelia ...”.

“XXJ° - Qualunca persona domandarà ad alcuno de Calsolari tanto scarpe grosse quanto sottili ... che dicto Calsolaro sia obligato senza altra replica et exceptione fare le sopra dicte scarpe ad quello (che) le haverà domandate infra el termine e spatio de octo giorni proximi futuri e passato dicto termine e dicte scarpe non fossero facte dicto Calsolaro caschi in pena de carlini dece, da applicarse per la quarta (parte) alla comunità de Amelia, la quarta parte ad larte de calsolarj, la quarta allo exequtore e l’laltra quarta allo accusatore e ad ognuno sia lecito accusare e sia creso (creduto) con lo suo juramento e con un testimonio degno de fede”.

“XXIIJ° - Li ... conciatori vendano ad dicti Calsolari li cordami (cuoiami) el justo prezo e parendoli più del justo se rimectano alli rectori de larte ala sententia de li quali se debia stare ...”.

“XXIIIJ° - Nisciuna persona possa vendere ad altri una sorte de corame per unaltra sotto pena sopra scripta da applicarse come de sopra”.

“XXV - Accadendo in li soprascripti Capitoli e emergenti da epsi li homini soprascripti inseme con li Magnifici signori Antiani quali serrando (saranno) alli tempi, habino auctorità con ogne oportuno remedio terminare, decidere e comporre quanto parerà ali sopra scripti e quel tanto serrà da quelli dechiarato sia rato e fermo ...”. (2008)


13  -   Il 13 Settembre 1472 gli Anziani ed i  X Consiglieri del Popolo, insieme congregati, “vigore eorum offitij” esercitando il loro ufficio, “commiserunt et mandaverunt” disposero e comandarono al podestà “quatenus debeat liberare absolvere et relapsare Gregorium Micchaelis sclavum detentum et carceratum in palatio residentie prefati domini potestatis” che debba liberare, assolvere e rilasciare Gregorio di Michele schiavone, detenuto nelle carceri del palazzo podestarile “pro mallefitio per eum commisso contra Matheum etiam sclavum amore dei et intuitu pietatis” per un reato da lui commesso nei confronti di Matteo anch’sso schiavone, per amore di Dio e spirito di pietà ed anche “contemplatione communis civitatis Interamnensis et d.ni Munaldi de paradisis” avuto riguardo al Comune di Terni ed a Monaldo de Paradisis, che lo hanno raccomandato. Ma quanti amici aveva Gregorio! 

Lo stesso giorno, Paolo di Giacomo “de Altimuris”, abitante di Amelia, condannato dalla curia del podestà a pagare 200 libre di denari “occasione incendij” per aver causato un incendio, presentatosi dinanzi agli Anziani “promisit et convenit” promise e concordò con gli stessi Anziani, presenti ed agenti in nome e per conto del Comune, che, “solutis viiij libris denariorum in communi pro parte sue condennationis predicte” dopo aver  versato in Comune 9 libre di denari della sua condanna, “solvere residuum eius dum reficietur castrum Luchianj” avrebbe pagato il residuo della sua condanna quando si procederà al restauro del Castello di Luchiano, “ad penam duplj” sotto condizione di dover pagare il doppio della pena in caso di sua disubbidienza. (2009)


13  -  Il 13 Settembre 1327 in consiglio viene presentata e letta una petizione da parte di nove cittadini di Amelia (cioè: Zolo, Manne di Lerio, Vannucolo, Nardo, Colao, Manne di Tebaldoccio, Mona, Ceccarello e Todino), i quali chiedono licenza “capiendi, ducendi et tenendi in Civitate et districtu Amelie de personis et rebus mobilibus et immobilibus (!) horum de Castro Lugnani” di catturare, prendere e tenere nella Città e distretto di Amelia persone e cose mobili ed immobili del Castello di Lugnano, “ad plenam satisfactionem bonorum et rerum ablatorum eis et cuilibet eorum per Cecchum magistri Jacobi de Lugnano, per vim et violentiam et malo modo, nulla rationabili causa premissa et in dampnum ipsorum” per aver piena soddisfazione dei beni e cose loro sottratte a forza e senza una ragionevole causa da Cecco di Mastro Giacomo di Lugnano. E’ una vera e propria richiesta di rappresaglia, che il consiglio, comunque, delibera di concedere ai nove supplicanti, fra i quali sembra figurare anche una donna: Mona, a meno che non fosse un veneto! (2014)


13  - Il 13 Settembre 1543 viene stipulato fra Mastro Lorenzo di Gerolamo di Borgo S. Sepolcro ed il Priore dei Canonici di S. Fermina un contratto avente per oggetto la costruzione, in Cattedrale, di “unum organum de novo, cum cannis sonantibus, sive concordate dulci modulatione; bene et disticte compositum et ordinatum sicut illud quod est et manet in Ecclesia S.te Firmine de Ameria et melius et in ampliori forma decoratum” un nuovo organo, con canne suonanti, accordate e dolcemente modulate, bene e distintamente composto ed ordinato, come quello che trovasi e resterà  nella Chiesa di S. Fermina ed anche meglio e più ampiamente decorato; “et secundum modellum dictis priori et canonicis ostensum et visum cum sex mammocciis tubam sonantibus et sue melodie concordantibus et cum sex registris” e secondo il modello mostrato e visto dal priore e dai canonici, con sei bambocci che suonano insieme la tromba e con sei registri. “Et cum mercenarius sit dignus sua mercede” e poiché chi lavora è degno di ricevere il suo compenso, il Priore ed i Canonici, con l’autorizzazione del Vescovo, promettono di pagare a Mastro Lorenzo “pro suo magisterio dicti organi facti et finiti, sonantis et bene concordantis, ducatos quinquaginta quinque largos auri boni et justi ponderis, ad rationem quatuordecim carlenorum pro quolibet ducato” per il suo lavoro di costruzione di detto organo, bene ultimato e suonante, cinquantacinque ducati larghi di buon’oro e di giusto peso, in ragione di quattordici carlini per ducato; ivi comprese “expensas victus et cum stantia et lecto finito pro se et famulis ad hoc laborantibus” le spese di vitto ed alloggio per sé e per i suoi lavoranti. Lo stesso giorno, il Capitolo stipula anche il contratto con gli esecutori materiali del lavoro, fra cui Mastro Domenico Mattei Tofani, porchianese abitante in Amelia, con cui vengono ripetute ed enumerate le stesse condizioni stipulate con l’organaro Mastro Lorenzo e secondo il disegno presentato dallo stesso, magari ampliandolo e non diminuendolo, con tutte le incisioni, “floribus, intaglis, adornamentis convenientibus, et potius illud modellum ampliare quam diminuere” con intagli e convenienti ornamenti, con fiori ed altro, “bammocciis” compresi e con il salario di trentotto ducati, in ragione di dieci carlini per ducato, oltre “pane e vino”. Il Capitolo fornirà a detto falegname anche le tavole e gli attrezzi del vecchio organo ed il lavoro dovrà venir ultimato entro un anno dal suo inizio.

Ma la cosa ha un seguito ... piuttosto lungo! Nove anni dopo, l’organo non è ancora in grado di suonare: anzi, non esiste ancora! Si deduce da un atto stipulato dal notaio Tommaso di Taddeo il 15 Settembre 1552, con il quale, non potendo -o non volendo- più eseguire il lavoro della costruzione dell’organo, Mastro Domenico, falegname di Porchiano lo cede, con gli stessi patti e con il consenso dei Canonici, a Mastro Giacomo de fu Giovanni di Acquapendente ed a Mastro Filiziano del fu Lodovico, che accettano. E speriamo che sia finita qui! (2015)


14 - Il 14 Settembre 1328 Falco Benvenuti, "molendinarius de Montorio" molinaio di Montoro di Narni, si impegna, per sé e suoi eredi e per tutti gli altri "molendinarijs et gualcatoribus Vallis S.ti Viti" molinai e gualchierai della Valle di S. Vito, nei confronti del Podestà di Amelia Bartolello di Corrado di Todi e degli Anziani Matteo di Maestro Andrea e Tozio Gherarducci, in rappresentanza della comunità di Amelia, "macenare et gualchare" di provvedere alla macinazione ed al gualcamento per un anno "bene et legaliter, omni dolo et fraude remotis" in modo corretto ed a norma, senza inganno o frode, facendo buona farina, richiedendo, per la molitura, una misura su 24 di grano ed una su 18 di "misticantia" e, per il gualcamento dei panni, 32 denari per ogni pezza, impegnandosi a restituire la farina difettosa ed a rimborsare il danno eventualmente subito da un non corretto gualcamento e si creda al giuramento del danneggiato, fino ad un valore di 20 soldi; per un danno maggiore, per la farina, ci si rimetta ad un legittimo perito e, per i panni, si nominino due periti, uno per ogni parte e si stia alla loro decisione. Gli Amerini che si recassero in territorio di Narni per accedere ai molini ed alle gualchiere di Narni, "vadant, stent et redeant in personis et rebus eorum risicho et fortuna" ci andranno a loro rischio e pericolo, poiché molinari e gualchierai non se la sentono di assumersi responsabilità al riguardo! (2007)


13  -  

13  -  Il 13 Settembre 1327 in consiglio viene presentata e letta una petizione da parte di nove cittadini di Amelia (cioè: Zolo, Manne di Lerio, Vannucolo, Nardo, Colao, Manne di Tebaldoccio, Mona, Ceccarello e Todino), i quali chiedono licenza “capiendi, ducendi et tenendi in Civitate et districtu Amelie de personis et rebus mobilibus et immobilibus (!) horum de Castro Lugnani” di catturare, prendere e tenere nella Città e distretto di Amelia persone e cose mobili ed immobili del Castello di Lugnano, “ad plenam satisfactionem bonorum et rerum ablatorum eis et cuilibet eorum per Cecchum magistri Jacobi de Lugnano, per vim et violentiam et malo modo, nulla rationabili causa premissa et in dampnum ipsorum” per aver piena soddisfazione dei beni e cose loro sottratte a forza e senza una ragionevole causa da Cecco di Mastro Giacomo di Lugnano. E’ una vera e propria richiesta di rappresaglia, che il consiglio, comunque, delibera di concedere ai nove supplicanti, fra i quali sembra figurare anche una donna: Mona, a meno che non fosse un veneto! (2014)


13  -  Il 13 Settembre 1543 viene stipulato fra Mastro Lorenzo di Gerolamo di Borgo S. Sepolcro ed il Priore dei Canonici di S. Fermina un contratto avente per oggetto la costruzione, in Cattedrale, di “unum organum de novo, cum cannis sonantibus, sive concordate dulci modulatione; bene et disticte compositum et ordinatum sicut illud quod est et manet in Ecclesia S.te Firmine de Ameria et melius et in ampliori forma decoratum” un nuovo organo, con canne suonanti, accordate e dolcemente modulate, bene e distintamente composto ed ordinato, come quello che trovasi e resterà  nella Chiesa di S. Fermina ed anche meglio e più ampiamente decorato; “et secundum modellum dictis priori et canonicis ostensum et visum cum sex mammocciis tubam sonantibus et sue melodie concordantibus et cum sex registris” e secondo il modello mostrato e visto dal priore e dai canonici, con sei bambocci che suonano insieme la tromba e con sei registri. “Et cum mercenarius sit dignus sua mercede” e poiché chi lavora è degno di ricevere il suo compenso, il Priore ed i Canonici, con l’autorizzazione del Vescovo, promettono di pagare a Mastro Lorenzo “pro suo magisterio dicti organi facti et finiti, sonantis et bene concordantis, ducatos quinquaginta quinque largos auri boni et justi ponderis, ad rationem quatuordecim carlenorum pro quolibet ducato” per il suo lavoro di costruzione di detto organo, bene ultimato e suonante, cinquantacinque ducati larghi di buon’oro e di giusto peso, in ragione di quattordici carlini per ducato; ivi comprese “expensas victus et cum stantia et lecto finito pro se et famulis ad hoc laborantibus” le spese di vitto ed alloggio per sé e per i suoi lavoranti. Lo stesso giorno, il Capitolo stipula anche il contratto con gli esecutori materiali del lavoro, fra cui Mastro Domenico Mattei Tofani, porchianese abitante in Amelia, con cui vengono ripetute ed enumerate le stesse condizioni stipulate con l’organaro Mastro Lorenzo e secondo il disegno presentato dallo stesso, magari ampliandolo e non diminuendolo, con tutte le incisioni, “floribus, intaglis, adornamentis convenientibus, et potius illud modellum ampliare quam diminuere” con intagli e convenienti ornamenti, con fiori ed altro, “bammocciis” compresi e con il salario di trentotto ducati, in ragione di dieci carlini per ducato, oltre “pane e vino”. Il Capitolo fornirà a detto falegname anche le tavole e gli attrezzi del vecchio organo ed il lavoro dovrà venir ultimato entro un anno dal suo inizio.

Ma la cosa ha un seguito ... piuttosto lungo! Nove anni dopo, l’organo non è ancora in grado di suonare: anzi, non esiste ancora! Si deduce da un atto stipulato dal notaio Tommaso di Taddeo il 15 Settembre 1552, con il quale, non potendo -o non volendo- più eseguire il lavoro della costruzione dell’organo, Mastro Domenico, falegname di Porchiano lo cede, con gli stessi patti e con il consenso dei Canonici, a Mastro Giacomo de fu Giovanni di Acquapendente ed a Mastro Filiziano del fu Lodovico, che accettano. E speriamo che sia finita qui! (2014)


14  -   Il 14 Settembre 1426 occorre provvedere a reperire denari “cum occurse sint in communi alique expense extraordinarie de quibus nulla fit mentio in tabula ordinaria” essendo occorse in Comune alcune spese straordinarie, non preventivate nel bilancio ordinario,  così motivate:

“Pro insenio facto Nobili viro Ciccho de Baschio in nuptijs per ipsum factis dum duxerit uxorem de presenti mense Septembris” per donativo fatto al nobile Signore Cecco di Baschi in occasione delle sue nozze, che ebbero luogo quando prese moglie nel presente mese di settembre. Segue, quindi, l’elenco delle singole voci di spesa per tale donativo, con riportati, a fianco, i relativi importi. Vi figurano: 30 paia di pollastri, acquistati da nove persone diverse, 20 petitti di vino, con relativi fiaschi ed il compenso per coloro che ne fecero il trasporto.

In tutto, le nozze di Ser Cecco vennero a costare al Comune di Amelia (cioè agli Amerini) 37 libre e 18 soldi: forse non molto, pur considerando il precario stato delle finanze comunali!

Lo stesso giorno, vengono presentate alcune suppliche.

Una viene esibita da tale Antonio, detto Gecora, che espone di essere stato sottoposto a procedimento penale per aver, nel decorso mese di Agosto,  percosso sulla testa “Nannem Stephanj de prato”, abitante in Amelia “cum quodam martello de ferro” con un martello di ferro che recava in mano, procurandogli una ferita sanguinolenta. Antonio asserisce di essere stato provocato alla rissa dal detto Nanni, in quanto lo stesso aveva tentato di aggredirlo “cum quodam pectine ferrato” con un rastrello di ferro che teneva in mano e, quindi, di aver agito per legittima difesa. Chiede che gli venga annullato il procedimento esistente contro di lui, asserendo anche di aver avuto buona pace con il detto Nanni. Poiché, come si deduce dal consiglio generale del giorno successivo, detto Antonio era un ecclesiastico e, come tale, sottoposto alla giurisdizione del Vescovo, “cui spectat punitio dicti Gecore” competente a giudicare del caso, si rinvia la decisione in merito, in attesa degli ulteriori sviluppi.

Altra supplica viene presentata da Giovanni Grossi di Fornole, il quale espone che, “propter eius paupertatem et guerram tunc existentem in patria” a causa della sua miseria e della guerra allora presente nel detto Castello, dovette lasciare con la sua famiglia la propria patria, dalla quale rimase assente per diversi anni. Poiché ora “cupiat cum eius familia velle redire ad habitandum in ipso castro Fornulj” desidera tornare ad abitare  con i suoi in detto Castello di Fornole, “sed quia pauper homo est” ma essendo povero, chiede “quod ipse immunis fiat pro quinquennio futuro de oneribus ignis et personalibus” l’esenzione per un quinquennio da tutte le imposizioni per focolare e personali, dicendosi pronto, decorso tale periodo di cinque anni, a pagare quanto gli verrà imposto, come gli altri suoi cittadini. Gli si concede quanto richiesto, dietro garanzia di pagare quanto di sua spettanza, decorso il ternime di esenzione.

Una terza supplica è quella di Michele di Bruno “Teotonicj”, cioè di origine tedesca, il quale espone di essere giunto in Amelia nel corrente mese “animo lucrandj et eius artem exercendi quia textor est pannorum lane” con l’intenzione di vivere esercitando la sua arte di tessitore di panni di lana e di essere attualmente ospitato nella casa di Freze (Franz?), pure tedesco e tessitore, sposato e residente in Amelia, sita in contrada Posterola e che, la notte succcessiva al suo arrivo, “necessitate corporalj motus”, spinto da una necessità corporale, uscì di casa, andando in un campo vicino, “et ibidem repertus fuit per militem presentis domini potestatis” ed ivi venne sorpreso da un ufficiale del podestà “cum quodam cultello de ferro quem ipse secum ferre consueverat ad usum sue commestionis” in possesso di un coltello di ferro che lui era uso portare per servirsene per mangiare, ignorando il divieto vigente in Amelia di portare con sé tali armi e “non animo aliquem ledendi” senza alcuna intenzione di nuocere ad alcuno. Essendo stato sottoposto ad azione legale per tale possesso, chiede la remissione dell’accusa, ignorando quanto previsto dalle leggi vigenti e, lungi dal voler recar danno a qualcuno, non desidera altro che stabilirsi in Amelia, per esercitarvi la sua arte. Gli si concede, dietro pagamento di una multa di quattro libre di denari. (2009)


14  -  Il 14 Settembre 1529 Ascanio Colonna scrive da Terni alla Comunità di Amelia, annunciando che, in un suo trasferimento, passerà per di lì: “ho pensato far quessa (questa) via, et per domane a sera che serrà mercordì allogiare in questa ciptà con la casa mia (la sua famiglia). Prego le s.rie V. siano contente (ci si può scommettere!) far prevedere (provvedere) di stantie et cose necessarie con nostri dinari (ma intanto pagate voi!) et stiano securissime che le genti mei non li faranno se non honore et chareze (c’è da aspettarselo!) et desidero me sia venuta questa occasione per vederle con ogni opportunità gratificarle et bonificarle et me li offero. Valete. Jnteramne xiiij 7mbris M.D. XXIX. Con me non porto né fanti né cavallj ma solo la casa mia con li miei gentil hominj et farranno quello officio che devono a ciptà tanto amica come voi sete. Promptissimo in vostro commodo. Ascanio”.

Nel consiglio riunitosi il giorno stesso, Aurelio Boccarini propone che “Jll.mus D.nus Ascanius de columna recipiatur honorifice” Ascanio Colonna venga accolto con ogni onore e gli Anziani eleggano sei cittadini appartenenti all’ordine militare, “qui provideant in hospitando prefatum dominum Ascanium et eius gentes et comitivam” che provvedano ad ospitare Ascanio, sue genti e comitiva, con la stessa autorità del consiglio e “cum potestate percipiendi et faciendi exigi penas ac si presens cernia interesset” con il potere di applicare e far riscuotere delle pene, come se lo stesso consiglio fosse presente “et quia provisiones non possunt fieri sine pecunijs” e poiché ogni progetto di azione non può attuarsi senza denari (qui ti volevo!) “opus est capiantur mutuo ab istis hebreis feneratoribus viginti scudi pro quolibet, videlicet a Lazaro hebreo et simone” si rende necessario prendere a mutuo dagli ebrei usurai presenti sulla piazza venti ducati per ciascuno di essi, cioè da Lazzaro e da Simone “et pro eorum cautela sit eis data in pignus illa gabella quam voluerint” e, per loro garanzia, si diano in pegno i proventi di una gabella a loro scelta. “Jtem minetur dictis hebreis sub pena magna quod provideant” e si  ingiunga (anche con minacce di gravi sanzioni) agli ebrei di provvedervi. “Jtem habeatur et cogatur magister guglielmus qui emat pro justo precio crateras communitatis” inoltre, si dia incarico e si costringa (addirittura!) mastro Guglielmo (probabile commerciante di argenti) a comprare per un giusto prezzo le tazze (d’argento) della Comunità. “Jtem quod mictantur homines per contratas quod homines qui sunt extra civitatem redeant crastina mane, alias immictentur in eorum domibus milites et frangentur eorum hostia et domus” ed, infne, che s’inviino messaggeri per le contrade cittadine che avvisino che gli uomini che si trovano fuori Città vi facciano rientro l’indomani mattina, altrimenti si sfonderanno le porte e vi si faranno alloggiare i soldati del Colonna. Malgrado la drasticità e la durezza incredibile della proposta, questa viene approvata a viva voce. Tanta doveva essere la voglia (o il timore?) di (non) compiacere Ascanio! (2011)


14  - Il 14 Settembre 1539 si riunisce il consiglio dei X e Ser Gerolamo Nacci -che il solerte Cancelliere Tolomeo de Cuppis di Montefalco definisce “vir in omni re prudens” uomo prudente sotto ogni aspetto- chiede quale decisione sia da adottare, “cum uvas, ob ignentes pluvias marcescere” poiché l’uva, a causa delle ingenti piogge, potrebbe marcire, “a multis intelligatur illas vindemiare ac legere petentibus”  e da parte di molte persone si ritiene e si chiede di farla raccogliere. Nel seguìto consiglio generale, Pier Francesco Racani -”vir antiqus et multa laude disertus” uomo di veneranda età e di molto lodevole eloquenza- propone che “attentis temporibus pluviosis, ne uvae marcescant, liceat unicuique impune ad sui libitum vindemiare et cassetta ponatur ad portam” in considerazione del tempo piovoso, per evitare che l’uva possa marcire, a ciascuno sia lecito vendemmiare secondo il proprio giudizio e, alla porta della Città, si ponga la cassa (per la riscossione della relativa gabella). La proposta del Racani, messa a votazione, viene approvata “per palluctas albas viginti signatas del sì, tanquam per maiorem numerum ex forma statutorum, duabus de viginti in contrarium repertis minime obstantibus” con venti pallotte con il segno del sì, costituenti la maggioranza, come richiesto dagli statuti, malgrado ben diciotto voti contrari. Si vede che, in merito all’opportunità di effettuare la vendemmia, v’era una notevole difformità di pareri!

Si prende, anche, in considerazione una supplica presentata da Oliviero di Felice da Collicello, che chiede, “ob eius miseria qua premitur, de libro dativarum Potestatum deleri atque de illis gratiari” a causa della miseria da cui è afflitto, di venir cancellato dal libro delle dative del Podestà e di fargliene grazia. Si propone che “habita legitima informatione per magnificos D. de eius paupertate, qua constita, habeantur prefati D. auctoritatem instantis senatus, potestatem delendi seu deleri faciendi ipsum Olyverium de libro” assunte adeguate informazioni da parte degli Anziani circa l’effettivo stato di indigenza del detto Oliviero, se questa verrà confermata, gli stessi, per autorità conferita loro dal maggior consiglio, abbiano facoltà di far depennare il suo nominativo dal libro delle dative del Podestà. La proposta riporta l’approvazione “per legitima suffragia” prevista dalla legge. (2012)


15 - Il 15 Settembre 1943 in Amelia fu effettuata, per imposizione del comando tedesco, la consegna delle armi alle stazioni di polizia, con esclusione soltanto di quelle da caccia. Il 18 successivo, alcuni addetti dell'esercito germanico procedettero alla loro asportazione dai centri di raccolta. (2004)


15 - Poiché “uve et alii fructus qui extra sunt deguastentur et diruantur a gentibus armigeris morantibus in civitate Amelie”, l’uva e gli altri frutti corrono il pericolo di essere devastati dalle genti d’arme che Amelia è costretta, suo malgrado, ad ospitare,  ed essendo quasi giunto il tempo della vendemmia, “et undique bella fremunt ex quibus dicti fructus et uve de facili perdi possint”, e sentendosi da ogni parte fragori di guerra, da cui possano facilmente venir devastati detti frutti, nel Consiglio generale del 15 Settembre 1395, si delibera di permettere la vendemmia “ab ista edometa (=hebdomada) in antea”, cioè dalla corrente settimana in poi. 

Purtroppo non bastavano i rischi dovuti al maltempo, per minacciare i raccolti, senza che vi si aggiungessero i guasti delle frequenti incursioni belliche! (1999)


15 - Da una bolla del Papa Bonifacio IX -ll napoletano Pietro Tomacelli- emessa da Roma il 15 Settembre 1392 ed indirizzata al "dilecto filio Nobili viro Thome de Alviano", il Pontefice fa presente, come certamente reso già noto da sue precedenti missive "et fama etiam publica" la sua intenzione di recarsi -più propriamente "scappare"- a Perugia il primo Ottobre successivo, in seguito a tumulti scoppiati in Roma contro la sede apostolica. Si era in pieno scisma d'occidente: ad Avignone era stato creato antipapa Clemente VII ed i Romani, che avevano stipulato un trattato con il papa perché lo aiutassero a combattere Giovanni Sciarra, che si era impadronito di Viterbo, non avendo ricevuto compenso per le spese di guerra sostenute in tale circostanza, armi alla mano invasero il Vaticano.

 Bonifacio IX, con tale bolla, fa quindi affidamento sulla devozione dell'Alviano ("nobilitatem tuam inquirimus et hortamus") per essere da lui scortato ed assistito in questo suo forzato trasferimento, del quale abbiamo documentazione nelle riformanze del 25 Settembre. In esse si legge che "pro sumptibus ed honore fiendis sanctissimo domino nostro pape in suo adventu", cioè per le spese e le onoranze da fare al papa che dovrà passare dalle parti di Amelia, venga deliberata l'imposizione di un dazio di cinque bolognini per censo e 5 per ogni focolare.

E così sia! (2005)


15 - Nel consiglio decemvirale del 15 Settembre 1500 si rende noto che Vitellozzo Vitelli "de Castello" vuole adoprarsi affinché la Comunità Amerina voglia "conficere pacem cum Communitate tudertina, dominis de Alviano et Communitate Civitatis ortane" trattar la pace con la Città di Todi, i Signori di Alviano e la Città di Orte. Nel consiglio generale del giorno successivo Cristoforo Cansacchi propone "ut respondeatur Vitellotio ut Communitas est contentissima facere pacem cum dominis de Alviano cum Communitate Tudertina et Communitate Ortana" si risponda a Vitellozzo che la nostra Comunità è ben lieta di far pace con gli Alviano e le Comunità di Todi ed Orte, "sed ut sit perpetuo duratura et ne defraudetur hec Amerina Communitas in pace ut alias defraudata multotiens extitit" ma affinché la pace sia veramente duratura e la nostra Comunità non ne resti defraudata come molte altre volte è avvenuto, "intendit et vult" chiede e vuole l'intervento della sede apostolica e, inoltre, che la pace sia preceduta "prius consultis Ill.mis d.nis Columne" da una consultazione con i Colonnesi, "qui miserunt duces et milites ad presidia huius Amerine Civitatis" che hanno inviato capitani e milizie a presidiare la Città.

Per i deboli, la prudenza non è mai troppa! (2007)


15  -  Occorre provvedere alla custodia e sicurezza del territorio dai nemici di Santa Chiesa. Il 15 Settembre 1393 gli Anziani eleggono, quale scolta e guardiano “montis pelati” per Monte Pelato, Buzio Canterini di Macchie, con lo stipendio di quattro fiorini al mese, affinché, da quella zona, non possano venir arrecati danni né alla Chiesa, né alla Comunità (“ne ex illo capite, per emulos nec sante matris ecclesie et huius communis valeant huic communitati detrimenta inferri”. Lo stesso Buzio, presente, accetta e presta giuramento, promettendo di far buona guardia. Il successivo giorno 27 gli stessi Anziani eleggono anche le scolte per la zona di Monte Nero, nelle persone di Mazzone di Mosto, Lellino di Pietro Colai, Mattiolo Manunzi e Antonio di Cola Montoni, per un mese, con lo stipendio di  quindici libre ciascuno. Avranno pure guadagnato meno di Buzio, ma avranno almeno avuto la possibilità di giocare a tressette! (2014)


15  -  Il Comune di Amelia, per fornire nuovo impulso al ripopolamento del Castello di Sambucetole, aveva donato parecchie terre a Nicolò Cocle “de Peloponneso”, cui aveva conferito la cittadinanza di Amelia. Il Cocle, di origine greca, per sostentare sé e la sua famiglia ed altri immigrati di nazionalità “schiavona” nel Castello e per far fronte a certi debiti, con atto del notaio Ricco di Francesco, del 15 Settembre 1474, vende al Priore Paolo di Giuliano, che acquista anche  per i suoi fratelli Salvato, Piacente ed Evangelista, un appezzamento di terra, per il prezzo di diciotto ducati d’oro. (2014)


15  Il 15 Settembre 1485 Mons. Angelo Geraldini, Vescovo di Suessa, assai devoto all’Ordine dei Minori di S. Francesco, dispone numerosi arredi in quella Chiesa, nonché nella Cappella di famiglia ivi esistente, tutti con il proprio stemma. Altrettanto fa in Cattedrale, donando paramenti e, per ornamento del coro, due spalliere grandi e due minori, oltre a diversi altri arredi, “tutti cum le armi di casa geraldina”: così serviranno anche da réclame per la Famiglia! (2014)


16 - Dopo la battaglia di Castelbolognese, nella quale Giovanni Bentivoglio, signore di Bologna, era stato sconfitto dalle truppe inviategli contro dal papa Giulio II, lo stesso fu costretto a lasciare per sempre la sua città, con tutta la numerosa famiglia, la notte del 2 Novembre 1506. 

Nelle riformanze risulta trascritta una lettera inviata dal papa, da Roma, il 16 Settembre 1507 (erroneamente indicato 1508) al Cardinale Legato per l'Umbria, presbitero della basilica dei Dodici Apostoli di Roma e -quel che più conta- "nostro secundum carnem nepoti" nepote carnale del papa. In essa, fra l'altro, è detto:

"Maxime nobis cure est ut civitas nostra Bononie per summos labores sumptusque nostros a tyrannide liberata et in gremio S.ce R. Ec. collocata" E' nostra massima cura che la città di Bologna, con grande nostra fatica e dispendio liberata dalla tirannide e riportata in grembo alla Santa Romana Chiesa "a peximorum hominum insidijs conservetur inlesa" si conservi al riparo dalle insidie dei peggiori uomini "et propterea decrevimus ut nostre gentes armigere vel in ipsa Bononia vel Romandiola stativa habeant" e per tale ragione abbiamo deciso che le nostre genti armate abbiano acquartieramenti o nella stessa Bologna o in Romagna "sed quia iniquum foret assignare totum onus ipsas gentes substentandi Bononie aut Romandiole" ma poiché sarebbe ingiusto che tutto il peso del mantenimento di esse genti venga sostenuto da Bologna e dalla Romagna ...

Dopo questo lungo preambolo, la lettera papale afferma, in sostanza, che debbano contribuire al mantenimento delle milizie pontificie tutte le terre soggette alla Chiesa, -e, quindi, anche Amelia- fornendo, "equiti apud ipsas ibernanti" ad ogni cavaliere svernante presso di loro, "tectum strame et ligna" ricovero, strame e legna ed, a tale effetto, "solvantur singulis mensibus in singulos equos eis assignatos medios ducatorum auri" venga pagato, per ogni cavallo loro affidato, mezzo ducato al mese; per la riscossione della qual somma, provvedano dei messaggeri all'uopo destinati, i quali, "pro viatico suo" per spese di viaggio, “non capientes ultra duos julios singulis diebus" non debbano avere più di due giuli al giorno.

E così anche gli Amerini potranno gioire per la riconquista di Bologna! (2007)


16 - Nel consiglio generale del 16 Settembre 1500, "exibite et presentate fuerunt ... lictere domini Agapiti de Geraldinis et d.ni Piermathei de Manfredis civium Amerinorum" vennero esibite e presentate lettere inviate da Roma dai cittadini Amerni Agapito Geraldini e Piermatteo Manfredi (il noto pittore)"quibus significabant S.um D.N. pp. satis esse indignatum erga hunc Amerinum populum" con le quali facevano presente che il papa era notevolmente indignato contro il popolo di Amelia "hortabantque dicti cives hanc Amerinam Communitatem ad fatiendum compositionem cum p.to S.mo D. N." ed esortavano la Comunità amerina a comporre tale dissidio con il papa "ut eius indignatio mitigetur" per mitigarne l'indignazione. "Jccircho consulentibus nonnullis ex dictis civibus ad evitandum indignationem et ruinam quam dictus D.N. sanctissimus minatur in hanc Communitatem licet iniuste" Pertanto, consultatisi molti cittadini presenti, per evitare l'indignazione e la rovina minacciata alla Comunità dal papa, sia pure ingiustamente, forse perché non era stata ancora pagata la somma di 10.000 ducati richiesta immotivatamente ad Amelia (v.30 Agosto 1500 su “Almanacco 2007”), tutti gl'intervenuti, ad unanimità di consensi, nominarono oratori da inviare al papa Giacomo Nini e Cristoforo Cansacchi, con l'esortazione di patteggiare il versamento richiesto "pro minori pecuniarum summa qua poterunt" nella minor quantità che fosse stata loro possibile ottenere "Nam si pecunie exibentur indignationem illam animi quam contra hanc Communitatem paruerit" Infatti, se avessero fatto vedere (al papa) i soldi, l'indignazione mostrata verso la Comunità "facilius ad benivolentiam et gratiam convertere" si sarebbe potuta più facilmente convertire in benevolenza e perdono.

Ma chi l'avrebbe detto? (2008)


16  -   Pasquino di Narni, abitante in Amelia, “intendens et volens supplicare in consilio generali pro condemnatione Gregorij sui filij” volendo supplicare, nel consiglio generale del 16 Settembre 1549 per una condanna subita da Gregorio suo figlio per un reato da lui commesso, “promisit mihi Tranquillo notario et cancellario supra et infrascripto ut publice persone” promise a me Tranquillo, notaio e cancelliere sopra ed infrascritto, quale pubblico ufficiale “solvere penam iuxta taxam sibi a dicto consilio fiendam” di pagare la pena (relativa al reato commesso dal figlio) secondo la misura da stabilire da detto consiglio “pro quo Bartholomeus Scipionis in forma depositi ut principalis fideiussit et se obligavit” per il quale (pagamento) Bartolomeo di Scipione prestò fideiussione in forma di deposito come principale (debitore) “quo fideiussore dictus Pasquinus semper et omni tempore indemne conservare promisit” al quale fideiussore, detto Pasquino promise di mantenerlo sempre indenne e sollevato “et pro observatione omnium premissorum obligaverunt se ipsos ac eorum bona” e per l’osservanza di tutto quanto sopra, tanto Pasquino, quanto il fideiussore Bartolomeo, obbligarono se stessi ed i loro beni.

Tale forma di garanzia fideiussoria, prestata da terzi a favore di persone condannate al pagamento di pene pecuniarie per reati commessi era piuttosto comune all’epoca, come può rilevarsi da simili contratti stipulati il giorno 12, stesso mese ed anno, da Delio di Vittore a favore di Fabiano Zuccanti ed il 21 successivo da Battista di Torello a favore di Gerolamo di Sante, forse suo nipote. (2009)


16  -  Nel consiglio dei X del 16 Settembre 1475 vengono, fra l’altro, esaminate alcune suppliche.

Una è presentata da “lo devotissimo et fidelissimo servitore schiavo et anche poverissimo ... Guido de jacomo schiavone habitatore del vostro Castello de San focetole”, il quale “narra et expone como suo patre et lui con soi fratelli et tutta loro famiglia sonno venuti ad habitare nel decto vostro Castello con animo et voluntà (in) quello vivere et morire con tutti loro discendenti ad obedientia et honore et stato de V. M. S. et de decta magnifica Ciptà per laquale in omne bisogno volono (vogliono) mettere ad omne retaglio (a rischio) e pericolo etiam bisognando (se fosse necessario) morire et cossì se offriscono sempre apparecchiati et benché loro volontà sia et bene et con carità vivere et morire con vicini et con omne persona, pure per instigatione del diavolo  jnimico de omne bona voluntà intervenne con luj  hebe (lo istigò ad avere) certa rissa con moricone de Jacomo del vostro Castello de lafratuccia inla quale (rissa) el decto moricone fo percosso et ferito da esso guido dalcune percossione con ferro et con sangue como più adpieno se dice contenerse nela inquisitione contro deluj già formata per lo offitio del potestà deAmelia et per decta cagione fore condennato  in contumacia in alcuna quantità de denari, come appare nela condennagione contra lui lata (fatta), ala quale se referisce ... et benché mosso ad ira et senza ragione lui pervenisse ... a fare injuria a decto moricone pure repensando et cognoscendo se havere male facto, continuamente è stato et è pentito del suo errore et mai non ha havuto ardire comparire nel nostro distrecto né praticare con la parte offesa; finalmente per gratia et misericordia dedio et operatione (intervento) dele bone persone ... esserse (si è) sottomesso al decto offeso et a suoi parenti ... et inseme hanno facto bona pace per mano de prete luca del collicello ... laqual pace esso guido intende perpetuamente observare, ma perché dubita dela corte per respecto de (riguardo a) la sua condennatione et lui è tanto povero che non po satisfarla con pagamento de derari, con grande humilità et flexis genibus (a ginocchia piegate) se recommanda a V. M. S. supplicando devotissimamente vedegniate provedere et riformare (deliberare) et a luj gratia fare per omne via ... offerendo lasua persona atutti liservitij del decto castello et vostra M. Comunità che la decta condemnatione vogliano cassare et annullare in bona forma, domandanno de gratia singulare da la V. M. Comunità, quale dio exalti et conservi”.

Il maggior consiglio del giorno seguente 17 delibera che, “solutis duobus ducatis” dopo il pagamento di due ducati, da effettuare nel termine fissato dagli Anziani a Guido schiavone, avuta costui riappacificazione con la parte offesa, si annulli il procedimento a suo carico.

Altra supplica è presentata “per parte dela vostra fidelissima servitrice et poverissima persona donna lucretia moglie de angelo demattio alias el fritta che conciosia cosa che lodecto angelo per la sua mala fortuna  et perli molti debiti sia partito dala città de amelia et non si sappia ove luj se sia et abia lassata ladecta supplicante miserrima et sensa cosa alcuna et sensa nisuno aiutorio inmano perché licreditori se anno pigliato omne cosa et non possa resistere né po operarse colle soie mano ad sostentarse solo de pane ... se recommanda ale prefate V. M. S. ve degniate ordinare  et reformare et ad epsa gratia fare perlo avenire non sia tenuta ala gravezza delfoco, questo quantuncha sia justo de fare asimile povera et miserabile persona essa supplicante laverà (lo avrà) dala V. S. agratia singulare, le quali dio conservi et prosperi in felice stato”. Alla povera Lucrezia, il seguente consiglio generale concede l’immunità “dativarum et collectarum omnium imponendarum” dal pagamento di tutte le dative e collette, “usquequo angelus maritus suus alias el fritta redeat ad habitandum et standum in civitate Amerie, prout alij cives habitant et stant” fin quando suo marito Angelo, detto “Fritta”, non sarà tornato ad abitare in Amelia, come gli altri cittadini, “quod si redierit ut dictum est nulla gaudeat immunitas” e se dovesse tornare, alla povera Lucrezia venga revocata ogni immunità. A questo punto, a Lucrezia non restava che augurarsi che il marito alias “Fritta” non si facesse più vedere e che se ne andasse definitivamente a ... farsi friggere! (2011)


16  -  Vi sono seri motivi di discordia fra le città di Terni e Rieti. Per interessamento dell’ill.mo Sig. Ascanio Colonna, Duca di Tagliacozzo, Conte d’Alvo (?), Conestabile del Regno di Sicilia e Vice Re delle Province  degli Abruzzi, si addiviene alla conclusione della pace. Ma essendo il Colonna “necessitate astrictus hinc ex Ameria discedendi causa et occasione sequendi et sequens volendi exercitum Cesaree Mayestatis in Tusciam” costretto dalla necessità di doversi spostare da Amelia -dove trovasi e dove avverrà l’accordo (v. il 26 successivo)- per seguire l’esercito regio verso la Tuscia, “idcircho, ne huiusmodi bonum propter eius  absentiam deficiat” quindi, affinché non possa derivare alcun male dalla sua assenza, il 16 Settembre 1529 provvede a farsi rappresentare e sostituire dagli amerini Anselmo Laurelio, Virgilio de’ Rasis e Lucio Archilegio, Anziani della città. (2014)


17 - Il notaio Francesco Celluzi riceve, in data 17 Settembre 1412, la pubblica confessione di Johannes quondam Pacepti di Amelia, resa alla presenza del canonico Angelo Pocolelli e del suo confessore ("appatrinus"), mediante la quale detto Johannes, "cum magna contritione, flexis genibus", contrito e genuflesso, confessò di aver, nel decorso mese di agosto, nella taverna di proprietà di Tomassuccio di Antonio, in contrada Collis, maledetto e bestemmiato "quatuor vicibus divisim et perperam" cioè quattro volte separatamente e stoltamente San Giovanni "in ejus obproprium et contemptum", con suo obbrobrio e disprezzo. Dichiara, pertanto, di essersi pentito e di pentirsi "penituisse et penitere" della pronunziata bestemmia e di impetrarne il perdono, che non gli viene negato dal presente "appatrino" che, "in secreto", gli fa "remissionem et absolutionem de blasfemia et delicto", cioè remissione ed assoluzione tanto del peccato, che del reato per il quale Giovanni era stato accusato dinanzi al podestà. (2000)


17 - Poiché l'elezione di Maestro Salomone ebreo di Todi "fisicus et cirugicus" (medico e chirurgo) fatta in data 7 Luglio 1478 non dovrebbe aver avuto esito positivo, molto probabilmente a causa della peste che infieriva in Amelia, il 17 Settembre successivo gli Anziani scrivono "celebri et doctissimo medicine perito Magistro Danieli Abrahe ebreo castrensi" al celebre e dottissimo esperto in medicina Maestro Daniele di Abramo ebreo di Castro, facendogli presente che è stato eletto alla condotta di Amelia per 14 mesi e 13 giorni, con decorrenza immediata e con termine al 30 Novembre del  futuro anno 1479 e con il salario di cento ducati, in ragione di 80 baiocchi a ducato, da pagarsi in rate bimestrali e comprensivo anche dell'abitazione. Sarà, comunque, tenuto ad offrire a sue spese un cero di 5 libbre per la festa di S. Stefano (26 dicembre), con obbligo, altresì, di non assentarsi mai dal distretto, senza licenza degli Anziani e di non stipulare patti o compartecipazioni con farmacisti ("pharmocopola") e speziali ("aromatari") di Amelia, obbligandosi, con giuramento, a non chiedere altro per le sue prestazioni di medicina e chirurgia ("gratis et sine premio aliquo"), compreso l'esame delle orine ("gratis tenearis videre orinas"); dai pellegrini e dagli extradistrettuali potrà, invece, venir pagato liberamente.

Mastro Daniele, lo stesso giorno 17, si presenta ed accetta l'incarico, esibendo anche una bolla di Pio II in data 3 Marzo 1458, con la quale viene personalmente autorizzato a prestare la sua opera a pazienti di fede cristiana, "non obstantibus constitutionibus et ordinationibus apostolicis ac statutis et consuetudinibus ... etc. etc.". Quando si tratta della pelle, vanno bene anche i medici ebrei! (2007 - 2009)


17 - Sul periodico “AMERIA” del 17 Settembre 1897, leggesi la seguente notizia di cronaca.

“LA NOSTRA PASSEGGIATA - In altro numero del Giornale accennammo a ripetute lagnanze del pubblico per il completo abbandono in cui da vario tempo viene lasciata la nostra passeggiata, nella quale mancano persino vari alberi e niuna cura vedesi praticata a quelli che vi sono. E siccome tali lagnanze ci pervengono tuttora insistenti, ci rivolgiamo nuovamente a chi di ragione per un sollecito provvedimento in proposito”.

I nostri amministratori di cento anni dopo sono sicuri di avere la coscienza tranquilla? (2008)


17  -   Occorre provvedere alla nomina del medico e, secondo anche le sollecitazioni scritte inviate agli Anziani dal vicelegato, il 17 Settembre 1478 viene nominato Maestro Daniele di Abramo, ebreo di Castro “pro mensibus quatuordecim et diebus tredecim hodie incohandis” per 14 mesi e 13 giorni ad iniziare da oggi e da teminare  “die utima mensis novembris anni futuri 1479” il 30 novembre del prossimo anno, “cum salario centum ducatorum ad rationem octuaginta baiocchorum pro quolibet ducato”, con il corrispettivo di 100 ducati, in ragione di 80 baiocchi per ducato, da pagarsi dal camerario comunle in rate bimestrali, nel quale sarà compresa la casa di abitazione e con il patto che “de mense decembris proximi futuri cereum ponderis quinque librarum solvere teneris” sia tenuto ad offrire, a sue spese, nel futuro mese di dicembre, un cero del peso di 5 libbre ed, inoltre, lo stesso medico si deve impegnare a risiedere e restare nella Città e distretto di Amelia, né assentarsi senza espressa licenza degli Anziani “ac etiam sub pena amissionis salarij nullam participationem aut intelligentiam habeas cum aliquo nostre civitatis pharmacopola seu aromatario” ed inoltre, di non pattuire alcuna convenzione di compartecipazione con farmacisti o speziali della città, sotto pena della perdita del salario. Lo stesso dovrà giurare nelle mani degli Anziani “solerti studio ut vocatus fuisses ut opus erit mederi omnibus et singulis personis dicte Civitatis eiusque comitatus ac districtus in phisica et cyrurgia gratis et sine premio aliquo” di prestare la sua opera di medico e chirugo con la massima diligenza ogni volta che ne venisse richiesto da ogni singola pesona della Città e suo distretto, senza pretendere nulla oltre il salario convenuto, con tuttavia il permesso di ricevere qualcosa dalle genti del contado “uti fueris in concordia cum egrotis” con il consenso degli stessi malati. “In Civitate vero tenearis videre orinas et consulere quid agendum pro sanitate recuperanda” In Città, sarà tenuto ad esaminare le orine ed a tenere consulti per decidere quali provvedimenti adottare per far riacquistare la salute ai malati “a peregrinis et hijs qui extra districtum  habitant” dai pellegrini e dagli extradistrettuali che avessero bisogno del medico, questi potrà farsi corrispondere un compenso. Nel caso di sua morte “(quod deus avertat”) -che Dio ce ne scampi- il suo salario sarà di conseguenza ridotto al periodo di effettivo servizio prestato. La lettera di assunzione termina con l’esortazione ad accettare la nomina “non salario sed conducentium voluntate perspecta” non tenendo conto tanto del salario, quanto della buona volontà di coloro che lo hanno nominato.

Maestro Daniele non se lo fà dire due volte e, lo stesso giorno, accetta l’incarico.

Di seguito a quanto sopra riportato, nelle riformanze risulta trascritto il breve di Papa Pio II in data 1 Marzo 1458, mediante il quale il medico Daniele aveva avuto, fin da allora,  l’autorizzazione “medendi christianos” a curare i pazienti di religione cristiana, malgrado la sua “obstinata cecitas” ostinata cecità nell’ “agnoscere viam veritatis” riconoscere la via della verità. (2007 - 2009)


17  -  L’11 Settembre 1503 nel consiglio decemvirale si tratta un argomento di ordine pubblico:

“Quia nuper ex diversis locis numptiatum est Gentes Johannis pauli de ballionibus, Domini Lodovici de Actis de Tuderto, Domini Bartholomei de Alviano et aliorum ursinorum et partis ghelfe complicum et sequacium predictorum dominorum inimicorum nostre Civitatis Amerie, debellata Perusia et pulsis inde gebellinis, ad damna et ruinam urbis amerine recta properare” essendo recentemente giunta notizia che le genti di Giovan Paolo Baglioni, di Ludovico degli Atti di Todi, di Bartolomeo d’Alviano e degli altri Orsini, complici e seguaci di parte guelfa, nemici della Città di Amelia,  debellata Perugia ed ivi cacciati i ghibellini, si affrettano direttamente ai danni ed alla nostra rovina, ci si chiede come provvedere in merito.

Ser Ugolino Cresciolini, considerato “quod res est maximi ponderis” che la situazione è della massima gravità, propone di inviare immediatamente un’abasceria a Luca Savelli “pro eius armigeris tam equitibua quam peditibus” per un invio di genti armate, sia a cavallo, che a piedi, “sumptibus publicis” da assoldare a spese della Comunità “et si forte dictus dominus Lucas non posset nobis opem ferre” e se il detto Savelli non potesse venire in nostro aiuto, si scriva al cittadino Gian Gerolamo Racani, “ut conferat se illico ad ill.mum Ducam Romandiole pro presidio et auxilio impetrando nomine rei publice nostre”, affinché si rechi immediatamente dal Duca Valentino (Cesare Borgia), per impetrarne l’aiuto a nome della Comunità, anche se, con la morte di Alessandro VI, avvenuta il 18 Agosto antecedente, l’autorità del Duca aveva ricevuto un fiero colpo, dal quale non si risolleverà più.

Intanto il tempo passa e il giorno 12 successivo, nel consiglio dei Dieci, si riafferma che, da diversi luoghi, giungono altre notizie che “gentes nobis inimicas properare ad nostra damna” genti nemiche di Amelia si affrettano a venirci a recar danno e “cum periculum sit in mora” poiché è pericoloso indugiare, si chiede di prendere idonei provvedimenti e si procede alla nomina di sei cittadini, conferendo loro i necessari poteri di agire per la difesa e la sicurezza della Città e dei castelli.

Ma soltanto il 23 Settembre l’assemblea, cui partecipano gli Anziani, i sei deputati ed i Banderari (Capitani) delle contrade, decide di fare qualcosa di concreto: i Capitani delle contrade “summa diligentia et celeritate curent fossa ante portam pisciolinam effodi, repagula in locis debilibus nostre civitatis Amerie confici” con la massima diligenza e celerità, facciano scavare fossati davanti alla posta Busolina e facciano allestire sbarramenti di difesa nei luoghi più deboli della Città; inoltre, far rinforzare le porte nel modo che sarà più idoneo, “una cum omnibus pertusis et foraminibus existentibus  in menibus publicis et domibus privatorum civium hoc tamen sumptibus dominorum domorum ubi illa repperiuntur” e far chiudere tutte le cavità ed i buchi che vi fossero sia nelle mura cittadine, che sulle abitazioni dei privati, queste ultime a spese dei relativi proprietari. (2010)


18 - Nel consiglio speciale del 18 Settembre 1445 si prende in considerazione una singolare richiesta: "cum Magister Leo M. Moysi hebreus Medicus venerit huc sub spe quod ex arte medendi posset vitam ducere et aliquid superlucrari" essendo Maestro Leone di Mosè medico ebreo qui venuto con la speranza di poter esercitare l'arte medica da cui trarre sostentamento, tuttavia, poiché è emerso che altrimenti sia avvenuto e che, dalla sola arte medica, Maestro Leone non abbia ritratto quel tanto che gli potesse assicurare la sopravvivenza, volendo continuare a dimorare in Amelia al servizio della comunità, "supplicaret detur sibi licentia vel tolleretur quod faciat artem fenoris cum lucro competenti et capitulis honestis hinc inde faciendis" chiede che gli sia concessa licenza o, per lo meno, venga tollerato che egli possa esercitare il credito, con un adeguato interesse e con patti onesti da stipulare, altrimenti "oporteret ipsum ex hinc discedere, quod huic comunitati propter penuriam medicorum videretur dampnosum" sarebbe necessario che egli lasciasse la Città, il che potrebbe risultare pregiudizievole alla comunità, a causa della carenza di medici. Si chiede che la questione venga decisa nel consiglio generale, il quale, riunitosi il giorno successivo, stabilisce di stipulare con il medico-usuraio i capitoli per la gestione del credito. Questi vengono puntualmente redatti il 26 Settembre suddetto, fra gli Anziani della Città da una parte e Maestro Leone di maestro Mosè di Rieti dall'altra, tenendo conto di quanto praticato nelle vicine città di Terni e Narni.

In particolare, in detti capitoli si convenne "quod pro usuris et lucro ipsius mutuantis non liceat accipere a civibus dicte Civitatis Amelie et eius comitatensibus plus quam ad rationem duorum baioccorum pro quolibet floreno quolibet mense" che cioè, a titolo di interesse, non potesse essere chiesto a cittadini e contadini di Amelia non oltre due baiocchi per ogni fiorino per ciascun mese. E' poco dopo il 1420 che si inizia a far cenno ai baiocchi, per indicare quelle monete precedentemente chiamate bolognini ed è da intendere che, per baiocco, si volesse riferirsi al bolognino romano, del valore di 20 denari. Se così fosse, considerando il fiorino composto da 70 bolognini (v. 1° Settembre 1445), ne deriverebbe che 24 baiocchi all'anno per ogni fiorino equivarrebbero ad un interesse del 40%. Non c'è male!

Fra gli altri patti, era previsto che i beni dati in pegno da cittadini e contadini dovessero essere riscattati entro 18 mesi e quelli dati da estranei e forestieri entro un anno; passati i quali termini, l'ebreo era libero di vendere i pegni a suo piacimento. Venne, inoltre, pattuito che quest’ultimo non doveva rispondere, né subire alcun danno nel caso che l'oggetto dato in pegno fosse di origine furtiva e che le sue risultanze contabili facessero fede sia in giudizio che fuori.

E così Maestro Leone oltre alla cura dei corpi dei suoi clienti, passò anche a quella delle loro borse! (2006)


18 - Il vuoto di potere venutosi a creare in Italia dopo il trasferimento della sede papale ad Avignone favorì il nascere e pullulare di signorotti spavaldi, ribelli ed audaci, in lotta fra loro, per accrescere i rispettivi territori di influenza ed allargare i propri domini. Tali fermenti costituirono terreno fertile per la nascita e la crescita esponenziale di aggregazioni fra elementi feroci e spregiudicati che, unitisi in bande armate, diedero luogo al formarsi di quelle compagnie che si dissero di ventura, perché mettevano i propri servigi a disposizione di chi li pagava meglio, fornendo loro, nel contempo, l'occasione di abbandonarsi a saccheggi, rapine e distruzioni. Alle prime compagnie, per lo più di origine tedesca ed inglese, come i brètoni, nel corso dei secoli XIV e XV seguirono quelle italiane e le nostre zone ebbero la "sventura" di annoverarsi fra quelle più spesso frequentate da tali poco graditi visitatori, passati, con il volgere del tempo, al servizio anche dei maggiori protagonisti della politica del tempo.

Troviamo, così, che il Capitano Mostarda "de Strata" di Strada, generale delle milizie papali ed assoldato insieme ad Angelo de la Pergola, con il consenso e l'avallo del Vescovo di Montefiascone, Tesoriere del Patrimonio, scrive a più riprese agli Anziani di Amelia, per aver soddisfatte le rate (terzerie) del sussidio -leggi taglia- imposto alla nostra Città.

La prima lettera è datata da Viterbo il 18 Settembre 1401, la successiva (a firma del Tesoriere) è del 20 successivo, un'altra (che si trascrive) è del 29 Settembre:

"Magnifici patres et domini mei. Sommamente ve prego ve piacia fin a domenica prossima che vene far dare ad Angelo de la Pergola nostro compagnone, o a chi altri esso mandasse per sua parte LXX ducati (sta per fiorini) de la vostra seconda terziaria e lu resto fate sia apparecchiato che onne volta mandamo per esso sia parato".

A queata graziosa letterina, il Tesoriere ne fa seguire altra il 4 Ottobre successivo, con la quale esorta gli Anziani a provvedere ai pagamenti alle scadenze ed alle persone indicate dal Magnifico Capitano. Chiude con la raccomandazione dal sapore neppur tanto vagamente minaccioso: "rogo quod sitis solliciti ne aliquod dampnum vel scandalum vobis exoriri possit" vi prego di essere solleciti per evitare che ne possa derivare a voi qualche danno o altro ostacolo.

Gli Anziani non se lo fanno ripetere due volte ed il giorno succesivo, 5 Ottobre, nelle riformanze risulta trascritta in copia la ricevuta dei 70 fiorini "ad rationem xliiij bol. pro quolibet floreno" in ragione di 44 bolognini per fiorino, che Giovanni Vannuzzi di Cingoli, cancelliere di Angelo della Pergola, stipendiario del papa e di Santa Chiesa, sotto il Capitanato del magnifico Capitano Mostarda di Strada, ricevette da Giovanni Brancatelli, Camerario Generale del Comune di Amelia. E così sia. (2007)


18 - Nel consiglio generale del 18 Settembre 1500 interviene Muzio Colonna, "ad presens Dux armigerorum gentium que Amerie sunt" quale attuale comandante delle genti armate di stanza in Amelia, "ac grandi facundia et eloquentia" e con  la grande facondia ed eloquenza che lo distingue, espone che, da parte di due suoi cugini "significatum est quod exercitus ursinorum et eorum adherentium assentiente pontifice contra eorum statum iturum est" gli è stato comunicato che l'esercito degli Orsini e loro alleati, con l'assenso del papa, sta per marciare contro la loro casata. "Requirit igitur Amerinam Communitatem ut pro observatione plene amicitie cum Columnensibus dominis jam diu habite" richiede, quindi che la comunità amerina, per la conservazione della  piena amicizia da tempo stabilitasi con i signori colonnesi, "velit destinare tricentos pedites ad presidia Domus Columnensis" voglia destinare 300 fanti a difesa della loro Famiglia.

Il consigliere Ugolino Nicolai de Cresciolinis è dell'avviso che si nominino quattro cittadini (connestabili)  da porre al comando dei fanti richiesti dal Colonna e, "pro quorum solutione liceat ipsis dominis Antianis et predictis quatuor civibus" per il loro pagamento, sia in facoltà degli Anziani e dei detti quattro eletti di "imponere imprestantias" imporre un prestito forzoso, "ad tempus vendere gabellas communis", in attesa di poterlo rimborsare vendendo le gabelle del Comune. Vengono eletti "connestabiles peditum destinandorum ad presidia ill.morum Dominorum Columnensium" Lodovico di Sabino Archileggi, Tranquillo di Ascanio Moriconi, Pompilio di Battista Geraldini ed un altro.

Il giorno successivo, "pro solvendis peditibus mictendis cum ill.mo D.no Mutio Columna" per pagare gli stipendi dei fanti da inviare con Muzio Colonna, gli Anziani ed i quattro come sopra eletti "unanimi eorum voto delliberaverunt et statuerunt quod ex nunc imponatur imprestantia centumtrigintaduobus civibus qui per totum diem hodiernum solvere debeant ducatos duos de carlenis" deliberano , a voti unanimi, che venga immediatamente imposto un prestito forzoso a 132 cittadini, in ragione di due ducati ciascuno, da pagare lo stesso giorno "Johanni Zaffini depositario ad huiusmodi exactionem specialiter deputato" nelle mani di Giovanni di Zaffino, incaricato e deputato alla riscossione del prestito. I nomi dei "tartassati" vengono riportati a parte, nel registro dell'esattore. (2008)


18  -  Nel consiglio decemvirale del 18 Settembre 1472 si esamina la supplica presentata dal lanaiolo Giovanni Francesco di Ferrara dimorante in Amelia, “petentis in effectu sibi fieri gratia amore dei de condemnatione per curiam presentis domini potestatis late contra eum” che chiede, per amor di Dio, che gli venga fatta grazia della condanna emanata contro di lui dalla curia del podestà, “pro rixa facta  cum Pietro Paulo Bartocci de Amelia” a causa di una rissa avuta con Pietro Paolo Bartocci “cum sit gravi familia onustus et propter eius inopiam vix possit eam proprio labore nutrire” poiché è gravato da pesante obbligo familiare ed, a causa della sua indigenza, a stento può provvedervi. Nel successivo maggior consiglio del giorno 20, si delibera “quod habita pace ab adversario suo et data cautione communi de servendo sibi et accedendo quo fuerit opus per aliquot dies ad nutum et voluntatem d. An. cassetur et irritetur dicta condennatio lata contra eum” che, dopo aver ottenuto il perdono da parte del suo avversario, ed offerta idonea cauzione ed assicurazione al Comune di prestare la sua opera per i giorni e dove, da parte degli Anziani, sia simato opportuno, gli venga cancellata la condanna formulata contro di lui. (2009)


18  - Todi contesta ad Amelia il possesso di Canale ed ha emesso un provvedimento giudiziario in tal senso. Il 18 Settembre 1551 Gerolamo Nacci propone che si scriva alla Comunità di Todi, ribadendo che “tenuta Canalis spectat et est nostre communitatis ut palam et publice patet publicis documentis scriptis et subscriptis manu tabellionum tudertinorum”  Canale spetta ed appartiene alla Comunità di Amelia, come chiaramente risulta dagli atti pubblici scritti e sottoscritti dai notai di Todi e che la sentenza todina “tamquam nullam parvipendimus” è da considerare e valutare di nessuna efficacia nei nostri confronti.  

A distanza di 43 anni, nel “Liber Criminalium” (Registro dei Processi Penali) del Comune di Giove, sotto la data del 18 Settembre 1594, risulta verbalizzata la seguente denuncia presentata da Donna Marta di Sante, asseverata con giuramento:

“Io dò querela a V. S. qualmente Simeone di Leonina, stand’io lì alla mia possessione in contrata il Poggio di S. Maria, mi venne inanzi bell’à nudo per dispetto, et per farme vergogna, et questo mi fece in presenza di Primo d’Antonio et Giovanni de Sabino, però adimando che V. S. ci proceda conforme à giustitia”.

Ci sarebbe da chiedersi se, a provocare un tal comportamento da parte di Simeone, non vi fosse qualche “avance” precedentemente fatta a Donna Marta e da questa non gradita! (2012)


19 - Gli Anziani, con loro ordinanza in data 19 Settembre 1456, fissano ai barbieri di Amelia il compenso "pro qualibet barba" (per ciascuna barba) a 2 quattrini "et non ultra", in quanto sembra che tali artigiani abbiano, di loro arbitrio, aumentato il corrispettivo di loro spettanza. Con detta ordinanza, gli Anziani costringono i barbieri a dichiarare, sotto giuramento, quanti denari hanno incassato oltre il dovuto prima dell'ordinanza, obbligandoli a restituire "a'rasi" cioè a coloro che si son fatti radere, quanto percepito in più.

Ciò presupporrebbe che ogni barbiere appuntasse in un registro quante barbe radesse ed a chi. Sembra davvero un'esagerazione! (2001)


18  -  Il 18 Settembre 1475 il consiglio dei X deve interessarsi, fra l’altro, di una lamentela presentata al Governatore da parte di certi imprenditori edili lombardi, che accusano gli amministratori del Comune di inosservanza di patti con essi convenuti e sottoscritti circa una costruzione da effettuare nel Castello di Sambucetole. E’ inviata dallo stesso Governatore, da Todi, il 12 precedente ed è diretta agli Anziani; essa è concepita nei seguenti termini:

“... è stato qui mastro Simone da como et ce dice che esso et uno maiestro pietro da como hanno preso da testa (questa) communità certo lavorio con patti et modi  como appare per publico instrumento  el quale noj havemo veduto et al presente secondo che essi dicono voj o vero quelli che sonno deputati sopra tale edificio non li vogliono observare li pacti et conventione che nel predecto instrumento se contiene; pertanto ve comandamo che sensa altra replicatione li observiate et facciate observare el decto instrumento et li pacti et conventioni che sonno in quello, perché venendo epsi ad lamentarse altra volta ad noj, ve dimostraremo che la iustitia se deve ministrare cossì ali forestieri como (a) quelli dela terra et tutto se farrà ale vostre spese”.

Nello stesso consiglio si esamina anche una supplica di Uffreduccio di Pietro detenuto in carcere, che si definisce “incauti imprudentis et infelicis juvenis” giovane avventato, imprudente ed infelice, “occasione cuiusdam equi per ipsum ductum de Civitate tuscanelle ad Civitatem Amerie preter mentem et voluntatem domini dicti equi” a causa di un cavallo da lui condotto (leggi: rubato) da Tuscania ad Amelia senza e contro la volontà del suo padrone, “vel quibuscumque alijs de causis delictorum actenus per ipsum forsitan  commissorum”, nonché per motivo di altri reati finora forse (!) da lui commessi, il tutto come ampiamente risultante dai relativi atti processuali; e, pur avendo provveduto a soddisfare le ragioni del padrone del cavallo, “tamen pro pena incursa ex dictis causis ad hunc detentus extitit a qua detentione et carceratione non possit liberari sine vestro benigno auxilio sibi misericorditer succurratur” tuttavia, a causa delle pene in cui è incorso per i detti motivi, è tuttora detenuto in carcere, dal quale non può venir liberato, senza l’aiuto misericordioso del consiglio, al quale, pertanto, si appella, chiedendo di venir compatito, in quanto ha sbagliato “potius ex quadam imprudentia et levitate juvenili quam ex malitia erravit et actenta eius etate juvenili” mosso più da una certa imprudenza e leggerezza dovuta alla giovane età, che da effettiva malvagità, “cum intendat se reducere ad meliorem vitam” e si propone di cambiar vita. Nel maggior consiglio del dì seguente si delibera che “actento eum iam penituisse delictorum et quod ad meliorem vite statum et emendationem redire vult” considerando che il giovane Uffreduccio si dichiara pentito dei reati commessi e intende migliorare la propria vita e redimersi, “et actento quod est civis amerinus bone progenie” e tenuto conto che l’imputato è cittadino amerino di buona famiglia, “solvat penam de equo” paghi la pena relativa al furto del cavallo e, per gli altri reati, “fiat gratia pene” gli si faccia remissione della pena “et quod per decem annos sit exul et rebellis a districtu Civitatis amerie quem non possit intrare et si intraverit vice qualibet solvat ducatos decem” e per dieci anni sia bandito dal distretto di Amelia e se vi entrarà, dovrà pagare un’ammenda di dieci ducati per ogni volta.

Si vede che anche nel medioevo non mancavano i “teppistelli” fra i giovani cosiddetti “di buona famiglia”! (2011)


19  -   Il 19 Settembre 1518 si delibera che, “pro venditoribus et emptoribus utilitate ac Civitatis” per utilità dei venditori e dei compratori e della Città, ed affinché “Civitas reddatur abundantior et magnificentior multorum est sententia quod ordinetur mercatum liberum et securum in die sabati facendum” la stessa venga resa più ricca e magnifica, è parere di molti che il mercato del sabato sia reso libero e sicuro. A tal proposito, si decide, fra l’altro, “quod in nundinis nostris Amerinis nullo unquam tempore possent interesse nec venire Zincari” che nelle fiere di Amelia, in nessun tempo sia consentito agli zingari di essere presenti, “cum soleant semper in furtis et rapinis versari propter gerentes detestabiles mores” poiché sono adusi a compiere furti e rapine, a causa della manifestazione dei loro “detestabiles mores” detestabili costumi.(2009)


19  -  Il 19 Settembre 1548 Don Flavio Crisolino, Canonico amerino, redige l’inventario dei poveri mobili di prete Evangelista Crisolini, Canonico della Cattedrale, “Jesu Christi nomine invocato ac S. Crucis venerabili signo premisso” dopo aver invocato il Nome di Gesù e premesso il Segno di Croce. Eccone un saggio: “In prima stantia ... uno tavolino da magnare, tre dischi da sedere, una catena con le catenelle da focho, dui capi fochi, palitta (paletta) et moglie (molle). Item in camera minori uno lecto de piuma col sacchone, capizale et coperta azura; dui para de stivali, uno negro et laltro biancho, un par de forbici et un paro de spironi (speroni), una cassetta de legno con dui breviarij et scripture ...” (2014)


19  -  Il 19 Settembre 1551, il Priore della Chiesa Cattedrale di Amelia, Niccolò Franchi, che è anche Rettore di S. Matteo del Castello di Sambucetole, dà in affitto, per due salme di grano all’anno, un prato appartenente alla parrocchia di Sambucetole, “versus fundamentum sclavorum” a confine con un fondo di proprietà degli schiavoni (emigrati a Sambucetole intorno al 1470) ed un campo detto Lacuscello. (2014)


20 - Il 20 Settembre 1476 risulta annotata nelle riformanze la seguente curiosa, quanto sconcertante notizia:

"Magnifici Domini Antiani collegialiter congregati in sala inferiori palatij eorum solite residentie" Gli Anziani, collegialmente adunati nella sala inferiore del palazzo della loro consueta residenza "concesserunt licentiam Ser Antonio mandatario domine Agnetis" diedero il loro benestare a Ser Antonio, procuratore di Donna Agnese (Orsini, Signora di Bassano) "ut Ser Marioctus mutuet sibi mannariam communis pro iustitia facienda" affinché Ser Mariotto -che doveva essere il boia comunale- prestasse alla detta Donna Agnese la mannaia pubblica, per dare esecuzione ad una sentenza capitale "acceptis prius fideiussoribus et cautela de rehabenda dicta mannaria", dopo aver -beninteso- avute idonee garanzie fideiussorie circa la puntuale restituzione dell' "attrezzo".

Si vede che Donna Agnese preferiva tagliare la testa ai suoi sudditi con la mannaia degli Amerini, piuttosto che spendere soldi per comprarsene una! (2007)


20 - In data 20 Settembre 1518, il Vicelegato, che si firma "Jacobus Farratinus", invia alla Città di Amelia, da Perugia, un editto ("bannimenta") nel quale viene ordinato quanto segue:

"-... che non (vi) sia alcuna persona de qualunque stato o conditione sia (che) ardisca né presuma portar alcuna generatione de arme tanto offensibili quanto defensibili per la dicta Città et borghi de essa sotto la pena de quattro ducati doro et doi (due) strappate de corda et perdimento dell'arme oltre la pena statutaria et per ciaschuno (che) contrafarrà et ciasche volta, questo se intenda de dì et la nocte raddoppi la pena, da applicarse per la mità alla Camera d'Amelia ultra la pena statutaria, la quarta allo accusatore et serrà tenuto secreto, l'altra quarta allo officiale che ne farrà executione";

"-... che non sia alcuna persona ... (che) ardisca né presuma biastemare overo maledire el nome de dio de Xpo overo della vergine Maria né alcuno membro suo nominare o qual se voglia  de essi; in caso non permesso jurare sotto pena de x. ducati doro ... per ciaschun sancto et ciaschuna volta et altre pene comprehense nella bolla del Sacro concilio lateranense, da applicarse come de sopra ...";

"-... che non sia alcuna persona ... (che) ardisca né presuma jocare ad nullo joco prohibito sotto pena de un ducato doro per ciaschuno che contrafarrà, (e) del perdimento de denari che li serranno trovati innanti ad quelli (che) jocaranno ...";

"-... che non sia alcuna persona (che) ardisca né presuma né de dì né de nocte andare per la Città d'Amelia overo borghi de essa mascarati per fino ad un mese nanti (innanzi) Carnevale, sotto la pena de octo ducati doro ... et de doi strappate de corda in quello instante da receverle chi serrà trovato et pigliato ...";

"-... (che) qualunca mascarato offendesse per lo advenire qualche persona in la Città d'Amelia o vero commettesse qualche delicto, oltra la pena statutaria ipso facto incurra in la pena amputationis manus dextere (dell'amputazione della mano destra) et nesuno lo possa far gratia se non Mons. Rev.mo o suo vicelegato per lo tempo che serrà";

"-... che non sia alcuna persona (che) ardisca né presuma per lo advenire receptare et dare subsidio overo adiuto né magnare né bevere ad alcuno sbannito overo condennato in pena personale overo capitale per ciasche causa juxta la declaratione novamente facta per lo S.mo S.or N. Leone PP. X.mo, sotto la pena de cinquanta ducati doro per ciaschuno et ciasche volta che serrà contrafacto ...";

"-... che non sia alcuna persona ... (che) ardisca né presuma andar de nocte per Amelia di poi el sono della campana che sona la sera nel palazzo del potestà de dicta Città senza lume el quale se veda apertamente, sotto la pena de quattro carleni ... Con questo che il Consiglio dei xiij, veduta la qualità della persona trovata senza lume ne possa far gratia; et con un lume non se ne possano andare se non tre persone";

"-... che non sia alcuna persona (che) ardisca né presuma lavorare o far lavorare el dì de festa principale secundo (che) nello statuto se contene. Anchora el dì de S.to Agostino (non si eserciti) nesciuta generatione de arte, sotto la pena delli (prevista dagli) statuti". (2008)


20  -   Il 20 Settembre 1472 gli Anziani, avutane autorizzazione dal maggior consiglio, “compatientes calamitatum paulj veneti detrusi in carcere pro rixa facta cum Paulo Tolentinati” avendo compassione per le disgrazie di Paolo Veneto, cacciato in carcere a causa di una rissa avuta con Paolo da Tolentino, “communiter et concorditer deliberaverunt ipsum paulum fore relapsandum et liberandum ab omni pena ad quam teneretur occasione dicte rixe amore dei et intuitu pietatis et misericordie” all’unanimità deliberarono che detto Paolo (Veneto) fosse da rilasciare e liberare da ogni pena alla quale era tenuto a causa di detta rissa, per amor di Dio e mossi da pietà e misericordia. Stabilirono, inoltre, quanto a Paolo da Tolentino, che costui fosse tenuto “ad solvendum in communi bononenos quinquaginta quibus solutis intelligatur et sit absolutus” a pagare, in Comune, 50 bolognini, pagati i quali, si ritenesse prosciolto da ogni addebito. Poiché, a quanto sopra, segue immediatamente trascritta nelle riformanze la notizia che quest’ultimo, lo stesso giorno, si obbligasse, dinanzi agli Anziani, a pagare i 50 bolognini nei successivi 15 giorni, sotto pena del doppio, c’è da pensare che il vero colpevole della rissa fosse Paolo da Tolentino e non Paolo Veneto. Che l’omonimia abbia creato qualche confusione? (2009)


20  -  Il 20 Settembre 1434 Francesco Sforza, nuovo Signore della città di Amelia, scrive da Todi agli Anziani la seguente missiva, affidata al suo cancelliere Arestano, del tenore seguente:

“Spectabiles viri Amici et tamquam fratres Carissimi. Mandamo la (là) Arestano exibitore de la presente nostro Cancelliero al quale havemo comisso ve dica alcune cose per nostra parte. Pertanto voglatilj credere et dare fede de quanto ve dirà como ad nuj proprij. Valete. datum Tuderti die xx Septembris 1434”.

E Arestano espone che, dovendo gli Amerini pagare la parte residua del sussidio dovuto allo Sforza per l’anno in corso ed avendo gli stessi dato in pegno le proprie armi al capitano Michele (“de Actendolis”) e sue genti, quanto occorrerà a riscattare le armi pignorate “excomputetur de subsidio”, venga scontato dal sussidio e la Comunità di Amelia “solvat illud plus quod esset ultra dictum residuum” paghi soltanto la parte del sussidio che resterà dopo l’avvenuto riscatto delle armi.

Meglio di niente ...

57 anni più tardi, stessi giorno e mese, il 20 Settembre 1491, nella “sala magna” del palazzo anzianale di Amelia, fra i rappresentanti del Comune di detta città da una parte e Lancellotto  de Guberninis della Mirandola, quale procuratore e legittimo rappresentante di Donna Lucrezia di Aragona e di Appiano, contessa di Monte Agano e Signora del Castello di Giove, dall’altra, “fecerunt insimul bonam puram, veram et perfectam pacem, osculo pacis interveniente, de omnibus et singulis homicidijs, vulneribus, percussionibus, insultis, aggressionibus et derobbationibus bonorum quomodocumque et qualitercumque factis, illatis et perpetratis per homines dicti Castri, contra homines et personas Civitatis Amerie et comitatus eiusdem ac etiam per homines de Ameria contra homines et personas dicti Castri Jovis” fecero reciprocamente buona, pura, vera e perfetta pace, con l’avvenuto scambio del relativo bacio, di tutti gli omicidi, i ferimenti, le percosse, gl’insulti, le aggressioni e le ruberie comunque e dovunque perpetrati, arrecati e commessi dagli uomini del detto Castello contro gli uomini di Amelia ed anche da parte di questi ultimi nei confronti di quelli del Castello di Giove, “Promittentes dicte partes dictam pacem perpetuam ratam et firmam tenere, habere et in nullo contra facere vel venire, per sé vel alium seu alios, aliqua ratione, exceptione, ingenio vel causa” Le dette parti promisero di conservare la pace convenuta e sottoscritta per sempre e di non violarla mai, in nessun modo né per alcun motivo e senza eccezioni, offrendo, a garanzia del suo mantenimento, i propri beni mobili ed immobili, presenti e futuri e stabilendo, di comune accordo, in caso di mancata osservanza di quanto promesso, una penale di duecento ducati d’oro, a carico della parte inadempiente, che andrà a beneficio “pro medietate parti observanti et observare volenti et pro alia medietate Camere Comunitatis contra quam deventum fuerit” per una metà della parte che avrà osservato e voluto osservare gli accordi e, per l’altra metà, da versarsi nelle casse del Comune nei confronti del quale sarà stato fatto torto.

Pietro Dominici di Trevi, trombetta del Comune di Amelia, riferì di aver proceduto al bando dell’avvenuto accordo. (2010)


20  -  Il 20 Settembre 1470 gli Anziani, congregati nella sala superiore del loro palazzo residenziale, procedono alla nomina di due cittadini “ad describendum bucchas omnium et singulorum focularium Civitatis amelie pro sale novo noviter inponendo pro anno futuro” con il compito di inventariare tutti i singoli componenti (indicati come “bocche”) di ogni nucleo familiare della Città, allo scopo di conoscere quale sia il fabbisogno del sale necessario al consumo dell’anno seguente e, quindi, di stabilire anche l’entità della relativa entrata fiscale. I due designati sono Tommaso di Antonio di ser Angelo e Nicolò di Petruccio, i quali, essendo presenti, accettano l’incarico e prestano il giuramento di rito. 

Quattrocento anni più tardi, i Bersaglieri entravano dalla breccia di Porta Pia. (2011)


20  -  Il Comune di Amelia provvedeva annualmente alla nomina degli amministratori economi e procuratori del Convento di S. Francesco, scegliendoli fra persone probe ed atte al detto ufficio, imbussolandone i nomi. Il 20 Settembre 1494, su richiesta dei frati, vengono estratti i nomi di Manne Mandosi, Mario di Angelo Simoncelli ed Antonio Vezzi. Per commissione del generale dell’Ordine, il Vicario di S. Francesco, frate Egidio, li accetta ed il Capitolo dei frati li conferma. (2014)


21 - Alla presenza degli Anziani Paschalis Ser Arcangeli, Ser Jacobus Genuini, Pace Bernabey, Nicolaus Olimpiadis, Johannes Nicolaij di Monte Campano e Menecutius Dionisij, il 21 Settembre 1453 vennero stipulati i nuovi "Capitula Hebreorum", con l'intervento di Magister Emanuel Magistri Sabbatj, "hebreus de Civitate Interamne et nunc habitator in Civitate Tuderti", cioè di origine ternana, residente a Todi.

I capitoli avevano naturalmente ad oggetto l'esercizio dell'usura e, fra le altre causole, prevedevano l'esenzione da oneri reali e personali, il rispetto delle festività ebraiche, l'esclusiva dell'attività creditizia, l'appropriazione dei pegni dopo 18 mesi di morosità e l'obbligo di far credito al Comune di almeno 40 fiorini l'anno. L'interesse era fissato in 2 bolognini  al mese per ogni fiorino, cioè in 24 bolognini l'anno. Considerato il fiorino di 50 bolognini, come risulta da un atto stipulato il 3 Ottobre successivo, ne deriva un interesse annuo del 48%. 

Tra salassi operati dai medici, spesso anche loro di origine ebraica e quelli degli usurai, per i poveri Amerini c'era poco da star allegri! (2004)


21 - Il 21 Settembre 1476 il consiglio decemvirale deve occuparsi di una delicata questione. I frati francescani conventuali hanno mosso causa al Comune "volendo pro ipsis eripere de manibus et dominio dicte communitatis castrum et possessionem Mymoie comitatus Amelie" volendo a loro beneficio togliere di mano alla Comunità amerina il possesso del castello di Mimoia, "sub spe favoris et privilegiorum religionis absque aliqua reverentia divini cultus et sine caritate et sine amore salutis animarum nostrarum" con il pretesto del favore e dei privilegi spettanti alla religione, senza alcuna reverenza  del culto divino, senza carità né amore verso la salute delle anime dei cittadini e "stant actenti et vigiles" con ogni attenzione vigilano che se qualche cittadino dovesse prendere le difese dei diritti della comunità, sia molestato "ad hoc ut reliqui cives ex exemplo timidiores effecti" affinché gli altri ne subiscano intimidazione e se ne astengano "abstineant a defensione iurium dicte communitatis".

In effetti, le rendite del Castello di Mimoia erano state cedute in usufrutto alla fraternità di S. Maria dei Laici e poi destinate, seppure temporaneamente, a favore del Monte di Pietà, istituito il 12 Dicembre 1470, su promozione di padre Fortunato da Perugia, predicatore francescano, che doveva essere dell'Osservanza.

Malgrado la lite, "quando de proximo erit festum S.cti Francisci, quo festo d.ni Potestas et Antiani vellent ire ad visitandum cum devotione Ecclesiam et loca ... ubi sunt dicti fratres conventuales", nella futura ricorrenza della festa di S. Francesco, il Podestà e gli Anziani intendono andare a visitare devotamente la Chiesa ed i luoghi tenuti dai conventuali "non obstante quod se faciunt indignos proprter litem motam" non ostante l'indegnità di cui si sono macchiati, a cagione della causa mossa contro la  comunità.  (2007)


21  -  Il 21 Settembre 1498 “non sine maximo dolore omnium Civium et accolarum Amerinorum, universique populi Amerini, novum habitum est quod R.mus in Christo pater et dominus d.nus Jo. Baptista Diaconus Cardinalis Sabellus Amerine urbis pater et benefactor” non senza grandissimo dolore di tutti i cittadini ed abitanti di Amelia e di tutto il popolo, pervenne notizia che il Cardinale Diacono Giovanni Battista Savelli, padre e benefattore della Città, “ex hac vita decesserit die xviij presentis mensis septembris, de cuius obbitu (sic) populus Amerinus amaras effudit lacrimas piosque luctus” passò da questa vita il 18 del presente mese e per il cui decesso il popolo Amerino versò amare lacrime ed ebbe pietose manifestazioni di afflizione, “cuius anima ad celum evolasse credendum est” e la sua anima è da ritenere sia volata in cielo.

Lo stesso giorno torna da Roma Piergiovanni Geraldini, inviato a Fabrizio Colonna, che era stato incaricato di stipulare, nell’interesse di Amelia, un trattato di pace con i Signori di Alviano, per appianare tutte le questioni restate in sospeso fra loro. Il Geraldini reca una lettera  di Fabrizio, il quale riferisce di aver contattato, insieme agli alleati Orsini, i rappresentanti dei d’Alviano, con i quali vennero presi accordi “che li prescioni primo se restituiscano et hinc inde deponantur arma (e da entrambe le parti si depongano le armi); et jo ho promesso che se prescioni o robbe fossero in mano vostre del homini del S.ri de Alviano, de po (dopo) lu primo compromisso per voy facto, se restituiscano et che voi de cetero (d’ora innanzi) non offenderete et così anche ce simo cautelati (abbiamo avuto garanzie) che voy non serre(te) offesi ... ve pregamo et exhortamo al observantia de quanto è (stato) fatto ...”.

Per maggior cautela e, ad ogni buon conto, il medesimo giorno viene stipulato, nella sala magna del palazzo anzianale, fra Amelia ed i Chiaravallesi di Canale, un patto di alleanza e reciproca assistenza (“concordiam, fedus. unionem et confederationem”), per la cui osservanza, “pro maiori cautela et firmitate omnium promissorum, partes predicte iuraverunt ad sancta dei Evangelia, sacris scricturis corporaliter manu tactis”  e, per una migliore garanzia reciproca di mantenere gl’impegni assunti, le parti giurarono sui Santi Vangeli, toccando con mano le Sacre Scritture. (2010)


22 - Sotto la data del 22 Settembre 1516 si riferisce che Bernardino Apollinare, "missus viterbium ad Episcopum potentinum" inviato a Viterbo al Vescovo Potentino (Giacomo Nini) "exposuerit dominis Antianis nomine eiusdem R.D. Episcopi Potentini donandum esse S.mi D. N. qui eo tempore viterbij morabatur" espose agli Anziani, a nome del detto Vescovo, l'opportunità di fare un donativo al papa (Leone X) che si trovava in detta città, perché era opportuno darsi da fare, per far ricordare al pontefice di favorire la nostra Città.

Pompilio Geraldini "censuit donandum esse S.mi D. N. xxv enophoris vinj, uva passa in decenti numero librarum, quinque aut sex paribus caponum, malis, piris et his similibus" è del parere di donare al pontefice 25 enofori (vasi) di vino, un congruo numero di libbre di uva passa, cinque o sei paia di capponi, mele, pere e simili, "onerenturque due bestie que omnia per Bernardinum Apollinarij internuntium destinentur R.do D. Episcopo Potentino" e si carichi il tutto su due bestie da soma e sia inviato al Vescovo, a mezzo dell'intermediario Bernardino,  "qui nomine Communitatis huiusmodi munus tradat pontificj" il quale, a nome della Comunità, consegni tale donativo al pontefice."Et cuilibet enophoro inscribetur nomen patronj ut siquid magis placuerit D.N. haberj possit de eadem testa et patrono" E su ogni recipiente si indichi il nome del produttore, affinché, se un particolare vino sarà piaciuto maggiormente al papa, se ne possa attingere ancora da quello stesso recipiente e dal medesimo produttore. "Pro quibus rebus emendis D.ni habeant autem tollendj pecunias undecumque possunt" E per l'acquisto di tali provvigioni, gli Anziani prendano i soldi ovunque sia possibile trovarne "etiam si foret necesse tradere pignorj pateras argenteas Communis" anche se sarà necessario pignorare le tazze d'argento di proprietà del Comune! (2006)


22  -- Il 22 Settembre 1425 viene letta in consiglio la petizione di certo Gualcella di Cecco del Castello di Collicello, il quale espone che, nel decorso mese di Giugno, “Magnificus comes Dulcis de Anguillaria cum gentibus equitibus cavalcaverit vestrum territorium in tenuta Amelie in contrada vestri castrj collicellj” il magnifico conte Dolce dell’Anguillara, con sue genti armate, fece una cavalcata in territorio di Amelia, nella contrada del Castello di Collicello “et dictum Gualcellam ceperit et captivum duxerit in campo comunitatis Tudertj tunc existentj” e catturò e condusse prigioniero esso Gualcella nel campo allora esistente presso la città di Todi, “nulla guerra vel rissa nec justa causa inter dictum comune Amelie et dictum comitem existente”, senza che vi fosse, fra la comunità di Amelia e il detto conte, nessuna attuale belligeranza “et dictum Gualcellam dampnificaverit in quantitate xl. florenorum auri et duobus somarijs et quampluribus alijs rebus et contra omne debitum rationis” e, contro ogni legalità, produsse danno nei confronti del Gualcella per 40 fiorini d’oro, oltre a due asini e a molte altre cose. Poiché, da parte del Comune di Amelia, venne già scritto al Castellano di Giove -feudo del detto Anguillara- per ottenere il giusto risarcimento per il Gualcella e fu addirittura risposto in tono minaccioso, quest’ultimo chiede di poter venire comunque indennizzato “vel saltim ei concedantur reprensalie contra massarios dicti comitis” o, almeno, gli venga concesso diritto di rappresaglia contro i massari del conte. Gli viene concesso quanto richiesto, “dummodo super predictis servetur forma statuti Civitatis Amelie” puché sia rispettata la forma prevista dallo statuto  cittadino. (2009)


22  -  Il 22 Settembre 1526 il consiglio decemvirale deve, fra l’altro, interessarsi di un’urgente richiesta del Governatore: “quid Consilij capiendum super protestatione contra D. Antianos et Cives electos a R.do D.no Gubernatore facta” quale decisione adottare contro l’intimazione fatta agli Anziani ed ai cittadini eletti sulla sicurezza pubblica da parte del Rev.do Signor Governatore, “petit nam sine aliqua mora et temporis jntervallo trecentos pedites ducendos Jnteramnam ubi maxima viget pestis”, il quale chiede che, senza ulteriore indugio ed altro intervallo di tempo, vengano inviati trecento fanti amerini a Terni, dove infuria la peste in massimo grado.

Altra pressante questione sul tappeto riguarda “quid agendum” cosa fare “pro tutela Civitatis propter milites circum circa vagantes” per la tutela della sicurezza cittadina, a causa di milizie vaganti attorno alle sue immediate vicinanze.

Sul primo argomento, si propone che “mittatur Ambassiator ad urbem ad Protectorem cui exponat petita impossibilia a D.no Gubernatore circa pedites illos ducere volente jn terra peste suspecta et demum quicquid fuerit opportunum in tali casu explicare habeat” si mandi un ambasciatore a Roma, al protettore di turno (il Cardinale Della Valle), al quale si esponga l’impossibilità di soddisfare alle richieste del Governatore, che pretende si mandino uomini in terra dove esiste grave rischio di pestilenza e, quindi, chieda quali misure debbano venire adottate in merito. Si propone, altresì, che la Comunità di Amelia sia solidale con gli Anziani ed i cittadini che si oppongono alle assurde richieste del Governatore, impegnandosi “relevare et conservare jndemnes” a conservarli immuni e sollevati da ogni responsabilità derivante dal loro diniego. Con la stessa delibera, si riconfermano, tanto agli Anziani, che alla Commissione dei Quattordici, tutte le facoltà necessarie “prout eis melius videbitur et placebit pro tutela Civitatis Ameriae” per provvedere alla sicurezza cittadina e nel modo che ad essi sembrerà il migliore.

Ma il Governatore non demorde e replica con la seguente lettera inviata da Rieti agli Anziani il 1° Ottobre successivo:

“Magnifici Domini Antiani tamquam fratres Amantissimi (grandemente amati come fratelli!). Per la presente ve ordinamo et commandamo debiate fare sensa altro strepido (sic) electione de 300 homini che non siano gentaglia et stare proveduti bene et bene armatj con decti 300 homini per el bisogno del Governo et ali servitij de N. S. (il papa) notificandove che sopre de ciò havemo un breve de N. S. de posser commandare jn bona forma et de tal provisione col nome deli electi ce ne darrete particulare adviso fra tre giorni et jn questo non manchate né pensate pagarne de parole (ci mancavano anche le minacce!) et farrete fede de la receputa de la presente et bene valete (state bene, se vi riesce!)”.

Dopo tentativi effettuati dagli Amerini presso il Cardinale protettore ed il papa -pur protestandosi sempre pronti all’obbedienza- sembra che qualcosa si sia ottenuto. In una lettera del Governatore inviata il 28 Ottobre 1526 al suo Commissario e consegnata all’inviato di Amelia, a Rieti, Sansone Schiattoli, e riportata nelle riformanze, si evince che le lamentele di Amelia abbiano sortito qualche buon effetto. In essa, dopo un paragone fra le possibilità di Todi, Amelia e Narni (“Tode po meglio sopportare dece che Amelia dui et similiter Narnia” Todi può sopportare meglio dieci, di quanto possa sopportare Amelia due e similmente Narni, “più assai che Amelia”), è chiaramente ordinato: “fate che dicta Cità de Amelia et suo contado non senta graveza si non de la terza parte de quanto li è stato ordinato però che cossì vole il dovere”: lo stesso Governatore si è reso conto di aver chiesto troppo e riduce le sue pretese ad un terzo. Meglio di niente! (2011)


22  - Il 22 Settembre 1549 si  tratta, fra l’altro, di un argomento di particolare rilevanza: si parla, infatti, “super jmpressione Statutorum”, cioè della stampa degli statuti. Poiché Amelia ha la fortuna di conservare, nel suo vasto archivio storico, ben quattro statuti manoscritti, risalenti rispettivamente agli anni 1330, 1346, 1441 e 1560, se ne dovrebbe dedurre che, nel 1549, lo statuto in vigore fosse quello del 1441, tanto più che quello del 1560 non è altro che la copia letterale del precedente. Comunque, il condizionale usato è d’obbligo, perché, a distanza di svariati secoli, non può escludersi anche la possibilità –pur se abbastanza remota- dell’esistenza di un altro statuto non giunto fino a noi. Ma vediamo cosa venne deliberato in proposito nel giorno sopra riferito: “quod imponatur Delio ut audiat ab jmpressore pretium et sumptus in jmprimendo currentes et deinde referat consilio” che si dia incarico ad un certo Delio di contattare l’editore, per aver notizia circa i costi correnti sulla piazza per procedere alla detta stampa e, quindi, ne riferisca al Consiglio. Chiaramente, doveva trattarsi di una ristampa, essendo già l’invenzione del Gutenberg vecchia di oltre un secolo. Ma di tali documenti non se ne è conservata traccia. (2012)


22  -  Il 22 Settembre 1498 i Claravallesi di Canale -tra i quali figura il famoso Altobello- delegano il magnifico Signore Vittorio di Matteo de Claravalle, di Canale, “ad faciendam pacem, concordiam et transactionem” a stipulare un contratto di pace con Francesco dei nobili di Alviano e con i suoi figli Bartolomeo, Bernardino e Luigi. Come sempre, si sarà trattato di una pace che, sulla carta, sarà stata dichiarata di una durata di secoli, sul tipo di quella del matrimonio della “Butterfly”, ma altrettanto fragile! (2014)


23 - Il 23 Settembre 1557, su proposta di Ser Tommaso Artemisio, il Consiglio dei Dieci adotta la decisione di far celebrare in perpetuo, il 13 Settembre, una messa di ringraziamento perché, in detto giorno, a causa delle violente piogge, il ponte sul Tevere presso Orte venne a crollare, impedendo, in tal modo, all’esercito francese di imboccare la strada per Amelia, verso cui era diretto, dirottandosi altrove.

Si trattava probabilmente delle truppe chiamate da Paolo IV (Gian Pietro Carafa) in sua difesa contro l’esercito imperiale di Ferdinando I, succeduto a Carlo V e, che, con il trattato di pace di Cave, del 12 Settembre 1557, risalivano l’Italia per tornare in Francia.

Non tutti i mali vengono per nuocere! (1998)


23  -  Il 23 Settembre 1779 il consiglio decemvirale deve occuparsi di un problema di interesse generale:

“Essendosi dato principio fin dalli 22 del prossimo passato mese di Giugno per commando di questo Ill.mo Governatore allo spurgo di questi publici pozzi e numerose conserve annesse e siccome si vede che la spesa sormonta fin qui alla somma di scudi trecento, tanto che quando saremo alla fine di tale opera vi occorrerà atrettanta somma, per la quale non potremo esentarci da una gabella, tanto per il rimborso di chi ha speso fin ora, quanto per il rimanente da spendersi. Si propone dunque alle SS.rie Loro ritrovare un mezzo più facile e meno gravoso ai Poveri, per il totale bilancio di questa spesa”.

Il consigliere Francesco Franchi-Clementini si pronuncia in merito, dicendo:

“Sono di parere che, trovandosi gravato ogni Capo d’Entrata, come a Lor Sig.ri è ben noto, per supplire alla totale spesa dello spurgo di questi publici pozzi e di loro conserve, si potrebbe venire alla risoluzione d’imporre un grosso l’anno per due anni, per ogni canna di casa che risguarda la publica strada e, ascendendo queste a circa canne seimila e più, si verrebbe in detti due anni a pagare l’importo dei lavori sudetti. In questa maniera, non si verrebbe ad aggravare il Povero, il quale o non ha la casa, o pure havendola è sicuramente ristretta e di poca estenzione. Ad una tal gabella dovranno soggiacere ancora (anche) i Ss.ri Ecclesiastici, tanto del ceto secolare, che regolare, al qual’effetto sarà necessario restino intimati i S.ri Deputati del Ceto nel Conseglio Generale”.

Ma la cosa non si risolve. Il successivo 6 Novembre viene formulata una nuova proposta dallo stesso Franchi-Clementini, il quale, “fatta più matura riflessione”, dice: “sarei di senso che, invece d’imporre la gabella di un grosso per ogni canna di casa”, propone “di prendere a censo la somma di scudi settecento, con la condizzione di addossare un tal debbito alla Cassa delle Strade ... e in tal maniera non resterà gravato veruno”. La proposta, neppure a dirlo, viene approvata all’unanimità. (2009)


23  -  Il 23 Settembre 1492 (diciannove giorni prima della scoperta dell’America!) un’Associazione di undici donne maritate o vedove, devote alla Vergine Maria, insieme alla propria Ministra, domandano ed ottengono dai frati di S. Francesco “locum et situm” un locale in S. Francesco, presso la Cappella di S. Silvestro, in cui possano farsi costruire un altare, sotto il titolo di S. Maria delle Grazie, per farvi celebrare messe e uffici divini, specialmente “in omnibus festivitatibus gloriosissime Virginis Marie” nelle festività della Vergine. Le offerte e le elemosine che ivi si raccoglieranno saranno convertite, ad arbitrio del Guardiano, in ornamenti per il detto altare ed il rimanente, per la Chiesa di S. Francesco. E poiché i frati, nella Chiesa, hanno disponibile “iuxta pilonum aque benedicte versus portam” vicino all’acquasantiera, nei pressi della porta, un nuovo loculo sepolcrale, lo cedono alla detta pia Associazione, alla condizione che, ad ogni seppellimento, si passi al Convento un carlino papale. Ugolino di Nicolò -il notaio che ha redatto l’atto relativo-, chiama le associate “venerabiles et honeste mulieres”, senza precisare se l’Associazione fosse nata per iniziativa privata o con istituzione ed approvazione vescovile. Dopo circa tre anni e mezzo, i frati di S. Francesco, il 2 Marzo 1496 concedono alla stessa Associazione femminile un altro sepolcro nella stessa Chiesa “in introitu porte ad manus sinistram, iuxta aliud jam datum” sulla sinistra della porta, vicino a quello già concesso loro, verso l’esborso di tre ducati “pro manifactura” per il suo allestimento. (2014)


23  -  Il notaio Vincenzo Artinisi il 23 Settembre 1524 è chiamato nella Rocca di Capodimonte dal Cardinale Alessandro Farnese (futuro Paolo III),  il quale, a mezzo del fattore Nicolò Bonello, commissiona a Mastro Giacomo di lavorare ad intaglio le tre porte di S. Egidio, nel Castello di Cellere, avvalendosi dei disegni predisposti e tracciati dal Maestro Antonio da Sangallo, che è presente all’atto, insieme al castellano dell’Abazzia. Il prezzo convenuto per l’opera ammonta a dieci bajocchi per ogni piede. (2015)


24 - Il Gonfaloniere Giovan Paolo Mattiacci il 24 Settembre 1446 espone nel Consiglio dei Dieci che, poiché “ad manum d.ni potestatis devenerit quadam mulier malefica et facturaria”, cioè è caduta nelle mani del podestà una certa donna accusata di stregoneria e si ha notizia che molte altre ve ne siano che, nei decorsi tempi, con le loro azioni malefiche, fatture ed incantamenti “multa dampna hominibus et personis dicte civitatis intulerunt”, abbiano provocato con i loro malefizi molti danni a persone della nostra Città e perché “crimina et delicta sint atrocissimis penis castiganda” tali crimini e delitti siano da castigare con le più atroci pene e negli statuti di Amelia non se ne faccia menzione, sembra “utilissimum et necessarium” che il consiglio dia opportune facoltà e poteri all’attuale potestà “inquirendi, procedendi et puniendi” di inquisire, procedere e punire tanto nei confronti della donna che è stata catturata, che contro qualunque altra colpevole, “cum pleno, libero et speciali arbitrio et potestate” con pieno arbitrio e potestà di provvedere contro simili delitti.

La questione riveste una tale importanza, che occorrerà si pronunci in merito il Consiglio Generale, il quale, riunitosi il dì seguente, approva all’unanimità, con 32 voti favorevoli e nessuno contrario, la proposta di concedere “domino potestati ex nunc, auctoritate presentis consilii, plenum et liberum arbitrium et auctoritatem” con decorrenza immediata al podestà piena ed incondizionata autorità di procedere sia “super crimine et delicto” commesso dalla donna che trovasi nelle mani della giustizia, che per tutti i casi simili che dovessero verificarsi.

E, così, anche i buoni Amerini non furono da meno di tutti gli altri passati, presenti e futuri cacciatori di streghe! (2000)


24 - Il 24 Settembre 1503 si delibera di porre una taglia di 200 ducati sul capo di Bartolomeo d'Alviano e dell'Abate suo fratello, "qui toto impetu audacique petulantia et rabie, nulla iusta causa procedente", che con gran foga, sfacciata insolenza e furore, senza alcun valido motivo, minacciano di radere al suolo la Città. "Cum spes premi laboris solatium sit" poiché la speranza del premio è sollievo alla fatica, gli Anziani ed i cittadini, insieme congregati, "pro bono publico, saluteque patrie, unanimi consensu", per il bene pubblico e la salvezza della patria, all'unanimità decidono che chiunque uccida entrambi detti individui, oppure anche uno solo di essi, "lucretur ducentos ducatos", abbia in premio 200 ducati, per il cui pagamento "obligantur omni modo fructus et introitus gabelle pascui comunis", siano impegnate le entrate derivanti dalla gabella del pascolo. (2004)


24  -  Dal periodico “AMERIA” del 24 Settembre 1899, sotto il titolo : “Teatro Sociale”:

“Questa sera, alle ore 20 1/2 verrà tenuta in questo Teatro un’accademia vocale e strumentale, promossa dal Comitato pel Centenario di S. Fermina.

“Vi prenderanno parte in largo stuolo le distinte Signorine e Signori, di cui qui riportiamo i nomi per ordine alfabetico.

“Bartomeoli Peppina - Cecchetti Nigella - Cecchetti Marina - Canali Emma - Cerasi Egeria - Ercoli Gemma - Ercoli Iva - Laureti Teresa - Laureti Adelaide - Lisciarelli Egeria - Mistretta Fulvia - Petrignani Fermina - Petrignani Rosa - Petrignani Peppina - Sandri Elisa - Silvestri Emilia - Silvestri Maria - Testa Gemma.

“Assettati Osvaldo - Ammaniti Spartaco - Cansacchi Carlo - Canali Ampelio - Cacchi Carlo - Cerichelli Sante - Guazzaroni Gastone - Melchiorri Luigi - Polidori Ciro - Petrignani Elpidio - Renzi Giuseppe - Rosa Corrado - Silvestri Gulfiero - Silvani Giuseppe - Vincentini Enrico.

“Siamo lietissimi che il movimento d’espansione parta dalla gaia giovinezza e ci affida che non andranno perduti i sentimenti di filantropia e abnegazione di cui hanno dato sì larga prova.

“Una speciale lode dobbimo  all’egregio nostro amico Maestro Sig. Giacomo Presuttari, che è la vera anima di questa festa e che ha messo a duro cimento la sua proverbiale pazienza.

“Siamo sicuri che la cittadinanza risponderà degnamente all’appello, incoraggiando per tal modo l’opera del benemerito Comitato”. (2010)


24  -  Il Governatore aveva fatto bandire una disposizione in materia venatoria, che oggi avrebbe fatto insorgere tutti i cacciatori di tordi. Il 24 Settembre 1509 il solerte Cancelliere comunale puntualmente dà atto, nelle riformanze, dell’avvenuta pubblicazione, per la Città, del relativo bando, da parte del “trombetta” di turno:

“Johannes Baptista alias Granara publicus tubicen communis Magnifice Civitatis Amerie retulit Magnificis Dominis Antianis et mihi cancellario se de commissione Magnifici domini gubernatoris nec non Eximij legum doctoris domini francisci Dati pretoris eius locumtenentis” Giovanni Battista, detto Granara, pubblico banditore del Comune della Magnifica Città di Amelia, ha riferito ai Magnifici Signori Anziani ed a me Cancelliere di aver, per incarico avuto dal Magnifico Signor Governatore, nonché dall’Esimio Dottore in legge Dato (Francesco Dato di Trevi, allora podestà), suo luogotenente, “per loca Amerine urbis consueta sono tube premisso publice palam et alta voce cecinisse” bandito (il testo dice letteralmente “cantato”!) per i consueti luoghi della Città di Amelia, premesso un suono di tromba, pubblicamente e ad alta voce, “quod nullus de civitate Amerie et de eius comitatu et districtu neque forensis cuiuscumque gradus existat” che nessun cittadino di Amelia, suo contado e distretto, né alcun forestiero, a qualsiasi categoria appartenga, “audeat vel presumat de cetero venare ad ciuphilum pro capiendis turdis” ardisca o presuma, da oggi in poi, cacciare con il “cifolo” (specifico richiamo di metallo o d’osso, da bocca, per catturare tordi, largamente usato anche ai nostri giorni), “sub pena et ad penam unius ducati de carlenis pro quolibet et vice qualibet” sotto pena di un ducato di carlini per ciascuno e per ogni volta, “cuius pene quarta pars applicetur camere apostolice, alia quarta pars comuni Civitatis Amerie, alia quarta pars accusatori et alia pars quarta illj officialj qui fecerit executionem” della qual pena, un quarto andrà alla camera apostolica, un quarto al Comune di Amelia, un quarto a chi ne avrà fatto denuncia ed un quarto all’ufficiale che avrà proceduto a farne esecuzione.

Si pensi cosa accadrebbe se, al giorno d’oggi, venisse vietato ai “boschettanti” amerini di poter liberamente “cifolare”! (2011)


24  -  Nella seduta consiliare del 24 Settembre 1392 si esaminano, fra l’altro, alcune suppliche.

Una è presentata da Pietro di Mastro Nicolai di Amelia, il quale espone che, dal giudice dei reati penali del podestà di Amelia Antonio Vulcani (di Napoli), è stato inquisito in quanto si dice “dolose participaverit cum tamagnino” di aver dolosamente avuto contatti con un tal Tamagnino di Amelia, sbandito e di aver avuto occasione “habiliter capere et in fortiam communis mictere et non cepit, ymmo aufugere fecit” di catturarlo facilmente e di consegnarlo alla forza pubblica e non lo fece, anzi, lo fece fuggire; ma lui si protesta innocente e senza alcuna colpa (“de predictis fuit innocens et inculpabilis”) e chiede, quindi, di venir scagionato da tale accusa.

Altra supplica viene presentata da Giovanni Piccioli, anch’esso amerino, condannato in contumacia dalla curia del podestà a pagare 40 libre di denari, perché si dice “fuisse locutum, receptasse sive auxilium et favorem prestitisse” avesse parlato, dato ricetto ed aiutato Antonio di Giovanni Cola, suo fratello consubrino, pur esso sbandito dalla città. Anche Giovanni si protesta innocente e chiede di poter seguitare a svolgere in tranquillità “artem sartorie” il suo mestiere di sarto, in quanto “cum dicto fratre nulla fraudem commiserit neque ipsum appensate receptaverit” non commise, con detto suo fratello, nessun atto fraudolento, né lo accolse in malafede. (2014)


24  -  Con atto del notaio Fazio Piccioli del 24 Settembre 1560, il Priore della Cattedrale di Amelia Nicolò Franchi nomina a suo procuratore  il Magnifico Don Francesco Racani, perché, in suo nome, respinga la richiesta di pagare tredici scudi fattagli intimare da certo Andrea Blondo romano, a mezzo del cardinale Alfonso Carafa, reggente della Camera Apostolica. 

Lo stesso Priore, che è anche Rettore della chiesa parrocchiale di S. Matteo di Sambucetole, il successivo 1° Ottobre cede tutte le rendite di quella parrocchia, per tre anni, a Don Matteo del fu Francesco, di Spello, alla condizione che ne assuma la cura delle anime e paghi al Priore due salme di grano all’anno. (2015)


25 - Il 25 Settembre 1595 Antonio C. sporge querela al Podestà di Giove: 

“Signore, stanotte mi è stato fatto gran danno nel mio horto in Contrada Tompisoli et mi sono stati robbati fino a diece quartarole di cipolle” e, così dicendo, “tactis (scripturis), iuravit quod dicta et infrascripta vera esse” toccando le scritture, giura che quanto dichiarato risponde a verità. Quindi, continuando nell’esposizione dell’accaduto: “et stamattina essendomene accorto, sono andato cercando nella vigna di Bernardino di S. poco lontano dal mio horto et lì ho cerco, et ho trovato da piede ad un ceraso a capo della suddetta vigna, nascosto sotto ad una mucchia, circa tre quartarole di cipolle, et l’ho ricognosciute, che sono le mie, et subito ci menai a vederle Menico di S. et Tomasso d’H.; et l’ho lasciate stare in quello stesso luogo; et me ne sono venuto affinché mandiate a ricognoscerle domattina, per essere hora notte ché non sono potuto venire prima; et però ne dò querela affinché conforme al giusto sia castigato con farmi rifare li miei danni et interesse, altramente mi protesto”.

Il Podestà, recepita la querela, dà incarico al baiulo Vittore “ut se conferet die crastina de mane ad recognoscenda loca predicta et referat” che il mattino seguente si rechi sul posto per gli accertamenti di rito e riferisca in merito.

La mattina successiva, il solerte Vittore “publicus baiulus Terre Jovis” fa  la sua brava relazione: “Signore, io sono andato alla vigna di Bernardino di S. in contrada il Poio di Santa Maria in compagnia di Tomasso d’H. et Menico di S. et ho ritrovato in detta vigna da capo presso ad un ceraso tutte queste cipolle che possono essere una quartarola et mezo incirca, et cusì Vi riferisco”.

Vengono, quindi, escussi alcuni testimoni “pro informatione Curie”.

Menico di S. e Thomaso d’H., sotto giuramento, riferiscono di essere stati chiamati dalla parte lesa a constatare la presenza nell’orto di detto Bernardino di una certa quantità di cipolle, che Antonio C. dichiara di riconoscere come sue.

Tutte le cipolle ritrovate vengono sequestrate da Vittore baiulo, anche perché nottetempo ne era stata sottratta una certa quantità da quelle inizialmente riconosciute da Antonio.

Alcuni giorni appresso, le cipolle vengono sottoposte ad accurato esame da parte di due periti estimatori nominati dal Tribunale: “Matthia Jo. de Ameria, incola Terre Jovis” (cioè abitante a Giove) e “Menicangelus Sabatini olitor” (ortolano); i quali, sotto giuramento, separatamente, “bene ac diligenter inspectis (supradictis cepis) et volutis et revolutis, factaque de eis separatim diligenti degustatione” dopo attento esame, girate e rigirate dette cipolle e fattone diligente assaggio, sono dell’unanime parere che tutte le cipolle loro mostrate “siano state raccolte in uno stesso horto, perché si cognoscono alle fattezze, alle scorze et anco si confrontano al sapore”.

Viene, quindi, emesso precetto di convocazione dinanzi alla Curia (Tribunale) contro l’imputato Bernardino di S., per essere interrogato in merito alla querela.

Bernardino non se ne dà per inteso.

Dopo alcuni giorni, il Tribunale dichiara la contumacia dell’imputato ed emette condanna “in pena in precepto contento, ne de eius temeritate gloriari valeat” per aver agito in dispregio dell’ordine ricevuto e perché non possa vantarsi della propria temerità.

La sentenza, seguìta ad un mese esatto dalla querela, è assai severa:

“D.nus Potestas, sedens, etc., visis etc. predicta ed supradicta”, il podestà, sedendo al banco di giustizia, presa visione degli atti della causa, condanna Bernardino “in bando poni” e “in penam scutorum quatuor Camere” ed, infine, quel che è peggio, “trium ictuum funis publice”; cioè, oltre ad essere posto al bando e a pagare una pena pecuniaria di quattro ducati, anche a venir sottoposto a tre tratti di fune, da eseguirsi pubblicamente. Care gli son costate le cipolle di Antonio! (1997)


25 - Agostino Torri, detto “Cicala” per la sua loquacità ed il tono assai elevato della voce, era una figura caratteristica che molti amerini meno giovani forse ricordano ancora, con i suoi occhiali dalle lenti spessissime e la bocca sdentata, che non mancava di una certa cultura e, che,  nell’anno 1939,  aveva circa 60 anni.

A causa della sua disponibilità ad aiutare le persone che si rivolgevano a lui per compilare istanze, ricorsi e simili, inerenti, per lo più, a questioni di carattere sindacale e per la sua abitudine a parlare “forte e chiaro” in un periodo nel quale ciò poteva non essere particolarmente gradito, era ritenuto, per i gusti di allora, uno “spirito eccessivamente libero”.  Come tale, era stato pìù volte diffidato dall’esplicare attività che “importunassero le Autorità per conto di terzi”. 

Ad una di queste diffide, il Torri rispose con una lettera, scritta con calligrafia da manuale, inviata al Podestà in data 25 Settembre 1939 -che vale la pena di riportare- con la quale chiedeva un aiuto economico più volte promessogli e protestandosi, non senza punte di feroce ironia e di patetici accenti, buon italiano e patriota. Eccone il tenore:

“Torri Agostino ricorda alla S.V. Ill.ma quanto a lui è stato promesso; di fargli cioè guadagnare qualche soldo. Obbedisce a non scrivere più reclami, che gli vengono dettati dai reclamanti, anzi consiglierà costoro che è inutile seccare le Autorità, ma non intende, con ciò, chiudersi la bocca e quella di sua moglie, malata cronicamente, per dare la morte al corpo privato del cibo.

“Obbedisce affinché non si dia più modo di sforzare a dire ai reclamanti: Chi ti ha scritto? E’ stato Cicala! quello con l’occhiali grossi! ecc. ecc., mettendo anche in ridicolo la sua infelicità.

“Obbedisce perché non si sentirà più dichiarare di essere un “boscètico”, mentre l’ignoto calunniatore non sa che è, non solo Italiano, ma fascista di occulti sentimenti patriottici.

“Obbedisce infine, perché il suo animo, educato anche ad onesti e coscienziosi sentimenti cristiani, non ha fatto mai male a nessuno, sia direttamente che indirettamente.

“Tale mia lettera si faccia girare ai Sindacati ed a tutti della Milizia, ricordando a tutti che tale sua obbedienza sia ricompensata, perché è necessario, anzi indispensabile, trovargli il modo di guadagnarsi qualche soldo.

“E’ infelice, è anziano, non ha né arte né parte, quindi crede che meriti di essere aiutato.

“Con sensi di profonda stima per tutti, si dichiara dev.mo Torri Agostino”. (1999)


25 - Il 25 Settembre 1447 è pervenuta agli Anziani una lettera patente da Alfonso “dei gratia Rex Aragonum, Sicilie, Valentie, Jerusalem, Hungarie, Mayoricarum, Sardinie, Comes Rossilionis, ecc. ecc. e chi più ne ha, più ne metta, affinché, a semplice istanza dei suoi ambasciatori, siano messe a disposizione “eisdem ambasciatoribus cum eorum familia condecenti stantia et habitationes” cioè adeguati e convenienti alloggiamenti per loro e loro familiari.

Ci mancava pure Re Alfonso a mettere in maggiori difficoltà i già tanto sacrificati amerini! (2000)


25 - Il 25 Settembre 1943 per Amelia apparve un minuscolo volantino (cm. 14,5x11), diretto agli Ufficiali delle Forze Armate Italiane, del tenore che si trascrive:

"Quando il generale Badoglio, dopo avervi lasciati all'oscuro delle losche trattative iniziate da lungo tempo col nemico, firmò la capitolazione e fuggì per sottrarsi ad ogni responsabilità egli non tradì soltanto le alleate truppe tedesche ma in primo luogo il corpo degli ufficiali italiani. Egli vi abbandonò e vi lasciò al vostro destino.

"Quali legami possono ancora unirvi ad un simile governo fuggiasco?

"Quali vincoli possono ancora legarvi ad un governo il quale, per far cessare lo stato di guerra contro gli anglo-americani, si dichiarò pronto ad associarsi con coloro per riprendere la guerra contro il camerata di ieri, contro la Germania alleata?

"Voi sentite tutta l'onta di un simile tradimento.

"Onore ed ufficiale sono due cose inscindibili.

"Ufficiali delle forze armate! l'onore delle armi italiane deve starvi a cuore, a voi di salvarlo!

"Passate alle dipendenze dell'Esercito Germanico e combattete con noi per un migliore avvenire e per la grandezza dell'Italia".

Ogni commento appare superfluo. (2004)


25 - Il Cardinale legato bussa a quattrini: occorre reperire almeno 100 forini d'oro "pro stipendio armorum gentium sancte Ecclesie stipendiatarum et stipendiandarum", coè per provvedere a pagare gli stipendi delle genti armate assunte e da assumere in difesa della Chiesa romana. Nel consiglio del 25 Settembre 1392 Ser Lello Dominici, uno de Consiglieri presenti, propone l'imposizione di un dazio di otto soldi per censo e otto per focolare, oltre a due soldi in più per ogni salma di mosto.

Si approva, comunque, la ulteriore proposta di Ser Berando Andreucoli di imporre 5 bolognini per censo e 5 per focolare, in considerazione che occorreranno da 120 a 125 fiorini d'oro per soddisfare alla richiesta del Cardinale legato e per le onoranze da rendere al papa Bonifacio IX, in transito per Perugia.

Fra imposizioni "una tantum", balzelli e gabelle , agli Amerini non resta che porre la mano in tasca ad ogni stormir di fronde! (2005)


25 - Il 25 Settembre 1451, nel consiglio decemvirale, viene letta la supplica presentata dalla “fedelissima servitrice poverissima vedova et miserabile persona Sabecta moglie de quello infelice Nicolao d’Andrea alias La Vecchia da Foce (il) quale in servitio et per affectione (che) aveva ala vostra ciptà et allomini dessa (di essa) … sì e per tal modo come è a ciaschuno noto ne fo per questo tagliato in pezzi et morto et con ciò sia cosa che essa Sabecta sia remasa con due mammolecte piccole et orfane desso Nicolao et non habia onde esse et ne ancho se medesima sostentare tanto de pane et altre cose necessarie da vivere quanto etiamdio de calzare et vestire perché quanto potesse guadagnare con le sue mane non può bastare ala pescione (pigione) dela casa dove habita perché non ha casa et né possessione alcuna et ne altro rendito. Et con ciò sia cosa che essa supplicante con le decte sue figliole et orfane intenda continuamente vivere et morire socto lale (le ali) dele V.M.S. como era volontà simelmente desso Nicolao, humelmente et devotamente se racomandano ale V.M.S. che vogliate havere respecto ala loro povertà et miseria et esse sovenire secondo ale V.M.S. parerà et piacerà et che sia a tucti quelli (che) fossero servitori dele V.M.S. buono exemplo, soctomectendose sempre del puocho de lassai o de niente ala misericordia dele M.S.V. le quali laltissimo dio conservi sempre in prospero et felice stato”.

Nel consiglio generale del dì seguente, in considerazione dei servigi resi alla Città dal povero Nicolò,  che arrivò fino a farsi tagliare a pezzi dai fociani, alla povera Sabetta viene concessa “annuatim”, ciascun anno, “unam salmam cum dimidia granj” una salma e mezza di grano, “usque quo maritabitur altera dictarum suarum filiarum” finché non si mariti una delle due figlie, “et deinde postquam fuerit nucta una ipsarum ut dictum est detur sibi medietatem dicte quantitatis grani quolibet anno” e dopo tale matrimonio, gliene venga corrisposta  soltanto la metà.

E’ ben poca cosa, per chi ci rimise la pelle per difendere gl’interessi di Amelia! (2007)


25  -   Il 25 Settembre 1517 Madama Lucrezia de’ Medici, sorella del papa Leone X (Giovanni de’ Medici), scrive agli Anziani (“Priores”) di Amelia la seguente lettera di raccomandazione:

“Sylvestro (de Augustinis) cittadino fiorentino et amico nostro Doctore et Cavaliere aureato (sic) et homo che per le sue virtù semo tenuti prestargli ogni favore ad noi possibile desiderarìa venir novo potestà ad quella Magnifica Comunità et ci ha recercato (che) glijlo vogliamo recommandare et pregare V. M. se contentino servire ad N. S.  che li piaceria, alla vacantia del presente, la electione del prefato Messer Sylvestro et noi di qua, cognosciuti i boni animi di quello, sperarimo sia electo et ad V. M. ce offeremo in lor commodo et beneficio ad molto magior cosa. Certificandoli che se le conditioni del prefato non han mutato qualità, speramo ne restarete ben satisfacte perché havendo functo tale officio in diversi lochi et honorevoli ha sempre reportato bona fama et condegno honore. Deo valeant. Ex Urbe die xxv Septembris MDXVIJ”.

E’ difficile e, soprattutto, poco conveniente per la Comunità opporsi ad una raccomandazione  proveniente da persona tanto prestigiosa! (2009)


25  -   Nel periodico “AMERIA” del 25 Settembre 1898, sotto il titolo “Gara Mandamentale di Tiro a Segno”, si legge:

“Questa mane avrà luogo nel nostro poligono una Gara Mandamentale. Molti sono gl’iscritti e quasi tutti valenti tiratori, quindi è facile prevedere una Gara veramente interessante, che richiamerà senza dubbio publico numeroso. Abbiamo visto nel negozio Polidori esposti i premi; sono nove bellissime medaglie, di cui tre in oro e sei in argento. I tiratori sono stati divisi in tre categorie, a seconda della graduatoria stabilita in base ai punti ottenuti nelle esercitazioni regolamentari.

“Si aprirà il fuoco alle ore 6 precise e i tiratori verranno chiamati per ordine d’iscrizione. Dopo la Gara d’onore seguirà la premiazione. Speriamo che il tempo non vorrà guastare questa festa delle armi, così bene preparata”. (2010)


25  -  “Mentre l’Agostiniano Lutero sbrana la Chiesa, gli Agostiniani di Amelia si sbranano fra di loro”: con questa premessa, Mons. Angelo di Tommaso titola e commenta la notizia da lui desunta dalle riformanze del giorno 25 Settembre 1530 e trattata nel consiglio decemvirale, secondo la quale “orta est discordia inter fratres  Sancti Augustini” è sorta discordia fra i frati del convento di S. Agostino. Il consigliere Laurelio de Laureliis, che il diligente cancelliere verbalizzante definisce “probatissimus et amator divini cultus”, cioè assai illustre ed infiammato sostenitore del culto divino, “animadvertens excessus scelusque jnter eos nuper perpetratos, in universi Populi Amerinj quam pessimum exemplum tendere” rendendosi conto degli eccessi e delle scelleratezze recentemente commessi ed intercorsi fra alcuni frati, rappresentanti un pessimo esempio per l’intero popolo amerino, “consuluit quod Numerus xiiij cum pluribus civibus amerinis ad huiusmodi conventum proficiscant” propone che la Commissione dei Quattordici, insieme a numerosi cittadini, si rechino presso il suddetto convento “ex quo duos fratres discordes et jnpresentia vulneratos ad jnvicem pellant, adeo quod Amerie et in eius teritorio Comitatus fortia et districtu commorari nequeant” nel quale i due frati, che si sono azzuffati e vicendevolmente feriti, ne vengano discacciati ed espulsi, di modo che non possano rimanere né in Amelia, né nel suo territorio e distretto, “sed scribant jn primis ad Rev.dum Vicarium Generalem ordinis S.ti Augustini ut providere voluerit” ma, sopra tutto, scrivano al Vicario Generale dell’Ordine di S. Agostino, che voglia prendere decisioni in merito.

Nello stesso consiglio, viene ascoltata una supplica presentata da Prete Tommaso, Rettore della Chiesa di S. Maria di Porta, il quale, dopo aver premesso una lunga invocazione a Dio, fa presente che si ponga rimedio all’ l’acqua “que cecidit a domo Riccardi Cathenaccj super eam” che, dall’adiacente casa di Riccardo Catenacci, si riversa sulla chiesa “et nisi provideatur” e se non vi si provvedesse “dicta Ecclesia posset diruj et non modo ipsa sed etiam Civitas posset detrimentum patj et jncommodum” la chiesa potrebbe crollare e non soltanto questa, ma la stessa Città ne potrebbe subire danno e pregiudizio. Gli Anziani, lo stesso giorno, “ad videndum aquam profluentem super Ecclesiam S.te Marie jn Porta et judicare prout electis ad videndum videbitur” per constatare l’acqua che cade sopra la detta chiesa e pronunciare un competente giudizio in merito, nominano Pietro ... Papa e Francesco Clementini, cittadini di Amelia e “Magister Dominicus Magistri Guglielmi et Magister Dominicus alias Rubeus lombardi muratores” Mastro Domenico di Mastro Guglielmo e Mastro Domenico detto Rubeo, entrambi artigiani muratori lombardi. Successivamente, gli eletti, “postquam viderunt dictam aquam et eius defectum” dopo aver constatato il danno provocato dall’acqua alla chiesa, pronunziano il loro giudizio: “Riccardum Cathenacci tenerj et obligarj reficere suis sumptibus conductum jbidem existens” Riccardo Catenacci è tenuto ed obbligato a sue spese a sostituire il condotto dell’acqua ivi esistente, nonché “ad retractandum tectum eiusdem ecclesie dumtaxat” a risistemare almeno il tetto della stessa chiesa. 

Si trattano, inoltre, alcune questioni di carattere alimentare. Si deve stabilire il prezzo massimo di vendita di particolari tipi di carne. Uno si riferisce alla “carne vervecis seu castratj” cioè di montone o castrato. Si propone “quod vendatur in macello Platee bononenis duobus pro qualibet libra, jn macello autem burghi quatrenis septem pro qualibet libra et non aliter nec alio modo” che, nel macello di Piazza si venda per due bolognini alla libbra e nel macello di Borgo per sette quattrini e non in modo diverso. Non si comprende la ragione di una tale differenza di prezzo fra i due macelli, considerato che trattasi dello stesso tipo di carne. Altro prezzo da stabilire riguarda la “carne mortacina” o morticina, cioè quella di bestie decedute di morte naturale o accidentale, non macellate dall’uomo, tra le quali rientrano, soprattutto, quelle incidentate o aggredite da lupi e simili. Se “vitule unius annj” vitelle di un anno, si vendano “pro qualibet libra quatrenis quinque et non ultra, alie vero, transacto anno, ponantur minori pretio a Ponitoribus juraturis jn manibus Cancellarij supra Crucifixum” a non più di cinque quattrini alla libbra; quelle eccedenti l’anno, vengano vendute al minor prezzo da stabilirsi dagli addetti estimatori, che dovranno asseverarlo, giurando sul Crocefisso nelle mani del Cancelliere e se il prezzo così determinato non venisse rispettato dai macellai, costoro incorrano “in paenam duorum scutorum ... pro quolibet et qualibet vice” nell’ammenda di due scudi ciascuno, per ogni volta che trasgredissero.

Tocca, altresì, far fronte ad una richiesta di pagamento delle “gravezze apostoliche”, cioè dei sussidi di cui Amelia veniva periodicamente gravata come terra soggetta alla Chiesa di Roma, con tanto di minaccia di rappresaglie in caso d’insolvenza. Il consigliere Pompilio Geraldini -appellato dal solerte Cancelliere “vir spectata morum disciplina et amator Patrie” uomo di specchiata onestà morale ed amante della Patria- propone “quod suprassedeatur donec et quousque Ameriam venerit Jll.mum D.nus Martius Colonna” che si soprassieda al pagamento -tanto più che non ci sono i soldi!- fintanto che non giungerà in Amelia Marzio Colonna; altro consigliere, Luca Petrignani, aggiunge che, per provvedere a quanto occorre pagare, “deputentur due tertie partes gabelle generalis vendende” si impegnino due terzi del ricavato dell’appalto della gabella generale. E via di questo passo! (2011)


26 - Ss. Cosma e Damiano. Dall'unione arbitraria dei nomi di detti santi, nascerà l'inesistente S. Cosimato, al quale, a Roma, risultano intitolate una via, una chiesa ed una piazza. (2001)

La Cittadina di S. Gemini sembra derivi il nome da "Santi Gemini", con i quali venivano designati i gemelli Santi Cosma e Damiano, succeduti, dopo l'avvento del Cristanesimo, alle analoghe divinità terapeute Castore e Polluce, venerate nella vicina Carsulae. S.Gemini sarebbe, quindi, un santo inesistente, come già si è detto per S. Cosimato. (2005)


26 - Il 26 Settembre 1997 due violente scosse di terremoto, alle ore 2,33 ed alle 11,42 devastarono molti centri dell’Umbria e delle Marche. Fra le città umbre più colpite, Assisi, Foligno e Nocera Umbra. Ad Assisi, crollò una parte della volta della chiesa superiore di S. Francesco, danneggiando irreparabilmente gli affreschi di Cimabue e Giotto. Le vittime umane furono una dozzina, ma i danni ai fabbricati si rivelarono subito di eccezionale gravità, avendo interessato, in alcuni centri, anche il 90% delle strutture murarie. Le scosse sismiche, anche di notevole violenza, si ripeterono per oltre due mesi, con gravissimi disagi per le popolazioni colpite, ricoverate in tendopoli e roulottes e soltanto più tardi, in moduli prefabbricati, quando una intensa ed innaturale ondata di freddo, a fine Ottobre, era già venuta ad aggiungere nuove sofferenze agli sfollati delle zone interessate dall’anomalo sisma. 

In tale triste evenienza, rifulsero per generosità e grande umanità le associazioni della Croce Rossa e del volontariato, accorse da ogni parte d’Italia ed alle quali è doveroso rivolgere un sincero tributo di ammirazione e riconoscenza, per l’opera coraggiosa e disinteressata con cui allora prodigarono, come in simili calamità tuttora instancabilmente profondono, le loro più nobili energie, mostrando ed insegnando al mondo intero le più alte virtù di umana solidarietà. (1998)

Il Comune di Amelia contribuì assegnando al Sindaco di Nocera Umbra la prima edizione dell'istituito premio Luciano Lama ("Pipa d'argento").


26 - Ricco di Francesco, notaio di Amelia, è chiamato, il 26 Settembre 1463, a redigere l’inventario delle “res mobiles” di pertinenza della Chiesa di “S. Maria de Monticellis, prope Ameliam”, consegnate dal Ven. “d.nus Jacobus Buctij de Amelia” al “Ven. Viro presbytero Berardino ser Bonifatijs”, della stessa città, quale procuratore del “Ven. et Egr. utriusque juris doctoris D.ni Anthonij de Zucchantibus de Amelia”, priore della Chiesa di S. Lorenzo “de Urbestulo”. Segue l’inventario:

“Unam crucem argenteam cum crucifixo et novem alijs figuris in ipsa cruce sculptis” una croce d’argento, con il Crocefisso ed altre nove figure scolpite su di essa, due calici con patene di argento dorato con due corporali, una corona d’argento smaltato e dorato. Due pianete, di cui una di velluto nero con figure e un’altra di drappo verde, ornato con fregi di drappo dorato, con camicie ed altri ornamenti per celebrar messa. Due manuali per la messa. Una “conam” (icona) “de aulio” (?), con l’immagine della Vergine Maria. Una tovaglia di seta intessuta con fili d’argento. 70 paia di occhi d’argento (trattasi di “ex voto”, come i seguenti), due cuori d’argento, una mammella (“poppam”) d’argento, un naso d’argento, un dito d’argento, tre candele con filo d'argento dorato, due cerchi d’argento da portare al collo. Un paio di campanelli d’argento, due anelli d’argento. Due tovaglie di seta, con orlatura dorata. Due fazzoletti (“moccichinos”) di seta, con orli di seta dorata. Un cuscinetto (“guancialectum”) di seta variopinta. Una tovaglia grande, con orli neri e lettere. Tre tovaglioli “ucellatos” (con ricami d’uccelli). Una tovaglia “fresiatam”. Sette asciugatori (“schiucchatorios”). Due “velectos borchie”. Alcuni altri piccoli panni antichi. Una cassetta nella quale furono riposte tutte le cose sopra dette; le quali tutte furono date e prese in consegna dal “Rev. d.no Berardino” predetto.

Venne stipulato nella casa del suddetto Jacobus Buctij, sita in contrada Posterule; e dal rev. Berardino, a sua volta, consegnato il tutto alla “Ven.le D.na Pulisena ser Bonisfatij”, Abadessa delle monache del Monastero di S. Maria (“de Monticellis”). (2000)


26 - Il 26 Settembre 1445 papa Eugenio IV scrive al Vescovo amerino Ruggero Mandosi un breve, che viene letto nel consiglio speciale del 2 Ottobre successivo, nel quale chiede che "campanas et alia omnia ornamenta ecclesie Castri Focensis quas et que cives Amelienses Nicolao de Fortebrachijs assistentes hosti tunc nostro" le campane e gli altri sacri arredi che gli Amerini, in aiuto a Niccolò Fortebracci, allora nemico della Chiesa di Roma "predicto Castro quod ecclesie subiectus est vi capto et omnibus bonis suis saccomandatis tibi tradiderunt" sottrassero al detto Castello, soggetto alla Chiesa, conquistato a forza   con tutti i suoi beni a te (Vescovo Mandosi) consegnarono, "hominibus dicti Castri Focensis redderes et integraliter ut iustum est restitueres" dovrai rendere e integralmente restituire agli uomini del detto Castello, com'è giusto che sia. Tale spoliazione sembra fosse avvenuta "pro decimis fructuum quas tibi deberi ab illis pretendis" per il mancato pagamento delle decime che il Presule pretendeva essergli dovute dai Fociani, ai quali aveva anche comminato interdetti e scomuniche, che il papa esorta vengano revocati: "tollas omne interdictum seu sententiam excomunicationis". Il breve si chiude con l'ingiunzione che "hoc mandatum nostrum iterum non negligas" quanto richiesto dal papa non venga più a lungo disatteso, "ne opus sit nos aliter providere" per non costringere il papa a più severi provvedimenti.

Portata la questione nel Consiglio generale del 3 Ottobre successivo, si approva la proposta di inviare al papa due fociani fra quelli residenti in Amelia,  che verranno poi designati nelle persone di Giovanni Nicolai e Alessandro di Ludovico, affinché sostengano presso il pontefice la tesi della negata restituzione delle campane ai fociani, adducendo ogni argomento a favore di detta tesi, fra i quali che il Castello di Foce, all'epoca dell'asportazione, era di Nicola Fortebracci e non della Chiesa e che i fociani residenti in Amelia vogliono che dette campane restino qui. In caso di insistenza, ci si appelli al Cardinale Legato. (2007)


26  -  Sotto il brevissimo pontificato di Pio III (il senese Francesco Todeschini Piccolomini, durato dal 22 Settembre al 18 Ottobre 1503) viene stipulato, in data 26 Settembre 1503, un atto, mediante il quale Agapito Geraldini, rappresentato da Riccardo Geraldini e Pietro Ciardi, concede a mutuo alla Comunità di Amelia, “pro ipsius Comunis necessitatibus et incombentijs”, per far fronte alle necessità ed incombenze finanziarie del Comune ed “animo rehabendi” (cioè con la dichiarata intenzione di riaverli)- “ducatos centum auri de Camera” cento ducati d’oro di Camera. Il Comune, a mezzo dei suoi rappresentanti, promette di restituirli “jnfra terminum quattuor mensium proximorum futurorum” nel termine di quattro mesi prossimi venturi “Et casu quo restitutio dictorum centum ducatorum non fuerit in dicto termino” e, nell’eventualità della mancata restituzione di detta cifra nel citato termine, il Comune “ex nunc”, cioè con effetto immediato, cederà “dicto domino Agapyto gabellam generalem Comunis Amerie pro  uno anno immediate sequenti” ad Agapito Geraldini i proventi della gabella generale del Comune per la durata di un anno. “Et si forte dominus Agapytus de huiusmodi gabelle venditione non contentaverit” e, nell’eventualità che Agapito non restasse soddisfatto della cessione di detta gabella, verranno impegnati, per garantire la restituzione del mutuo, “fructus et provenctus gabelle pascui” i frutti ed i proventi della gabella del pascolo “Et si forte de huiusmodi obligationibus non contentaretur dictus dominus Agapytus” e nell’ulteriore eventualità che Agapito non restasse soddisfatto da tutte le suddette obbligazioni contratte dal Comune, i Signori Pietro Ciardi, Antonaccio di Paolo e Piergentile di Pace si costituiscono fideiussori a suo favore, sottoponendo “jure pignoris et jpotece omnia eorum bona” a pegno ed ipoteca tutti i loro beni “Et jta juraverunt ad sancta dei evangelia et sub pena dupli dicte quantitatis” e ciò affermano, asseverandolo con giuramento sulle sacre scritture ed a pena della restituzione del duplo.

In questo caso, al Geraldini non difettarono certo le garanzie: ne ebbe più lui di quello che assicurò la tenuta dei propri calzoni con la cinta, le bretelle e qualcuno che glieli tenesse su con le mani! (2011)


26  -  Il 26 Settembre 1529 -come premesso il precedente giorno 16- nella sala principale degli Anziani, sita -come meticolosamente indicato dal notaio verbalizzante Francesco Fariselli- “in contrada Platee, iuxta rem Comunis Amerie, rem heredum Pompilij Geraldini, plateam veterem et alia latera” nella contrada di Piazza, a confine con proprietà comunale, proprietà degli eredi di Pompilio Geraldini, la Piazza Vecchia del Comune ed altri lati, nonché alla presenza dei testimoni Luca Petrignani, Angelo Cerracchini e Pirro Vatelli, si passa alla stesura e firma della convenzione di pace fra le città di Terni e Rieti, auspicata e voluta da Ascanio Colonna, Duca di Tagliacozzo, Conestabile del Regno di Sicilia, etc. “et utriusque Comunitatis Reate et Interamne perpetui protectoris et benefactoris” nonché protettore e benefattore di entrambe le comunità di Rieti e Terni.

L’esordio è degno della miglior prosa oratoria: “Cum hoc fuerit et sit quod, dudum humane nature inimico diabolo suadente et instigante, orta fuerit materia scandali et inimicitiarum inter Civitatem et homines Civitatis Reathe et Civitatis Interamne” Poiché è accaduto e presentemente sia che, da lungo tempo, con la persuasione e l’istigazione  diabolica, sia sorta materia di scandalo e di inimicizia fra le Città e gli uomini di Rieti e di Terni, “causa et occasione homicidiorum, rapinarum et invasionum, violentiarum, furtorum et derobationum hactenus factorum et factarum commissorum inter homines et particulares personas dictarum civitatum Reathe et Interamne” a causa di omicidi, rapine, aggressioni, violenze, furti e ruberie recenti e non commesse fra uomini e particolari persone delle dette due città di Rieti e Terni, “volentesque dicte Comunitates, amore Dei, ac intuitu et contemplatione prefati Ill.mi D.ni, perpetui ipsarum civitatum benefactoris dictis iniurijs et inimicitijs finem imponere et ad pristinam et mutuam fraternitatem redire” e desiderose, dette Comunità, per l’amor di Dio ed in considerazione del prefato Illustrissimo Signore, perpetuo benefattore delle stesse città, porre fine alle citate ingiurie ed inimicizie e tornare alla mutua, precedente fratellanza, “iccirco, eximius U. J. Doctor D.nus Jo. Baptista Fundatus et Ser Claudius Pacittus, cives interamnenses et Ser Alexander Peroctus, Ser Marianus Lodovici, alias Sapore de Reathe” pertanto, l’esimio Dott. in entrambi i diritti Giovan Battista Fundato e Ser Claudio Pacetto, cittadini ternani e Ser Alessandro Perotti e Ser Mariano di Lodovico, detto Sapore, di Rieti, “tam vice et nomine dictarum comunitatum et civium earumdem, quam etiam particularium hominum et personarum ... dictarum comunitatum” tanto in rispettiva rappresentanza delle dette Comunità e loro cittadini, quanto delle singole persone delle stesse, costituiti alla presenza degli “spectabilibus viris Virgilio de Rasis, Tutio Archilegio et Anselmo Laurelio, de Ameria, magnifici dominis Antianis dicte Civitatis, vicesgerentibus prefati Ill.mi D.ni Ascanij de Columna” spettabili Signori Virgilio deì Rasis, Tuzio Archilegi ed Anselmo Laureli, di Amelia, m,agnifici Signori Anziani di detta Città, quali facenti le veci dell’Ill.mo Signore Ascanio Colonna, “fecerunt inter se et dictas Comunitates pacem, concordiam et remissionem perpetuam et pactum perpetuum  de non ulterius aliquid non petere de omnibus et singulis iniurijs, rapinis, damnis et homicidijs quomodocumque et qualitercumque inter dictas comunitates factis, commissis et perpetratis hinc inde, usque in presentem diem, osculo pacis interveniente et mutuo amplexu in signum vere pacis et concordie” fecero tra loro e le dette comunità pace, concordia e remissione perpetua e patto di non aver più nulla da pretendere per tutte le ingiurie, rapine, danni ed omicidi comunque e dovunque commessi da una parte all’altra, fino al dì presente, scambiandosi il bacio della pace ed un mutuo abbraccio, in segno di vera concordia. ... “item omnia damna et expensa ac interesse hinc inde ... passas et factas .... remiserunt et remissa esse voluerunt” ed inoltre si rimisero e rimessi vollero ogni danno e spesa reciprocamente arrecatisi. “Quam predictam pacem et omnia et singula promiserunt vicissim ... perpetuo facere et rata habere et tenere ... sub pena ducatorum trium millium auri ... applicanda pro medietate parti observanti vel observare volenti et pro alia medietate camere apostolice et officiali facienti ex ea executionem” Qual pace e tutti gli altri patti entrambe le parti vicendevolmente promisero di fare e mantenere in perpetuo, sotto pena di tremila ducati d’oro, da attribuirsi per una metà alla parte che osservò o volle osservare i patti e, per l’altra metà, alla Camera Apostolica ed all’ufficiale che procederà all’esecuzione ... “nec non juraverunt ad Sancta Dei evangelia corporaliter manibus tactis scripturis predicta omnia et singula inviolabiliter observare, sub penam etiam perjurij et infamie” ed inoltre giurarono sui Vangeli, toccando con mano le sacre scritture, di osservare inviolabilmente tutti i patti stipulati, sotto pena, altresì, di spergiuro ed infamia. (2014)


27 - Il 27 Settembre 1393 l’ “egregius miles Anthonius Bulcanus de Neapoli” l’egregio Cavaliere Antonio Bolcano di Napoli, podestà di Amelia “pro santa Romana Ecclesia” in tale funzione nominato dalla Chiesa Romana, “sedens ad eius solitum  banchum juris”, nella sua veste di organo giurisdizionale, “conmixit, imposuit et mandavit Paulo Cipiccie publico preconi bampnitori communis” diede incarico, ordinò ed inviò Paolo Cipiccia, trombetta e banditore comunale “domini potestatis parte, commissione et mandato vadat et se personaliter conferat per omnia loca publica et consueta dicte civitatis ubi consuetum est bampniri” per disposizione e mandato di esso podestà si rechi personalmente in tutti i luoghi pubblici e consueti della Città dove si usa fare i bandi “et ibidem sono tube premisso publice palam et alta voce bampnat, gridet et proclamet” ed ivi, premesso un suono di tromba, pubblicamente, apertamente e ad alta voce bandisca, gridi e proclami “quod nullus Civis seu conmitatinus de Civitate et comitatu Amelie pernoctet seu pernoctare audeat cum bestijs vel sine bestijs extra civitatem seu castra comitatus dicte civitatis Amelie” che nessun residente in Città o nel contado pernotti o ardisca passare la notte, con o senza bestiame, fuori della Città stessa o del suo contado, “sub pena et ad penam decem librarum denariorum pro quolibet contrafaciente” sotto la pena di dieci libre di denari per ciascun trasgressore “et cuilibet liceat et licitum sit accusare talem delinquentem et habeat quartam partem pene et eius nomen tenebitur in credentia” e ad ognuno sia lecito accusare il trasgressore -chiamato addirittura “delinquente”- ed abbia la quarta parte della pena ed il suo nome sarà tenuto segreto (anche se il significato di “tenere in credenza” suggerirebbe i termini “ritenere credibile”; non è escluso un “lapsus” del cancelliere.

Si aggiunge infine che, nel caso in cui il trasgressore con bestiame tenuto a soccida con altri lo perdesse o gli venisse rubato, la sua perdita sarà a totale suo carico. (2008)


27  - Dinanzi agli Aziani, il 27 Settembre 1525 si presentò “Presbiter Frapponus” prete Frappone, il quale “obtulit jnfrascripta pro fabrica Ecclesie Sancti Rochi perficienda in hunc qui (sic) sequitur modum” per portare a compimento la fabbrica della Chiesa di S. Rocco fece una proposta nel modo seguente:

“Promette fare la porta col suo concime, li pilastri de la logia col suo concio (faccia di pietra lavorata), le fenestre verso la porta de dicta Chiesia, cioè denantj col suo concime, jtem voltare la Chiesia et logia, murare, coprire et mattonare; jtem fare fenestre ad dare el lume ad decta Chiesia, jtem ricciare (stendere l’arriccio, cioè uno strato d’intonaco di grana grossa per pareti esterne) tutta dicta Chiesia de fora; jtem fare la cornice de sotto al tecto de mattoni jnbiancati, che parerà de tevertino con quello apparechiamento che adesso se trova enlloco (sul posto); quali cose tutte promecte farle et perducerle (portarle) ad effecto jn spatio et termine de septe mesi proximi futuri ad sue spese (cioè da comprendersi nell’appalto dei lavori), per prezo (corrispettivo) de ducati septanta de carlini, da pagarseli dal Communo”.

A questo punto, gli Anziani “promiserunt respondere super dicta oblatione postquam fuerint de predictis bene jnformatj a peritis et expertis jn arte” si impegnarono a dare una risposta a quanto proposto ed offerto da frate Frappone, soltanto dopo aver preso buona informazione in merito, da parte di periti ed esperti nell’arte muraria “et deinde aut acceptaverint aut recusaverint” e, quindi, decidere se accettare o ricusare l’offerta dell’ecclesiastico, presentatosi nella sua nuova ed inconsueta veste non soltanto talare, ma anche di imprenditore edile. Fidarsi è bene ... con quel che segue! (2012)


28 - Valeriano de Mentiis, commissario sanctitatis D.N. pape (Niccolò V), il 28 Settembre 1447 scrive agli Anziani che, essendo “deliberato se faccia un ponte sopra la Nera ad rempecto de Santo Liberato, sonne necessarie molte cose. Ad pena de cinquanta fiorini, d’applicarse alla Camera Apostolica (e ti pareva!) domattina a bona hora abbiate mandati al ditto luoco homini cinquanta acti ad lavorare: trenta con trenta accepte, dece zappe o zapponi et dece ronche, tutti li magistri de legname et omne altro che sapesse tenere accepta o altro ferro da lavorare. Uno paio de bufali, uno funicchio con due traglie che à magistro Christofano da Sancto focetule, uno altro funicchio che è à Sancta Fermina et uno altro che è à Sancto Agustino et ad San Francesco et se veruno altro se ne potesse avere, una mandara grande; le quale tucte cose ve ne serimo buoni rendetori et non manchi per quanto non vogliate la desgratia de N.S. (il papa), oltre la pena, etc. Datum iuxta flumen”.

Valeriano, fiducioso, attende in riva al fiume; ma gli Amerini incaricano un loro oratore (Ser Jacobus ser Arcangeli), che faccia presente:

-che in Amelia non è possibile trovare non tanto 50, ma neppure 20 uomini atti a lavorare;

- che nel territorio di Amelia non vi sono bufali;

-che nelle chiese di S. Fermina e S. Agostino vi sono lavori in corso di fabbrica e che i materiali richiesti non sono quindi disponibili;

-che in città non vi sono le funi richieste;

-che non possono fornire vettovaglie “propter longitudinem itineris” (a causa della lunghezza del percorso) e perché si dovrebbero trasportare “extra flumen”, cioè al di là del fiume.

Come la prenderà don Valeriano? (2000)


28  -   Il 28 Settembre 1465 nel consiglio decemvirale si legge la supplica presentata agli Anziani da tale Andrea Singolare di Giove, con la quale “ipse intendit et velit in dicta Civitate Amerie stare habitare ac familiariter commorarj” egli esprime la sua intenzione e volontà di venire ad abitare in Amelia e quivi familiarmente risiedere “ibidemque eius familiam lares et fortunas retinere et habere” e nello stesso luogo tenere e conservare la famiglia, i patri lari e la sua sorte ed essere considerato “bonus devotusque filius et servus et in ipsa Civitate domum et possessionem emere intendat” un buon figliolo e servitore della Comunità, avendo intenzione di acquistare in Città casa e beni e fare, insomma, tutto quello che “bonj perfecti et fideles ipsius Civitatis cives faciunt” fanno i buoni, fedeli ed esemplari cittadini e, come loro, possa godere “omnibus privilegijs immunitatibus gratijs honoribus et oneribus” di tutti i privilegi, immunità, favori, onori ed oneri e venir trattato come vero ed autentico cittadino.

Lo stesso giorno, altra supplica viene presentata “per parte del vostro fidelissimo servitore et poverissima persona Paulo de Spoglia alias Fante da montecampano vostro castello che conciosia cosa che lui per la sua povertà et non possere respondere alli suoi creditori li sia stato necessità andare un pocho vagabundo et tucto a suo danno et advegna mo cognosca havere facto male et che saria stato meglio stare alla discretione et misericordia de li suoi propri Ciptadini che havere presa la via (che) ha presa, puro cognosce mo essere meglio tardo che non mai revederse altruj del suo errore; et perché essendo lui pentuto et malcontento desideraria retornare alla propria patria et lì sotto lombra de suoi propri Ciptadinj et parenti vivare et morire. Et essendo lui in grandissima povertà come è noto ale V. S. che non le remasto niemte né casa né possessionj che ogne cosa hanno preso el suoi creditorj et anque non cè bastata che le remasto debito supra la persona de molti ducati. Supplica da le V. S. et conseglio predecto che per lamore dedio et intuito de pietà lisse voglia cassare et remettere si alcuno processo havesse in comuno et similiter date et graveze havesse a pagare fino a dì presente e per lavenire farli qualche immunità come paresse alle V. prefate S. accioche se possa unpocho restorare almancho de pane per sé et la sua fameglia et quantunqua lui conosca per lo suo errore non meritare né questa né altra gratia, da esse V. M. S. nondemeno el domanda per vostra infinita clementia et pietà, le quali dio conservi sempre in prospero et felice stato”. 

Nel maggior consiglio tenutosi il dì seguente si decide che, ad Andrea di Giove “propter eius virtutes et industrias”, in considerazione delle sue virtù e delle sue lucrose attività, “habendus est carus” sia da tenersi caro e “sit ex nunc factus civis ut petit” quindi gli si conceda immediatamente la cittadinanza, secondo quanto richiesto; al povero Paolo da Montecampano si faccia grazia dei tre quarti della pena, “habita tamen prius pace cum offensis” avuta prima riconciliazione con le persone da lui danneggiate; la quarta parte della pena pecuniaria “restans solvenda” che deve ancora essere pagata e che “non potest remicti” non è in facoltà del consiglio di venir rimessa, “largiatur et donetur amore dei filijs dicti Pauli” per amor di Dio venga elargita e donata ai figli del povero Paolo, cioé, in definitiva, resti in famiglia. (2009)


28  -  Sotto la data del 28 Settembre 1504, nelle riformanze risulta annotato quanto segue:

“Dominus Jacobus de Alviano et Palmescianus de “Alviano” detempti captivi in bello habito cum dominis de Alviano Ameriam discessere et Alvianum petierunt”: il Signor Giacomo di Alviano e Palmesciano, pure di Alviano, tenuti prigionieri nella guerra avuta con i Signori di Alviano, lasciarono Amelia e tornarono ad Alviano.

Con tale dichiarazione, si è voluto dare atto che le condizioni formulate dall’Abate Bernardino per firmare la pace con Amelia, nell’impegno da lui sottoscritto il 6 Febbraio precedente e fatto recapitare agli Amerini dal Cardinale Colonna il 9 successivo, si erano felicemente verificate. (2011)


28  -  Il 28 Settembre 1429 Padre Bastiano di Gregorio, “flexis genibus” in ginocchio, presenta al Vescovo Filippo Venturelli una bolla o privilegio “cum sigillo rubro pendente cum cordula rubea” con sigillo rosso, pendente da una cordicella, pure rossa, nella quale è detto che, da parte del citato Bastiano fu “oblata petitio” presentata una petizione, “quod cum ipse olim quandam concubinam secum in domo sua  teneret et per Auditorem Curie Camere Apostolice monitus fuisset sub pena excomunicationis ut dictam concubinam dimicteret aut contra eum per censuras ecclesiasticas procederetur, idem exponens huiusmodi censuras timens eandem concubinam dimisit postmodum vero dicta mulier ad domum suam rediisse” che, avendo egli tenuto, tempo addietro, in casa sua una concubina e, dall’Uditore della Curia della Camera Apostolica fosse stato ammonito, sotto pena di scomunica, di mandarla via o si sarebbe proceduto contro di lui con le censure ecclesiastiche, egli esponendo che, per timore di tali censure, (e non per altro!) mandò via di casa tale donna e la ricondusse all’abitazione della stessa; espone, inoltre, che, “ad dictam domum pluries accedens carnis stimulo ductus et temptatus, eandem mulierem ... carnaliter cognovit et prolem ex ea procreavit” stimolato e mosso dal desiderio carnale, si era più volte recato nella di lei casa e si era giaciuto più volte con essa, avendone anche dei figli; “propter que exponens ipse timet se huiusmodi excomunicationis sententiam incurrisse” per la qual cosa, esponendo di temere di essere incorso nella sentenza di scomunica, “super quibus supplicari fecit humiliter sibi per sedem apostolicam provideri”, ha umilmente supplicato la sede apostolica che voglia provvedere al suo caso. Detto ciò, con la esibita bolla, viene conferito al Vescovo di Amelia ed al suo Vicario la commissione di assolvere il suddetto prete Bastiano “a reatu fornicationis, iniuncta inde sibi pro modo culpe penitentia salutari” dal reato di fornicazione, dopo avergli inflitto, quale pena, una salutare penitenza e comminandogli la sospensione “ad tempus” per un certo periodo e aver avuto assicurazione che, per l’avvenire, “in domo sua vel aliena non tenebit” non frequenterà più alcuna donna, né in casa sua, né altrove. E bravo ‘padre’ Bastiano! (2014)


29 - Il 29 Settembre 1402 il Capitano Mostanda di Strada, generale delle milizie pontificie, sollecita il Comune di Amelia, perché gli venga pagata la "terzeria" della somma imposta al detto Comune per la sua compagnia di ventura, ammontante complessivamente a 256 fiorini, da soddisfarsi in tre terzerie o rate. Il pagamento doveva venir effettuato in mani del collettore del Mostarda, il viterbese Angelo della Praglia. Sentiamo in quali termini il Capitano -che non doveva essere uno stinco di santo- si rivolge agli Amerini:

"Magnifici patres et d.ni mei. Sumamente ve prego ve piacia sin a domenica prossima che vene far dare ad Angelo della Praglia nostro compagnone o acchi (sic) altri esso mandasse per sua parte LXX ducati de la vostra seconda terziaria e luresto sia apparecchiato che onne volta mandamo per esso sia parato".

Questo significa parlare chiaro, grafia a parte! (2001)


29 - Nel Consiglio Speciale dei X del 29 Settembre 1431, fra le altre numerose proposte di ordinaria amministrazione, come quella relativa all'approvazione della spesa di dieci libre da dare a Mario ser Nicolai, per aver dipinto l'arme di Papa Eugenio "ad portam pusciolinam" e di altre due libre a "Christoforo Ceccharelli" per la necessaria armatura di un ponteggio, viene dibattuta la questione, ben più importante, della uccisione del medico "Magister Donadeus" di Orte da parte di "plures cives Amelienses" numerosi cittadini di Amelia. Non si conoscono le motivazioni dell'efferato delitto, ma dovrebbe essersi trattato di una vera e propria esecuzione "a furor di popolo", a giudicare dalla proposta di assoluzione collettiva "pro pace et tranquillitate Communis Civitatis Amelie et pro evitatione magni futuri scandali quod posset in dicta Civitate ex huiusmodi causa exorirj" per la pace e la tranquillità della Comunità amerina e per evitare maggiori possibili disordini che ne potessero in futuro derivarle.

Il giorno successivo, nel Consiglio Generale, il consultore Ser Arcangelo, "considerata multitudine civium qui fuisse dum dictus Magister Donadeus fuit interfectus", cioè in considerazione della moltitudine delle persone che presero parte all'uccisione, perché non debba da ciò derivare un male anche maggiore alla Città, "fiat gratia et plena remissio liberaliter" cioè venga generosamente fatta grazia e piena remissione sia a coloro che materialmente uccisero Mastro Donadeo, che agli altri che comunque fossero considerati responsabili del delitto.

La proposta di ser Arcangelo riportò 58 voti favorevoli e soltanto 5 contrari.

Ma di quali orribili colpe si sarà macchiato Mastro Donadeo, per meritare il linciaggio? Forse le sue cure avevano mandato al Creatore un eccessivo numero di pazienti? (2004)


29  -  Il 29 Settembre 1498 nelle riformanze viene data notizia che “diebus prossime preteritis fuerunt destinati quidam fratres de Annuntiata ad Civitatem Hortanam ad tractandum cum illa Communitate concordiam et pacem” nei giorni passati erano stati inviati dal Comune di Amelia ad Orte alcuni frati del convento dell’Annunziata, per trattare con quella Comunità un negoziato di amicizia e di pace, “que minime cum ortanis inventa sit” che non fu assolutamente possibile portare a buon fine; anzi, “ea die qua dicti fratres reddiderunt, hortani invaserunt et depredaverunt tenimentum Amerinum in contra(da) montiscampani” lo stesso giorno che i detti frati fecero ritorno, gli Ortani invasero e depredarono il territorio di Amelia nella contrada di Montecampano, “depredando multa animalia et multos viros in captivitate ducendo” facendo razzia di molti animali e prendendo prigionieri molti uomini.

Nel maggior consiglio del dì seguente, si delibera che si chieda conto di quanto avvenuto da parte degli Ortani “et eo habito, Mag.ci d.ni Antiani et cives de arbitrio habeant potestatem providendi ut eis visum fuerit expedens” e, dopo accertata la verità, gli Anziani ed i cittadini a ciò deputati abbiano ogni facoltà di prendere tutti i provvedimenti che a loro sarà sembrato opportuno adottare. (2010)


29  - V’è (tanto per cambiare!) una impellente necessità di trovare denari. Il 29 Settembre 1551 se ne discute nel consiglio dei X. Ser Gallieno Mandosi propone che i cittadini recentemente eletti “pro abundantia” per provvedere ai rifornimenti abbiano la stessa autorità del consiglio “extrahendi pecunias undecumque et qualitercumque et si opus fuerit accipiendi ad interesse et omnia alia et singula dicendi gerendi et faciendi in predictis necessaria et opportuna” di cercare e cavare denari dovunque e comunque e, se sarà necessario, di prenderli a mutuo e di proporre e fare quanto risulterà necessario ed opportuno per il raggiungimento di tale scopo. Si propone, altresì, di richiedere a Prospero e Fabrizio Colonna di restituire quanto ricevuto a mutuo, anche se si stenta a credere che la Comunità di Amelia, sempre in cerca di soldi, abbia potuto effettuare un prestito (si parla di ben quattrocento ducati!) ai suddetti Colonna.

Per di più, il podestà di nuova nomina, Ovidio Onesti di Cagli, entrato in carica il 21 Settembre, ha fatto richiesta “sibi provideri de suppellectilibus necessarijs et reactarj palatium, cum non sit habitabile” che si provveda a riattare e dotare delle attrezzature e suppellettili necessarie il palazzo della sua residenza, che, nello stato attuale, non ritiene sia abitabile. Il maggior consiglio lo autorizza a provvedere in tal senso, ma poiché –naturalmente!- il tutto dovrà avvenire “sumptibus communis” a spese del Comune, si delibera che il denaro occorrente si prenda “de pecunijs mallefitiorum” utilizzando gl’introiti delle pene pecuniarie. Alquanto esigente, il nuovo Podestà! (2012)


29  -   Con atto rogato dal notaio Ricco di Francesco del 29 Settembre 1454 Antonio di Giacomo Sandri, Priore della Cattedrale di S. Fermina, con il consenso e l’intervento dei Canonici della stessa “chapitulariter congregati, sponte dederunt ad pensionem chausa venandi tantum Ser Centio Jo. Montem donichum, cum omnibus suis pertinentijs” e, così insieme riuniti in assemblea capitolare,  spontaneamente concedono a Ser Cenzio di Giovanni, al solo scopo di caccia, il Monte Dònico (oggi “Monte Onico”), con tutte le sue pertinenze, “et dictus Centius promisit dare et solvere pro dicta pensione, videlicet proximis annis proxime venturis omni anno xxx turdos ... ad penam L librarum” e detto Cenzio promette di corrispondere, per tale concessione, per i prossimi futuri anni, trenta tordi all’anno al Capitolo della Cattedrale, sotto pena di cinquanta libre, in caso di mancata corresponsione.

Considerata la quantità di selvaggina presente all’epoca, non credo che sia mai stato pagato un corrispettivo tanto basso per l’affitto di un posto di caccia ai tordi! 


30 - S. Girolamo. Nella nostra Città di Amelia, in cui, nel corso dei secoli, fiorirono numerose confraternite, soltanto quella di S. Girolamo in Posterola può considerarsi viva e vitale da oltre 350 anni, senza soluzione di continuità.

L'origine di detta Confraternita è provata da un manoscritto, giunto fino a noi, che può considerarsi il suo atto costitutivo, nel quale sono fissate le regole o "Capitula Societatis Divi Hieronimi".

Detto manoscritto non risulta datato, ma 1'esortazione in esso contenuta a "far oratione per la Santa Madre Chiesa et per il Capo di quella P.P. Urbano Ottavo" stabilisce, quale termine "ad quem", l'anno 1644, essendo detto Pontefice deceduto il 29 Luglio di quell'anno.

Il documento è redatto in forma di discorso diretto: è lo stesso San Girolamo che si rivolge ai suoi devoti:

"Hieronimo, denominato "Lumen fidelium", vi saluta, benedice et conforta; pronùntiavi la sua pace, la speranza et la misericordia di Dio; et però, figlioli miei, "quos iterum parturio, donec Christus reformetur in vobis", figlioli miei, li quali di novo partorisco insino a tanto, che Christo sia riformato in voi. Et vi prego, per la misericordia di Dio, che voi facciate i corpi vostri in questa vita sacrifìcio santo et piacente a Dio; et chiamatevi di mia compagnia".

Dopo questo preambolo, il Santo passa ad elencare i vari obblighi  imposti ai confratelli, assegnando a ciascuno il suo compito ed esortandoli a compiere con diligenza il proprio dovere. Le sue sollecitazioni si rivolgono al Sacrestano, al Provveditore (oggi Assistente), al Camorlengo (oggi Camerlengo), alli Infermieri (che dedichino le loro cure agli infermi "et non solo all'infermi del corpo, ma a quelli dello spirito"), alli Diffinitori delle differenze (oggi Paciere). 

Non sembrerebbe anacronistico terminare con quanto paternamente imposto ai Consiglieri, che oggi potremmo paragonare al compito riservato al Governatore: "Consiglieri, l'offitio vostro dipende dalla prudenza: la prudenza nasce dalla sapienza; la sapienza è dono dello Spirito Santo. Temete Iddio, ché haverete la sapienza, per la quale sarete prudenti al bene, et santamente consultare per la conservazione della nostra Compagnia all'honor di Dio. Ricordatevi delle cose passate, essaminate le presenti, provvedete all'avvenire et il vostro consiglio sarà bonissimo, rimovendo da voi ogni passione e disordinato affetto, che potesse turbare la pace di questo luogo. Non riguardarete in faccia a nessuno, ma a mantener la Compagnia in honor del grande Dio ci  consigliarete". (1996)


30 - Dagli Anziani si delibera, in data 30 Settembre 1448, di inviare una supplica al Luogotenente della Camera Apostolica, che si degni di esimere il Comune di Amelia dall'obbligo di ritirare il sale assegnatogli, avendone più che sufficiente scorta in magazzino; oppure di voler ridurre il quantitativo da assegnargli, in quanto "comunitas Amelie, propter pestem, est nimis diminuta et sint mortue mille quingente persone et cotidie moriuntur, quia pestis non est remota": la comunità, a causa della peste, è diminuita di 1.500 unità e quotidianamente ancora ne muoiono, perché il morbo non si è ancora allontanato dalla Città.

Anche non conoscendo esattamente a quanto ammontasse la popolazione di Amelia verso la metà del secolo XV, ci sembra che la peste abbia operato una vera e propria strage! (2001)


30 - E' riportata nelle riformanze la Bolla di Niccolò V, che reca la data del 30 Settembre 1453, con la quale bandiva una crociata contro i Turchi, che avevano conquistato Costantinopoli il 29 Maggio dello stesso anno, ponendo fine all'impero romano d'oriente. Ma l'epoca delle crociate era tramontata da oltre un secolo e mezzo, con la riconquista da parte dei Turchi dell'antica Tolemaide, cioè S. Giovanni d'Acri, nel 1291. Le gradi monarchie europee erano ormai tutte volte ai loro problemi interni e alle lotte di predominio in Europa. Com'era da immaginare, l'esortazione papale non sortì alcun effetto, malgrado le accorate parole del potefice, che descriveva il conquistatore turco quale "fera rabida", cioè bestia rabbiosa, che "Civitatem costantinopolitanam durissima obsidione et debellatione superatam", dopo durissimo assedio e conquista, "in suam ductionem transtulit cum magna christiani populi stragia" si impossessò di Costantinopoli, con grande strage di cristiani. (2004)


30 - Il 30 Settembre 1902 il Consiglio comunale elegge la "Commissione per la denominazione delle Vie e Piazze interne della Città", composta da Edilberto Rosa, Gino Assettati e Oreste Silvestri. Questa si riunisce il 13 Gennaio 1903 e delibera, all'unanimità, di attribuire alle infrascritte vie e piazze cittadine le seguenti nuove denominazioni, precedute -ove ci fossero- dalle già esistenti e seguite (in parentesi)  dalle ragioni che hanno suggerito il cambiamento, annotate a fianco secondo le risultanze del relativo verbale:

1° - Piazza del Municipio diventa Piazza Umberto I (Per rispondere a un voto espresso altre volte dalla Rappresentanza Comunale e per rendere onore alla memoria del Re buono). Oggi: Piazza Giacomo Matteotti.

2° - Piazza della Pretura diventa Piazza Mazzini (Per rendere omaggio ad uno dei più illustri fattori dell'unità d'Italia).

3° - Piazza di S. Francesco o delle Scuole diventa Piazza Augusto Vera (Per onorare il chiaro concittadino filosofo e Senatore del regno).

4° - Largo di fronte alla casa già Cansacchi delle Colonne diventa Piazza Cansacchi (Per benemerenze ad una illustre famiglia amerina).

5° - Via di S. Francesco diventa Via Alarico Silvestri (Per additare all'esempio della gioventù studiosa, le cui scuole sono prossime alla via, il nome di un concittadino che sacrificò in Grecia la sua giovanissima e promettente esistenza all'ideale della fratellanza dei popoli).

6° - Strada innominata dalla Piazza di S. Agostino alla Cattedrale diventa Via Alessandro Geraldini (In memoria del concittadino, chiaro per alte cariche ricoperte, amico e protettore dell'immortale Cristoforo Colombo).

7° - Via della Valle diventa Via Piacenti (Per ricordare una civile famiglia paesana che ha dato alcuni soggetti letterati e la cui abitazione era lungo detta via).

8° - Via di S. Giovanni diventa Via Melchiade Fossati (Per ricordare il distinto archeologo di questa Città, che sacrificò la sua vita sulle mura di Roma, nella memoranda difesa del 1849).

9° - Via delle Fonti diventa Via Farrattini (La vecchia denominazione non avrebbe ragione di essere, quindi si è creduto conveniente sostituire l'appellativo desunto dall'illustre famiglia che ha lungo la stessa via il proprio palazzo opera dell'insigne architetto Antonio di S.Gallo). La via era fin dal medioevo ed anche oggi comunemente chiamata Porcelli; quanto all'architetto citato, è senz'altro più corretto chiamarlo “da Sangallo”.

10° - Via Borgo Nuovo diventa Via Vincenzo Assettati (A grata memoria del'integro e benemerito cittadino, che tanto favorì il paese nativo, tutelandone e promuovendone nel consesso provinciale i più vitali interessi, generoso di consiglio e di affetto a tutte le classi della cittadinanza).

11° - Via di Leone, dal quadrivio colle vie della Piaggiola e Pomponia, alla porta omonima, diventa Via Leone IV (Per tramandare ai posteri l'opera del Pontefice che in epoca remota risarcì le mura di Amelia: per simile ragione Roma moderna ha creduto designare da questo nome una nuova via nel quartiere dell'Esquilino).

12° - Via del Colle diventa Via Roscia (Per ricordare una famiglia dell'epoca romana legata coi vincoli della parentela e dell'amicizia colle patrizie e colle consolari e che ha prodotto essa stessa non oscuri soggetti).

13° - Via Liviani diventa Via Bartolomeo Liviani (Per ravvivare la memoria di un valoroso condottiero, amerino di adozione, chiaro per parentele, cultore delle armi e delle lettere). Non è comunque provato che il condottiero d'Alviano avesse, in origine, il citato casato. Secondo C. Cansacchi, il cognome “Liviani” comparve in qualche documento soltanto al principio del sec.XVI.

14° - Via del Morrotto diventa Via delle Mura (Adottando un vocabolo più conveniente).

15° - Vicolo di Mario diventa Via Venturelli; e

16° - Piazza del Fico diventa Piazza Venturelli (In memoria di una illustre famiglia che dié i natali a Filippo vescovo di Amelia (1426) e benemerita per legato a favore degli studi).

17° - Via dell'Ospedale (nel tratto fra il convento di S. Magno e la casa di Ercoli Liborio) diventa Via Boccarini (Per memoria di una famiglia che lasciò cospicue rendite ad incremento degli studi e per le quali prospera l'attuale collegio. Il palazzo dell'estinta famiglia è su quella via).

18° - Via delle Fonti diventa Via Antonio di S. Gallo (A ricordo del celebre autore del palazzo Farrattini che si trova in fondo a detta via). V. quanto già detto al N° 9.

19° - Via delle Volte (tra l'attuale caserma dei R.R. Carabinieri e la casa del sacerdote Don Giovanni Rampini) diventa Via Studiosi (A ricordo di una famiglia estinta chiara in lettere ed in armi. Il palazzo attuale del Conte Pietro Morelli era l'antico Studiosi).

20° - Via S. Caterina diventa Via Pellegrino Carleni (A ricordanza di una illustre Famiglia e di quei che al trattato della pace di Westfalia sedé plenipotenziario pel Duca di Gueldria (Paesi Bassi) insieme al Legato pontificio Fabio Chigi che fu assunto alla Cattedra di S. Pietro col nome di Alessandro VII. L'abitazione dell'illustre plenipotenziario è lungo questa via). (2007)


30  -  Il 29 Settembre 1498 nelle riformanze viene data notizia che “diebus prossime preteritis fuerunt destinati quidam fratres de Annuntiata ad Civitatem Hortanam ad tractandum cum illa Communitate concordiam et pacem” nei giorni passati erano stati inviati dal Comune di Amelia ad Orte alcuni frati del convento dell’Annunziata, per trattare con quella Comunità un negoziato di amicizia e di pace, “que minime cum ortanis inventa sit” che non fu assolutamente possibile portare a buon fine; anzi, “ea die qua dicti fratres reddiderunt, hortani invaserunt et depredaverunt tenimentum Amerinum in contra(da) montiscampani” lo stesso giorno che i detti frati fecero ritorno, gli Ortani invasero e depredarono il territorio di Amelia nella contrada di Montecampano, “depredando multa animalia et multos viros in captivitate ducendo” facendo razzia di molti animali e prendendo prigionieri molti uomini.

Nel maggior consiglio del dì seguente, si delibera che si chieda conto di quanto avvenuto da parte degli Ortani “et eo habito, Mag.ci d.ni Antiani et cives de arbitrio habeant potestatem providendi ut eis visum fuerit expedens” e, dopo accertata la verità, gli Anziani ed i cittadini a ciò deputati abbiano ogni facoltà di prendere tutti i provvedimenti che a loro sarà sembrato opportuno adottare. (2010)


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© Giovanni Spagnoli 2013